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CAPITOLO 1 Open Innovation

1.11 Le fonti dell'innovazione

Come evidenziato dal caso studio IBM18 (Expanding the Innovation Horizon - Global

Launch), le fonti del vantaggio competitivo stanno rapidamente cambiando. In un

campo come quello dell'elettronica e dei computer, caratterizzato da un'alta competizione tra marche e un notevole tasso di obsolescenza dei prodotti, diventa sempre più imperativo un cambiamento radicale del modello di business basato sull'innovazione collaborativa.

Figura 1.12 Le fonti dell’innovazione. Fonte: IMB Business Consulting Service (2006).

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IBM Business Consulting Services : Expanding the Innovation Horizon, The Global IBM CEO Study 1/3/2006

Ovviamente l'analisi è riferita al campo dell'elettronica di consumo, ma viene preso in esame in questo elaborato perché è una fotografia abbastanza veritiera delle principali fonti del processo innovativo, del cambiamento all'interno dei confini aziendali dell'apertura a nuovi attori.

Analizzando all'interno dei confini aziendali viene evidenziato che la principale fonte del vantaggio competitivo è rappresentata dai dipendenti lavoratori, e non più dalle divisioni di ricerca e sviluppo, che scivolano alla terza posizione dopo clienti e fornitori. A tal riguardo degno di nota è il lavoro di Thorsten Gruber, Isabelle Szmigin e Roediger Voss (The Desired Qualities of Customer Contact Employees, 2010) in cui viene studiato l'apporto fondamentale del lavoratore nel processo innovativo. Uno degli esempi più significativi è rappresentato da Google, la seconda azienda più conosciuta al mondo. Le ragioni del suo successo sono da ricondurre soprattutto alle strategie di gestione del personale, sviluppando l'innovazione attraverso l'estro, la creatività e una visione rivolta al futuro. Gli ambienti di lavoro del tutto particolari, abbelliti con spiagge, scivoli e pertiche da pompiere sono principalmente rivolti a stimolare la capacità innovativa dei propri dipendenti, fornendo un ambiente fertile e dinamico. Uno degli strumenti più conosciuti è rappresentato dal coprire i muri delle loro sedi con dozzine di lavagne bianche19, con lo scopo di sviluppare un ambiente consono alla nascita delle idee innovative. Un altro esempio particolarmente interessante è quello di 3M. Nel 1997, oltre un terzo degli attuali prodotti commercializzati dall'azienda non esisteva neppure. La strategia adottata dall'impresa americana è volta a valorizzare il potenziale innovativo di ciascun suo dipendente, dimostrandosi essere una logica vincente e una fonte importante del vantaggio competitivo. Come evidenziato nel libro A Century of

Innovation - The 3M story, pubblicato per celebrare i cento anni dell'azienda del

Minnesota, la vera fonte del successo innovativo dell'azienda è da ricercare nel grado di conoscenza e nell'operato dei dipendenti stessi, a cui tra l'altro è dedicata la

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Le due più grandi sono installate presso la propria sede in California, dedicate a "Corporate Graffiti", Google’s Plan for World Domination.

pubblicazione20. La strategia adottata è basata su una cultura volta alla continua innovazione - the promotion of entrepreneurship and the insistence upon freedom to

pursue innovative ideas21- professando, tra i vari aspetti: la massima libertà nel processo innovativo, la tolleranza per i fallimenti e un discreto grado di autonomia nel processo individuale. Inoltre viene incentivata la scelta personale, concedendo una quota del 15% del tempo dedicato a progetti scelti dai lavoratori, idee che vengono sviluppate senza il controllo diretto di supervisori o quadri, e la regola del 30%; per cui quasi un terzo dei progetti condotti annualmente deve essere innovativo. Questo non esclude comunque il ruolo fondamentale riservato alla ricerca e allo sviluppo interno, a cui vengono destinati il 5% dei ricavi annui.

I principali strumenti per valorizzare le competenze innovative del lavoratore all'interno dell'azienda sono rappresentati da workshop, lavagne, brainstorming e innovation jam.

La vera differenza tra l'ambito dell'innovazione aperta e quella chiusa, è rappresentata dagli utenti che assumono un ruolo fondamentale nel processo innovativo. La user entrepreneurship può essere suddivisa in due principali categorie, quella proveniente dai professional user, e una generata dagli end user22 (Shah e Tripsas, 2007). La differenza principale è insita nel modo di operare: i primi sono integrati in un'organizzazione e lavorano allo sviluppo di nuovi prodotti professionalmente, i secondi lo fanno nella vita di tutti i giorni, senza un effettivo compenso monetario. È da sottolineare che nella seconda tipologia di utenza intervengono importanti fattori quali la sfera esperienziale, i benefici ottenuti dal riconoscimento all'interno della comunità, e in alcuni casi anche un corrispettivo in termini economici. La differenza tra il modello imprenditoriale tradizionale e quello che include gli utenti nel processo di ideazione e progettazione rispecchia perfettamente quanto prima accennato in merito

20

"This book is dedicated to the thousands of 3M employees who have made 3M a strong, vibrant, growing, diversified technology company with innovative products and services in markets throughout the world."

21

"A Century of Innovation - The 3M story", 2002, 3M Company.

22

Sonali K. Shah e Mary Tripsas, The accidental entrepreneur: The Mergent and collective process of the

al ruolo della ricerca e al grado di permeabilità dei confini aziendali. Secondo gli schemi sotto riportati, il processo imprenditoriale vede un ruolo degli utenti solamente in una fase di revisione dei prodotti, cioè quando sono già immessi nel mercato e commercializzati. Il processo di innovazione e produzione è unicamente nelle mani dei professional user, e più in generale in quelle delle aziende. Con l'apertura dei confini aziendali e l'adozione di un modello imprenditoriale che include gli utenti nel processo, la situazione cambia drasticamente. La relazione tra l'azienda che si posiziona a monte del processo innovativo e produttivo ed i consumatori passivi situati a valle viene rivoluzionata in favore di logiche innovative, basate sulla produzione degli utenti per gli utenti (user-to-user).

Come si può notare dallo schema sopra riportato, nel modello classico l'interazione con gli utenti avviene unicamente nelle fasi finali del processo produttivo, attraverso una semplice verifica del livello di adozione dell'innovazione nel mercato e del grado di commercializzazione del prodotto e servizio. Nel secondo caso l'utenza interviene già nelle prime fasi del processo, attraverso una fitta rete di interazioni che porta alla generazione e condivisione della conoscenza. A tale proposito diventa d'obbligo una citazione delle teorie di Nonaka inerenti al Process of Knowledge Creation (1995). Con l'utilizzo di teorie economiche inerenti all'open innovation si assiste ad una nuova fase di socializzazione iniziale, lo stessa della posizione di partenza della spirale, ma arricchita da vari cicli di conoscenza. Ovviamente sia l'ambiente di riferimento che i confini aziendali si sono ampliati notevolmente, ma i processi di trasferimento della conoscenza sono ancora caratterizzati dalle dinamiche legate alle relazioni sociali, dalle emozioni generate e dal contesto di riferimento. La fase di socializzazione di partenza è rapportabile alla bottega artigianale, dove la conoscenza viene trasferita attraverso il saper fare, instaurando un rapporto personale di fiducia e collaborazione tra capomastro e apprendisti. Ora, in questa nuova socializzazione, il contesto di riferimento è si cambiato, ma si assiste ad un ripensamento della comunità (comunità 2.0), alla costruzione di rapporti interpersonali di stima, affetto e fiducia tra i membri di un'organizzazione attraverso i mezzi forniti dalle nuove tecnologie e dalla globalizzazione.

Accettando i limiti dell'analisi proposta da IBM, è abbastanza sconcertante come, per quanto riguarda le fonti esterne, gli ambienti accademici risultino così defilati nella classifica. Secondo quanto indicato nel Rapporto annuale italiano sull'innovazione del 2011, la percentuale di imprese innovatrici che giudicano di notevole importanza per il processi aziendali la collaborazione con organismi pubblici e Università si attesta su una percentuale del 3,1%, valore che quasi raddoppia se si considerano i Paesi del Nord Europa come Germania e Inghilterra.

Esempi di successo però non mancano. Primo su tutti, per vicinanza ed importanza, il distretto calzaturiero della Riviera del Brenta, sorto tra le province di Padova e Venezia.

Questo polo manifatturiero rappresenta il classico esempio in cui i processi innovativi e produttivi delle piccole e piccolissime imprese vengono influenzati da più attori esterni. La creazione di un distretto industriale promuove la relazione e la collaborazione tra le realtà produttive (concorrenti e fornitori), il mondo accademico attraverso il Politecnico di Milano e quello delle Marche, diversi istituti di ricerca di settore e laboratori sperimentali (ENEA-UDA, ISP / CE.SE.CA. e ICEC). Attraverso questa fitta rete di relazioni e collaborazioni tra le organizzazioni del distretto, la conoscenza generata viene distribuita e condivisa da tutte le piccole e medie imprese, sviluppando notevoli livelli di know how ed un sapere multidisciplinare (Bedin, Bolcato, Miotello, Tognon, Zaramella; 2008).