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Limitazioni (quantitative) all’estensione degli effetti incapacitanti del provvedimento di amministrazione di sostegno ex art.

1. Oggetto dell’amministrazione, poteri dell’amministratore e limitazioni di capacità del beneficiario: una terza forma d

1.3. Limitazioni (quantitative) all’estensione degli effetti incapacitanti del provvedimento di amministrazione di sostegno ex art.

411 c.c.

Il carattere flessibile dell'amministrazione di sostegno ha determinato il sorgere di problematiche sconosciute agli istituti tradizionali, caratterizzati, di contro, da somma rigidità. Tra questi viene in considerazione l'interrogativo circa l'esistenza di un limite alla potenzialità protettiva dell'istituto, profilo del quale, come accennato, si è occupata anche la Corte costituzionale. La Consulta – con una sentenza invero sintetica e non del tutto appagante – sembra aver circoscritto la potenzialità applicative della misura a contrario rispetto a quella di interdizione e inabilitazione: l’amministrazione di sostegno deve essere applicata nei casi in cui le incapacità del soggetto siano circoscritte e dunque suscettibili di essere specificamente individuate; qualora invece vi sia

150ROMOLI, Le invalidità nell’amministrazione di sostegno, in PATTI (a cura di), L’amministrazione di

sostegno, cit. p. 134: «Nel caso in cui il beneficiario ponga in essere una donazione si sarebbe

dunque in presenza di un atto dallo stesso compiuto in violazione della norma di legge di cui all’art 774 c.c., con conseguente annullabilità dell’atto medesimo ai sensi del secondo comma dell’art. 412 c.c. ad un primo esame, quindi, la donazione compiuta dal beneficiario sembra l’unico caso di annullabilità per il compimento di un atto da parte del beneficiario in violazione di norme di legge».

151BONILINI, Le norma applicabili all’amministrazione di sostegno, in BONILINI, CHIZZINI,

la necessità di limitare la capacità di agire del soggetto in relazione agli di ordinaria e straordinaria amministrazione deve applicarsi l’inabilitazione. Se, infine, tale necessità abbia riguardo a qualsivoglia atto negoziale il giudice applicherà l’istituto dell’interdizione.

Sotteso alle affermazioni della Corte vi è, a parere di chi scrive, il convincimento che le misure di sostegno si distinguano tra loro proprio in ragione dell’estensione dell’oggetto e della portata degli effetti incapacitanti, cosicché, se si estendesse eccessivamente la sfera di operatività della nuova misura di protezione sarebbe inevitabile una (inammissibile) interpretatio

abrogans degli istituti tradizionali. Per la medesima ragione, la Corte prosegue

affermando che, pur potendo il giudice tutelare estendere al beneficiario determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, in nessun caso i poteri dell'amministratore possono coincidere integralmente con quelli del tutore o del curatore.

La prospettiva adottata dalla Consulta, tuttavia, dà adito a qualche perplessità, in quanto si fonda sull'assunto per il quale alla coincidenza dell'oggetto dell'amministrazione e dei poteri dell'amministratore conseguono corrispondenti limitazioni della capacità del soggetto.

È possibile, infatti, che l’estensione massima dell'oggetto dell’amministrazione e dei poteri dell’amministratore - eventualmente coincidenti con quelli di interdizione ed inabilitazione – possano non condurre all’assimilazione delle tre misure sul fronte degli effetti incapacitanti, prevedendo per taluni ambiti la capacità concorrente di rappresentante e beneficiario.

Rimandando ad altra sede l’analisi della problematica relativa al

discrimen tra interdizione, inabilitazione e amministrazione di sostegno, basti

per ora limitarsi ad osservare come la norma che consente di eguagliare l’amministrazione di sostegno alle altre misure di protezione è l’art. 411 c.c., il quale, a ben vedere, non incide sull’oggetto dell’amministrazione, bensì sull’estensione delle norme che definiscono il regime incapacitante dell’interdetto e dell’inabilitato, e che pertanto attengono non tanto alle sfere di attività dell'amministratore, quanto agli effetti della misura di sostegno sulla capacità di agire del beneficiario.

In sintesi, la questione concernente la sovrapposizione dell’oggetto delle misure di protezione si sposta sull’attiguo versante degli effetti incapacitanti (profilo peraltro da ultimo valorizzato anche dalla Corte di Cassazione152, sia pur ad altro riguardo).

E se è proprio sul piano della incidenza sulla capacità di agire del beneficiario che si manifesta il rischio della sostanziale coincidenza del provvedimento di amministrazione di sostegno con quelli di interdizione o inabilitazione, pare necessario verificare se il potere del giudice di espandere gli effetti incapacitanti dell'amministrazione di sostegno – estendendo anche norme previste dalla legge per l’interdetto e l’inabilitato (art. 411 c.c.) - debba trovare un limite, al fine di evitare l'interpretazione abrogratrice prospettata dalla Consulta.

La dottrina, invero, si è dedicata prevalentemente all’analisi della applicabilità di specifiche norme al beneficiario, non mostrandosi altrettanto sensibile alla questione, qui in discorso, della estensione massima di tali incapacità. Sembra tuttavia esservi accordo in dottrina sulla esclusione di una estensione “in blocco” delle disposizioni dettate dall’ordinamento con riferimento all’interdetto e all’inabilitato153; in tale ipotesi, infatti, si

realizzerebbe una sorta di “frode alla legge”, in quanto l’amministrazione di sostegno si sostanzierebbe in un provvedimento di interdizione o inabilitazione, con conseguente assorbimento delle fattispecie ascrivibili all’operatività di queste ultime nella sfera di applicazione della prima e abrogazione di fatto delle più restrittive misure, pur sopravissute alla riforma.

Condividendo una siffatta impostazione la Corte costituzionale154, nella

citata sentenza, ha ritenuto di trarre dal disposto dell'art. 411 c.c. un limite alla possibile estensione degli effetti incapacitanti dell'interdizione e dell'inabilitazione, intendendo l'aggettivo «determinati» ivi contenuto nel senso di alcuni, pochi, circoscritti.

L’autorevolezza della fonte di tali affermazioni induce a proporre con estrema cautela interpretazioni alternative. Tuttavia, sembrano opportune due osservazioni; la prima attinente al fatto che, come già osservato, la sentenza citata tratta unitariamente due aspetti che sarebbe più opportuno considerare distintamente, e cioè da un lato quello della estensione di effetti, limiti e decadenze al beneficiario, e dall’altro quello dei poteri dell’amministratore.

153BONILINI, Le norme applicabili all’amministrazione di sostegno, in BONILINI, CHIZZINI,

L’amministrazione di sostegno, cit., p. 246.

154Corte cost., 9 dicembre 2005, n. 440, in Familia, 2006, II, p. 361, con note di BALESTRA,

Sugli arcani confini tra amministrazione di sostegno e interdizione, e di LUPOI, Profili processuali del

rapporto tra l'amministrazione di sostegno e le altre misure di protezione dell'incapace; in Famiglia, Persona e Successioni, 2006, p. 134, con nota di PATTI, Amministrazione di sostegno: la sentenza della Corte

costituzionale; in Fam. e dir., 2006, p. 121, con nota di TOMMASEO, L'amministrazione di sostegno al

vaglio della Corte costituzionale; in Corriere giuridico, 2006, p. 775, con nota di BUGETTI, Ancora sul

Il secondo rilievo, invece, attiene più strettamente alla configurabilità di un limite quantitativo dell’estensione ed alla incidenza dell'art. 411 c.c. sulla risposta all’interrogativo.

Ad avviso chi scrive, infatti, la norma in esame non sancisce un limite

quantitativo agli effetti “incapacitanti”; essa, piuttosto, intende assicurare che tali

norme possano essere applicate a fronte di una specifica (e motivata) valutazione del giudice155. In altri termini, escluso qualsivoglia automatismo,

l’estensione di norme dettate per l’interdetto e l’inabilitato dovrà essere oggetto di espressa e puntuale previsione, in osservanza del noto principio informante l’amministrazione di sostegno per il quale non vi può essere limitazione di capacità se non espressamente disposta dal giudice tutelare.

Secondo questa prospettiva, dunque, l’art. 411 c.c. non risponde alla

ratio di attribuire al giudice tutelare il potere di estendere solo in certa misura,

quanto invece di vincolare tale potere alla preventiva valutazione della corrispondenza dell'assimilazione sotto taluni specifici profili il beneficiario all’interdetto o all’inabilitato ad una esigenza protettiva del soggetto. In sintesi, l'art. 411 c.c. non pone un limite quantitativo alla limitazione di capacità del beneficiario, bensì un vincolo procedurale ed operativo a salvaguardia della massima conservazione della capacità del soggetto sancito dall'art. 1 l. 6/2004. Conferma questa conclusione il fatto che il giudice deve assumere ogni decisione relativa all’estensione del soggetto di determinati effetti, limitazioni o decadenze con decreto motivato; la norma funge da controllo interno, consentendo di verificare che l’assimilazione in ordine ad uno specifico aspetto del beneficiario all'incapace sia funzionale ad una (altrettanto specifica) ragione di protezione.

Tornando dunque alla problematica del limite ultimo alla incidenza del provvedimento di amministrazione di sostegno sulla capacità del beneficiario, esclusa rilevanza sotto questo profilo alla norma contenuta nell’art. 411 c.c., occorre interrogarsi circa la presenza di altre norme che a tale funzione possano assolvere.

A parte quanto espressamente disposto dall’art. 409, coma 2, c.c., il quale conserva integra in ogni caso la capacità del soggetto in ordine al compimento degli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana, non è dato rinvenire alcun altro limite alla flessibilità dell’amministrazione di sostegno sotto il profilo della incidenza sulla capacità del beneficiario.

155Sul punto BONILINI, Le norme applicabili all’amministrazione di sostegno, in BONILINI, CHIZZINI, L'

amministrazione di sostegno, cit. e DOSSETTI, Norme applicabili all’amministrazione di sostegno, in

DOSSETTI, M. MORETTI, C. MORETTI, L’amministratore di sostegno e la nuova disciplina dell’interdizione

Il giudice può, cioè, limitare la capacità del beneficiario tanto quanto è necessario per soddisfare l'esigenza di protezione di quella singola persona, conformemente alla più estesa potenzialità applicativa dell’amministrazione di sostegno ed al principio di flessibilità che la informa, cui l’ampia discrezionalità conferita al giudice in ordine alla determinazione dell’oggetto dell’incarico fa da corollario.

A sostegno di quanto si afferma, muove la previsione dell’art. 414 c.c., il quale sancisce la residualità dell’interdizione, prevedendo che questa sia disposta solo se necessaria alla protezione del soggetto. Dalla lettura a contrario della norma può evincersi che, come l’interdizione è misura residuale e di

extrema ratio, da applicarsi in mancanza di altro e diverso strumento idoneo a

garantire adeguata tutela al soggetto debole, così l’amministrazione di sostegno incontra nella idoneità (rectius inidoneità) protettiva il limite ultimo della propria sfera di incidenza.

In sintesi, l’estensione degli effetti incapacitanti dell’amministrazione di sostegno incontra un limite necessario nel principio di massima conservazione della capacità in capo al beneficiario. L’incidenza dell’istituto sulla capacità del beneficiario, infatti, deve parametrarsi alle specifiche esigenze di sostituzione o di assistenza del soggetto debole, considerato che ogni limitazione trova la propria ragion d’essere nella funzione di tutela e protezione.

Dal che si conclude che, in presenza di una impossibilità totale e (tendenzialmente) permanente, il giudice tutelare potrebbe estendere l’oggetto dell’amministrazione, conferendo all’amministratore di sostegno rappresentanza esclusiva in relazione ad ogni atto di ordinaria e straordinaria amministrazione156, estendendo altresì specifici effetti, limitazioni o decadenze

previste per l’interdetto o l’inabilitato, secondo il disposto dell’art. 411 c.c. La validità della tesi proposta rimane, tuttavia, inscindibilmente legata ad un ulteriore interrogativo, se, cioè, sia necessario riconoscere all’amministrazione di sostegno una portata più limitata - e dunque una più circoscritta potenzialità protettiva - al fine di non determinarne la sovrapposizione con gli istituti tradizionali.

156In dottrina si ammette che il decreto faccia riferimento a determinate categorie di atti,

classificati mediante la loro corrispondenza ad un determinato assetto di interessi, o per idoneità a porsi come fonte d’una data vicenda giuridica, o ancora per il tipo di incidenza che hanno sul patrimonio (DELLE MONACHE, Prime note sulla figura dell’amministratore di sostegno: profili

di diritto sostanziale, cit., p. 33; BONILINI, Capacità del beneficiario e compiti dell’amministratore di

sostegno, in BONILINI, CHIZZINI, L'amministrazione di sostegno, cit., p. 185). Con specifico riguardo

alla categoria degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, la giurisprudenza è apparsa incline ad ammettere che l’oggetto dell’incarico venga definito mediante l’utilizzo di dette categorie generali (tra le altre Trib. Parma 2 aprile 2005, cit.; Trib. Roma 10 febbraio 2005, cit; Trib. Roma 24 gennaio 2005, cit.; Trib. Roma, 19 febbraio 2005, cit).

La questione può essere così sintetizzata: se la previsione di un limite all’oggetto dell’amministrazione ed agli effetti incapacitanti e protettivi sia necessaria ai fini della distinzione tra le diverse misure di protezione. E ancora, se è fondato il rischio che alla mancanza di una chiara delimitazione della potenzialità espansiva dell’amministrazione di sostegno, consegua una

interpretatio abrogans dei tradizionali (ma pur ancora vigenti) istituti tradizionali

di incapacitazione.

Rimandando alle più articolate argomentazioni che si svolgeranno in seguito, sia consentito anticipare che tali parametri non sembrano idonei a svolgere la funzione di delimitazione delle misure di protezione: questo in ragione della diversa concezione della protezione cui essa si ispira, e dei diversi obiettivi che persegue.

Di guisa che, anche laddove, in ipotesi, essi dovessero coincidere, non si determinerebbe la “integrale” coincidenza degli istituti.

2. Rilettura del rapporto tra rappresentanza legale e limiti di

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