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LETTERA XXVIII

Nel documento LETTERE ROMA E NAPOLI. Db I.VOM (pagine 175-190)

Pésto.

A

Venti leghe da Napoli sorgeva in mezzoadun piano fiorente Pesto, città doviziosissima. Ellafufondata daiDorii: sene impadronirono poiiSibariti,e fecerla sedediloro delizie. Vi si coltivavano le dottrine di Pitagora; learti belle trova-Vanvi numerosi e valenti allievi; i suoi campi s1abbellivano ogn’anno duevolte diquelle roseche furonocelebrateda Vir-gilioe da Ovidio; risuonavano nel suo teatro lemodulazionidellagfeca musica;e mentreil rimanentedellaPenisolagiaeensi ancoranellabarbarie, le palestre eVanvi convegnodi filosofi,diretori edi poeti;

laciviltàde’costuminoninvidiava quella d’Atene; icanti d'

Omero

,lemusecf E-rodoto pubblicamentesileggevanoes

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ì7l

miravano; gli abitatori vi si abbandona-vano alla mollezza, ch’era peressi la

su-premafelicità.

Oh

come,Erminia, ti saresti sentita stringere ilcuore d’affannosa tristezza,se affacciandotimeco dall’ allo del colle a quella pianuraove fu Pesto, tu avessi scorto non un borgo, non unacasa,non

un

essere vivente in quella vasta esten-sionedipaese,

ma

desertii campi ed

inculti,nudoed orridoilpendiode’monti, silenziosi ed anneritidai secoli alcuni edi-ficimarmorei;e l’antico

muro

dellacittà conservato ancora, e che non cinge al presenteclic unamesta palude. Egli equi che 'vivamente si conosce la verità di quella sentenzat

«Cadonole città,cadonoi Regni

,

«Copreifastiele

pompe

arena cd erba».

Creditu forseche lalava vulcanicade-<

yastasse questi campi, o chegh scouvol*

gesseilterremoto/ No, mia cara: 1 azio-nedeltempo e lefuneste vicende, acui questa misera parte d’Italiaandò soggetta.

*72

eccolilecausedella rovina diPesto. Tea-trod’orribiliguerre, esausta d’ogni ricchezza e d’ogniforza dalla corrompitricedomina»

zione de’Greci,lacerata daogni maniera di Barbari, Unni, Vandali, Normanni, Saraceni, laPugliacollesuesolitudiniele sue rovine mostra d’aver pagato assaicaro

il fortunatosuo clima e la 4'eracità delle sueterre;ela città,di cuiticonducocol pensiero avisitare gliavanzi, più dell’ al-tre ebbe a solfrire i terribili colpi della fortuna. Gl’ Infedeli dell’Affrica, insigno*

rilisi della Sicilia nell’

XI

secolo, discen-dcanofrequentemente sullerive vicine;

ed

eraladisgraziata Pestoil convegno ordi- ' uario delle loro orde feroci. I Pestaniresi inetti, per la loro effeminatezza, ad op-porre unavigorosa difesa, diventarono il ludibrio de’ Saraceni; che, abusando in ogni guisadellasupremaragione,laforza, toglievano ad essioraibeni, orledonnea edora lavitat oppressi pertantoda cala-mità cosigrandi,molli soccoinbeltero, o lapiù parte abbandonòpersemprel’auro

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«alive, per cercarsiun asilo nelle valli più interiori e piùnascose della provin-cia.

Lo

squallore e ilsilenzio regnarono d’ allora in poi nelle abitazioni di Pesto, che caddero a poco apoco in rovina, e scomparvero; lecampagnerimaste incolte

•rivolserolanaturale loro feracità in pro-durre gramigne,lolii,aconiti,edaltre piante velenoseingrandissima copia;Tacquefatte stagnanticorrupperoglielementi dell’aria;

equella contrada,su cuigià da tanti se-coli sembrava compiacersi l’Abbondanza a versareilsuocorno,parvecolpita,

sic-come

Gerosolima, dalla maledizione del Cielo,

Pesto era stato dimenticato: niuno più sapea chequellamesta pianura esistesse

,

fuor diqualche capraio de’contorni che s’affacciavaper avventura talvoltaaicolli

chelacircondano,senzaperò osare scen-derealbasso. Verso la metà dell’ultimo secolo un viaggiatore,spinto dalla curio-sità, s’aggirava in quelleparli romite

,

quandoscopri dall’alto imonumenti pc-i5*

sioni:scese, li considerò, li ammirò; e

lietodelsuo ritrovamento, pubblicolorese, facendolo argomento di stampe: la fama diquelle rovine sparsesi allora in tutta Europa; everamentemi parvero degnis-simed’essere celebrate per la loro anti-chità, cherisaleaitempi che precedettero lanascitad’Alessandro, e pel loronobile c dignitoso aspetto.

Tre templisonotuttorabeneconservati;

eti farò un brevecenno di quelloch’era dedicatoaNettimo, e che perlasuaforma epe’ suoi ornamenti è molto somigliante aglialtridue. Codesta unilbrmità,in edi-lizi cosìl’un all’altrovicini, mi persua-derebbe quasi cheinque’ tempi l’architet-turanon era ricca di molteplici e grandi concezionicome lofu di poi.Sientra nel tempio,da ogniparte

, permezzod’una gradinataditrescalini,praticatanellosporto delbasamento: sorgono da questo, senza piedestallo esenzabase, quattro ordini di colonne doriche,ognuno de’ qualisi com--pone di quattordici, e sostiene unarchi-»

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trave di marmo;questo porta ne'due or-dini interniuu altrocolonnato d’assai mi-nordimensione, chesembraaver sostenuto lavolta. Figurati,Erminia

, qual aspetto imponenteegrandioso presenta questo

mo-numento. Quand’iomi trovai nelsuo cen-tro, didove il miosguardo, tra gl’inter-colunnii sfuggendo, abbracciavailbellissimo azzurrodel cielo e ilpittorescopendiodei nudicolli vicini, il silenzio che regnava dintorno, il vuoto diquellavalle, la

ri-membranza

de’ Sibariti diel 1

abitarono, la vistadi quegli edilìzi vincitoriperventitré secolidell’ingiuriedeltempo, simili piut-tostoallerovinediPaimirane’ deserti della Siria,cheagliavanzid’una cittàinItalia:

tutto concorse a riempirmila mente d’un sentimento misto d’ammirazionee di tri-stezza, che però avevaiusé qualche cosa dipiacevole e voluttuoso.

LETTERA XXIX.

•V

Elisa Riccardi.

Da

Pesto io micondussiaSalerno, che iPè lapiùvicinacittà;ed entrava appunto, nellesue porte,poco primadisera,quando m’imbatteiinun lungo convogliodi per-sone vestitea lutto,concereiaccesi,'che precedeanounferetro,sucuierano stati sparsia larga

mano

igiglieleviole. Que’

fiori,simbolo dell’innocenzae della vergi-nità, mi fecero supporre chelapersona defuntafossestatarapita assaigiovane al-l’amore de’ suoi;nè il miopensiero andò errato:poichéquando giunsiall’osteriane richiesiilpadrone intorno quel magnifico funerale, ed egli mi narrò ilcaso com-moventeeh’avea immerso in que’ giorni nella tristezza tutta la popolazione saler-nitana, Elisa Riccardierail

nome

della gio-vinetta di cuisipiangeva il fine precoce;

ed unasventuratapassione avea affrettata lasua morte;lecircostanzediquesta

erar^

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177 troppo ben conosciute daognuno, inquella piccolacittà,perchè Foste,

uomo

ciarliero,

hon

si credesse fortunato di trovare un estraneo a cui diffusamente narrarle; e tanto piùvolontieri ei si dilungònel suo racconto,inquanto che s’avvide benissimo eh’io n’era vivamentecommosso.

s Ei ini narrò pertanto che un giovand assai distintonel paese, per

nome

Fer-dinando Tasso(iolo interruppi richieden-dolos’cifosse per avventura della fami-gliadelcelebre poeta, che, come non ignori, era natopoco lunge a Sorrento: il

buon uomo

ignorava che Torquato fosse esistito), era un anno primaritornato in patria dopo avervisitatiperdiportoipaesi d’oltremonte,alloraappunto cheElisa, fre-sca comeuna rosa,avvenente e gentile, movea,sotto lascorta diunamadre amo-rosa,iprimipassi nella società. Ei s’uni a’suoi giovaniconcittadini infarlefestae éorteggio, come ad onorata fanciullasi

suole: sentiva perleinon amore,ina sim-patia; tradito ne’suoi primi alleiti, egli

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avea concepito pertutteledonne una pro-fonda diffidenza;e ripugnava ad ogni vin-colo, chefossevalso a diminuirelapiena libertà di cuigodeva. L’incautonon pre-r vide chequelle frasi indeterminatee

gen-tili,chenon hanno inFranciala

menoma

importanza, doveano produrre ben altro effetto inItalia, e sull’anima d’una fan-ciullainnocente, che aprivaallora,perla primavolta, l’orecchio a soavi-e lusin-ghiereparole.

La

poveretta s’accese d’un’

ardente passione,e la concentròinfondo alcuore. Già s’indebolivala suasalute, eduninsolito pallorelecoprivaleguancie.

Trovollaundi lamadre immersanelpianto, cdamorosamentelenedomandòlacagione:

edellale aperseil suosegreto. Si turbò lagenitriceall’udirlo;e troppoconoscendo imperioso l’amorenell?figlia,dapotervisi opporre, le andò dicendo parole di con-forto e di speranza..Abboccatasi poi con unsuqfratello,che avea dimestichezzacon Ferdinando, lopregòdiscoprire quali fos-serole intenzionieli lui. Ilgiovane, che

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i:o

ttatitraìiileriteera avverso al matrimonio,

rispose francamente alle fattegli proposi-zioni, dinon pensard’accettarleper al-lora; e quella rispostariferita alla madre, e dalei,conmilleprecauzioni, comunicata adElisa, non feceche accrescere il suo staiodilanguore e di tristezza. Sdcgnavasi lo ziovedendo1’amata nipote struggersi

,

e decadere ogni giorno in salutee fre-schezza; e s’immaginò che togliendole ognilusinga,ella si sariadata pace. Con-dusse quindiElisa in sua casa,lacollocò inunastanza,lasciandone semi-apertol

1 li-scio;chiamòa sè nella vicinaFerdinando, e nuovamente lo richiese se pensava di contraccambiarela premurache sua nipote aveva perlui; poseglisott’occhio iltriste stato a cui l’infelicefanciulla era ridotta;

gliricordò ch’eglistessoera statolacausa prima delmale di lei

; e terminò assidi-1 randolo che dal lato dellanascita, delle ricchezzee de’costumi, ei non avrebbe potuto desideraredi meglio.Erailgiovane d’indole piuttosto impaziente: parvegli

strano ches’insistessesovraun argofnent<*

cosidelicato; erispose di riconoscere ve-rissimii pregi della giovane, e assai do-lersid’essere stato origine involontariad’un male, eh’ era però lungo dalcredere sì.

grave,comeglivenivadipinto; eche quindi nonsiritenevaobbligatoa porvi riparo,ed astringersiconun nodo,percuinongliparca d’esser(atto.« Olicomet’inganni(riprese lozio)setu credi lieve l’infermità d’ Elisa!

ella nemorrà». Ferdinando,a quelle pa-role, ricordandosidell’ arti donnesche, di cuiera già stato la^vittima, e parendogli Stranissima quell’ ipotesi:«

Oh

nonmorrà!

(sciamò ridendo)et’assicuro, se ciòav-, viene, di farle celebrareamie spese la

.

più solennemessafunebre che siasi can-tatainSalerno».

A

questeparole s’ode unlamento;s’accorre; ladisgraziata gio-vinetta era giacentealsuolo; ellarinviene,

ma

nellelabbra livide, negli occhifoschi ed asciutti, nelbreverespirosiscorgono

i sintomi dellamorte ticina. Giacente in unletto,circondatadagli amici cdai

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I$I

feriti, che, per 1’eccellenti sue qualità, 1’adoravano; scongiurataa vivere da Fer-dinandostesso,-che, troppotardi pentitosi della sua durezza,mescolavaalleproteste d’amore leesclamazioni del più violento affanno: «Io vivrei per compiacervitutti (ellarispondevacon unmestosorriso),

ma

sento che lavita

m

1è tolta. Qui.*. (c indicavail cuore)staconficcataunapunta che m’uccide».Discioglieansituttiinpianto a quelleparole.

Dopo

alcunigio rnidi pe-nosaagonia, tranquilla,e rassegnataai vo-leri delCielo,eh’ella non avea per av-venturaoffesomai,

nemmen

d1un pen-siero, morì la giovinetta nell’anno sedi-cesimo dell’età sua, vittima d’un amore infelice,e trascinata alsepolcro, neglianni suoi piùfloridi, dall’imprudenza dello zio

,

che avea creduto con uncolpo improvviso e violento di sanarl

1animadi lei.

Eglicpurtroppo vero, Erminia!quando un amore violento s’è impadronitodel no-strocuore, pare che cisi addoppi 1’ esi-stenza: scorre più rapido il sangue, è

ac-Lclt. R.N. iG

182

coloratala respirazione

, epiù animatolo sguardo,un1insolitaenergiaesercitalasua influenzasututta lamacchina;e siccome quest’energiacrebbe apoco apoco, così nonvuoisicrederedi smorzarlafacilmente c prontamente; chiamai conoscendol’umana natura,tenteràdi farlo,nedeetemere le più funeste conseguenzeì s’agghiaccierà quelsangue in primabollente$ e

,per rapido cangiamento,ne verrà

meno

la sa-*

Iuteedanche lavitadi chi si vorrebbe guarire.

Le

passioni,emassimamente Fa-more, quando sonoviolente,s’

immedesi-mano

collanostra esistenza; e il sanarle non èopera giàdel

momento

edella sor-presa,

ma

deltempo,e di teneree de-licate sollecitudini.

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LETTERA XXX.

Caserta.

A

Caserta la magnificenza orgogliosa d'un

Re

di Napolihaedificata una villa,

chepotrebbe quasi paragonarsi a Versailles perl’enormi

somme

che costò, e perle difficoltà clic opponealaNatura,e che fu-ronosuperale.Luigi

XIV,

profondendo più di centomilioni nell1erigere quel palazzo-*

Cnel formareque1giardini, dacuiè forza allontanarsi ondenonsentirsicompresi da noia e tristezza, sconvolse lefinanze

^

ed apri

,pel primo, quella piaga mortale di cui gli avvenimentimemorabilidegli ultimi anni furono la conseguenza. CarloIII edi-ficando Casertaimitòquelperiglioso esem-pio.

Che

poco lunge daParigi,e inmezzo ad una palude, la mente imperiosa di Luigi abbia voluto creare lapiùmagnifica villadell

1

Universo,non è meraviglia;

ma

cheilsignoredel più vago e pittoresco paese d1Italia sentisse il bisoguo di far

t

184

piuttosto aCaserta, che in cento altri luo-ghipiùopportuni, lo sfoggiodisua

pompa

e di sue ricchezze non sarà così facile ilconcepirlo. Io visitai quel superbo pa-lazzo eque’ vasti giardini: son essi

al-meno

allegratidalbellissimoorizzonte par-tenopeo, e dallavistapittoricadeimonti vicini:vaghezze, chelaNatura hanegate al parco francese.Casertaeraungiardino senza che l’artequasi viconcorresse;nè v’aveva uopo d’unacquidotto,cuiuntrin.

plice ordine d’archi innalzasse allivello dei monti,e vincessecosìla romana

ma-gnifìcenza,pertrasportareTacque daIunge invaschemarmoree, adorne di mediocri statuedi Naiadi e diTritoni.

Non

abbon-dano forse i collivicini di rivi e di ca-scatet Selastateliinaridisce,nonsi gon-fianoessinellaprimavera enell’autunnoi

E

inquella stagionechen’ è priva, non aveavi altro asiloromantico, ove il biso-gnosentitonon fossedi forzare le fonti lontanea tributarele loroacque alla villa realet

Ad

ogni

modo

io ammirar

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185 Timmènso edifìcio, chenon ancora èter-»

minato

;saliilasplendidascalachesi com-ponedi centolunghissimi gradini, ognuno de1qualièd1unsolpezzodicandido

marmo

greco; vidilacappella rilucented1oroe di

gemme

,eilteatro,lacui vòltaè so-stenuta dadodicicolonned’alabastro orien-tale;

ma

tutte quelle magnificenze non m’occupavano che gli occhi: la mente oziava, e sovvenivaleil semplice traver-tino dellecolonne dorichedi Pe§to, fre-giato dellereminiscenzedi venjitresecoli.

LETTERA ULTIMA,

Nel documento LETTERE ROMA E NAPOLI. Db I.VOM (pagine 175-190)