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3. LA RICERCA DELLA COMPETITIVITÀ OLTRE CONFINE

3.4 Le strategie di entrata nei mercati esteri

La scelta della strategia di ingresso nel nuovo mercato rappresenta un momento di estrema importanza per la buona riuscita del processo. Spesso essa avviene in concomitanza alla decisione di internazionalizzare il proprio business, altre volte rappresenta la fase immediatamente successiva. In ogni modo, l’organo decisionale è chiamato a scegliere tra diverse modalità di ingresso, ampiamente studiate in dottrina, ognuna delle quali portatrice di vantaggi e contemporaneamente svantaggi. Di seguito vengono illustrate le principali strategie attuate dalle imprese nel corso degli anni, per ognuna verranno evidenziati i benefici ottenibili e le possibili sfide da dover affrontare come conseguenza della scelta effettuata.

EXPORT - L’esportazione dei proprio prodotti è la strategia maggiormente

scelta dalle imprese intente ad entrate in un nuovo mercato. Ciò è dovuto principalmente alla semplicità e alla velocità di attuazione. La vendita nel mercato estero può avvenire in modo diretto o tramite l’impiego di agenti, non richiede in ogni caso ingenti investimenti e consente di mantenere il livello del rischio basso. L’impresa riesce a reagire velocemente alle variazioni che si verificano nella domanda, la flessibilità che contraddistingue questa modalità di ingresso infatti permette di ridurre o ampliare le attività svolte senza sostenere alti costi. È importante però evidenziare la possibilità che si verifichino uscite di cassa aggiuntive legate alla presenza di barriere al commercio (ad esempio dazi doganali). Questo, insieme all’aumento dei costi di trasporto, rappresentano gli svantaggi derivanti dall’attuazione di una strategia basata sull’esportazione.

STRATEGIC ALLIANCES e JOINT VENTURE - Internazionalizzare scegliendo

di instaurare rapporti con partners locali consente all’impresa di avere accesso facilitato sia a risorse finanziarie sia ad informazioni sul mercato altrimenti non facilmente reperibili. Inoltre questa modalità di accesso rappresenta una scelta opportuna nei casi in cui i canali distribuitivi presenti nel paese di riferimento siano inaccessibili perché completamente occupati dagli operatori interni (Barney, 2011). È d’obbligo però accennare la possibile presenza asimmetrie informative tra le parti che potrebbe causare un successo parziale o il totale insuccesso del processo d’internazionalizzazione. La scelta del partner e la strutturazione della partnership diventano quindi un momento estremamente delicato da gestire con trasparenza e accurata attenzione.

FOREIGN DIRECT INVESTMENT (FDI) - Decidere di entrare in un mercato

attraverso una società sussidiaria o una filiale potrebbe rappresentare la migliore scelta in relazione al maggiore tasso di crescita conseguibile. Tale strategia consente una maggiore penetrazione del mercato grazie non solo ad un aumento delle vendite ma anche all’acquisizione di conoscenze e competenze tecniche altrimenti precluse. Inoltre la diminuzione di transazione internazionali consente di limitare il rischio legato alle variazione dei tassi di

cambio. Questa modalità di ingresso, in molti casi, è preclusa alle PMI a causa degli alti investimenti necessari per attuarla. Si tratta infatti di un processo lento, complesso e ad alto rischio che porta alla costruzione di una struttura con minore flessibilità.

Quanto sopra detto viene schematizzato nella tabella che segue:

Tab. 3 - Sfide e benefici delle diverse strategie d’ingresso

[Fonte: K. Wilson, Encouraging the internationalization of SMEs]

Alcuni studiosi negano la possibilità che l’impresa possa scegliere una qualunque delle strategie evidenziate per avviare il processo di ingresso in nuovi mercati.

Johanson e Vahlne (1977), ad esempio, definiscono l’internazionalizzazione come un processo che generalmente si sviluppa in modo graduale attraverso distinte fasi e rilegano solo a casi sporadici la propensione per ingenti investimenti già in fase iniziale (come avviene nel caso dei FDI). In particolare, le quattro fasi sequenziali di un processo di internazionalizzazione secondo gli autori sono: 1. esportazioni intermittenti, 2. esportazioni tramite agenti di commercio, 3. costituzione di partnership con operatori locali, 4. investimenti diretti nel paese estero. Questo approccio, definito comportamentale/ processuale e noto come Metodo Uppsala, si basa sull’assunto che un processo graduale minimizzi i rischi legati all’operazione in quanto consente all’impresa l’acquisizione di conoscenze ed informazioni necessarie per la successiva espansione. L’internazionalizzazione è quindi vista come un processo evolutivo composto dal susseguirsi di determinati stadi attraverso i

L’internazionalizzazione, come qui intesa, è accompagnata da un processo di apprendimento manageriale (nella logica del learning by doing) grazie al quale il rischio percepito diminuisce. La strategia d’ingresso accettata è quindi solo l’esportazione. La costituzione di partnership e i FDI vengono considerati come fasi successive che sopraggiungono a processo già avviato.

L’emergere delle imprese definite Born Global o International New Venture (INV) ha indotto molti studiosi a rivedere il modello proposto da Johanson e Vahlne. Queste tipologie di imprese infatti tendono ad avere un alto coinvolgimento nel mercato internazionale ancor prima di completare il proprio sviluppo nel mercato domestico. Generalmente sono imprese di piccole dimensioni contraddistinte da una visione globale scaturente dai rapporti che l’impresa intrattiene con altri operatori nel suo network industriale o da passate esperienze dell’imprenditore (Madsen et al., 1997). Queste considerazioni hanno portato alla nascita di due diversi approcci teorici: la Network Analysis e la Teoria dell’Imprenditorialità Internazionale.

La Network Analysis (Johanson et al., 1988) pone l’attenzione sull’importanza del network industriale per lo sviluppo del processo di internazionalizzazione di un’impresa, dove per network industriale si intende il sistema di relazioni tra i diversi attori economici (clienti, distributori, agenti, consulenti, concorrenti ed enti pubblici). Attraverso queste relazione l’impresa è in grado di acquisire le risorse e le conoscenze che, secondo il modello Uppsala, potrebbero essere acquisite solo gradualmente lavorando direttamente nel mercato estero. La Teoria dell’Imprenditorialità Internazionale (Mc Dougall et al., 2000) considera come elemento chiave dell’internazionalizzazione la figura dell’imprenditore. In particolare, l’imprenditore è ritenuto l’unica persona in grado di ponderare accuratamente i rischi e le opportunità derivanti dall’operare nel mercato estero poiché possessore della conoscenza esperenziale necessaria. Inoltre la persona incaricata di intrattenere i rapporti con il network industriale è generalmente proprio l’imprenditore stesso.

Entrambe le teorie non individuano una modalità d’ingresso preferibile, rimandano tale scelta all’organo decisionale dell’impresa il quale, oltre ad analizzare i vantaggi e gli svantaggi ad essa legati, deve considerare altri aspetti interni (la figura dell’imprenditore) ed esterni (il network industriale), che

potrebbero influenzare significativamente la scelta. Ad esempio, impiegare una strategia di Strategic Alliance o Foreign Direct Investment per entrare in un nuovo mercato, sebbene più rischiosa, potrebbe rappresentare la scelta maggiormente opportuna per le imprese coinvolte in network industriali favorevoli.