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nemmeno le mie ossa ! -

Nel documento LETTERE ROMA E NAPOLI. Db I.VOM (pagine 144-153)

E

a

Roma

ingrata iliatosuorinfaccia;

E

parchelesdegnose ossa onorate

Fremano

amor dipatriae libertate.

Sorge una torre nella campagna di Lin-terno: è dessalatombadiLui che

mo-rendolunge da

Roma

in volontario esiglio fecetracciare per suo epitafioquelle

me-morabili parole:-Ingratapatria,nonhai

nemmeno

lemieossa!

-Quand’iolasciai questi lidi incantati ,

per ricondurmiaNapoli, dopolagioconda escursione che nelle mietrelettere

precc-i4o

denti ti ho descritta, sciamai colpoeta

clicinessami fu guida:

L’ onnipotenza di Natura inquesta Caraterrae fatai tuttarifulse;

Or

Fabbellìdiscreziata vesta,

E

suifruttiodorati ambrosiaemulse;

Or

copertadifocoe di tempesta Imonti scosse ele cittadiavulse;

Ma

,o cheavvampidisdegno, o cangitempre, Bidentee minacciosa è bellasempre.

Addio,locobeato... ah!nontisuoni Rugghio maipiùdiaccoltefiammeingrembo;

discendasul dorso agli aquiloni

A

devastarletue campagneil

nembo

:

Ma

di frescherugiade elettidoni Piova l1aurorain tedal roseolembo:

Pregnacosìdeglianimanti umori Emergi tuttainricche messi efiori.

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LETTERA XXIV.

141

La

morte diPliniol’Antico.

I grand’ uomini fannosacri agliocelli dei posteriiluoghi ove nacquero ed ove morirono; edio visitaicon un profondo sentimentodiammirazioneillido di Stallia, su cuiPliniospirò, echeal miosguardo nonoffrivachedegli stratidicenere e di lava inoltrantisi nelmare.

Le

circostanze che addusseroallamortequell*

uomo

adorno egualmente edi virtùe disapienza, sono troppo degned1eternamemoria perch1io non abbiaaricordartele.Plinio ilgiovane ne haintessutoil racconto in una bellis-simaletterascritta aTacitolo storico.

È

impossibiletrovareparolepiùpatetichecd espressivedelle sue: onde queste enon altre iopenso di qui appressotrascriverti.

Ti commovcrà ildolore diungiovaneche ha perdutoin

modo

crudeleil suo bener fattore,ilsuopadre adottivo; ecedendo farse all’impressionepotentedi toccanti

i!\i

affetti ,

e di sianimato racconto, crederai

elivivereconquegliillustri,edimenticherai

isecoli cheti dividono da loro.

«

Tu

mirichiedi, o Tacito, eh1io ti narrilamortedimio Zio, affinedi tra-mandarlaai posteri: grazie te nerendo, poichéalfine dellasua vita, se èda te celebrato, terràdietro Vimmortalità. Ben-chéilsoccombere insieme ad intere po-polazioni ecittà,vittima di cosìmemora»

bili avvenimenti, chiamarsi possa splen-didaericordcvol morte;benchéalui pro-mettano eterna famaleOpere che scrisse, e che rimarranno, puregliel’assicuranole tuestorie.

Ed

in vero, beati io chiamo coloro cui labontà degliDeiha conce-duto dioprare cose degned’esserescritte, odi scrivere cose degne

d

1essere lette; beatissimiquelli che tutti e due questi pregi riuniscono;nel cuinoveroe pe’ suoi librie pe1 tuoisaràlo Zio. Io imprendo pertantovolontieriquel racconto chetavrei pregato dirichiedermi, se già non ìflP 1*avessi doniaudato.

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« Èra Plinio aMiscno, c di presenza governava la(lotta. Ilventitréd’agosto, a un’orapomeridianacirca,miamadrelo av-visò dello apparire diunanubediformae di grandezzainusitata: egli, chesecondo il

suo costume, dopo d’essersi rimaso al-quanto alsole eaver bevuto dell’acqua fredda, si giacevac studiava, alzatosi, salì inluogo dacui sipotea molto bene osservare il fenomeno.

Una

nube (ed era incerto, a chida lungo guardava

, da

qualmontederivasse: conobbesipoiessere

il Vesuvio) s’alzava, la cui figura a niun altro albero potrebbesi meglio pa-ragonare ebe al pino: poiché, sp in-tasi inalto con una specie di lunghis-simo fusto, diffondevasi poi in alcuni rami, clicsvanivano col dilatarsi, perché, iocredo, quellematerie, da immediata forza innalzate, o da questa abbandonale, od anche dalproprio peso viytc, si di-sperdeano cadendo:essa quaera candida, scurae macchiata, secondoclic solle-vava cenere, o terra, Parveallo Zio

cru-m

ditissimo conveniente cosa lo avvicinarsi alportento,per meglio conoscerlo; ordina che si prepari unpalischermo,c

m

1imita adaccompagnarlo, ove 11voglia; risposi eli’iopreferivarimanermi* e studiare: e per caso egli ni uvea dato di che scri-vere. Escidi casa

,portando seco lesue tabelle. I marinaidi Retina, spaventati per lo imminente pericolo, poiché quel borgo soggiaceva al monte,v’aveva altro scampoche collenavi, supplicavamo a non esporsia tantorischio:quella pre-ghiera noi vinso;ed intrapreseconanimo coraggiosissimociòche1*amoredellescienze aveaglisuggerito. Adduce le quadriremi fuoridelporto; non solamentea quei di Retinaegli arreca soccorso,

ma

bensìa molti altriche1’amenitàdellavicina spiag-gia aveavi chiamati in gran numero; a que1luoghi eis'avvicina dondefuggela gente, e mettelaproradrittaalpericolo, talmente sciolto d1ognipaura,che

mano mano

cheandava scorgendo icaratteridel fenomeno,lidettava ed annotava. Giàla

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i4$

cenere cadeasulle navi, e collo avvici-narsifaceasi piùcaldà edensa; già pre-cipitavan dall’alto anche pomici e sassi neri, spezzati edabbruciati.

L

1onde su-bitanee elarovinaterribile dell'opposto lido tennerloun istanteinpensiero di ri-trocedere$

ma

subito dopo, al timoniere che lo consigliavaa ciò fare:- la Fortu-na (disse) aiuta gli ardimentosi; drizzati verso Pomponiano Questiei*aaStabia, elo divideva da luiPinteroseno, poiché quiviinternasiilmare,eviformaunabaia<

Ivi trovòPamico, il quale, benché non fosse vicinissimo ilpericolo,notabilmente però crescente ed accóstantesi, si affac-cendava a trasportare il tutto sulle na-vi,determinatoa fuggire, se cessava il

vento contrario, da cui lo Zio secon-4 dato, era rapidamente giunto. Abbrac-ciollo che tremava, gli fece animo; e' per iscemare colla propria tranquillitàil

suo timore, comanda d1esserecondottoal

bagno, silava, si coricae cena, ilare in

t * , ^

'

Lett.R.N. 13

i46

volto, o, ciò che sarebbe ancor piò mi-rabile,fingendo d1esserlo.

« Frattanto amplissimefiamme egrandi incendi riluceanoverso ilVesuvio inmolti luoghi, e illoro fulgore diradavale tene-bre notturne.Plinio,per diminuireil ter-rore degli astanti, affermava che quelle fiammederivavano dair abbruciamento dei borghi abbandonati edeserti, e acuisi era appiccato il fuoco nella trepidazione della fuga; pois1abbandonò al sonno, e dormì veramente: poiché ilsuo respiro, che perla pinguedinedelcorpo eragrave eromoroso, fuudito da coloro che l’os-servavanodal limitare.

Ma

ilcortile, per cui s’entravanellacamera, già talmentesi riempiva di cenere e dipomici,che se piùlunga fosse statala sua dimora nel letto, l’escita sarebbesi resa impossibilei fu destato,surse,e ritornò aPomponiano, ed aglialtri che vegliavano$ tenner con-siglio, se erapiù spediente rimanersinella casa, od uscire all

1

aperto: poiché per le violenti scosse di terremoto oscillavano

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itetti;,edagitate daliefondamentalemura,

si vedeano oraandare, edora venire; à cieloaperto poi temevasi lacaduta delle pomici,benché lievi espugnose:lomosse pertantolariunione di moltipericoli; ed appoluivalsela ragionea deterrà inarlo

,

appogli altriil timore;etutti siposerodei guancialisul capoa riparo delle cadenti materie. Già altroveeragiorno,edivireJ

gnava lanotte lapiù tenebrosa, che le innumerevoli faci dissipavano alquanto;

piacqued’ uscir sullido, e veder da vi-cino s’era navigabile il mare, che però continuava adessereturbato e contrario.

Ivi,giacendosi sovraun panno,più e più voltedomandòebevette dell’acqua fredda; un istante dopolefiamme e Fodor sul-fureo,che neerailprecursore, cacciò in fugagli altri, e lo scosse: appoggiatoa due servi sbalzò, e tostoricadde, siccome iocongetturo, oppressa esoffocatagli dalla spessa caligine la respirazione, che egli per natura aveasortita debole, angusta e frequente. .

*

i48

Tre giorni dopoquello chefu il suo ultimo,si ritrovòil corpointiero, illeso, ericopertodicenereco’suoipanniindosso:

n’ era 1’aspetto piuttosto{Tuonache

donne

che didefunto.

« FrattantoiomitrovavaaMiseno colla madre,;

ma

ciò nonappartiensi allastoria, nètualtroda

me

richiedesti chelamort£

delioZio;tennineròadunqueaggiugnendo che oio fui spettatore di quantotiscrissi,

•ociò cheudii,e che siccome veromi fu subitodoponarrato, tiriferii;tusceglierai ciòche meglio t’aggrada;altracosaèuna lettera,altra lastoria; è diversolo seri*

vere all’amico,e loscrivereallaposterità»

Sta sano »,

LETTERA XXV,

Nel documento LETTERE ROMA E NAPOLI. Db I.VOM (pagine 144-153)