Udisti, o Erminia, nellaprecedentemia
il raccontodi Plinio;
ma
forse, comeneT
celebre suo corrispondente, quella frase
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*49 jnodesta, con cuievita di accennare Io proprie avventure, durante iltremendolei liomeno, avràin tedestata unaviva curio-sitàdi conoscerlei troppo c interessante l’esposizione, cheinunasecondalettera, cedendoalleistantediTacito,eglihafatto delle particolarità cheaccompagnarono la sua fuga da Miseno,perch’ionon abbiaa portela sott1occhio aneli’essa; servirà ad un tempo adarti, benpiù eloquentemente di quelloeli’io, od altri avrebbe saputo fare, un’ idea esatta dellevesuviane eru-zioni, e delleloro formidabiliconseguenze.
Tu
affermi che, spiato dalla lettera, da terichiesta, intorno alla morte dello Zio, brami conoscere non solo a quali spaventi,ma
ben anche a quali casi io andassi soggetto, essendomi rimastoa Mi-seno. Benchél’animo inorridisca a sì latta reminiscenza, incomincerò.u Partitolo Zio,io spesi iltempoche pii restava, studiando, al qual uopo io aveaprescelto di rimanermi; poi presi un bagno,cenai,ein’abbandonai adunsonno
i3*
i5o
breve ed inquieto. Senti vasi già da vari giorni il terremoto^
meno
spaventoso in Campania, perchè più frequente;ma
in quella.notte crebbea tale, che non sola-mente muoversi,ma
ogni cosa parea ro-vinare.Balzònellamia camera la madre:ed ioappunto stava alzandomi per isve-gliarla, ov’elladormisse: scendemmo nel cortile della casa
, per breve intervallo divisodal mare: domandai
(iodubito se questa chiamarsi debba costanza od im-prudenza: aveaalloradiciott’anni
)illibro di Tito Livio,edoziando miposi a leg-gerlo,ea farne,siccome avea cominciato, degliestratti: quand1eccoimamico dello Zio,che poc’anzieragliarrivato diSpagna, sopraggiungere,chealveder
me
collibrom
mano,e miamadreseduta,rimproverò caldamenteame
lamia tranquillità,a lei lasua pazienza: nè io per questo alzava gliocelli dal libro. Già era l’ora prima, e ilgiornoera ancordubbio e languido,
e i tetticircostantigià scossi:onde, ben-chéinluogo aperto,
ma
angusto, aveaviDigitizedbyGoogle
, i5i grande,e cerio pericolodirovina.Allora solamente parve cosa opportuna l’uscire dal borgo: ilvolgo attonito, e in cuiil terrore tenea luogodi prudenza, preferi-sce al suo l’altrui consiglio; e noi,che partivamo,con numerosa schiera preme
,
e spingeoltre.Uscitifuordell’abitato,molte meraviglie emolti spaventici si parano dinanzi:poiché icarricheavevamo ordi-nato venisser quivi condotti, benché in
campo
piano,eranospinti in partiopposte, cnonpoteanorimanersi,quantunquesifosse tentatoconsassi difermarleruote;inoltre ilmareparea che si riassorbisse, e che lo scuotimentodellaterraquasi lo respin-gesse: certamente il lido s1era inoltralo, e giaceansi sullanudasabbiamoltianimali marini; d’altra parte una nube scura, e spaventosa a vedersi, rottadai lampiche guizzavano tortuosi, fendevasi in forma di lunghefiamme simili e più grandidelle folgori. Allora Faifiico Spaglinolo instava piùcaldamente dicendo: se il Fratei vo-stro, selo Zio viva,ei vi vuolsalvi; sel5 2
perì,vi bramasuperstiti: perchè dunque sospeudete la fuga? Rispondemmo, che essendoincertidella su» salvezza,non ci sosteneval
1animodi pensare alla nostra.
Ei non si trattenne più oltre,
ma
con pronta fuga si sottrasse al pericolo; nè guari andò che quella nube era scesaa terra,avea copertoilmare, circondata e nascosta Capri, e devastato miseramente Miseno. Allora la madre mi pregava, e mescolavaiconsigli ai comandi, perch1io fuggissi;poterlo io fare essendo giovane;ellagrave di corpo e d1etàsoccombere contenta,senon mifossecapsadimorte;
io,per lo contrario,giurava che, senza di lei,non miporrei insalvo; poi, stret-talaper
mano
,lacostringoadaffrettarsi:obbediscedi mal animo, es
1accusadi ri-tardarmi.Già, fattasipiù rada la cenere
,
ioscorgeva sovrastarmi atergo un denso polverio che,siccometorrente, ci segui-tava.Esciain di via,iodissi, intanto che aggiorna, affinchènonciatterri, e nelle tenebre nonci calpesti lafollache citieu
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uà
dietro. Appena cieravamonoiritirati, che lanotte si fetenebrosa,non come quando ènubilosa e senza luna,
ma
quale è ne' luoghi chiusi, incuinon èlume; avresti uditoallorai lai delledonne,ilpiantode’fanciulli,le gridadegliuomini; questi, i genitori; quelli,i figli, altri lemogli, ri»
cercavanoanome,ericonosceanoallavoce;
chila propria sventura,chi qucl}ade1suoi caricompassionava: taluno,pel terror della morte, lamorteinvocava: molti implora»-vanogliDei,moltilibestemmiavano, ere-' dendo esserquella1’ultima notte del mon-do; nè mancava chi, co1finti e mentiti terrori,accrescesse i veri pericoli; avoavi chiannunciava alla turba credula e spa*
ventata che era Miseno che ardeva. Ri-schiarò alquanto; locchènonci parea se-gnodigiorno,
ma
di fuocoche s’avvici-nava;ma
il fuoco si rimase lontano; ri»tornaron letenebre, e cadde nuovamente la cenere pesante e copiosa;la quale noi, sorgendo, ciscuotevamod’attorno, già già quasiricopertine,ed oppressi dalpeso. Io
i5i
mi potrei gloriare che non un gemito ,
non una voce, chevirile non fosse, mi sfuggìinmezzo atonti pericoli
; se
non
seeh1iotrovavaungransollievoall’
umana
debolezza,nelpensiero chetutte le cose perivanomeco.Finalmente quella caligine9 scioltasiinunaspezie difumo e di neh*bia
7svanì: tosto dopoilvero giorno ri-splendette, ed anche il sole,
ma
fiacco qualeessersuolequandotramonta. Si af-facciavano agli ocelli nostri atterriti tutti glioggetti mutali,e coperti, siccome di neve, d1un alto strato di cenere. Rien-tratia Miseno, ristoratiallameglioicorpi, passammo unanotte piena di dubbiezze, fralasperanza eil timore;e questo pre-valeva,poiché continuava iltremito della terra,e parecchi fanatici,con orribiliva-*ticinii, pareano pigliarsi giocode’propri danni e deglialtrui.
A
noiperònemmeno
allora, benché consci ed in aspettazione del pericolo, entrò in mente di lasciare que’ luoghi
, prima d1aver avuto novella dello Zio.
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• u Queste cose,non degne della storia ,
e che inessa nonporrai, tu accuserai te medesimo,che
me
le richiedesti, s’ellenon tipaiono argomento degno
nemmeno
d’ epistola. Stasanon.
LETTERA XXVI.
. Pompei.
Scomparve undiPompeidalnoverodello italiane città: narrarono le storie la sua sventura; Tito nebeneficòiprofughi abi-tatori, e pochilustrieranoscorsi,chegià il
1erail
nome
perito nella ricordanza de1 posteri. Pompei dopo mille e settecento anni risorge, e ci disvela de’ segreti, i quali,quantov’hadipiù energicoin Na-tura, il vulcano, edil tempo, sembrava averconcorso ad eternamenteseppellire nelle Viscere dellaterra. Ioentrai conistuporo quella portamedesimadella città, che ac-coglieva i contemporanei di Cesare e di Cicerone; visitaiquelle camerenelle quali
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forse erahostati ospitalmente accolti Ta-cito e Plinio:mi sedetti nellacasa di Sai*
lustio.
Oh
perchènon possonoriviverein queste loro dimore anche gli antichi abi-tatori! Tutto ve li chiama, e velirende presenti: parrebbe eh’ essiaccorrer doves-sero dalle titanze Interne ad accoglier gli stranieri, e a farsuonare quelle volte e quelle pareti del bell1idioma latino.Ma
ohimè! le loro ossasole abitano ancora quelle case;edio leminai nellavillad’Arno Diomedebiancheggiare, dispersetral
1anfore nella cella vinaria,ove quella numerosa famiglia s’eraper sua sventurarifuggita.
L
1eruzione del Vesuvio che subbissò Pompei,nonfulasuaprima, come volgar-mentesi crede:prova evidente d1altri, e più remoti fenomenivulcanici,sièlalava che lastrica levie della città. Eraquesta bella e fiorente; e ne sarai convinta dai brevicenni eli1io sono perfarti.Le
sue vie sono regolari e fiancheggiate da mar-ciapiedi;ilsuopavimento è, cometidissi*formatodisostanzevulcaniche, chetuttodì
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conservano làtracciadèlieruote de’ carri*
Le
case non hanno altra apertura sulla pubblica viafuordella porta; tutte, dalla maggioro minorampiezzain fuori, sono costruite adun mòdo: Un còrtiletto qua-drilungonel centro è ornato di portico, sostenutoda colonnevestitedi stucco in-verniciato,perordinario, selciatodi gra-ziosi mosaici, e che entromette aipiccoli appartamenti checompongonol’abitazione;questa,seneeccettuiunao due, è sem-pre d’unsolo piano;le stanzesonoassai pulite, regolari eadorne; ilbagno sembra essere statopergliantichiilsitoove spie-gavanodipreferenza illoro lusso; le di-pinture,i mobili graziosi, le vernici mar-moree cranvi prodigalizzate; eranvi mac-chineingegnose perriscaldare l’acqua, e perottenereprontamente queitregradi di temperatura checostituivanoletre spezie dibagni chiamati calidari, tepidari e fri-gidari. Nel tempio d1Iside, scórsi dietro ilsantuario, sucuiposava la statua della Dea, unaporlicciuola secreta,edunforo,
Leti.R.N. 14
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per mezzo delquale ì sacerdoti, piglian-dosi gioco dellacredulitàpopolare, rende-vano glioracoli. Fuordellaportadi
Pom-pei(lasola finora disottcrrata) ayeano co-stume leprincipalifamiglie difarsierigere delletombe, e moltese nerinvennero in formadicolombari.
Tu
non ignori,come
costumassero gli antichi di incassare nel muro,in certe stanzerotonde appositamente erette,dell’ulme di creta,incuigliavanzi de’corpi,che aveansubitalacombustione, riponèvansi, e serravansi: la distribuzione circolare diqueste piccoleurne, elaloro figura fece chiamare quell’estremoasilocolnome
dicolombario*Imonumentieh’io visitaicon maggior soddisfazionesi furonoiteatrie l’anfitea-tro.Comincieròa farti parola dei primi5 e penso che non ti sarà discaro* 1’aver*
un’idea, benchésuperfiziale, della costru-zione di quelgenered’edifici.
II teatro degliantichicomponevasidi tre parti: la scena
,
l’orchestra e la cavea.
Lascenacomprendevaalcunesuddivisioni)
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Ì5g prosceniocliiamavasi quello spazio che si distendevainlungo dall’uno all’altro lato delteatro
, e amezzo di cui sorgeva il
pulpito
,
piùrilevalo,come t’indicail no-ine, e su cuirecitavangliattori;lascemi fissa eraun edificio stabilerappresentante Una casaadorna, talvolta dicolonne e di statue, con tre
,
porte che mettevan sul pulpito; da quelladi mezzocscivan sola-mentegli attoriche facean da re, odaltro similpersonaggio, e che supponeansi abi-tareTappartamento piùnobile: l’altre due porte servivano perlepartisecondarie. Die-tro allascena fissa,quasi sempre
marmo-rea, erailpostscenio,ove gli attori s’ab-bigliavano e sipreparavano adescirc: tc-neanvisi in riserboalcune macchine che si trasportavano all’uoposul dinanzi, e ser-vivano a darmovimentoallescene mobili, die noneranodimolto dissimilidalle no-strequinte. Nell'orchestraiGreci, come
l’indicailnome, danzavano: iRomani fe-cerlaseggio d’onorepei Senatoriele
Ve-stali
; e nelsuomezzoslavacomeuna gran
10O
cassa, entro cdi si nascondeano i suona-tori,clic concorrerdovevanoco' loro stro-mentiarendere più piacevole e vario lo spettacolo.
La
cavea destinataalpubblico erasemicircolare,con lile di seggi econ iscale che davanadito ad un porticato su-periore,nel quale glispettatorierano di-stribuitisenza confusione,e secondocerte distinzionicT età,disessoedi»condizione: gliuominidoviziosi faceausi arrecare in tea-tro de1 cuscini dai servi; e siccome gli scanni eranotutti marmorei, perciò il fi-losofo Aristippo, beffandosi d”un cotale, disse:che ilcuscinodi costuiserviva ad impedire che un sasso posasse /sovraun
altrosasso. Tutte questeparticolarità ch'io tidescrissi, saltano facilmente agli ocelli
tic*’teatridi Pompei,di cuil'unoera tra-gico e scoperto, l
1altro comico c co-perto. Son essiconservati permodo,che potrebbero dirsi intatti,se privinon fos-sero dellestatue, de’marini e degli altri loio ornamenti.
* ISanfiteatro di Pompei,tantopiù
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- - idi
colo del Colosseo, quanto quella città lo era di
Roma
,fornisceperò un*idea assai piùchiaradella formae degli usi di co-desti antichi edilìzi.Vi siscorgono assai beneitre diversi ordini di gradinate, ilpodio, entro cui serravansi le fiere, le porle ondeescivanfuori,e ilsiloove se-devailpreside de’ giuochi.
La
sanguinosa arte gladiatoria, a cui s1eresserogli an-»fiteatri in tutta 1’ampiezza del romano Impero,fusempreper