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Rerum magna parens

Nel documento LETTERE ROMA E NAPOLI. Db I.VOM (pagine 27-40)

vinci

Rerum magna

parens

jet inol iente ,mori.

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\

*3

tf delleSuepareti,chefaVstimonianzadel

« vaporedell’antico incenso e del fumo udi vittime arse, occupavanmi la mente adi severe contemplazioni. Sembra che u ancora suoni frale preziose colonneil

u muggito dei tori condotti all’ara; la

a maestàdelluogoeccita cosi nell’anima

«laricordanza diquegli splendidiritiche u sembrano presenti».

Vieniper ultimo,oErminia,sullasponda del fiumeche torbidoe obliquos’asconde fra meschiniabituri, e sfugge via inos-servatoinun angolo dellacittà quasiver*

gognando d’appellarsiil Tevere.Làsorge unamplissimo edificio:quadrangolaren’è labase, da cuis’alza una molerotonda,;

sonmerlatele cime, edelle feritoie s

1

a-prono inognidirezione, e lasciano scor-gerelebocche minacciosedeicannoni.Fra quelle tetremura èla carcere diStato:è questoilCastello Sant’-Angelo;

ma

sappilo conmeraviglia, quel

monumento

era stato erettodaAdriano per accogliere le sue ossa.Stolto!eifu vanosin oltrelamorte.

Le magnifiche Colonne, le statue inhurne*-revoli,i bronzi preziosi che facevano di questo mausoleo l

1una delle meraviglie dell’universo, servirononeitempidimezzo, inmanode' varii partitiche occuparono

Roma

,d’armi difensive*

Da

quelle

mura

isoldatidi Belisario,diNarsete,di Cre-scenzio rovesciavanosugli assediatoliicapi d’opera dellagrecascultura; 1’effigiedei

Numi

e degli Eroiin

mano

a que’ bar-baridiventarono stromcntodi sterminio, ed infinite vittime

umane

bagnarono del loro sangue quel sepolcro fatto teatro d’atrociguerre.MiserandaItalia! perfino!

monumentidell’anticatua grandezza con-correrdoveanoallatuarovina!

LETTERA

IV.

La

Valled’Egeria.

Non

lunge da una delle apertureche perlo scoscendimento della vòlta aprono allalucediurna le profonde Catacombe,

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%

25 fuor di

Roma

duemiglia,sorgeun bosco folto ed annoso, checolla dolcefrescura invita al passeggio edai lieti pensieri. Il terreno ineguale ed erboso aggiunge leg-giadria alsito;eungentile rivolettoscotte limpidissimo a travetto i fioridi che si smaltailprato daisuoi perenniumori nu-drito. Ioseguitava ungiornoilcorsodelle sue acque susurranti,eriposava su quel ridente quadro la mente sbigottita dalle dense tenebre in cui per la spalancata boccadel sotterraneoilmiosguardo s*era perduto poc1anzi.

Un

antico delubro mi

si offrìalla vistasulla cimad’un colle,e lo circondavano inpittoresca guisa altis-sime quercie; rotonda n1era laforma, piccolala mole,senza marmi,o colonne:

annunziavaFestrema suasemplicità eh’esso Fopera certamentenon era di que1tempi incui Giugurta abbandonando

Roma

scia-mava

sdegnoso: u Città venale! già già u presso aperire se trovi un

comprato-tire

(»;

ma

bensì diquelliincuiCamillo strappavala spada all1iniqua bilancia di

Leti.R.N. 5

a6

premio, enoncoiroro delriscatto,

ma

colferroliberavala patria.

Una

cornice sull’alto formail soloornamento diquel tempietto; e quella cornice inghirlandatadi foltissime edere,altutto insieme l’a-spetto d’uncesto diverzura e di fiori.

Là,Erminia,il feroceAlfricano ritorse il

piede pertrovare lasua rovina nelle ca-puane pianure: grati iQuiriti dell’inspe-ratosalvamento dicarono quel tempioal Dio Redicolo,vocabolo derivante da redco9 che involgare suona ritornare,retrocedere

.

Così con semplici monumenti ricordava quel popolo valorosolegrandi cose.

Oltre quel delubro, venerabileagli oc-chi ditutti coloro chele virtùpatrie de-gliavi nostri diligentemente coltivano ed onorano, seguendoilcorso delruscello

,

mitrovai condottodove sorge.

Imma-ginatiunaspezie dicella ampiaemezzo caduta; suldinanzi cespugliodorosidi ca-prifoglio;sull’alto1’edere che s’ abbarbi-cano allerovine,eformanountettoverde e giocondo;sul fondo unastatua di

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V

jade coll*urna, tuttarosa dal tempo; a lìanco la fontanache sorge daterra, gor-gogliante e freschissima, la quale dopo aver formato nell1interno un trasparente laghetto,esce poi fuori,e si raccoglienel prato:nè manca aquesto luogo lamagia di ungran

nome

:è questa lafontana, la grottad’Egeria: egli èqui che

Numa

si ricovrava,e siccome responsi dellaNinfa quelle leggi dettava cheil suo popolo, dibellicoso e feroce,col salutare terrore de’

Numi

render dovennoin breve incivi-lito edumano.

Non

dubitasti tu mai, o Erminia, sesienostate lesole considera-zionipolitiche che conducessero il savio renelbosco appartato{

Non

tiparegli ve-risimile che ilseverolegislatore depones-se inquesto asilodipace lo scettro gre-ve ele pesanti curedel regno, per ri-posarsi nelle voluttuose braccia dilei che Egeria e sua deaegli appellavaì

Quel sito delizioso aveami riempita la

mente d1immaginiridenti

, quando a tur-barlecon funesta rimembranza,misi

pre-. 28

sentarono, nel ritornare verso lacittà ,

gl

1

immensiavanzi delletermediCaracallai di quell1empio che, trucidando l

1 inno-centefratelloinbraccio allamadre, pro-nunziò quelle memorabili parole, il cui energico ed eloquente laconismo io cer-cheròinutilmente di renderti:SitDivus,

dum

nonsitvivus.

Sia egli pur col-locato fraglidei

,purché nonsiatra i vi-venti!

Rientrato in

Roma

io

m

1avviavaacasa, quandovidialcunepersone accorrere alla chiesa dei santiNereoedAchilleo: spin-scmila curiosità a seguitarle.

L

1interno

deltempioera illuminatoda numerosi ce-rei,e inghirlandatodifiori;alcuni sacer-dotico1sacri arrediindosso stavano intorno all1aitarmaggiore, e dinanziaquestouna giovinettaelegantementeabbigliataeraritta inpiè.

La

sua fisonomia eramesta,

ma

di quella mestiziachesi comprimeinfondo al cuore: scolorateleguance,semiaperta la bocca, chinate le pupille, istupidita ella parevainquelmomento.

Le

si

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29 starono iparentia darleilbacio d’addio:

ella mostrava appena di raffigurarli.

Un

istante dopo il Vescovo che officiava preparòa compierelacerimonia: pronun-ziò leparole dell'abjuro, ch’ella con voce debole ripetè dopolui; poi pigliato un ampio velo nerole siavvicinò. Si scosse la giovinetta a quella vista, si fecer rossele sue gote, per la prima volta alzò le pupille; e volle il caso eh’ io fossivicino alparapetto,e chei suoi be-gliocchi, velati d’una lagrima, cheli

rendea piùbrillanti, nelrapido giro con chepercorserlachiesa,s’incontrassero an-checoi mici.Credilo, Erminia,sineh’ io vivonon dimenticherò maiquellosguardo.

Oh

quantiaffetti diversi parvemi eh’ egli esprimesse! Mi piombò sulcuore; el’i-* dea chequella erauna vittima sacrificata avili calcoli, eforse violentemente strap-pataai voti d’unamante riamato, m’in-vase, chemi sentii tentato d’interrom-pere il rito co’miei gridi, e di chieder pietà per 1’infelice.*

Ma

timido c

adolq-o

oo

scente ionon osai tanto;ilmio affanno ,

neiristante che il velo coprì per sem-pre il volto dellagiovinetta, fu violen-to, eh’ iom’appoggiaial mioprecettore pernon cadere a terra. Eis1avvide, al-Tinsolitopallore,ch’iostavaperisvenire:

m’addusse fuordellachiesa; Tana pura mi restituìinbreveleperduteforze,

ma

nonpotèrestituirmilaserenitàdell’anima, che per lungo tempoperdei.

LETTERA

V,

IlYelabro e ilColosseo.

Nel Velabro, oggiuna dellepiù abban-donateparti,ed un tempoilquartierepiù splendidodi

Roma

, sorgeano numerosie magnificimonumenti, di cui rimangono tuttodìnobili avanzi:lobagnail Tevere, lecui acque conservano ancora 1’aureo colore cantato da Orazio; sorgegli poco lunge dalla rivaTarco diGiano Quadri-fronte,intatto ancora, benchéi merliche

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3i necoronano ilfastigio indichino ch’ei fu teatro di militarifazioni.

La

pesante sua mole marmoreapotè resistere e all’urto degli arieti,edall'azione del tempo divo-ratore. Sbocca piùin nel fiumela

fa-mosaCloaca Massima, opera indestrutti-bile degliantichissimi re.Suquellesponde crebbe ilFico Ruminale,al cuipiè Ton-de del Tevere deposero ilpiccol cesto che racchiudeva i fati dell’ Italia e del mondo. Vi sialza pure iltempio di

Ve-sta.

Un

elegante peristilo rotondo di co-lonnecorinzielo circondava

;e benchégli interstizine sieno statimurati con barbaro divisamente, scorgcsi ancoralaleggiadria dellaforma. Quandoio visitai quel tem-pio,nellecui celle secrete e impenetrabili si custodivailfuoco sacro

, ionon aveva ancorapalpitatopermille affettidiversi allo scorgeresullepatrie scene rinnovata1’ an-ticatragedia

5io non aveaseguitatala Ve-staleinfelice alCirco, ov’ella aprì incauta

ilcuore allaprepotente passione; ionon a\caascoltatelesue querele nella

solitu-02

dinenotturna; nèaveadivisoil suo spa-vento alloscorger d’improvviso1’amante, poilagioiafatale a che s’abbandonava, cedendoalledolci epossenti paroledi lui;

ionon

m

1era sentito ancora gelar il san-gue almirarladarel’ultimo amplessoalle

compagne, escenderviva nellatomba.

Oh

comequel prodigio dell’artemiricondusse vivamente colla fantasiaa questo tempio di Vesta ch’io ti descrissi, e a quel

Campo

scellerato'su cuinon viè pianta che spanda un’ ombra benefica, non un fiorechespunti;

ma

lotappezzano chine a terrapoche erbeinaridite dal sol cocen-te, nè rinfrescatemaida zefiro,oda

ru-Dal Velabro io volsiun giornoilmio

solitario passeggio verso il Foroche gli stapresso; e ,dopoavererrato tra le innumerevoli rovine che lo ingombrano, entrainelColosseo,emiviriposaiseduto sulloscalino d’uno deglialtaridellaVia Crucis, lisol cadenteferiva lacima delle galleriecogli ultimi suoi raggi. Io

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33 derava,dall*arenaove scdea

,queiquattro ordini d1archi sovrapposti innalzarsi da unLato superbi, ed aprire dall’altro ai raggidella luna, chetacitas’alzava, una larga breccia,opera più de’Barbariche deltempo, percui ellacominciava a tin-gere dipallido argento levolte opposte.

Giàgliultimi crepuscoli stavanoper isva-nire: regnavanell1anfiteatroilsilenzio; lo rupperolepreci dell1eremitacheinquegli avanzihadimora, e che nella sua cella intuonava il Notturno. Tutto tacque di nuovo. Qual momento, Erminia,'per un’a-nima a cuinon son mutelegrandi, le nobilireminiscenze! Qualpace inquell1 a-renaintrisa di tanto sangue! Qual silen-zioin quell1aure da tanti lai percosse!

Qual solitudine in quelle gallerie, nelle quali, adagiatosumarmoreiscanni,il

pri-mo

popolodella terra pascendosi d1un atrocespettacolo perdonava a1suoi despoti le ferree catene con che l

1

avvinceano!

Qual tranquillitàin qpelrecinto, dove|e più torbide e ferocipassionicon urli

ec-/

34

cheggiantisi disfogavano! Glialtari della Via Crucis dove perivano i Martiri;

r

edere e i caprifogli dove splendea

T

oro elaporpora;un mucchio dirottami làdove sedeanoiCesari;ilcanto dell’e-remita doveruggivano lefiere: quali argomentidialtissimee severe meditazio-ni!..

E

quella Verginebella e feroce (i) chedall’altodella loggiaalveder caduto

ilgladiatore sottoi colpidelsuo antago-nista,non contentadirovesciareil pollice (segno checondannava ilvintoallamorte), gridava esser quellele^sue gioie, le sue delizie,qualfuria1’agitava{

E

que’ Ro-manidegeneri,percuierad’uopopascersi della vistadi tanta carneficina,ond’ esser lietie beati

,qualfrenesia limovea?

Oh umana

natura! tu paghi atroppo caro

(i)Etquoties vietorfcrrumjugulo in-sertiy illa

Delieiasaitesse suas

,pertusque jacentis Virgomodestajubet}con\>erso pollice,frangi.

Prudenzio.

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35 prezzo Eindefinitaperfettibilità diche t’a-ttorni

,coll1esseredel paripronta a inde-finitamente corromperlie pervertirti.

I

LETTERA

VI.

Nel documento LETTERE ROMA E NAPOLI. Db I.VOM (pagine 27-40)