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La Coprogettazione Sociale. Fondamenti, Processi e Metodologie

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INDICE

Introduzione p.1

Cap.1 La coprogettazione sociale: definizione e aspetti

generali p.3

1.1 La coprogettazione sociale: definizione 3

1.2 La coprogettazione sociale nel welfare locale 5

1.3 L. 328/2000: sussidiarietà, concertazione e cooperazione 7

1.3.1 Il principio di sussidiarietà e la sua evoluzione normativa 9

1.4 La L. 328/2000 e il welfare locale 11

1.5 Il DPCM 30.03.2001 13

1.6 Il DPCM 30.03.2001 dal punto di vista delle Regioni 17

1.7 Riflessioni e criticità sulla normativa nazionale di riferimento 21

1.8 La Coprogettazione secondo l’ANAC 22

1.9 La riforma del terzo settore 24

1.10 Il parere del Consiglio di Stato sulla coprogettazione 27

Cap.2 La riforma della pubblica amministrazione p.32

2.1 La pubblica amministrazione: uno sguardo generale 32

2.2 La managerializzazione della pubblica amministrazione 35

2.3 L’intermediazione amministrativa: definizione e caratteristiche 37

2.4 L’azione pubblica: dal government alla governance 39

2.5 La partnership 41

2.6 La partnership e i nodi problematici 41

Cap.3 L’evoluzione dei rapporti tra pubblica

amministrazione e terzo settore p.46

3.1 Il welfare e la esternalizzazione dei servizi: uno sguardo

generale 46

3.2 Il terzo settore e il suo ruolo nel sistema di interventi e servizi

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3.3 Caratteristiche e differenze degli strumenti regolativi dei

rapporti tra pubblica amministrazione e terzo settore 50 3.4 I percorsi amministrativi dei rapporti tra pubblica

amministrazione e terzo settore fino alla coprogettazione 52

3.4.1 Lo strumento dell’appalto e della concessione di servizi 54

3.4.2 L’accreditamento 59

3.4.3 Il Partenariato pubblico privato 61

3.4.4 Le istruttorie pubbliche di coprogettazione 64

Cap.4 La Regione Toscana p.67

4.1 Le esperienze regionali nell’ottica della legge 328/2000 67

4.2 La Normativa regionale toscana prima della legge quadro 71

4.3 Il Piano Integrato Sociale Regionale (2002-2004) 74

4.4 Il Riordino del sistema di welfare regionale toscano:

L.R.40 e 41/2005 e successive modifiche 76

4.5 Il Piano Sanitario e Sociale Integrato Regionale (2012-2015) 78

4.6 La Coprogrammazione in Toscana 81

4.7 La Coprogettazione in Toscana 83

Cap. 5 La metodologia della coprogettazione FSE p.87

5.1 Principi generali sul coprogettare FSE 87

5.2 Declinazione operativa: le fasi della coprogettazione 89

5.2.1 Schema di riferimento dell’avviso 93

5.3 Alcuni aspetti operativi e concreti della fase esecutiva

della coprogettazione 93

5.3.1 L’analisi del contesto 93

5.3.2 La gestione dei tavoli di coprogettazione: metodi,

tecniche e nodi problematici 94

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Cap.6 I tavoli di coprogettazione, due modelli:

Consorzio Regionale Pegaso e Simurg Ricerche p.114

6.1 Il Consorzio Regionale Pegaso: introduzione e aspetti generali 114 6.1.1 La linea metodologica sulla coprogettazione del

Consorzio Pegaso 115

6.1.2 I metodi e tecniche di gestione dei tavoli di

coprogettazione secondo Pegaso 118

6.1.3 La coprogettazione secondo il modello Pegaso 123

6.2 La Simurg ricerche: aspetti generali e caratteristiche

Metodologiche 124

6.2.1 Le tecniche di gestione dei tavoli di coprogettazione

della Simurg Ricerche 126

6.2.2 La Coprogettazione secondo la Simurg ricerche 132

6.3 Due Modelli: differenze e somiglianze 134

Conclusioni p.137

Allegato 1: Quadro riepilogativo sulla coprogettazione p.140 Allegato 2: Riepilogo delle tecniche di coprogettazione p.141

Bibliografia p.142

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INTRODUZIONE

Questo elaborato ha come tema centrale l’analisi dello strumento della coprogettazione sociale. L’oggetto del lavoro è l’analisi del funzionamento dal punto di vista metodologico dei tavoli di coprogettazione, ovvero le tecniche usate per gestire i tavoli di coprogettazione che vedono riuniti intorno ad un tavolo tutti i partecipanti per la formulazione e la definizione di un progetto di intervento.

Il disegno di ricerca di questo elaborato verte e si propone di esplorare la coprogettazione in Toscana in riferimento all’ambito sociale.

L’obiettivo di questo lavoro è dimostrare la validità, l’efficacia e la fondatezza dello strumento regolativo della coprogettazione, laddove viene condotto e gestito seguendo una metodologia accurata e precisa. Seguire una metodologia accurata e precisa significa utilizzare una metodologia contestualizzata e specifica in relazione al tema da affrontare, al tipo di progetto da realizzare, al numero di partecipanti al tavolo. Inoltre significa anche che questa metodologia si deve basare sull’analisi del contesto di riferimento generale degli aspetti socioeconomici e culturali, ma anche e soprattutto specifici del territorio, analizzando e valutando i bisogni, problemi e le criticità presenti in riferimento al tema e all’intervento da definire in sede di coprogettazione.

Cercherò di dimostrare tutto questo partendo dalla definizione dello strumento della coprogettazione e dalla descrizione delle sue caratteristiche fondamentali. Il primo capitolo di questo elaborato verte sull’analisi del percorso evolutivo di questo strumento dal punto di vista normativo nazionale. Successivamente viene effettuata anche un’analisi delle trasformazioni avvenute all’interno del welfare che hanno permesso la nascita e lo sviluppo dello strumento della coprogettazione nella regolazione dei rapporti tra soggetti pubblici e soggetti privati per

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la realizzazione di progetti e interventi a livello locale, in alternativa ai tradizionali strumenti regolativi.

Il secondo capitolo infatti si concentra sulla riforma della pubblica amministrazione e quindi sulla managerializzazione della pubblica amministrazione. Questa riforma riguarda il cambiamento sostanziale dell’azione pubblica dal government alla governance, che rappresenta la base della nascita dello strumento della coprogettazione.

Il terzo capitolo analizza l’evoluzione dei rapporti tra la pubblica amministrazione e il terzo settore nella esternalizzazione dei servizi, analizzando i vari strumenti regolativi tradizionali fino ad arrivare alla coprogettazione, prendendo in considerazione come cambia il ruolo del terzo settore all’interno del sistema di interventi e servizi sociali.

Il capitolo quarto analizza lo strumento della coprogettazione nel contesto della Regione Toscana, prendendo in considerazione l’evoluzione della normativa regionale di riferimento dal punto di vista sociale.

Il capitolo quinto analizza la metodologia della coprogettazione dettata dalla Regione Toscana, a valere del finanziamento del Fondo Sociale Europeo 2014-2020, in merito alla pubblicazione del primo bando a valere di questo finanziamento.

L’ultimo capitolo verte sull’analisi di due linee metodologiche proposte da due società operative sul territorio, che a diverso modo si occupano di coprogettazione: Il Consorzio Regionale Pegaso e la Simurg Ricerche. Il confronto di questi due modelli metodologici consente di dimostrare la validità di questo strumento e la necessità di adottare tecniche accurate e precise nella gestione dei tavoli di coprogettazione che permettano di eliminare o ridurre i conflitti che si possono verificare tra i vari partner durante i tavoli di confronto per poter arrivare ad un accordo che sia consensuale tra i partecipanti, rendendo il percorso di coprogettazione partecipativo e produttivo nella definizione del progetto e dell’intervento da realizzare.

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CAP.1 LA COPROGETTAZIONE SOCIALE:

DEFINIZIONE E ASPETTI GENERALI

1.1. LA COPROGETTAZIONE SOCIALE: DEFINIZIONE Definire il concetto di coprogettazione non è semplice, infatti come

dice Grossman (Grossman, 2012 in Brunod et al., 2016 : 114)

“dobbiamo partire dalla convinzione che non esiste una definizione

perentoria di questo concetto”. Tuttavia una definizione che spiega meglio questo concetto è fornita da Ugo De Ambrogio, secondo il quale, la coprogettazione, in particolare la coprogettazione sociale, “rappresenta una modalità di costruzione, affidamento e gestione di iniziative e interventi sociali attraverso una partnership tra la pubblica

amministrazione e il privato sociale” (De Ambrogio U., Guidetti C.,

2016).

Questa mancanza di definizione deriva dalla ambiguità e dalla scarsità degli elementi attraverso cui la normativa statale delinea questo nuovo istituto. Infatti sia la l. 328/2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) che il DPCM 30.3.2001 (Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell’art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328) non forniscono né una caratterizzazione e né tracciano un chiaro profilo giuridico sul piano procedurale e sostanziale. Nonostante tutto, in base alle disposizioni di queste due normative di riferimento nazionale, possiamo affermare che la coprogettazione sociale è ascrivibile agli strumenti di regolazione dei rapporti tra le pubbliche amministrazioni e i soggetti del terzo settore riguardanti l’organizzazione e la gestione dei servizi di welfare. Questo strumento, è costituito da alcuni elementi basilari: in primo luogo presuppone lo sviluppo di una partnership tra più enti di natura diversa, sia pubblici che privati; in secondo luogo questi enti devono condividere i rischi e i benefici che possono derivare

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dal programma (Schaeffer e Loveridge 2002 in Brunod et al., 2016 : 114).

Possiamo affermare, quindi che la coprogettazione è un processo organizzativo che si cristallizza nella generazione di una partnership tra

enti diversi (ivi:114). Infatti essa rappresenta una nuova modalità di

relazione tra il pubblico e il privato sociale che nasce dall’esigenza di provare a superare il tradizionale rapporto che da sempre caratterizza entrambi, cioè committente-fruitore, dove il pubblico fornisce le risorse ed esternalizza i servizi che il privato poi gestisce e realizza. Alla base di questo nuovo strumento c’è insito il concetto di partnership, partenariato, cioè il patto che viene stipulato tra il soggetto pubblico e il privato sociale. Questo è un accordo che modifica la relazione tradizionale tra committente e fornitore e propone nuove forme di collaborazione orientate alla divisione e condivisione di responsabilità, alla partecipazione congiunta a un determinato progetto, condividendo sia gli oneri che gli onori.

“L’elemento distintivo della coprogettazione è l’esplicita focalizzazione delle dinamiche di collaborazione inter-organizzative sui processi di programmazione di un particolare programma, servizio o intervento” (Brunod et al., 2016:114).

“Questo strumento, quindi esplicita e richiede un coinvolgimento di più soggetti nei processi decisionali, anziché un loro semplice affiancamento funzionale e strumentale limitato alle attività di

implementazione di un servizio” (Brunod et al., 2016:114).

Infatti come sostiene De Ambrogio (De Ambrogio U., Guidetti C.,

2016:14) “la coprogettazione rappresenta una modalità di lavoro congiunto tra i vari soggetti coinvolti che investe tutto il processo di costruzione di una politica sociale: dalla fase di ideazione, alla progettazione vera e propria, a quella di intervento fino alla sua

valutazione” (ivi:14).

Infatti, rappresenta un modello di processo decisionale che ha lo scopo di affrontare problemi collettivi e di operare secondo principi, fissando priorità e obiettivi, compiendo delle scelte operative. Inoltre prevede la

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predisposizione di azioni e interventi coordinati tra loro secondo tempi e fasi stabiliti, adottando tecniche più o meno consolidate e utilizzando risorse economiche e strumentali. Infine prevede la predisposizione di attività di controllo e la valutazione dei risultati.

Secondo questa prospettiva, “la coprogettazione è un processo che ha le potenzialità per innovare le dinamiche di governo ed erogazione dei

servizi di welfare a livello locale” (Brunod et al., 2016 : 114 ).

Negli ultimi decenni, infatti “i servizi di welfare hanno attraversato tante fasi di riforma, dove l’elemento trasversale a questi diversi passaggi è stato la valorizzazione della dimensione locale come baricentro dei processi di programmazione ed erogazione dei servizi di welfare” (ivi:114). Tutto questo, allo stesso tempo, ha portato una notevole differenziazione delle forme di governance dei servizi e delle stesse pratiche di gestione ed erogazione di prestazioni e interventi di welfare (ivi:114). Per questo motivo, “sarebbe impensabile il diffondersi in modo uniforme delle pratiche di coprogettazione; infatti al contrario, esse non solo assumono forme diverse e agiscono in ambiti diversi delle politiche sociali a livello locale, ma trovano logiche differenti di

attivazione, legittimazione e consolidamento sui territori” (ivi:114).

“La coprogettazione quindi non è pertanto solo una nuova logica di costruzione delle politiche sociali e di gestione dei servizi di welfare, ma assume anche il significato di una sfida sul piano culturale e

istituzionale” (ivi:114).

1.2 LA COPROGETTAZIONE SOCIALE NEL WELFARE LOCALE

La coprogettazione rappresenta una modalità per costruire un welfare locale attento all’interesse comune e alle domande sociali delle componenti più fragili della comunità.

“Questo strumento rappresenta, infatti una “terza via” fra pubblico e privato, in quanto supera la dicotomia tra questi due soggetti, spostando

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la questione dall’identità dei soggetti, all’oggetto del loro agire, che deve

essere l’interesse pubblico, cioè il bene comune” (Brunod et al.,

2016:81).

E’ importante tenere presente che, il dibattito su chi si deve occupare dell’interesse pubblico tra il pubblico e il privato c’è sempre stato. In particolare, se questo è prerogativa delle istituzioni in base al mandato istituzionale che esse ricoprono, oppure no. La questione centrale è sempre stata su quale sia il ruolo dell’ente pubblico, se è solo quello di salvaguardare l’interesse pubblico a scapito della partecipazione delle forze sociali del territorio, oppure se favorire il protagonismo della società nel suo complesso. Lo strumento della coprogettazione permette di superare questa dicotomia, perché sposta il centro dell’attenzione alla radice, secondo cui non conta se i soggetti sono pubblici o privati, ma quello che è fondamentale è che tutti insieme collaborino al bene comune senza antagonismi.

Emanuela Pizzardi (Brunod et al., 2016) evidenzia alcuni aspetti

distintivi di questo strumento che, però hanno bisogno di verifiche, in quanto non sono evidenti in modo assoluto.

Secondo questa autrice (ivi:82)“un aspetto distintivo della

coprogettazione è la sua natura partecipativa in quanto strumento che coinvolge tutta la comunità nel suo insieme e non solo gli enti pubblici e il privato sociale”.

Infatti “la coprogettazione può costituire una sorta di piattaforma per costruire un welfare locale dove ciascun soggetto può trovare, a partire dalla propria mission, una collocazione chiara e dare il proprio apporto, dal più limitato al più consistente, alla realizzazione degli obiettivi

condivisi e definiti in base alle reali domande sociali”(ivi:82).

Un ulteriore aspetto distintivo della coprogettazione, come sostiene

Pizzardi (Brunod et al., 2016:90), “è la capacità di creare coesione

sociale all’interno della comunità, infatti la validità di questo strumento non è misurabile solo dalla capacità di risposta diretta dell’ente locale e

dei partner, ma dalla capacità di empowerment della comunità, cioè

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risorse del contesto locale”(ivi:90). “Si tratta, cioè di creare una sorta di

“rete delle reti” (ivi:89), permettendo di superare lo schema secondo cui

le collaborazioni si compongono per appartenenze; mettendo al centro, invece l’interesse della comunità e valorizzando le risorse migliori

presenti per rafforzare la capacità di coesione sociale”(ivi:89).

Pizzardi (Brunod et al., 2016:108) sostiene che “l’innovazione di questo

strumento non è tanto il coinvolgimento reale e fattivo del terzo settore, del mondo della cooperazione, del volontariato e la realizzazione di collaborazioni proficue con queste realtà, quanto piuttosto è data dalla sistematicità e nella capillarità dell’approccio partecipato, collaborativo e relazionale alla base del funzionamento dei servizi che adottano lo strumento della coprogettazione. I servizi sono progettati e strutturati da professionisti e operatori provenienti dal più ampio mondo del sociale che supera, per dimensioni e articolazione, il mondo dei servizi

inteso tradizionalmente” (ivi:108). “All’interno del concetto di

coprogettazione è insita una indicazione chiara sullo stile con cui affrontare il compito difficile affidato ai servizi di welfare. Allo stesso tempo, però questo stile ha un sapore “antico”, che riavvicina la comunità e il mondo della vita quotidiana ai servizi, aprendo le porte a

un fare assieme ulteriormente potenziabile” (ivi:108).

1.3 L. 328/2000: SUSSIDIARIETA’, CONCERTAZIONE E COOPERAZIONE

La normativa di riferimento della coprogettazione sociale è la legge quadro 328/2000, la riforma dell’assistenza sociale, la quale, anche se non fornisce una disciplina e non contiene nessun riferimento esplicito di questo istituto, però in coerenza con la sua natura di normativa quadro, “delinea una cornice di principi e indirizzi entro cui sono destinati a prendere forma e svilupparsi negli atti legislativi e di indirizzo

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delle Regioni e nei regolamenti degli Enti Locali, i nuovi strumenti regolativi dei rapporti tra ente pubblico e soggetti del Terzo settore per l’esercizio della funzione di produzione ed erogazione dei servizi

sociali” (Brunod et al., 2016 : 47).

Per quanto riguarda la coprogettazione, la legge quadro privilegia il metodo della concertazione e della cooperazione tra i livelli istituzionali, cioè tra lo Stato, le Regioni e i Comuni e i soggetti del terzo settore, come le associazioni di volontariato, le cooperative sociali nella progettazione e realizzazione del sistema locale dei servizi sociali a rete e il ricorso a forme e procedure di aggiudicazione di gestione dei servizi sociali e interventi, che consentano la piena espressione della progettualità delle organizzazioni non profit.

Alla base di questa legge c’è il principio della sussidiarietà, che è il principio cardine del nuovo welfare delineato da questa normativa. “Questo principio della sussidiarietà, infatti rappresenta il risultato del processo di trasformazione del welfare state in un welfare comunitario, dove il Comune singolo o associato, ha la titolarità della funzione sociale. Attraverso questo processo di trasformazione, infatti non è più solo lo Stato, ma bensì è la comunità intesa come rete di soggetti pubblici e privati, di risorse, di relazioni e di responsabilità, a farsi carico

dei bisogni individuali e collettivi del territorio” (Brunod et al.,

2016:48).

Infatti, a causa dell’aumento della complessità sociale, lo Stato ha delegato e devoluto funzioni, compiti e responsabilità agli enti locali, in quanto più vicini ai cittadini e alle comunità amministrate, secondo il principio della sussidiarietà verticale. Questo significa che i Comuni diventano i soggetti titolari della funzione di programmazione, progettazione e produzione dei servizi sociali. In particolare, vengono riconosciute e valorizzate le capacità e l’autonomia dei cittadini, singoli o associati, nella risposta ai bisogni individuali e collettivi della comunità e la partecipazione attiva e responsabile alla funzione di programmazione, progettazione ed erogazione dei servizi sociali, secondo il principio della sussidiarietà orizzontale.

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1.3.1 IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ E LA SUA EVOLUZIONE NORMATIVA

Il principio della sussidiarietà rappresenta la base costitutiva dello strumento della coprogettazione e per tale motivo, è importante riflettere sulla sua evoluzione dal punto di vista normativo.

Questo principio fa ingresso nel nostro ordinamento nel 1997 con la

legge Bassanini, L. 59/19971, la quale all’art. 4 prevedeva l’attribuzione

delle generalità dei compiti e delle funzioni amministrative all’autorità più vicina ai cittadini, sia territorialmente che funzionalmente, anche per favorire l’assolvimento di funzioni e compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, introducendo il principio

della sussidiarietà verticale (Brunod, et al., 2016:48).

Nel 2000 anche il Testo Unico sull’ordinamento degli Enti Locali, cioè il D.lgs. 267/2000 chiama i Comuni e le Province a svolgere le funzioni, proprie o loro conferite, secondo il principio della sussidiarietà, anche attraverso le attività che possono essere esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali (ivi:49).

La riforma del titolo V della Costituzione, la legge costituzionale 3/2001, “all’art. 118 afferma che le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite alle Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, secondo i principi della sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza

(sussidiarietà verticale)” (ivi:48). La norma indica il Comune quale ente

che ha la competenza amministrativa generale, in quanto organismo territoriale più vicino ai cittadini e in grado di rappresentar meglio le necessità della collettività. Inoltre l’art. 118 “mette in evidenza che lo Stato, le Regioni e gli Enti Locali territoriali favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, per svolgere le attività di

1 Legge 15 marzo 1997, n. 59 “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle

regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa.

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interesse generale, secondo il principio della sussidiarietà orizzontale” (ivi:48).

In definitiva dobbiamo tenere presente che la sussidiarietà verticale si esplica e riguarda l’ambito di distribuzione delle competenze amministrative tra i diversi livelli di governo territoriali, cioè il livello sovranazionale con l’Unione Europea e gli Stati membri; il livello nazionale con lo Stato Nazionale e le Regioni; il livello subnazionale, con lo Stato, le Regioni e le Autonomie Locali. Inoltre essa esprime la modalità di intervento sussidiario degli enti territoriali superiori rispetto a quelli minori, cioè gli organismi superiori intervengono solo se l’esercizio delle funzioni da parte dell’organismo inferiore non sia adeguato per raggiungere gli obiettivi.

La sussidiarietà orizzontale, invece, si svolge nell’ambito del rapporto tra autorità e libertà e si basa sul presupposto secondo cui alla cura dei bisogni collettivi e alla attività di interesse generale provvedono direttamente i cittadini privati, sia come singoli che come associati, e i pubblici poteri intervengono in funzione sussidiaria, di programmazione, coordinamento ed eventualmente di gestione.

La sussidiarietà orizzontale infatti esprime il criterio di ripartizione delle competenze tra enti locali e soggetti privati, individuali e collettivi, operando come limite all’esercizio delle competenze locali da parte dei poteri pubblici: l’esercizio delle attività di interesse generale spetta ai privati o alle formazioni sociali e l’ente locale ha un ruolo sussidiario di coordinamento, controllo e promozione. L’ente locale svolge anche il ruolo di sostituzione solo qualora le funzioni assunte e gli obiettivi prefissati possono essere svolti in modo più efficiente ed efficace.

“Il principio di sussidiarietà, quindi si basa sull’autonomia relazionale che comporta che, tra i cittadini, singoli o associati, e le pubbliche amministrazioni, tutti soggetti dotati di autonomia, si instaurino e allo stesso tempo, si intreccino relazioni, rapporti, anche di rilievo giuridico,

per realizzare il bene della comunità” (Brunod et al., 2016 : 48).

Questo significa che, “attraverso il principio della sussidiarietà orizzontale le amministrazioni pubbliche, una volta individuati i livelli

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istituzionali più adatti a perseguire l’interesse collettivo secondo il principio della sussidiarietà verticale, potranno trovare nei cittadini dei

nuovi “alleati” (ivi:49), autonomi, consapevoli e responsabili per il

perseguimento del bene comune” (ivi:49).

Tutto questo ci permette di affermare che i principi di sussidiarietà sia verticale che orizzontale si integrano a vicenda nella realizzazione dell’interesse generale che si concretizza in azioni sinergiche tra soggetti pubblici e privati, che hanno l’obiettivo di creare le condizioni utili per la piena realizzazione di ciascun individuo all’interno della società (Arena e Cortese, 2011, cit. in Farina, 2014 in Brunod et al., 2016:49). 1.4 LA L. 328/2000 E IL WELFARE LOCALE

La legge quadro 328/2000, “in attuazione del principio della sussidiarietà orizzontale, propone e promuove, come abbiamo già accennato, un nuovo modello di welfare locale a dimensione comunitaria e relazionale, dove le formazioni sociali, autonome espressioni della società civile e di cittadinanza attiva, sono chiamate all’assunzione di responsabilità pubbliche relative al bene comune” (Brunod et al., 2016 : 51).

“Un “welfare mix” (ivi:51) dove la produzione di servizi e politiche

sociali di interesse collettivo vengono garantite da una pluralità di soggetti: pubblica amministrazione, organizzazioni non profit e imprese

for profit”(ivi:51).

E’ importante infatti tenere presente che, negli ultimi decenni, le politiche di welfare sono state penetrate dalla privatizzazione, comportando non un semplice ritiro dello Stato, quanto l’affermazione di un nuovo sistema di welfare, denominato appunto welfare mix, attraverso cui molte responsabilità pubbliche sono state assunte anche da soggetti privati e dalla società civile. Infatti lo Stato sociale coinvolge nuove forme organizzative di comunità, come il settore non profit o terzo settore, che si affiancano alle istituzioni locali, per rispondere, attraverso una rete di servizi, ai bisogni sociali e sanitari. La gestione dei

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servizi pubblici è affidata sia ai soggetti pubblici, cioè le istituzioni locali, che ai soggetti privati, come il terzo settore.

La particolarità di questo modello di welfare è che i servizi pubblici possono essere gestiti, oltre che dalle istituzioni pubbliche, anche dal privato sociale, finalizzato alla creazione di un mercato che, pur essendo rivolto alla collettività, ha una natura privatistica con assenza di finalità lucrative.

Questo mix di soggetti e attori che operano all’interno della comunità si basa sui principi della sussidiarietà orizzontale e verticale, della partnership, della partecipazione, dell’integrazione, del lavoro di rete, della concertazione e negoziazione per sviluppare il benessere in un determinato ambito locale, la cui dimensione non sempre coincide con i confini amministrativi comunali.

La necessità di superare il dualismo tra Stato e mercato, in grado di valorizzare il ruolo assunto dalla società civile, sia nella sfera politica che in quella economica, si è manifestato in modo sempre più marcato, la quale unita alla crisi economica degli ultimi anni, il risultato è che oggi ci sono più servizi rispetto al passato, ma meno entrate per il sostegno economico.

In questo quadro, “il terzo settore è individuato come soggetto dotato di autonomia progettuale e comportamentale in un sistema interdipendente sia con il mercato sia con lo Stato, e allo stesso tempo, come un attore delle politiche di welfare che concorre, in pari grado con le istituzioni pubbliche e le imprese for profit, alla gestione e

realizzazione dei servizi richiesti dalla cittadinanza” (iv: 51-52).

Secondo questa prospettiva, quindi “i soggetti del terzo settore non sono più meri prestatori d’opera, né erogatori di servizi, ma si qualificano come componenti attive del processo di sviluppo delle

politiche di welfare” (Paini, 2005 in Brunod et al., 2016, : 52).

In definitiva, possiamo affermare che la legge di riforma delinea un sistema plurale con poteri e responsabilità condivise.

“L’applicazione di questa legge richiede un sistema di governo allargato, dove accanto alla promozione e regolazione, coesiste la coprogettazione

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che coinvolge soggetti pubblici, privati, e del privato sociale

nell’esercizio di responsabilità comuni” (Perino, 2002; cit. in Dalla

Mura, 2003, in Brunod et al., 2016 : 52).

Questa visione di welfare locale presuppone il superamento della tradizionale separatezza tra pubblico e privato rispetto all’esercizio della funzione sociale. “Realizzare questo tipo di modello di welfare richiede la generazione di politiche sociali attive e orientate alla qualità e allo sviluppo locale e allo stesso tempo, anche la presenza di alcune condizioni necessarie, tra cui a livello politico-istituzionale, l’assunzione e l’esercizio di un ruolo regolativo, promozionale e concertativo da parte del governo locale; a livello tecnico-amministrativo, lo sviluppo di una nuova imprenditorialità pubblica come riadeguamento verso un’attitudine strategica e una competenza progettuale da parte di funzionari e dirigenti della pubblica amministrazione e infine, a livello operativo-gestionale-partecipativo, la maturazione di una diversa consapevolezza da parte del terzo settore, in quanto agenti di politiche e responsabilità pubbliche e non solo come fornitori privati o erogatori di

risposte delegate” (Devastato, 2003; cit. in Dalla Mura, 2003, in Brunod

et al., 2016 : 53).

1.5 IL DPCM 30 MARZO 2001

L’art. 5 comma 3 della L. 328/2000 prevedeva la promozione, da parte degli enti pubblici, di azioni per favorire il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti del terzo settore la piena espressione della propria progettualità. Nel 2001, in attuazione di tale articolo, viene emanato il DPCM 30 Marzo 2001 denominato “Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell’art. 5 della legge 8 novembre 2000 n. 328”. Il DPCM introduce per la prima volta il termine della coprogettazione nel quadro normativo nazionale. Infatti, attraverso questo provvedimento lo strumento della coprogettazione trova la sua prima espressione nell’ordinamento giuridico.

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“Questo provvedimento governativo fornisce degli indirizzi per la regolazione dei rapporti tra i comuni e le loro forme associative con i soggetti del terzo settore, con riferimento sia agli affidamenti dei servizi, sia alla valorizzazione di queste organizzazioni nell’attività di programmazione e progettazione del sistema integrato di interventi e

servizi sociali” (Brunod et al., 2016 : 59).

Il DPCM delega alle Regioni la regolamentazione della materia, specificando che questa attività regolativa deve tendere alla promozione e al miglioramento della qualità dei servizi e interventi, anche attraverso la definizione di specifici requisiti di qualità.

Inoltre deve favorire anche l’utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della capacità progettuale e organizzativa dei soggetti del terzo settore.

Il provvedimento governativo mette in evidenza che, l’attività di regolamentazione da parte delle Regioni deve favorire forme di coprogettazione promosse dalle pubbliche amministrazioni interessate, che coinvolgano attivamente i soggetti del terzo settore per l’individuazione di progetti sperimentali e innovativi, allo scopo di affrontare specifiche problematiche sociali.

Infine le Regioni devono definire adeguati processi di consultazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi rappresentativi

riconosciuti come parte sociale (Brunod et al., 2016:60).

Per quanto riguarda la valorizzazione “dell’apporto del volontariato nel sistema di interventi e servizi sociali, l’art. 3 del DPCM consente agli enti pubblici di avvalersi dello strumento della convenzione, di cui alla legge quadro sul volontariato n. 266/1991, per l’affidamento di attività con finalità di solidarietà sociale, autoaiuto, e reciprocità e per instaurare rapporti di collaborazione per attuare interventi complementari a servizi che richiedono un’organizzazione complessa e altre attività compatibili

sia con la natura sia con le finalità del volontariato” (ivi:60).

L’art. 5 riconosce ai Comuni la possibilità di acquistare servizi e interventi organizzati da organismi non profit secondo i principi di trasparenza, pubblicità e libera concorrenza, per l’esercizio in via diretta

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della funzione di produzione ed erogazione dei servizi sociali attraverso l’acquisto all’esterno di servizi strumentali senza delegarne la gestione (ivi:60). Le Regioni hanno il compito di definire i criteri per la selezione dei soggetti fornitori sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

Per quanto riguarda, invece, l’affidamento della gestione dei servizi alla persona, il DPCM all’art.6 demanda alle Regioni l’adozione di indirizzi specifici per regolamentare i rapporti tra i Comuni e i soggetti del terzo settore.

Per fare questo le Regioni devono tenere conto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei servizi da parte della pubblica amministrazione. “Nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza dell’azione della pubblica amministrazione e di libera concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, sono privilegiate

le procedure di aggiudicazione ristrette e negoziate” (Brunod et al.,

2016 : 61).

“Così come per la preselezione dei fornitori nell’acquisto di servizi, anche per l’affidamento dell’erogazione di servizi, il provvedimento governativo sottolinea la necessità di utilizzare il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, escludendo il metodo del massimo ribasso” (ivi :61).

“Il DPCM, con l’art. 7 compie un passaggio fondamentale, infatti indica una nuova modalità di regolazione del rapporto di sussidiarietà orizzontale: l’istruttoria pubblica che i Comuni possono indire per la coprogettazione di interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del Terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con i Comuni

stessi per la realizzazione degli obiettivi” (Brunod et al., 2016:62).

Questa facoltà è riconosciuta in riferimento all’esigenza di affrontare specifiche problematiche sociali e con lo scopo di valorizzare e coinvolgere attivamente i soggetti del terzo settore.

Come sostiene Mario Moschetti (Brunod et al., 2016:62) “il

provvedimento governativo, anche se non fornisce elementi sufficienti a definirne il profilo procedurale e sostanziale, però individua uno

(19)

strumento inedito, e allo stesso tempo, innovativo per la costituzione e la regolazione di rapporti nella sussidiarietà che, in attuazione dei principi e indirizzi della legge quadro del 2000 e in coerenza con il nuovo modello di welfare locale da essa delineato, hanno per contenuto forme di collaborazione tra ente pubblico e organismi del Terzo settore per l’esercizio condiviso della funzione di programmazione,

progettazione e realizzazione di interventi e servizi sociali” (ivi : 63).

E’ importante tenere presente che “la fisionomia, anche se tratteggiata in modo vago e approssimativo dalla norma, non impedisce comunque di riconoscere nell’istruttoria pubblica di coprogettazione una modalità regolativa dei rapporti tra ente pubblico e Terzo settore estranea e alternativa alle forme procedurali e ai rapporti relativi agli acquisti e agli affidamenti di servizi considerati dagli artt. 4, 5 e 6 del DPCM 30

Marzo 2001” (ivi :62).

“Per individuare il nuovo strumento regolativo dei rapporti tra il pubblico e il privato sociale, il DPCM utilizza due parole chiave: coprogettazione e collaborazione, che rimandano a un modello di relazione, a valenza e contenuti anche giuridici, all’interno della quale il soggetto pubblico collabora con l’organismo non profit disponibile a condividere risorse, rischi e responsabilità dell’esercizio della funzione sociale attraverso l’attività di progettazione concertata e la successiva

coproduzione degli interventi e servizi coprogettati” (ivi : 62).

Secondo questo quadro quindi, il ruolo del soggetto pubblico non è più quello di acquirente o committente di prestazioni e servizi, così come nemmeno il terzo settore ha più il ruolo di fornitore o erogatore di prestazioni e servizi come avviene nei rapporti dell’appalto di servizio. Questo perché il processo negoziale dell’istruttoria pubblica della coprogettazione si connota ed è costituito dalla condivisione della funzione di produzione ed erogazione dei servizi alla persona da parte di entrambi i soggetti implicati, secondo il principio della sussidiarietà.

(20)

1.6 IL DPCM 30.03.2001 DAL PUNTO DI VISTA DELLE REGIONI

Il DPCM del 30/03/2001 all’art.7 comma 1, come abbiamo sottolineato nel paragrafo precedente, demanda alle Regioni l’adozione degli indirizzi per la definizione delle modalità di indizione e funzionamento delle istruttorie pubbliche di coprogettazione e le relative forme di sostegno. Sulla base di questa facoltà, “le Regioni hanno provveduto a definire una disciplina di dettaglio della coprogettazione, attraverso atti normativi di attuazione della legge quadro 328/2000 e con atti di indirizzo diretti alla regolazione dei rapporti tra gli Enti Locali e il Terzo

Settore oppure nell’ambito dei piani sociosanitari regionali” (Brunod et

al., 2016 : 63).

Nonostante la diversità delle soluzioni e dei modelli adottati, “le discipline regionali hanno fornito, come sostiene Mario Moschetti (ivi:63), un contributo importante e utile per la definizione di questo nuovo strumento, sia sotto il profilo sostanziale con riguardo alla natura e alla tipologia dei rapporti nella sussidiarietà che si possono attivare attraverso l’istruttoria pubblica di cui all’art. 7 del DPCM, e sia sotto il profilo procedurale, in riferimento cioè alle forme e alle modalità d’individuazione dei soggetti non profit con cui collaborare e

coprogettare servizi e interventi sociali” (ivi:63).

Oltre alle Regioni, anche alcuni Enti Locali, in quanto titolari della funzione sociale, hanno esercitato la potestà normativa loro riconosciuta su questa materia dall’art. 117 della Costituzione, dall’art. 4 della L.

131/20032 e dall’art. 7 del D. Lgs 267/2000 (Testo Unico

sull’ordinamento degli Enti Locali), andando a disciplinare la

coprogettazione all’interno dei propri regolamenti (ivi:63).

Secondo uno studio comparativo effettuato su base regionale in cui sono state analizzate le discipline di istruttoria pubblica di coprogettazione di dieci Regioni, tra cui Emilia-Romagna, Piemonte,

2 Legge 5 giugno 2003 n. 131 “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica

(21)

Puglia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Liguria, Marche,

Umbria e Molise; e di due comuni: Bologna e Argenta (Brunod et al.,

2016:63), è emerso che nelle diverse discipline regionali e locali, la coprogettazione sociale introdotta dall’art. 7 del DPCM del 30.03.2001 può essere ricondotta essenzialmente a tre tipologie di istruttoria pubblica:

La prima è una “procedura denominata consultiva e partecipativa, a evidenza pubblica, per l’individuazione di soggetti del terzo settore con i quali coprogettare interventi e servizi sociali e attivare, mediante accordi procedimentali di cui all’art. 11 della legge 241/1990 e all’art. 119 del D. Lgs 267/2000, rapporti di collaborazione per la realizzazione

degli interventi e servizi coprogettati” (Brunod et al., 2016 : 63-64).

E’ importante mettere in evidenza che”l’oggetto alla base di questo tipo

di accordi è la concessione di risorse pubbliche, finanziarie e non, a titolo, alternativamente: di “sostegno” dell’impegno delle organizzazioni non profit a coprogettare e a gestire in modo autonomo gli interventi e i servizi coprogettati; di “partenariato pubblico/privato sociale” per la condivisione con i soggetti del terzo settore delle risorse, dei rischi e delle responsabilità della funzione di produzione ed erogazione degli interventi e servizi che sono oggetto della coprogettazione; di “collaborazione” in generale, attraverso modalità negoziali definibili con gli accordi, per la realizzazione degli interventi e

dei servizi oggetto della progettazione concertata e condivisa” (ivi:64).

In questo quadro, i soggetti del terzo settore con cui coprogettare vengono individuati attraverso procedimenti basati sulla selezione o sul confronto concorrenziale, utilizzando il metodo dell’offerta

economicamente più vantaggiosa (ivi:64).

“Laddove invece la coprogettazione è destinata a svilupparsi all’interno del processo di formazione e attuazione della pianificazione sociale zonale, l’istruttoria pubblica può essere orientata a favorire una partecipazione più ampia ai processi di costruzione della rete locale dei servizi alla persona, e a realizzare, quindi in una logica collaborativa e non concorrenziale, l’integrazione di una pluralità di organismi non

(22)

profit su medesimi progetti condivisi e a raggiungere accordi per l’esecuzione di progetti mediante la costituzione di apposite associazioni

temporanee di scopo” (ivi).

E’ importante tenere presente che in questo caso, l’attività di coprogettazione si svolge in modo collegiale e trasparente, tra i soggetti del terzo settore che hanno manifestato interesse alla pubblicazione del bando di istruttoria pubblica e che, sulla base dei criteri di prequalificazione stabiliti dal bando stesso, sono stati riconosciuti in possesso dei requisiti di idoneità tecnica, professionale ed economica (ivi:64).

La seconda tipologia è rappresentata da una “procedura consultiva e partecipativa, a evidenza pubblica, per l’elaborazione di progetti di intervento innovativi e sperimentali attraverso processi di coprogettazione a cui sono chiamati a partecipare i soggetti del terzo settore attivi nel territorio di riferimento con riguardo alle

problematiche sociali da affrontare” (Brunod et al., 2016:65).

E’ importante precisare che “l’istruttoria pubblica per la “progettazione comune” in attuazione degli obiettivi della pianificazione sociale zonale è finalizzata alla coprogettazione di interventi o servizi senza essere necessariamente preordinata, come avviene, invece per la procedura del punto 1, all’attivazione di rapporti di collaborazioni conseguenti realizzare la soluzione progettuale scaturita dall’attività di

coprogettazione” (ivi:65).

Quello che è importante tenere in considerazione, se si utilizza questo tipo di procedura, è che “l’ente che ha indetto l’istruttoria pubblica, una volta concluso il processo di coprogettazione, ha la discrezionalità di scegliere se utilizzare il progetto, definito in modo concertato e condiviso con gli organismi del terzo settore, all’interno di una procedura ristretta o negoziata per l’affidamento in appalto o in concessione dell’intervento o servizio, oppure di negoziare e concludere con i soggetti che hanno partecipato all’attività di coprogettazione, accordi di sostegno o di partenariato pubblico/privato

(23)

sociale per la realizzazione, all’interno di un rapporto nella sussidiarietà,

dell’intervento o del servizio coprogettato”( Brunod et al., 2016:65).

Infine la terza e ultima tipologia è rappresentata da una “procedura consultiva e partecipativa, a evidenza pubblica, per l’individuazione di soggetti del terzo settore disponibili a coprogettare interventi e servizi sociali ai fini della conseguente assunzione in concessione della titolarità della funzione di produzione ed erogazione mediante accordo

procedimentale di cui all’art. 11 della legge 241/19903(ivi:65).

E’ importante sottolineare che “questo tipo di istruttoria è finalizzata alla concessione a organizzazioni non profit, previa attività di concertazione e coprogettazione, della titolarità di interventi e servizi sociali individuati da piani zonali o da altri atti di programmazione locale” (ivi:65).

Inoltre è importante precisare che “soltanto nel caso in cui tra i soggetti

che partecipano non sia possibile raggiungere un accordo per ricondurre a unico progetto condiviso i diversi contributi e proposte progettuali, sulla stessa si innesta una procedura di confronto concorrenziale per selezionare quella migliore tra le proposte progettuali presentate ai fini del conferimento della titolarità del servizio, nell’ordine, secondo il criterio del grado di coinvolgimento del soggetto non profit nel rapporto di sussidiarietà o secondo il criterio dell’offerta economica più

vantaggiosa” (ivi:65).

I risultati di questa indagine hanno rilevato che la prima tipologia di istruttoria pubblica di coprogettazione rappresenta la tipologia a cui la maggioranza degli enti del campione, circa il 75%, si sono conformati

nel porre una disciplina di coprogettazione (ivi:64). Mentre il 17% degli

enti del campione hanno adottato la seconda tipologia di istruttoria pubblica; e solo l’8% degli enti hanno optato per la terza tipologia.

3 Legge 7 agosto 1990, n. 241” Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di

(24)

1.7 RIFLESSIONI E CRITICITA’ SULLA NORMATIVA NAZIONALE DI RIFERIMENTO

Sulla base di quanto abbiamo analizzato nei paragrafi precedenti, è importante riflettere ed evidenziare, come sostengono Ciceri e

Raimondi (De Ambrogio, Guidetti, 2016 : 35) che dal punto di vista

della normativa nazionale, prima con la legge quadro 328/2000 e successivamente con il DPCM 30 Marzo 2001, “se da un lato vengono affermati e consolidati il ruolo del terzo settore nella definizione delle politiche sociali e la necessità di costruzione di rapporti di partnership pubblico-privato, quale elemento fondante del sistema di servizi sociali a rete; dall’altro però non vengono definiti gli strumenti coerenti che consentano di evolvere rispetto alle tradizionali modalità di scelta del

contraente relativo agli appalti di servizi” (De Ambrogio, Guidetti,

2016: 35). Inoltre secondo questi due autori (ivi:35) “la legge 328/2000 si muove nella prospettiva della complementarietà tra pubblico e privato sociale e del superamento del tradizionale rapporto di committenza, verso una relazione di partenariato più coerente con lo sviluppo del sistema dei servizi sociali territoriali, lasciando però ancora ampie zone d’ombra e d’incertezza rispetto alle modalità con le quali questo processo possa avvenire all’interno del quadro legislativo

nazionale”(ivi:35).

E’ importante evidenziare un’altra criticità del quadro normativo nazionale su questo tema, in particolare del DPCM 30.03.2001, infatti come abbiamo analizzato nel paragrafo precedente, questo provvedimento individua nell’istruttoria pubblica di coprogettazione, un nuovo strumento innovativo e alternativo per la costituzione e regolazione dei rapporti tra pubblica amministrazione e gli organismi del terzo settore, per l’esercizio condiviso della funzione di programmazione, progettazione e realizzazione di interventi e servizi sociali. Allo stesso tempo però non fornisce elementi sufficienti a definirne né il profilo sostanziale e né quello procedurale, in modo da

(25)

costituire una guida non solo in termini di principi, ma anche operativa e concreta, una base cioè di appoggio per le Regioni.

“Oltretutto, l’art. 7, molto opportunamente, come sostiene Mario

Moschetti (Brunod et al.,2016 :62), demanda alle Regioni l’adozione di

indirizzi per la definizione delle modalità d’indizione e funzionamento delle istruttorie pubbliche di coprogettazione, nonché per

l’individuazione delle relative forme di sostegno” (ivi:62).

1.8 LA COPROGETTAZIONE SECONDO L’ANAC4

Nel 2016 l’ANAC, cioè l’Autorità Nazionale Anticorruzione approva la deliberazione 32 del 20 gennaio, denominata “Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali”. Visto il notevole impatto della spesa per i servizi sociali sulle finanze pubbliche e in mancanza di una normativa specifica di settore che disciplini in maniera organica l’affidamento di contratti pubblici di soggetti che operano nel terzo settore, l’ANAC ritiene opportuno emanare le seguenti linee guida con la finalità di fornire indicazioni operative alle amministrazioni aggiudicatrici e agli operatori di settore, al fine di realizzare questi obiettivi nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale in materia di contratti pubblici e prevenzione della corruzione.

Questo intervento si inserisce nel quadro normativo comunitario e nazionale vigente in materia di affidamenti di servizi sociali e nel sistema normativo di settore, con la L.328/2000 e il DPCM 30.03.2001.

Le disposizioni di settore in materia di servizi sociali prevedono la possibilità di effettuare affidamenti ai soggetti del terzo settore in deroga

al Codice dei contratti5 introducendo il ricorso a forme di

4 Per questo paragrafo si fa ampiamente riferimento al testo della deliberazione del 20/01/2016 n.

32 “Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali” consultabile sul link: www.anticorruzione.it.

5 Ovvero il D. Lgs. 163/2006 abrogato nel 2016 dal D. Lgs. 50/206 e il suo correttivo D. Lgs.

(26)

aggiudicazione al fine di consentire agli organismi del privato sociale di esprimere la propria progettualità.

I punti salienti di questa delibera sono: la definizione della coprogettazione e la descrizione del percorso di coprogettazione. L’ANAC definisce la coprogettazione come “un accordo procedimentale di collaborazione che ha per oggetto la definizione di progetti innovativi e sperimentali di servizi, interventi e attività complesse da realizzare in termini di partenariato tra amministrazione e privato sociale e che trova il proprio fondamento nei principi di sussidiarietà, trasparenza, partecipazione e sostegno dell’impegno privato nella funzione sociale” (ANAC, delibera del 20.01.2016, n.32:10). Inoltre essa delinea una procedura di coprogettazione articolata in due fasi: la prima è dedicata alla scelta del soggetto con cui condividere le attività e la seconda è rappresentata dalla fase in cui viene espletata l’attività di coprogettazione vera e propria.

Questa procedura delineata dall’ANAC prevede la pubblicazione di un avviso di interesse con cui l’amministrazione rende nota la volontà di procedere alla coprogettazione, nel rispetto del principio di pubblicità e trasparenza. Nell’avviso stesso devono essere indicati il progetto di massima, ovvero gli obiettivi generali e specifici degli interventi, le aree di intervento, la durata del progetto, le sue caratteristiche essenziali, i criteri e le modalità con cui verranno selezionate le proposte.

L’ANAC specifica che la titolarità delle scelte progettuali indicate nel progetto di massima rimangono in capo all’amministrazione, per garantire la correttezza e la legalità dell’azione amministrativa. Inoltre l’Autorità sottolinea che la valutazione dei partner avviene sulla base del possesso dei requisiti di carattere generale, tecnici, professionali e sociali, tra cui l’esperienza maturata, delle caratteristiche della proposta progettuale e dei costi del progetto.

La valutazione dei costi delle attività, sottolinea l’ANAC, deve prevedere un cofinanziamento da parte del candidato valutato sulla messa a disposizione di beni immobili, attrezzature, strumenti, automezzi, risorse umane, capacità del candidato di reperire contributi

(27)

e/o finanziamenti da parte di enti non pubblici, costo di coordinamento e di organizzazione delle attività, cura dei rapporti con l’amministrazione e il presidio delle politiche di qualità.

L’ultima fase che conclude la coprogettazione riguarda la stipulazione della convenzione.

E’ importante mettere in evidenza che questa deliberazione nel tentativo di fornire delle indicazioni sull’affidamento dei servizi sociali agli operatori del terzo settore, esalta l’uso della coprogettazione da parte degli enti pubblici e degli operatori del privato sociale in un’ottica di collaborazione e corresponsabilizzazione, attraverso la costituzione di una partnership tra i soggetti pubblici e i soggetti privati.

1.9 LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE

Nel 2017 viene approvato il Codice del Terzo Settore, ovvero il D. Lgs 3 luglio 2017, n.117 denominato ”Codice del terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b) della legge 6 giugno 2016, n. 106. Questo decreto legislativo porta a compimento la delega conferita al Governo con la L.106/2016 per la riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale.

Non si tratta di un “semplice riordino della frammentata normativa che disciplina le diverse figure del terzo settore e il loro regime tributario, quanto piuttosto di tracciare le linee di una nuova policy impostata sul superamento del dualismo tra lo Stato e il mercato, rispetto al quale il terzo settore, cioè il non profit ha trovato la sua collocazione come

“terza” dimensione” (Caldirola D., 2018 : 2)6.

L’art. 55 di questo atto normativo riguarda il coinvolgimento degli enti del terzo settore nei rapporti con gli enti pubblici, e a tal proposito, il comma 1 prescrive che gli enti pubblici nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale, debbano coinvolgere attivamente gli enti del terzo settore.

6 Caldirola D., “Stato, mercato e terzo settore nel decreto legislativo n.117/2017: per una nuova

(28)

E’ importante mettere in evidenza che questo articolo individua tre strumenti attraverso i quali sviluppare la partnership, ovvero la co-programmazione, la co-progettazione e l’accreditamento.

“Questi strumenti non solo sono strettamente collegati tra loro, ma sono anche posti in un rapporto di consequenzialità tale da costituire delle fasi di un procedimento complesso, in cui si cercano di coniugare posizioni pubbliche e private per realizzare attività di interesse generale” (Caldirola D., 2018 : 11)7.

Infatti a tal proposito, il comma 2 dell’art. 55 specifica che la co- programmazione ha la finalità di individuare i bisogni da soddisfare ed in base a questi, gli interventi necessari, le modalità per realizzarli e le risorse disponibili (ivi:11).

Il comma 3 sottolinea che la co-progettazione si pone come strumento operativo della co-programmazione (ivi). Infatti è destinata a definire e realizzare progetti specifici di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare i bisogni definiti sulla base dell’atto di programmazione. Il comma 4 dell’art. 55 prende in considerazione le diverse “forme di

accreditamento”(Caldirola D., 2018:12)8 come strumenti attraverso le

quali le pubbliche amministrazioni possono individuare gli enti del terzo settore con cui attivare il partenariato finalizzato alla co-progettazione (ivi).

E’ importante tenere presente che a livello nazionale non esiste un solo modello di accreditamento, ma ci sono tante forme di accreditamento

perché le Regioni hanno ampliato la sua applicazione9.

E’ fondamentale sottolineare che nel quadro segnato dall’art. 55,” il Terzo settore e gli enti pubblici si trovano a dover ripensare ai ruoli reciproci all’interno di un contesto normativo e metodologico stabile” (ivi:13).

7 vedi link specificata alla nota n. 6

8 Caldirola D., “Stato, mercato e terzo settore nel decreto legislativo n.117/2017: per una nuova

governance della solidarietà” 31 gennaio 2018 consultabile sul link: www.federalismi.it

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Questo perché non si tratta soltanto di “semplici strumenti di cooperazione, ma piuttosto della tipizzazione di un metodo per costruire politiche pubbliche, coinvolgendo risorse e punti di vista diversi, provenienti sia dal pubblico che dal terzo settore, e allo stesso tempo di un modello e di un sistema di condivisione della titolarità della funzione pubblica e delle responsabilità ad essa correlate, allo scopo di

realizzare attività e interventi” (Caldirola D., 2018:13-14)10.

Il Codice del terzo settore riprende il sistema di interventi e servizi sociali previsto dalla L.328/2000, ma allo stesso tempo ne amplia le possibilità di applicazione, cosicché la programmazione, co-progettazione e accreditamento diventano degli strumenti di azione a carattere generale e non solo per realizzare interventi e servizi sociali. Inoltre su questa base è importante mettere in evidenza che l’art. 7 del DPCM 30.03.2001 prevede la coprogettazione, nell’ambito degli interventi e servizi sociali, però solo per gli interventi innovativi e sperimentali, mentre l’art. 55 del Codice del terzo settore inserisce la coprogettazione nella realizzazione di progetti specifici, rendendolo quindi uno strumento da applicare in modo ordinario e generale, non solo quindi in progetti che abbiano il carattere di essere innovativi e sperimentali, ampliandone quindi l’ambito di applicazione.

Sulla base di tutto questo possiamo sottolineare che il Codice rilancia una prassi collaborativa che si è sviluppata sempre di più negli ultimi anni, e una modalità di affidamento dove trasparenza ed evidenza pubblica sono funzionali a individuare l’insieme dei soggetti del terzo settore che, in quanto consapevoli della propria funzione pubblica, agiscano in modo collaborativo mettendo risorse e competenze a

servizio di un progetto condiviso con le istituzioni (Caldirola D.,

2018)11.

10 Caldirola D., “Stato, mercato e terzo settore nel decreto legislativo n.117/2017: per una nuova

governance della solidarietà” 31 gennaio 2018 consultabile sul link: www.federalismi.it

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1.10 IL PARERE DEL CONSIGLIO DI STATO SULLA

COPROGETTAZIONE12

Come abbiamo detto nei paragrafi precedenti, i sistemi collaborativi nascono in coerenza con la logica di sistema delineata dalla L. 328/2000 sottoforma di istruttorie di coprogettazione per servizi sperimentali e innovativi, definiti dall’atto applicativo della legge stessa, cioè il DPCM

30.03.2001 (Marocchi G., 2018)13.

“Il D. Lgs.117/2017 che attua la riforma del terzo settore introduce con l’art. 55 un sostanziale rafforzamento della logica collaborativa, che basandosi sull’identità di finalità tra pubbliche amministrazioni e terzo settore, in coerenza con il principio di sussidiarietà, individua la coprogrammazione e la coprogettazione come modalità ordinaria di relazione tra enti pubblici e terzo settore, non limitato quindi solo al caso di attività innovative e sperimentali e non solo per il welfare, ma in

tutte le attività di interesse generale” (ivi:2).

E’ importante tenere presente che tutte queste forme collaborative prevedono la trasparenza ed evidenza pubblica e quindi il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati e disponibili a prendere parte ai processi di coprogrammazione e coprogettazione.

Da un punto di vista amministrativo le procedure invocate dal codice si fondano sulla L.241/1990 sul procedimento amministrativo, che governa tutto l’agire della pubblica amministrazione a tutti i livelli e prevede procedure improntate all’imparzialità e al perseguimento dell’interesse pubblico.

Gianfranco Marocchi (Marocchi G., 2018 :2)14 sottolinea che negli

ultimi mesi si è assistito ad una proliferazione di enti locali che hanno scelto di coinvolgere il terzo settore con strumenti collaborativi, anziché

12 Per questo paragrafo si fa ampiamente riferimento al testo del Parere del Consiglio di Stato del

26 luglio 2018, consultabile sul link: www.giustizia-amministrativa.it.

13 In Marocchi G., Coprogrammazione, coprogettazione e gli anticorpi della conservazione, 31

Agosto 2018 consultabile sul link: https://welforum.it

(31)

attraverso la competizione. Questa logica collaborativa, quindi continua

Marocchi (ivi:2), oltre che essere prevista dalla normativa è stata anche

agita dagli enti gestore del welfare.

Infatti, a tal proposito Marocchi, nel suo articolo15, fa alcuni esempi,

come il Comune di Milano che recentemente ha indetto un bando di coprogettazione per le attività sociali da realizzarsi entro un edificio pubblico; il Comune di Bologna lo ha fatto per il servizio SPRAR, così come il Comune di Grosseto, il Comune di Spoleto lo ha fatto per le concessioni di immobili; Cesena-Valle del Savio lo hanno fatto per la gestione dei servizi e per l’utilizzo di immobili diversi; alcuni Comuni come Brescia e Ferrara si stanno dotando di regolamenti strutturati per consolidare l’utilizzo della coprogrammazione e della coprogettazione (ivi:2).

Se da una parte c’è stata questa proliferazione nell’utilizzo di questi strumenti collaborativi, dall’altra “non si è fatta attendere la reazione conservativa di due istituzioni di massimo livello: l’ANAC e il

Consiglio di Stato” (Marocchi G., 2018:1)16. Infatti il 6 luglio 2018

l’ANAC ha chiesto al Consiglio di Stato di esprimere un parere in merito alla normativa applicabile agli affidamenti di servizi sociali alla luce del D. Lgs. 50/2016 e del D. Lgs. 117/2017.

“L’ANAC ha motivato questa richiesta sulla base di alcuni “dubbi interpretativi” emersi in relazione alla esclusione di alcuni servizi affidati a soggetti del terzo settore dall’applicazione del codice dei contratti

pubblici” (Santuari A., 2018:1)17.

Infatti l’Autorità ha rilevato profili di una possibile disarmonia fra il Codice dei contratti pubblici ed il Codice del terzo settore proprio in ordine alla disciplina dell’affidamento di servizi sociali e, prima di procedere alla formulazione di apposite linee guida in materia, ha

15 In Marocchi G., Coprogrammazione, coprogettazione e gli anticorpi della conservazione, 31

Agosto 2018 consultabile sul link: https://welforum.it

16 Vedi nota n. 15

17 Santuari A., Riflessioni sul parere del Consiglio di Stato del 26/7/2018 sul Codice del Terzo

(32)

ritenuto opportuno acquisire, in proposito il parere del Consiglio di Stato.

Il Consiglio di Stato nel Parere del 26 luglio 2018 evidenzia che il vigente Codice dei contratti pubblici disciplina al proprio interno anche le procedure di affidamento di appalti di servizi sociali. “Su questo punto è netta la distonia rispetto alla disciplina precedente del 2006 che dedicava agli affidamenti di servizi sociali solo le disposizioni afferenti alle specifiche tecniche ed agli avvisi circa l’esito della procedura di

aggiudicazione (Art. 20 D. Lgs.163/2006)”(Consiglio di Stato,

26/07/2018:3-4).

“L’attuale Codice, del 2016, e il suo correttivo del 2017, continua il Consiglio di Stato, invece non solo non reca nessuna esplicita esclusione dei servizi sociali dal proprio ambito di applicazione, ma detta ulteriori disposizioni che rendono evidente la sottoposizione anche di tali servizi

alla normativa codicistica” (ivi:4). Il Consiglio di Stato mette in

evidenza che “l’inclusione dell’affidamento dei servizi sociali nell’ambito del Codice, come specificato dal nuovo Codice stesso, è pienamente in linea con il disposto delle direttive UE, in particolare con gli artt. 74-77 della direttiva 2014/24/UE (sugli appalti pubblici), con gli artt. 91-94 della direttiva 2014/25/UE (sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali) e con l’art. 19 della direttiva 2014/23/UE

(sull’aggiudicazione dei contratti di concessione)” (Consiglio di Stato,

26/07/18:5).

Il Consiglio prosegue il suo parere esaminando l’affidamento dei servizi sociali nella normativa nazionale afferente al terzo settore, in particolare alla luce del D. Lgs 117/2017, mettendo in evidenza che “le disposizioni di questo Codice negli artt. 55 e 56 hanno ampliato in modo significativo le modalità con cui gli enti del terzo settore possono instaurare rapporti giuridici con la pubblica amministrazione” (Consiglio di Stato, 26/07/2018:9).

(33)

L’ordinamento, già prima del codice, conosceva forme peculiari di rapporti fra enti privi di lucro e pubbliche amministrazioni, contenute tuttavia all’interno di limiti più circoscritti.

Il Consiglio evidenzia che “le disposizioni del presente Codice non indicano più, quale superiore principio conformativo delle procedure di affidamento di servizi sociali, il necessario rispetto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano i rapporti tra pubblica amministrazione e terzo settore; inoltre non limitano il ricorso alla coprogettazione solo agli interventi innovativi e sperimentali ma qualificano di fatto l’istituto

come strumento ordinario a regime”(Consiglio di Stato,

26/07/2018:11).

Il Consiglio ribadisce che “l’affidamento dei servizi sociali, comunque sia disciplinato dal legislatore nazionale, deve rispettare la normativa pro-concorrenziale di origine europea, perché rappresenta una modalità di affidamento di un servizio che rientra nel perimetro applicativo

dell’attuale diritto euro unitario” (Consiglio di Stato, 26/07/2018:15).

A tal proposito, esso contesta, come abbiamo detto prima, “la previsione dell’istituto della coprogettazione, quale strumento ordinario e a regime espresso dal D. Lgs 117/2017, in opposizione alla L.328/2000 e dal DPCM 30.03.2001, formalmente non abrogati dal Codice del terzo settore, cioè una formula a cui ricorrere in casi di interventi

innovativi e sperimentali” (Santuari A., 2018:2)18.

“In sostanza significa che con il suo parere, il Consiglio di Stato riafferma che il welfare è quasi sempre un settore economico e che in coerenza con la lettura comunitaria, deve essere sottoposta ai procedimenti di mercato e di conseguenza, quando si tratta di

coinvolgere soggetti terzi, implica il ricorso ad appalti” (Marocchi G.,

2018:2)19.

18 Santuari A., Riflessioni sul parere del Consiglio di Stato del 26/7/2018 sul Codice del Terzo

settore, 2018 consultabile sul link: www.aiccon.it

19 In Marocchi G., Coprogrammazione, coprogettazione e gli anticorpi della conservazione, 31

(34)

E’ importante mettere in evidenza che “l’impatto di questo parere erode pezzi di due normative fondamentali come la L.328/2000, la legge quadro sui servizi sociali, e la riforma del terzo settore, nonché le normative almeno di una decina di Regioni italiane in materia di coprogettazione come: Emilia Romagna, Piemonte, Puglia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Liguria, Marche, Umbria, Lazio e

Molise” (Marocchi G., 2018:2)20.

Scalpellare, sottolinea Marocchi21(ivi:2),“l’art. 7 del DPCM 30.03.2001

sulla coprogettazione significa intaccare il concetto stesso di sistema integrato di interventi e servizi, cadendo in una visione antistoricamente statalista del welfare; allo stesso tempo, continua questo autore, disattivare l’art. 55 del D. Lgs 117/2017 significa diluire il ruolo del terzo settore come soggetto che persegue, come gli enti pubblici, un interesse generale e farne un mero attore di mercato, e significa anche rimettere in solaio il comma 4 dell’art. 118 Costituzione e il principio di sussidiarietà” (ivi:2).

20 In Marocchi G., Coprogrammazione, coprogettazione e gli anticorpi della conservazione, 31

Agosto 2018 sul link: https://welforum.it

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