Casona Moreno -
3. MATERIALI
PARTE DUE
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Questo strato vegetale, chiamato in spagnolo “estera de chuchió” (tappeto di chuchió) viene impiegato molto all’interno delle costruzioni di Santa Cruz, sia appunto come soffitto sia come struttura interna per tramezze, esso viene infine intonacato e pitturato; esso può anche essere lasciato a vista come semplice paratia verticale o come vero e proprio tappeto o stuoia per stendersi a riposare. È un materiale umile ed è molto utilizzato all’interno della città per la sua versatilità d’utilizzo, la facilità di realizzazione e la grande quantità locale dei materiali vegetali utilizzati.
Dalle fotografie scattate all’ esterno dell’ambiente 28 del corpo 2 si nota come nel soffitto, sotto alla struttura lignea, sia presente una rete metallica all’interno dell’intonaco per sorreggerlo vista l’assenza delle fibre vegetali in quel punto.
La pavimentazione dell’edificio varia secondo le funzioni che avevano gli ambienti. Alcuni spazi commerciali mantengono la ceramica originale, altri invece sono stati rimpiazzati con malta cementizia, come parte della pavimentazione del patio principale, o con piastrelle più moderne.
Sembra che la divisione dell’edificio nei due corpi sia sottolineata dal cambio di pavimentazione. Il pavimento del lato nord e quello ovest sino alla fine del corpo 1 è in malta cementizia e la parte di pavimentazione del prospetto ovest appartenente al corpo 2 è di piastrelle in laterizio.
Gli infissi sono prevalentemente in legno e vetro, alcuni presentano inoltre protezioni metalliche. Alcune aperture sulla strada sono costituite da saracinesche metalliche.
Le colonne esterne anticamente erano lignee, durante il periodo della repubblica vennero sostituite con mattoni speciali con andamento curvo e base quadrata, sempre in mattoni, e capitello dorico. I mattoni sono rivestiti da uno strato di fango e intonacati con calce.
Le colonne interne sono invece in legno verniciato con capitello intagliato dell’epoca coloniale. Queste colonne vengono chiamate “horcones” per il tipo di incastro con la trave, simile ad un forcone (in spagnolo “horca”).
In origine il muro era costituito da una struttura portante in legno e pareti in terra. Successivamente si svilupparono altre due fasi: mattoni di adobe rivestiti in fango e muratura laterizia. La muratura attuale presenta elementi di due fasi distinte di realizzazione. Nella prima fase, quella più antica e risalente all’epoca della costruzione dell’edificio, il muro era un muro in terra, in tabique o adobe, intonacato con malta di
Questo strato vegetale, chiamato in spagnolo “estera de chuchió” (tappeto di chuchió) viene impiegato molto all’interno delle costruzioni di Santa Cruz, sia appunto come soffitto sia come struttura interna per tramezze, esso viene infine intonacato e pitturato; esso può anche essere lasciato a vista come semplice paratia verticale o come vero e proprio tappeto o stuoia per stendersi a riposare. È un materiale umile ed è molto utilizzato all’interno della città per la sua versatilità d’utilizzo, la facilità di realizzazione e la grande quantità locale dei materiali vegetali utilizzati.
Dalle fotografie scattate all’ esterno dell’ambiente 28 del corpo 2 si nota come nel soffitto, sotto alla struttura lignea, sia presente una rete metallica all’interno dell’intonaco per sorreggerlo vista l’assenza delle fibre vegetali in quel punto.
La pavimentazione dell’edificio varia secondo le funzioni che avevano gli ambienti. Alcuni spazi commerciali mantengono la ceramica originale, altri invece sono stati rimpiazzati con malta cementizia, come parte della pavimentazione del patio principale, o con piastrelle più moderne.
Sembra che la divisione dell’edificio nei due corpi sia sottolineata dal cambio di pavimentazione. Il pavimento del lato nord e quello ovest sino alla fine del corpo 1 è in malta cementizia e la parte di pavimentazione del prospetto ovest appartenente al corpo 2 è di piastrelle in laterizio.
Gli infissi sono prevalentemente in legno e vetro, alcuni presentano inoltre protezioni metalliche. Alcune aperture sulla strada sono costituite da saracinesche metalliche.
Le colonne esterne anticamente erano lignee, durante il periodo della repubblica vennero sostituite con mattoni speciali con andamento curvo e base quadrata, sempre in mattoni, e capitello dorico. I mattoni sono rivestiti da uno strato di fango e intonacati con calce.
Le colonne interne sono invece in legno verniciato con capitello intagliato dell’epoca coloniale. Queste colonne vengono chiamate “horcones” per il tipo di incastro con la trave, simile ad un forcone (in spagnolo “horca”).
In origine il muro era costituito da una struttura portante in legno e pareti in terra. Successivamente si svilupparono altre due fasi: mattoni di adobe rivestiti in fango e muratura laterizia. La muratura attuale presenta elementi di due fasi distinte di realizzazione. Nella prima fase, quella più antica e risalente all’epoca della costruzione dell’edificio, il muro era un muro in terra, in tabique o adobe, intonacato con malta di
fango; una letteratura sul tema afferma che il muro di una casa, con caratteristiche simili a quella del caso-studio, di Santa Cruz originariamente era fatto in tabique e solo successivamente è stato rivestito in adobe. Non è quindi da escludere che anche in casona Moreno possa essere presente questa caratteristica nella struttura muraria.
Nella seconda fase, più recente, è impiegata una muratura in mattoni. La maggior parte della
muratura dell’edificio risale alla prima fase, con il muro in terra.
L’adobe si ottiene formando un impasto con argilla, sabbia, paglia e acqua, che viene sagomato con la forma del mattone e lasciato essiccare al sole.
Questa tipologia di mattone è utilizzata anche in Italia con lo stesso nome, di derivazione araba. Lo spessore dei muri varia tra i 15 e i 60 centimetri, in funzione della dimensione degli adobe e della tecnica impiegata.
Il tabique è una tecnica costruttiva muraria tipica della città. Per la costruzione del muro si iniziava disponendo delle canne verticali separate le une dalle altre di 20-30 centimetri inserite in uno strato interrato di cemento e pietre per sostenerle erette, il primo strato orizzontale era di 20-30 centimetri composto di fango, paglia e
letame di vacca essiccato al sole che si pensa dia una maggior solidità all’impasto, successivamente si disponevano canne orizzontali ogni 5 centimetri circa, legate a quelle verticali con fibre vegetali, per mantenere in posa il fango durante la sua essicazione.
Più canne si adoperavano più diminuivano i tempi di costruzione, ma la presenza di tante canne comportava una solidità del muro minore.
Lo strato finale di 10-15 centimetri era uguale a quello di base, senza le canne orizzontali, di pura miscela di fango, letame e paglia.
Il muro originario coloniale non disponeva di intonaco come strato finale di protezione dalla pioggia, anche per questo motivo erano presenti le gallerie o i cornicioni, in modo da proteggere il muro dalle infiltrazioni. Nei casi in cui non era presente questa forma di protezione i muri si deterioravano più rapidamente per le piogge.
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L’intonaco di calce aveva due funzioni, aiutare a mantenere l’integrità della muratura e aiutare a chiudere i buchi per evitare l’ingresso degli insetti all’interno del muro.
Alcune stanze in muratura di mattoni presentano archi ribassati con la struttura laterizia simile alle tecniche costruttive utilizzate nella Cattedrale e nella chiesa La Merced.
L’intonaco è il rivestimento che protegge i muri, esterni o interni, normalmente per quelli esterni viene utilizzata malta di calce e per i muri interni si utilizza malta di gesso. Generalmente questi intonaci hanno due strati: l’intonaco grosso, elaborato con fango e paglia e l’intonaco fino, composto da una malta fine di argilla e calce.
Durante il breve sopralluogo interno si sono potuti raccogliere alcuni campioni dei diversi materiali[4]. Sono stati raccolti tre frammenti di legno, il primo di una porta interna che si pensa possa risalire all’epoca coloniale, il secondo è stato estratto da una colonna del patio principale e il terzo campione è di una colonna del patio secondario. Il primo campione è stato prelevato dalla porta quadripartita interna e non da quella esterna perché è un campione distruttivo; visto che la porta interna era più mal conservata e meno visibile di quella esterna e che le similitudini tra le due erano molto congruenti si è optato per questa scelta. I campioni sulle colonne invece sono stati presi dove il materiale lo consentiva, visto che tutte le colonne interne in legno verniciato presentavano le stesse caratteristiche per forma e dimensione, si è pensato che fosse sufficiente prelevare un singolo campione random per ogni patio.
Il prelievo del materiale non è stato facile per la mancanza di attrezzatura adeguata.
È stato eseguito con intento conoscitivo per comprendere la sequenza di costruzione.
I campioni sono stati fatti visionare al professor Daniele Arobba, direttore del Museo Archeologico di Finalborgo, ma non è stato possibile trarne molte conclusioni. I campioni delle colonne sono troppo esigui per poter effettuare le adeguate analisi e con la visione al microscopio non è saltato nulla all’occhio; per quanto riguarda il campione della porta, con dimensioni maggiori rispetto agli altri, dall’analisi microscopica si è evidenziata la presenza di percorsi di insetti e di uova, c’è tutt’ora attività ed è molto compromesso; inoltre presenta più varietà di legno. Il professore non è riuscito a determinare altro senza ulteriori analisi che per mancanza di fondi e tempo non si sono effettuate, vista anche l’incertezza nella riuscita per la scarsità di materiale a disposizione.
Inoltre Arobba ha evidenziato anche la sua difficoltà nell’analizzare questo tipo di legno perché non specializzato nel settore della zona sudamericana e per la poca letteratura scientifica a riguardo. Inoltre il professore ha spiegato che i cicli vitali di crescita del legno sono diversi da quelli europei per la diversità del clima; i legni europei fermano la loro crescita nelle fasi invernali, ma nella zona subtropicale questo ovviamente non accade.
Sono inoltre stati raccolti campioni dell’intonaco, dei mattoni e della terra di rivestimento dell’adobe per poterne analizzare la composizione.
[4] Per vedere la pianta con la collocazione esatta dei campioni raccolti: Allegati pag. 131
Normalmente con l’analisi dei materiali, in particolar modo delle malte, si riesce a datare in maniera abbastanza accurata il campione e quindi la parte dell’immobile dalla quale è stata prelevata. La datazione è resa possibile dalla conoscenza del luogo di studio e dalla varia composizione del campione (in base ai componenti del campione, alla loro dimensione e ad altri dettagli si riesce ad attribuire un periodo storico confrontandolo con altri esempi simili di datazione certa). Nel caso di Casona Moreno, questo non è stato possibile perché il professor Ricci, geologo genovese al quale sono stati fatti analizzare i campioni, non ha a disposizione un campionario datato dei materiali impiegati in Bolivia. Si sono ugualmente potuti analizzare al microscopio i campioni dei materiali raccolti. Il mattone è realizzato in maniera comune, è stata riscontrata la presenza di paglia nell’impasto ed è stato confermato che si tratta di mattone cotto.
L’adobe è composto da limo argilloso molto fine, ordine di grandezza 0,3 millimetri e paglia che serve per tenerlo insieme.
Il campione d’intonaco invece è composto da calce come legante e come aggregato da quarzo, quest’ultimo è presente molto fine con dimensione massima 0,5 millimetri. Presenta poca sabbia e un rapporto clasti-matrice basso. L’intonaco è allisciato e la finitura ha uno spessore di 1,5 millimetri.
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