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2.2. Le prefazioni

2.2.1. Lingua e pensiero

In alcune delle prefazioni, il rapporto tra pensiero e parola è semplicemente accennato: “La lingua italiana è l’espressione viva dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti; essa germogliò spontanea dal grande ceppo della lingua latina, perciò è detta neolatina”115; “Noi manifestiamo i nostri pensieri per mezzo del discorso e della

scrittura”;116 "l'uomo esprime i suoi pensieri e i suoi sentimenti parlando o scrivendo in

112 Non antepongono una prefazione ai loro testi gli autori di 1, 2, 9 e 10.

113 3: 5-6; 4: 2; 5: 3-4; 6: 3-4; 7: 5-6; 8: 3; 11: VII-IX; 12: I-II; 13: 11-15; 14: 5; 15: 5-7; 16: V-VIII; 17:

V-VII; 18: 5; 19: II; 20: 5-8; 21: 3-10; 22: 7-9; 23: 3-4.

114 "E la natura estetica, e perciò teoretica e non pratica, dell'espressione del linguaggio, dà il modo di

scorgere l'errore scientifico, ch'è nel concetto di una Grammatica (normativa), che stabilisca le regole del ben parlare [...]. E che cosa vorrebbe essere la grammatica (normativa) se non appunto una tecnica dell'espressione linguistica, ossia di un atto teoretico?" CROCE 1965: 161. Per le tesi crociane in àmbito linguistico si vedano PROIETTI (2010: 319-321), DE MAURO (2011: 330-332) e la bibliografia ivi indicata.

RENZI (2001: 19-20) e PATOTA (1993: 135) individuano nella stroncatura della grammatica da parte di Benedetto Croce una delle cause della stasi che caratterizzò la produzione grammaticale in Italia nella prima metà del Novecento.

115 3: 5. 116 8: 3.

38 una lingua che gli è nota: generalmente in quella della Nazione a cui egli appartiene".117

In altre, invece, l’idea viene sviluppata, tanto che all’associazione tra lingua e pensiero segue quella tra lingua corretta e pensiero corretto:

Il problema fondamentale dell’insegnamento linguistico in tutte le sue forme, in tutti i suoi aspetti è l’espressione corretta - parlata o scritta che sia - del pensiero. V’è di più: dalla correttezza dell’espressione, il pensiero trae elementi per il suo perfezionamento logico.118

Fino a tanto che si tratta di parlare, il tono della voce, i gesti, altri mezzi espressivi accessori vengono in soccorso al complesso rapporto di pensiero-parola: i ragazzi, fino a tanto che si tratta di parlare, si sentono perfettamente a loro agio. Quando si tratta di scrivere, tutti i mezzi accessori vengono meno; rari sono i ragazzi che non stentano in quest'opera di trasposizione del loro pensiero […]. L’errore di grammatica non è che una piccola parte di quello che ci fa sentire inadeguato il nostro scritto. La grammatica in senso stretto, il dizionario, fino a tanto che sanciscono regole ovvie e isolano errori, non vi danno che un aiuto parziale e sostanzialmente negativo per lo scopo, cui voi aspirate, di raggiungere ed identificare pensiero e espressione.119

All’assenza della facoltà del linguaggio corrisponderebbe, secondo alcuni degli autori, l’assenza del pensiero stesso:

I fanciulli, segnatamente nelle prime classi, hanno pochissime idee, e occorre dargliene molte, molte, alla loro portata e sia pur sommariamente: questo è il materiale della lingua con cui mano a mano impareranno a fabbricare. Spesso avviene - nota un filologo illustre - che certe idee non ci vengono perché ce ne manca il vocabolo, che è la sola veste con cui potrebbero venire.120

Il linguaggio è certamente uno dei più grandi doni fatti da Dio agli uomini […]. La parola appartiene solo agli esseri intelligenti, perché essa è la manifestazione

117 14: 5. 118 4: 2 119 13: 11-12. 120 6: 3.

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sensibile del pensiero, che la natura ha negato agli animali, ai vegetali e ai minerali. Quanto più il pensiero si perfeziona, tanto più perfetta ed efficace diventa la parola: per questo Socrate, invitato a dare il suo giudizio sull’intelligenza di un giovane a lui presentato gli ordinò, per prima cosa, di parlare. Dove c’è pensiero c’è anche parola; e viceversa l’assenza di parola (salvo nei casi patologici) rivela l’assenza del pensiero.121

Si inseriscono in questo filone anche Battaglia e Pernicone, che però vanno oltre la semplice associazione linguaggio-pensiero, problematizzando ulteriormente la questione. Infatti, pur individuando l'“intima esigenza” dello studio della grammatica nell’“intendere i modi dell'espressione e sentire quest'ultima come vivo tramite d'umanità e di pensiero”,122 gli autori muovono una critica alla filosofia che afferma

questo stesso principio, in quanto “la giusta reazione a una mentalità schematica e meccanica, che soleva considerare i fatti della lingua al di fuori dell’incessante moto creativo che li determina e sorregge, s’era risolta in un generico improduttivo disprezzo della grammatica con la conseguente negligenza del suo studio. L’affermazione teorica che al di sopra della grammatica e della struttura linguistica conta l’esperienza spirituale che vi si traduce […], suggerisce, forse senza deliberato proposito, la presunzione che nella libertà dell’espressione l’individuo debba sempre sentirsi sciolto da ogni obbligo grammaticale”.123 In risposta al generico disprezzo della grammatica, gli autori

affermano che “l’accettazione e l’osservanza della struttura grammaticale equivalgono al rispetto di noi stessi, con la fiducia di essere compresi e di comprendere […]. In questo senso la grammatica è una forma di educazione morale, d’interiore disciplina: forse meno consapevole, ma certo la più essenziale e duratura”,124 il che si ricollega a uno degli obiettivi del testo grammaticale tradizionale, quello etico-morale.125 Così la tradizione grammaticale trova, nella soluzione proposta dai due linguisti, una conciliazione con le nuove idee fonte degli atteggiamenti anti-grammaticali.

121 21: 4. La prima parte di questa affermazione corrisponde alla visione dantesca secondo cui “tra tutti gli

esseri viventi solo all’uomo fu dato di parlare, perché solo a lui fu necessario. Mentre non lo fu né per gli angeli né per gli animali inferiori, cui la parola sarebbe stata data inutilmente: cosa che la natura evita accuratamente di fare. Se in effetti si considera attentamente ciò che si fa quando si parla, si vedrà che di null’altro si tratta se non di comunicare al prossimo quanto la nostra mente ha pensato.” (Dve, I, II).

122 20: V. 123 Ibidem. 124 Ivi: VI.

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