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Rilievo dell’immobile

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Academic year: 2023

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AGISTRALE A CICLO UNICO IN

A

RCHITETTURA

Marzo 2019

CASONA MORENO

Restauro di una casa tradizionale di Santa Cruz de la Sierra, Bolivia.

Candidato Sabrina Cavo

Relatrice Correlatrice

Daniela Pittaluga Cinthia Patricia Gimenez Arce

(Università Privata di Santa Cruz de la Sierra – UPSA)

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Restauro di una casa tradizionale di Santa Cruz de la Sierra,

Bolivia

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PARTE UNO – Santa Cruz de la Sierra

1. Prefazione ………... pag.

2. Introduzione ………... pag.

2.1 Santa Cruz de la Sierra ……… pag.

2.2 Casa coloniale con gallerie ………... pag.

2.3 Considerazioni generali ………. pag.

PARTE DUE – Casona Moreno

1. Contesto generale e ubicazione dell’edificio ... pag.

2. Rilievo dell’immobile ... pag.

2.1 Rilievo e restituzione digitale ... pag.

2.2 Campagna fotografica ... pag.

3. Materiali ... pag.

4. Stratigrafia ... pag.

5. Degrado ... pag.

6. Progetto di restauro ... pag.

6.1 Gli interventi di conservazione ... pag.

6.2 Gli interventi di valorizzazione ... pag.

7. Conclusioni ... pag.

PARTE TRE – Fonti e Allegati

1. Fonti bibliografiche e sitografia ... pag.

1.1 Bibliografia ... pag.

1.2 Sitografia ... pag.

2. Allegati ... pag.

2.1 Vocabolario ... pag.

2.2 Glossario ... pag.

3. Elaborati grafici ... pag.

4. Ringraziamenti ... pag.

9 11 12 16 24

33 39 41 43 57 62 65 70 70 73 76

79 79 80 82 132 132 133 149

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Santa Cruz de la Sierra -

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1. PREFAZIONE

Ho svolto l’ultimo semestre del mio corso di studi presso l’Università Privata di Santa Cruz de la Sierra (UPSA) in Bolivia, nell’ambito del Programma CINDA[1].

Quest’esperienza è stata molto costruttiva, ha rinnovato in me l’interesse per la materia permettendomi di vedere l’architettura con altri occhi, grazie soprattutto alla diversità di cultura e background tra le due nazioni.

Presso l’università estera ho frequentato tre corsi, uno dei quali denominato

“Preservación y Restauración” (Preservazione e Restauro). Vista la mia intenzione di elaborare la tesi di laurea sul restauro, ho chiesto alla docente responsabile del corso, professoressa Cinthia Patricia Gimenez Arce, quale potesse essere un edificio rilevante per questo fine.

La casa oggetto di studio è una costruzione tradizionale di Santa Cruz de la Sierra del periodo coloniale la quale risulta avere la certificazione come Immobile Patrimonio Storico Urbanistico (Certificación de Inmueble Patrimonio Histórico Urbanístico) con valore Tipologico.

Questa costruzione, nonostante sia tutelata dall’istituzione per il suo valore, ad oggi risulta in pessime condizioni di conservazione e in stato d’abbandono, in quanto lo stesso proprietario non ha interesse nel preservarla.

Durante lo studio dell’immobile sono emerse delle problematiche, dovute a due principali cause, una a priori e una riscontrata successivamente al mio rientro in Italia.

A priori, essendo la proprietà di un soggetto privato, non è stato possibile effettuare uno studio approfondito della parte interna dell’immobile, all’interno del quale ho avuto accesso una sola volta e per un lasso di tempo molto limitato.

Nonostante questo vincolo, grazie al sopralluogo ho potuto scattare foto e girare dei brevi filmati che potessero documentare e darmi un’idea della volumetria interna e della disposizione dei vari vani, senza tuttavia poter rilevare alcuna misura.

Ad oggi, il rilievo di una parte dell’immobile mi risulta parziale in quanto inaccessibile.

Una stima dei locali, delle dimensioni e delle volumetrie è tuttavia stata possibile dalla planimetria reperita presso il DICEPAHI[2], e al prospetto esterno.

[1] https://unige.it/usg/it/programma-cinda

[2] Direzione Centro Patrimonio Storico.

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PARTE UNO

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La causa a posteriori, forse scontata, è la lontananza dell’oggetto. Avendo avuto un tempo limitato per poter reperire informazioni in loco sia come documentazione cartacea sia sull’oggetto in sé, al mio rientro in Italia, il più grande ostacolo emerso è stato la lontananza fisica dall’oggetto.

Le problematiche sopra riportate però non mi hanno scoraggiato nel portare comunque avanti questo studio il quale sono convinta possa essere molto interessante visti la particolarità dell’oggetto e i vari confronti tra le diverse peculiarità architettoniche italiane e boliviane.

Vista la diversità culturale tra i due paesi, e ovviamente quella linguistica, all’interno della tesi saranno presenti alcuni termini specifici in lingua spagnola (scritti in corsivo) che sono, ad oggi, intraducibili in italiano poiché fanno parte del patrimonio culturale locale e della sua ricchezza linguistica. Questi termini potranno essere, per esempio, nomi di piante tropicali autoctone che non hanno una traduzione italiana se non il nome scientifico latino; nomi specifici di oggetti architettonici o di tecniche costruttive tipiche del luogo, le quali è stato necessario nominare vista l’esigenza di differenziare i vari oggetti e le varie modalità d’impiego.

Saranno tutti spiegati o nel testo o tramite note a pie di pagina e i più usati e specifici saranno raccolti in una sezione apposita della tesi.

Inoltre, durante il mio studio individuale di ricerca su vari testi in lingua spagnola e dall’esperienza svolta in loco, ho acquisito un vocabolario tecnico specifico che ho pensato possa essere interessante riportare nella tesi sotto forma di un piccolo glossario.

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2. INTRODUZIONE

La Bolivia è uno stato dell’America meridionale, situato nel centro del subcontinente, con una superficie di 1.098.581 km2. Confina a nord e ad est con il Brasile, a sud con l’Argentina e il Paraguay e ad ovest con il Perù ed il Cile.

Ufficialmente si parla di Stato Plurinazionale della Bolivia e conta 10.027.254 abitanti (dati censimento 2012). Nel censimento del 2001 dell’Istituto Nazionale di Statistica (INE), la popolazione indigena rappresentava circa il 49,95% della popolazione totale; percentuale che arriva al 73,20% se si considerano le sole zone rurali. Secondo il CIA World Factbook 2006, la popolazione boliviana è costituita dai seguenti gruppi etnici: quechua 30%, aymara 25%, meticci 30%, europei 15%.

La capitale legislativa è Sucre e quella governativa è La Paz; la città più grande e popolosa, dalla metà degli anni ’90, è invece Santa Cruz de la Sierra.

La Bolivia è divisa in 9 dipartimenti, ognuno dei quali si divide in province per un totale di 112 su tutto il territorio nazionale. A sua volta ogni provincia si divide in comuni, attualmente sono 348.

Questa parte del continente americano è abitata da 15.000-20.000 anni. Nelle regioni andine dell’attuale Bolivia fiorirono numerose culture di cui la più importante è la cultura Tiwanaku, che si sviluppò nella parte meridionale del Lago Titicaca tra il II secolo a.C. e il XIII secolo. Molto più recente è il dominio Inca, datato XV secolo.

Il più importante conflitto dell’Ottocento fu certamente la guerra del Pacifico (1879- 1884), in cui Bolivia e Perù si scontrarono con il Cile. La sconfitta nel conflitto e i successivi trattati di pace sottoscritti ed approvati dal governo boliviano, portarono alla cessione del litorale oceanico della Bolivia, che così perse il suo accesso al mare.

Tuttavia, nel 2010 lo Stato Boliviano ha stretto un accordo con il Perù, con il quale ha ottenuto per 99 anni l’uso del porto di Ilo al fine di ottenere uno sbocco sul mare.

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PARTE UNO

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La Bolivia provocò il primo conflitto moderno del continente americano, la guerra del Chaco contro il Paraguay (1932-1935). La disfatta di fronte al più debole Paraguay, portò alla perdita di parte del territorio del Chaco Boreal, nel sud-est del paese. Le cause della sconfitta furono da attribuire a gravi conflitti all’interno dell’esercito e la quasi totale estraneità del territorio del Chaco alla realtà nazionale boliviana.

2.1 SANTA CRUZ DE LA SIERRA

Santa Cruz de la Sierra, chiamata anche semplicemente Santa Cruz, è il capoluogo dell’omonimo dipartimento, il più esteso della Bolivia. Ed è situata ad est del paese sulle sponde del fiume Piraí.

Santa Cruz è conosciuta anche come la città degli anelli per la sua conformazione urbana. Secondo i dati del 2012 ha 2.114.248 abitanti.

La sua crescita demografica è tra quelle più rapide del Sud America e, negli ultimi anni, Santa Cruz è diventata la porta d’ ingresso della Bolivia sul mondo e sede di eventi internazionali come il Summit Iberoamericano e il Vertice del G77. La città è il nuovo centro economico del paese e, nonostante abbia ancora notevoli carenze infrastrutturali, gode di ampi settori con moderni servizi pubblici, di telecomunicazione, hotel e banche. Buona parte delle principali imprese straniere presenti in Bolivia hanno la loro sede nazionale a Santa Cruz.

La città fu fondata dal capitano Ñuflo de Chaves il 26 febbraio 1561 che la chiamò Santa Cruz de la Sierra in onore della sua città natale in Spagna.

L’insediamento originario della città era a circa 220 km ad est rispetto alla posizione attuale, qualche chilometro a sud dell’odierna San José de Chiquitos.

Nel 1592 dopo lotte con gli indigeni la città fu spostata alla posizione attuale sulle rive del fiume Piraí. Alcuni resti dell’iniziale insediamento possono essere visitati nella località di Santa Cruz la Vieja (Vecchia Santa Cruz) nei pressi di San José de Chiquitos, che a sua volta fu fondata nel 1692 come missione dei Gesuiti.

Santa Cruz è collegata tramite ferrovia con Argentina e Brasile, mentre solo dagli ultimi anni sono presenti strade costruite ed asfaltate che la collegano con le zone andine e con le città di Cochabamba e La Paz. La città ospita anche l’Aeroporto Internazionale Viru Viru, il principale della Bolivia.

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Il monumento più importante della città è la Cattedrale di San Lorenzo, fondata il 6 luglio 1605 e ricostruita totalmente alla fine del XIX secolo.

Di particolare interesse anche il giardino zoologico, costituito esclusivamente da fauna nazionale, e quello botanico. Negli ultimi anni è diventata sede di un festival biennale internazionale di teatro, di musica barocca e di cinema latinoamericano.

Una fiera campionaria internazionale viene organizzata ogni anno in coincidenza con la festa dipartimentale del 24 settembre.

Il clima è di tipo tropicale, con una temperatura media annuale di circa 21 °C.

Sebbene sia generalmente mite per tutto l’anno, venti invernali, detti “surazos”, possono soffiare occasionalmente dalla pampa Argentina, provocando rapidi cali di temperatura.

I mesi con maggiori precipitazioni sono quelli estivi di gennaio e febbraio con piogge che possono durare giorni interi, mentre durante la stagione invernale sono di minore intensità.

Essendo situata al di sotto dell’equatore, le stagioni sono invertite rispetto all’emisfero settentrionale.

Nel 1810 Santa Cruz de la Sierra aveva una popolazione di 10.000 abitanti, cent’anni più tardi 18.000 ab. (1910) il che riflette una crescita demografica lenta.

Molti storici descrivono che in quell’epoca in tutto l’oriente boliviano vivevano 100.000 persone (dipartimenti di Pando, Beni, Santa Cruz, nord di La Paz e parte di Cochabamba), e che solo nel dipartimento di Santa Cruz vivevano 65.000 persone.

Molti fattori come il boom del petrolio e la ricchezza agricola, tra gli altri, sono quelli che diedero origine alla grande esplosione demografica di Santa Cruz de la Sierra.

Santa Cruz de la Sierra è il principale centro commerciale, finanziario e industriale della Bolivia. La sua economia si distribuisce in vari ambiti come gastronomia, tessile, spettacolo, bancario, agroindustriale, turistico, automobilistico.

La città presenta l’indice di sviluppo umano più alto del paese.

La città di Santa Cruz accoglie un terzo dei turisti del paese ed offre un circuito di spazi artistici e culturali di differenti tematiche; dalla storia naturale, passando per l’arte sacra sino ad arrivare alla nuova arte contemporanea.

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PARTE UNO

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Evoluzione della popolazione di Santa Cruz de la Sierra dal 1810

Fonte: Istituto Nazionale di Statistica della Bolivia

Santa Cruz de la Sierra da 10.000 ab. nel 1810; 18.000 ab. nel 1910; passò ad avere 57.000 ab. nel 1955, 325.000 nel 1976, 697.000 nel 1992, 1.029.471 nel 2001 e secondo il Censimento del 2012 Santa Cruz de la Sierra conta 1.784.549 abitanti.

Nell’area metropolitana di Santa Cruz de la Sierra sono stimati 1.800.000 abitanti.

Il tessuto urbano a quadrati regolari fu tracciato dagli spagnoli nel 1595 e permane tutt’oggi intatto attorno alla piazza “24 de Septiembre” situata nel centro del

“casco viejo” (piazza principale o piazza d’armi). Degli edifici originali però non se ne è preservato nessuno. Nella periferia si formarono degli insediamenti indigeni con forma irregolare che modificarono, in maniera lenta e inesorabile, il tracciato urbano regolare iniziale. Questa forma d’occupazione indigena, ai margini della quadricola spagnola, è un fenomeno comune in tutta l’America Latina. In tal senso, il tracciato coloniale si deve intendere nelle sue due dimensioni: quella spagnola, regolare, e quella indigena, irregolare. La struttura urbana di Santa Cruz coloniale coincide con questa caratteristica duale anche se la sua precarietà, la povertà e la densità di vegetazione, la differenziava dalla maggior parte del sistema urbano ispanoamericano.

Il più antico documento grafico urbano conosciuto è il Piano della città di Santa Cruz, elaborato nel 1888 da Manuel Lascano sulla base del rilevamento topografico di König.

Questo documento fu analizzato da Gerrit Köster [1], sia a livello urbano che architettonico.

[1] Köster G., Santa Cruz de la Sierra. Desarrollo, estructura interna y funciones de una ciudad en los llanos tropicales, Cochabamba, Poligraf, 1983 .

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Il piano permette di riconoscere che la città occupava circa 170 isolati, con una densità edilizia decrescente a partire tra il terzo e il quinto isolato dalla piazza centrale.

Nel 1960 il Piano Techint propose un disegno urbano radiocentrico risaltando la circolazione veicolare che determinò un danneggiamento dell’immagine urbana.

Durante gli anni ’70 il centro storico venne alterato sostanzialmente, facendo scomparire la maggior parte delle tipiche gallerie lignee.

Allo stesso modo l’immagine del centro risultò seriamente danneggiata nella sua continuità, venne tagliato il tessuto urbano. Questa fase fu distruttiva per il “casco viejo”, perché questo piano non tenne in considerazione la centralità del centro storico.

Il centro città attuale è circondato da viali circolari chiamati “anelli” (anillos), dai quali nascono altri viali chiamati “radiali”, che si diramano in multiple direzioni.

La città è composta da 10 anelli concentrici, la cui distanza varia da 1 a 2 km, e 27 radiali che hanno origine nel primo anello ed attraversano tutta Santa Cruz.

Era previsto che per l’anno 2000 la città avrebbe contato su quattro anelli di circonvallazione, tuttavia data la rapida crescita demografica, molti quartieri periferici interessarono il tracciato degli anelli superiori al quarto. Inoltre per l’ubicazione del fiume Piraì è interrotta la loro continuità, per questo si trovano incompleti.

Nonostante abbia solo circa due milioni di abitanti, è particolarmente estesa per la quasi assenza di edifici a più piani (apparsi solo negli ultimi anni).

Da nord a sud misura più di 17 km e da est a ovest circa 15.

Questa linea temporale mostra come nonostante la città abbia quasi 500 anni dalla sua prima fondazione, sino agli inizi del novecento la conformazione iniziale sia rimasta invariata.

A partire dalla fine del XX secolo la città ha iniziato la sua crescita, arrivando negli ultimi 50 anni alla consolidazione come maggior centro urbano e cuore economico dell’oriente boliviano.

Fino al 1931 l’intera città si è sviluppata all’interno del primo anello di circonvallazione.

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PARTE UNO

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2.2 CASA COLONIALE CON GALLERIE

Durante i 265 anni d’occupazione spagnola, si svilupparono nell’oriente boliviano tre tipologie architettoniche: la capanna mestiza o pahuichi, l’unità abitativa compatta e l’unità abitativa con gallerie. Le ultime due sono abitazioni essenzialmente urbane, mentre la prima è basicamente rurale, anche se il suo uso urbano fu significativo durante i secoli coloniali e repubblicani.

La semplicità morfologica dell’immagine urbana coloniale, caratterizzata dalle tre tipologie nominate, è stata compromessa durante il più recente periodo repubblicano. Tuttavia, la maggior parte degli edifici della prima metà del XIX secolo è restata fedele alla tipologia lignea coloniale nel centro cittadino, e al volume compatto e al pahuichi nei quartieri.

H. Wilhelmy introdusse la casa coloniale nella letteratura in lingua tedesca con l’espressione “casa di tipo Santa Cruz”.

Si tratta di una casa disposta su un solo livello con due o tre patii interni consecutivi.

Una caratteristica peculiare è la leggera

inclinazione del tetto, così concepito al fine di attuare una più equilibrata ripartizione dei carichi, permettendo di ridurre il lavoro delle sottili colonne lignee esterne.

Si forma così al lato della strada una galleria, alla quale la casa deve il suo nome e che costeggia in forma chiusa tutto l’isolato. Questa galleria esterna continua ha notevoli vantaggi ambientali, come la protezione dal sole e dalla pioggia, che contribuiscono alla sua consolidazione come tipologia predominante, consentendo a questa tipologia di abitazione di definire l’immagine del centro cittadino per più di metà del XIX Secolo.

È incerto se questo tipo di casa esistesse già nell’epoca della fondazione di Santa Cruz. La fonte più antica a disposizione, fa rifermento solamente al materiale da costruzione e alla disposizione delle case.

1 Schema strutturale della capanna mestiza (Santa Cruz de la Sierra: arquitectura y urbanismo)

2 Unità abitativa compatta (Santa Cruz de la Sierra:

arquitectura y urbanismo)

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Il naturalista francese A. D’Orbigny, nei suoi scritti del 1830 fece per la prima volta riferimento alle gallerie esterne, le quali erano molto diffuse in quell’epoca.

Una testimonianza per affermare che la galleria sia apparsa all’inizio del XVIII Secolo, lo costituiscono le chiese parrocchiali delle riduzioni[2]gesuite, nell’oriente boliviano.

Assodato che le gallerie nelle costruzioni civili erano presenti quasi esclusivamente nei luoghi che si trovano dentro i confini delle riduzioni gesuite o nelle immediate vicinanze, non si può escludere una relazione diretta tra l’opera dei gesuiti e l’apparizione della casa con galleria.

Dopo l’espulsione dei gesuiti nel 1767, la casa con gallerie si è potuta sviluppare grazie alla manodopera indigena addestrata nelle riduzioni.

Tutte le parti portanti delle strutture erano di legno massello, e generalmente di legno cuchi[3]. La parte dei montanti che restava sotterrata non veniva lavorata e spesso manteneva ancora le radici dell’albero, tagliando solo quelle laterali.

Nella parte superiore, lavorato tramite un’ascia, il tronco veniva convertito in pilastro e i montanti delle gallerie esterne e interne erano decorati a mano con semplici intagli.

Il dislivello tra il marciapiede coperto dalla galleria e il manto stradale poteva variare da 0,50 cm a 1 m.

Le pareti somigliavano a quelle centroeuropee, ma per la carenza di pietre erano formate da uno scheletro di semplici stecche di legno o canne e un tessuto di rami. Questo veniva rivestito da una mistura di fango e paglia che fungeva da collante e riempimento il quale si seccava all’aria[4].

Inizialmente il tetto era ricoperto di foglie di palma motacú[5].

[2] Dall’etimologia del termine, queste “riduzioni” altro non sarebbero che un tentativo di “condurre” (dal latino reducti) gli indigeni verso il cristianesimo. (https://descubrirlahistoria.es/2014/11/las-reducciones- jesuitas-en-america/)

[3] Astronium urundeuva, legno originario della Bolivia e stati limitrofi, molto utilizzato nella costruzione grazie alla sua durezza e difficoltà a marcire. (http://especiesbolivianas.info/especie_ver.aspx?esp=40)

[4] Tabique. Per una descrizione completa vedi Capitolo 6 pag. 59

[5] Scheelea princeps, comunemente chiamata motacú, è una specie di palma che si trova nel bacino amazzonico, principalmente nei dipartimenti di Santa Cruz e Beni in Bolivia. Usata tradizionalmente per fare i tetti delle fattorie denominate pahuichis. (http://especiesbolivianas.info/especie_ver.aspx?esp=24)

3 Studio della colonna e capitello cruzegno (Santa Cruz de la Sierra: arquitectura y urbanismo)

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PARTE UNO

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Le foglie di palma venivano divise a metà, fatte seccare e sovrapposte una all’altra, partendo dalla linea del cornicione fino ad arrivare al colmo del tetto. Questa copertura era fissata con dei legacci alla trave.

Successivamente, siccome le foglie marcivano rapidamente e dovevano essere sostituite ogni due – tre anni, si iniziò ad utilizzare il tronco della palma caranday[6]. Veniva tagliato in pezzi da 2 a 2,50 m di lunghezza, diviso a metà e svuotato al fine di formare piccoli canali. I tronchi venivano successivamente collocati uno sull’altro seguendo il principio delle tegole vuote.

Tra il 1830 e il 1870, la casa cruzegna acquisisce pavimentazione in mattone e occasionalmente colonne di mattoni nelle gallerie esterne; gli scritti di A. D’Orbigny del 1830 testimoniano l’inizio dell’uso del mattone cotto.

La struttura interna della casa corrisponde in gran parte all’antico modello spagnolo. Attraverso un portone ed un atrio, che fungeva da ricovero per le carrozze, si poteva raggiungere il primo patio interno direttamente dalla strada. Il patio aveva forma quadrangolare e normalmente abbondava di piante.

Al centro vi si trovava una cisterna o una fonte, che assicurava la provvigione d’acqua; nelle case più semplici, i pozzi erano sostituiti con grandi anfore d’argilla poste negli angoli o ai lati del patio che servivano per raccogliere l’acqua piovana.

Tutto il patio era circondato da un portico, dal quale, tramite le porte e alcune finestre, si poteva vedere all’interno di ogni camera che delimitava il cortile.

Le stanze attorno al primo patio erano abitate dal proprietario della casa e dalla sua famiglia. Un corridoio conduceva al secondo patio.

In questa parte della casa, e specialmente nella zona del terzo patio, le finiture erano meno elaborate. Non erano presenti le stanze su tutti i lati del patio, come invece avveniva per il primo. Questa sezione della casa era destinata alla servitù.

La galleria esterna aveva una funzione sociale, non era solo un luogo di passaggio ma anche di stallo e di ricevimento pubblico e privato. La prosperità economica delle famiglie a Santa Cruz si notava in primo luogo nel portico esterno e nella facciata e non nell’interno della casa.

Risulta caratteristica la moltitudine di porte che permettevano l’ingresso dalla galleria esterna ad ognuna delle stanze situate nella parte frontale.

Normalmente le porte erano di legno ed erano divise in quattro parti, chiudendo le due ante inferiori, ci si poteva difendere dall’ingresso degli animali, senza però impedire

[6] Trithrinax campestris, nativa dell’Uruguay e del nordest argentino, ha le foglie più dure tra tutte le palme.

(https://www.ecured.cu/Palma_Caranday)

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la comunicazione tra la parte interna e quella esterna. Siccome le finestre erano in numero molto ridotto, le porte erano le uniche vie per areare gli ambienti interni.

Nel 1869, un’ordinanza obbliga i proprietari degli immobili a prendersi cura delle proprie gallerie, illuminandole con lanterne e pulendo i marciapiedi due volte alla settimana. In questo modo il popolo manteneva le stesse caratteristiche urbane del tempo coloniale, sopperendo all’inesistenza dei servizi basici urbani e all’inerzia municipale.

All’inizio del XIX Secolo si iniziarono a fabbricare le tegole cotte, che andarono a sostituire le coperture composte da tronchi di palma: sopra le travette, si assicurava una fila di canne saldamente annodate tra loro, si ricoprivano da uno strato di fango, dentro il quale si fissavano le tegole vuote.

Successivamente cominciò la fabbricazione dei mattoni, i quali non venivano utilizzati per la costruzione delle pareti, per le quali si continuava a utilizzare il più economico adobe, bensì per la posa dei pavimenti del portico e delle stanze.

Durante il periodo della gomma, tra la metà del XIX Secolo e l’inizio del XX, le colonne esterne venivano costruite con mattoni semicircolari; le finestre e le porte erano molto alte ed erano ornate da cornici con finiture classiche prive di funzione statica.

Nel 1916, mediante un’ordinanza si proibì la costruzione dei portici e dei parapetti. I motivi che originarono questa misura non emersero dal testo della legge, ma sicuramente, in seguito alla crescente attività nella città durante l’era della gomma, sorsero delle difficoltà nel traffico veicolare, che probabilmente si pensava di risolvere con la proibizione dei portici.

Nel 1974, nel centro della città, all’interno del primo anello, il 15% delle pareti delle case era ancora in tabique[7]. Occasionalmente, come dimostrazione di prosperità, si sostituivano le colonne di legno delle gallerie con colonne di pietra, che per regola generale avevano una finitura levigata.

Le case con galleria dallo stile architettonico originale con colonne lignee, oggi si trovano principalmente nelle zone periferiche del centro coloniale della città. Ad est e sud-est la tipica casa coloniale cede il posto alla sua evoluzione, dove la colonna di mattoni rimpiazza quella di legno. Nella zona più centrale, si trova un’area dove lo stile architettonico di questa tipologia di casa porta il segno della epoca della gomma, caratterizzato da colonne e archi, coronati da parapetti.

[7] Tabique. Per una descrizione completa vedi Capitolo 6 pag. 59

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PARTE UNO

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Una volta affermata una continuità nello stile costruttivo, la casa con gallerie trasforma l’immagine urbana sino ad allora precaria ed urbanisticamente poco consolidata. La galleria esterna continua, come spazio di transito né pubblico né privato, favorisce una nuova destinazione d’uso delle strade. L’architettura delle gallerie lignee inizia a caratterizzare la città del tardo periodo repubblicano.

La galleria esterna permise alla popolazione cittadina di crescere come comunità in contatto permanente, facilitando la vita pubblica. La bassa densità edilizia e l’esistenza di altre due tipologie architettoniche, non facilitano la continuità delle gallerie nelle strade.

In tale contesto lo spazio della galleria esterna, complementare alla galleria interna, si costituisce in una dei riferimenti simbolici più solidi del contesto culturale di Santa Cruz.

Le difficoltà dei primi 10 anni della repubblica si traducono in un’assoluta assenza di nuove edificazioni in tutto il paese, fino alla seconda metà del XIX secolo, in cui il linguaggio neoclassico si incorpora definitivamente nell’immagine urbana cruzegna.

L’uso sempre più popolare del mattone e della calce come materiali da costruzione, implicò il rimpiazzo del legno strutturale.

Alla fine del XIX secolo, le travi di legno furono rimpiazzate da archi ribassati e a tutto sesto, costruiti in mattoni disposti a coltello; lo stile ligneo delle colonne interne e delle gallerie era diventato parte del passato e il muro portante di mattoni allettato con calce si convertì nel sistema dominante.

Il processo di rimpiazzo tecnologico e formale che comportò lo stile neoclassico nei contesti residenziali, si sviluppò lentamente.

Inizialmente, ci si limitò a rimpiazzare le colonne lignee con pilastri in mattoni eretti a colonna sulla falsa riga dello stile toscano, conservando l’intercolumnio con travi in legno. Con il tempo, l’applicazione delle arcate sopra i colonnati implicò la riduzione sostanziale del intercolumnio e con esso la trasparenza del corridoio tradizionale fu gravemente compromessa.

Questa modifica, apparentemente secondaria, in realtà provocò un’importante alterazione del senso di questo spazio di transizione, il quale perse trasparenza, limitando significativamente le possibilità di contatto visivo tra le case da un lato all’altro della strada.

Non è stato possibile sapere quale fu la prima abitazione cruzegna ad adottare lo stile neoclassico. L’ipotesi più plausibile è che durante gli anni sessanta i primi

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casi, ispirati dalle tecniche costruttive europee utilizzate per la costruzione della Cattedrale e della chiesa di San Francesco, si limitarono alla sostituzione delle colonne.

In generale, non ci furono modificazioni nella pianta della casa cruzegna. La distribuzione degli ambienti si mantenne inalterata, così come le dimensioni delle stanze e le loro connessioni interne. Curiosamente, si mantenne intatto anche il sistema della copertura, preservando il disegno delle capriate lignee coloniali, costituita da parti a sezione quadrata, dove si appoggiavano le travi di rinforzo e il colmo, sopra le quali si adagiavano le travi del tetto.

Le porte e le finestre aumentarono di dimensione e fu inserito il vetro.

La galleria, corridoio o portico ha rappresentato una svolta tecnologica e morfologica significativa nella cultura materiale degli abitanti di Santa Cruz. È rilevante il fatto che Viedma non menzionò nella sua relazione dettagliata della fine del XVIII Secolo i corridoi esterni coperti o gallerie. Quest’omissione non è casuale; di fatto permette di riconoscere che i portici coperti si svilupparono in data posteriore all’espulsione dei gesuiti.È possibile che l’uso della galleria si sia diffuso inizialmente nelle abitazioni principali degli insediamenti rurali. Tre ragioni permettono questa deduzione: prima, nella zona rurale si sviluppava la principale attività economica e per questo, risulterebbe consequenziale che i principali sforzi costruttivi venissero realizzati in quell’ambito.

Seconda, durante la colonia e fino al tardo periodo repubblicano, il proprietario terriero e la sua famiglia vivevano nella campagna. Infine, è nella campagna che la galleria esterna risulta più utile per affrontare gli effetti dannosi del clima tropicale.

Oltre ai molti probabili esempi rurali del XVIII Secolo, l’inserimento della galleria come tipologia urbana fu sostenuto da due esempi: la nuova cattedrale e il nuovo seminario, entrambi costruiti nell’ultimo quarto di secolo.

L’uso massivo dei corridoi esterni fu la continuazione della strada stessa, generando isolati peripteri. La densità fisica della città, così come il potenziamento dell’economia delle famiglie patrizie e la possibilità di fare affidamento sulla manodopera indigena già sperimentata, contribuì a che questo modello di abitazione rimpiazzasse quelli anteriori nella zona centrale della città.

Gli intenti per sistematizzare queste esperienze sono limitati dalla carenza di documentazione storica, dalle modifiche fisiche prodotte dai successivi ampliamenti e suddivisioni dei lotti, e dalla persistenza della tipologia nel tempo.

Questa tipologia di origine coloniale presenta attualmente molti più esempi repubblicani che coloniali.

Le prime gallerie si dovettero costruire con grossi pilastri lignei sopportando il prolungamento dei cornicioni con appoggi a semplice incastro. Con il tempo, l’unione

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della colonna con la trave si formalizzò con un incastro tipo

“horca” (forcone), che diede origine al vocabolo “horcón” (vedi foto a lato).

I capitelli più antichi presentano una morfologia vegetale esuberante, molto comune nel tardo barocco. Le sue forme ricordano fiori o palme e i più classici si avvicinano alle volute ioniche.

I capitelli lignei di fine XIX Secolo, i più comuni nella città, sono meno elaborati e coincidono pienamente con i disegni anglosassoni del periodo vittoriano. Considerando le alternative

coloniali barocche e quelle repubblicane neoclassiche, i capitelli cruzegni presentano circa 30 alternative[8]. I colori più comuni sono le tonalità scure e ocra del rosso, blu e verde, ma si trovano anche esempi azzurri, bianchi, rossi e verdi chiaro. I toni marroni e neri sono contemporanei così come la verniciatura.

Le prime colonne erano semplici grossi tronchi, passando successivamente ad avere una sezione quadrata. Generalmente le colonne e i capitelli di legno della città venivano intarsiati con dettagli fioriti e pitturati con colori ottenuti con resine naturali, ciò fu determinato dall’influenza barocca gesuita.

Il disegno delle colonne era articolato con quelle dei capitelli, formando un insieme morfologicamente omogeneo. L’influenza neoclassica e vittoriana ne semplificò l’elaborato disegno originale.

Nella città le colonne lignee si inserivano a partire dalla linea dove si costruivano i volumi compatti, in una dimostrazione chiara che la galleria o corridoio era inizialmente concepita come parte costituente della casa, come parte del lotto. L’uso sociale della stessa, che divenne tradizionale una volta che le gallerie guadagnarono continuità una con l’altra, permise di consolidare il carattere pubblico di questo complesso.

I vani coloniali cruzegni presentano caratteri simili al resto dell’America Latina, salvo nel caso delle porte, dove è possibile riconoscere una risposta locale notevolmente versatile.

La porta a quattro ante praticabili, ne permetteva l’uso come finestra alternativa, e facilitava il controllo degli ingressi. Proteggeva l’intimità ed evitava l’ingresso della polvere della strada. Si potrebbe considerare come una sorta di porta finestra. Le porte a due ante a taglio orizzontale erano utilizzate per le case popolari o quando la larghezza della stanza non permetteva la soluzione quadripartita.

Le porte a due ante praticabili verticalmente sono anch’esse comuni nella casa patrizia.

[8] Vedi capitolo Allegati pag. 82

4 Horcones

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Ogni anta praticabile era costituita da una struttura a pannelli, che permetteva eventualmente l’apertura di uno spioncino. Tutte le porte coloniali cruzegne avevano una soglia lignea con le parti necessarie per permettere una chiusura ermetica delle ante inferiori tramite maniglie.

Le balaustre delle finestre rispondono a un disegno barocco molto comune in tutta l’America Latina, e potevano avere da una a tre file sovrapposte. Le finestre con balaustre assicuravano una schermatura appropriata alla forte luce del tropico e allo stesso tempo proteggevano con discrezione l’intimità e la sicurezza dell’interno.

Dato lo spessore dei muri di tabique o adobe, gli stipiti generalmente si tagliavano negli angoli per permettere l’apertura delle ante.

I patii rendevano possibile tanto la ventilazione quanto l’illuminazione delle stanze interne. Se la dimensione del terreno lo permetteva, queste case avevano annesso più di un patio. Il primo era generalmente destinato alla famiglia proprietaria e vedeva nel centro il pozzo. Normalmente, questo patio aveva forma regolare e i quattro lati avevano corridoi coperti. Nel secondo o nel terzo patio si trovava la cucina, il forno, il deposito, la stalla, le stanze della servitù e la latrina. Solo il primo patio era pavimentato con mattoni.

“El canchón” che coincideva con il secondo o terzo patio era costituito da un terreno con alcuni alberi da frutto e la latrina della servitù.

L’ingresso principale si realizzava attraverso il vestibolo che poteva avere la dimensione di una stanza media. Per questo spazio poteva transitare da un uomo a cavallo, sino a un carretto.

Le stanze principali erano costituite da: il negozio (quando presente), il salotto dove vi erano i mobili più pregiati, la camera da letto matrimoniale dei proprietari e le camere dei figli. Tutte le stanze davano sull’esterno, sulla strada o sui patii interni. Allo stesso modo le stanze principali erano interconnesse con porte interne. Le dimensioni delle stanze di queste case sono

notevolmente superiori a quelle delle due tipologie anteriori.

Le stanze principali potevano misurare tra i quaranta e i sessanta metri quadrati con un’altezza di quattro metri e mezzo.

5 Studio delle sei possibili aperture

6 Casa con galleria: sistema costruttivo (Limpias Ortiz, 1989)

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PARTE UNO

24

Il volume d’aria dei locali assicurava una temperatura media inferiore alle temperature tropicali esterne, per contro avevano un tasso d’umidità maggiore.

La casa era formata da una struttura lignea autoportante, le pareti divisorie, nelle case di minor dimensione erano composte da tabique e di adobe in quelle più grandi. Alla fine del XVIII Secolo diventò comune il pavimento di mattoni e si iniziò a sostituire i tetti di tronco di palma con tegole in terracotta.

L’approvvigionamento d’acqua era responsabilità di ogni famiglia, le case avevano quindi canali fatti di tronco di palma che raccoglievano l’acqua piovana e le depositavano in grandi anfore, in contenitori di terracotta o nelle cisterne sotterranee del pozzo.

Gli edifici religiosi e civili più importanti costruiti nel periodo coloniale, rispondono a questa tipologia dominata dall’espressione “la tecnologia del legno”. Tutti questi furono demoliti e rimpiazzati da nuove costruzioni tanto nel secolo passato, quanto nell’ultimo.

La persistenza della tipologia lignea con corridoi esterni durante i primi decenni della repubblica, si deve intendere come una continuità parallela a quella che avviene con gli aspetti strutturali della società cruzegna, la quale praticamente non ha subito modifiche significative sino alla seconda metà del XIX Secolo.

2.3 CONSIDERAZIONI GENERALI

Visto il rapporto di confronto tra l’Italia e la Bolivia è bene evidenziare come viene strutturato e considerato il restauro nei due paesi. Per quanto riguarda la parte italiana è una sintesi brevissima, per ciò che concerne lo stato sudamericano invece è più dettagliato, per quanto possibile, visto che è meno nota la posizione boliviana nei confronti di questa materia.

Una premessa importante è sottolineare il fatto che la città di Santa Cruz, come tutte le città dei paesi sudamericani, si è sviluppata solamente negli ultimi 450 anni circa. La storia di queste popolazioni si basa sui ritrovamenti fossili e non, che vanno dall’era paleozoica all’era cenozoica e sulle civiltà precolombiane. Non hanno una storia antica e testimoniata con testi, edifici e monumenti come invece ha l’Italia, uno fra i paesi storici per eccellenza.

Nel nuovo continente gli studi dell’archeologia e della paleontologia sono sicuramente più evoluti e collaudati rispetto al restauro.

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Gli edifici più antichi presenti tutt’oggi a Santa Cruz risalgono massimo agli inizi dell’800, motivo per cui solo ora si inizia a parlare di restauro come disciplina professionale.

Italia.

Fin dagli stati preunitari sul territorio erano presenti differenti organi di tutela del patrimonio culturale, ma è dopo l’Unità d’Italia che nacque un’organizzazione capillare delle risorse. Nel 1875 venne istituita presso il Ministero della Pubblica Istruzione la «Direzione centrale degli scavi e dei musei del Regno», denominata, nel 1881, “Direzione generale per le antichità e belle arti”.

Dal 1907 furono istituite le soprintendenze territoriali, dipendenti dal Ministero della pubblica istruzione. Nel 1923 vennero costituite le “soprintendenze dell’arte medioevale e moderna”. Nel 1939 vengono promulgate le fondamentali leggi di protezione dei beni culturali e paesaggistici. Fino al 1974 le competenze rimasero divise tra vari ministeri e la Presidenza del Consiglio dei ministri, mentre a partire da quell’anno[9] passarono al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, con il compito di affidare, unitariamente alla specifica competenza di un Ministero appositamente costituito, la gestione del patrimonio culturale e dell’ambiente al fine di assicurare l’organica tutela di interesse di estrema rilevanza sul piano interno e nazionale.

Ministero da cui le soprintendenze a tutt’oggi dipendono questi uffici territoriali che, distinti per competenza, sono rispettivamente retti dai Soprintendenti.

Molte delle competenze delle soprintendenze sono definite dal “Codice dei beni culturali e del paesaggio”[10] con compiti in ambito territoriale in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici.

Generalmente questi organi si occupano di tutela dei beni culturali su base regionale;

sono dirette da un soprintendente, coadiuvato da un ufficio.

Le attività delle soprintendenze si esplicano nell’individuazione dei beni, con indagine conoscitiva e successivo iter vincolistico sui singoli beni, nonché nella protezione dei beni, ovvero controllo attraverso specifici permessi sui lavori di restauro, sui trasferimenti, le esportazioni e sui progetti di interesse paesaggistico.

Nel caso ligure, la Soprintendenza è stata costituita in base al DM 44 del 23/01/2016 e risulta dall’accorpamento della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio della Liguria e Soprintendenza Archeologia della Liguria.

[9] D.L. n. 657 del 14/12/1974 convertito in L. 5 del 29/01/1975.

[10] Decreto Legislativo 22 Gennaio 2004 numero 42.

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PARTE UNO

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Bolivia.

Nel 1970 si fondò la sottosegretaria di Cultura dentro il Viceministero di Cultura del Ministro dell’Educazione. Nel 1975 si creò l’Istituto Boliviano di Cultura (IBC) dipendente dal Ministero dell’Educazione e cultura. L’IBC arrivò ad essere la principale entità incaricata delle attività culturali del paese, ospitando al suo interno atre istituzioni come l’istituto nazionale di archeologia, d’antropologia, l’istituto nazionale di patrimonio artistico e arti visuali (INPAAV), ecc. Il centro di restauro e catalogazione passò dal dipendere dal Museo Nazionale di Arte a dipendere dal INPAAV.

Ad esso dipende anche il centro di conservazione dei beni immobili.

Nel 1994 venne stabilita una nuova struttura istituzionale nella quale l’Istituto boliviano di cultura fu rimpiazzato dalla segreteria nazionale della cultura, creata con il Decreto Supremo n. 23786. Il centro di restauro passò ad essere l’Unità di Restauro e Conservazione della sottosegreteria del Patrimonio Culturale, unito all’Unità di Catalogazione e Architettura, dipendenti dalla Direzione Nazionale del Patrimonio Monumentale e Artistico.

Nel 2009 il viceministero di Sviluppo della Cultura divenne Ministero della Cultura[11], che posteriormente incorporò l’area del turismo, diventando così Ministero della Cultura e Turismo. La Direzione Generale del Patrimonio, unita alle unità di monumenti, siti e beni culturali, l’unità del patrimonio immateriale e l’unità di archeologia e musei si mantengono dentro questa struttura.

A livello universitario non si ha offerte di programmi di laurea in nessun’area relazionata con la preservazione del patrimonio. Le uniche eccezioni che è possibile svolgere sono le lauree in Archeologia, Arte e Architettura[12].

Nel 2014 è stata redatta la Legge del Patrimonio Culturale Boliviano[13]

all’interno del quale vengono fornite le disposizioni e gli aspetti generali descrivendo i principi regolatori del patrimonio culturale, e fornendo le definizioni dei vari tipi di patrimonio e delle parole chiave come restauro, salvaguardia, preservazione, conservazione ecc.

Il Centro Nazionale di Conservazione e Restauro di Beni Immobili (Cenacore-Bi) dipende dall’Unità Nazionale del Patrimonio Artistico e Monumentale, dalla Direzione Generale del Patrimonio Culturale del Viceministero della Cultura; ha come obbiettivo conservare e preservare il patrimonio storico urbano e architettonico nel territorio boliviano.

[11] D.S. 29894, febbraio 2009.

[12] Dati del 2016.

[13] Legge del 23 maggio 2014 n. 530.

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Per questo si adopera per diagnosticare lo stato di conservazione del patrimonio boliviano; assiste, supervisiona, norma e disciplina l’intervento su edifici e siti storici; elabora studi di conservazione e restauro degli edifici storici.

Redige inoltre l’inventario e la catalogazione dei monumenti nazionali e siti storici.

Coordina le sue attività con le facoltà di architettura, prefetture, municipi e organizzazioni dedicate alla preservazione del patrimonio architettonico per avviare attività congiunte che beneficino la protezione e la sua adeguata conservazione.

La metodologia che si applica per l’elaborazione degli studi di conservazione si basa sui seguenti punti:

• Analisi storica,

• Analisi dello stato attuale del monumento,

• Diagnostico delle patologie del monumento,

• Proposta d’intervento.

La stessa metodologia è applicata anche in Italia.

Vista la crescente importanza data al restauro il Ministero della cultura vuole creare un’accademia di restauro del patrimonio con attribuzione della laurea. Il 17 aprile 2018 il ministro della Cultura e Turismo, Wilma Alanoca Mamani, ha comunicato che l’obbiettivo è dare valore e sostenere i professionisti di restauro del patrimonio attribuendogli un titolo di laurea.

Questa decisione di professionalizzare e titolare gli esperti di restauro fa parte del quadro di creazione delle politiche pubbliche unito alla necessità d’intervento sul patrimonio culturale materiale, con professionisti e tecnici che abbiano conoscenze e competenze sufficienti su concetti e procedimenti nel campo della conservazione e del restauro del patrimonio mobile e immobile.

Il Centro Plurinazionale di Preservazione del Patrimonio Culturale Boliviano, con il sostegno del governo Italiano, darà inizio a quattro specializzazioni e un programma di laurea rilasciato dall’Università Maggiore di San Andrés.

La direttrice generale del Patrimonio Culturale del Ministero di Cultura e Turismo, Leonor Cuevas, ha comunicato che sono in corso d’approvazione i diplomi ottenuti dai professionisti di restauro, da parte dell’Università La Sapienza di Roma.

La conservazione e il recupero delle tecniche e materiali tradizionali, formano parte del patrimonio culturale unico e specifico di ogni comunità e per questo lo si deve studiare e proteggere.

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PARTE UNO

28

La demolizione dei sistemi costruttivi (muri, coperture, ecc.) o l’eliminazione di elementi originali, come la carpenteria, i pavimenti, i rivestimenti, mettono in pericolo l’autenticità e l’originalità dell’edificio perdendo così la sua vera essenza. Da sommarsi il fatto che è possibile determinare la data approssimativa di costruzione dell’edificio in base ai materiali e alle tecniche impiegate; per questo con l’alterazione o l’assenza di questi dati rende infattibile la datazione, rendendo impossibile tramandare questo patrimonio alle generazioni future.

Solo negli ultimi decenni si è iniziato a pensare alla valorizzazione del centro storico e quindi alla necessità di preservare e salvaguardare gli edifici con valore storico culturale. Si sono sviluppati insiemi di regole e norme; il Codice di Urbanismo e Lavori[14], stabilisce un controllo sugli edifici del centro e richiede revisioni e approvazioni per ogni progetto, con piani che devono essere analizzati e approvati dal Centro Patrimonio Storico.

Nell’agosto 1988 viene redatto il Regolamento Urbano Centro Storico della città di Santa Cruz de la Sierra, a tutt’oggi in vigore. All’interno di questo regolamento vengono definiti i parametri per poter catalogare gli edifici con rilevanza culturale e normati i vari tipi di lavori sugli edifici del centro storico per la preservazione del patrimonio e sulle nuove edificazioni.

La classificazione degli edifici da preservare è la seguente[15]: CI Edifici di Carattere Singolare e/o Monumentale

CII Edifici di Valore Strutturale CIII Edifici di Valore Tipologico CIV Edifici di Valore Ambientale

Negli ultimi anni si è riscontrato un maggior interessamento per la materia del restauro e della conservazione del centro storico della città; già nel 2008 con l’Ordinanza Municipale 123 si è dichiarata la priorità municipale al recupero del patrimonio storico della città.

Nel 2010 invece, tramite l’Ordinanza Municipale 023, l’allora attuale Dipartimento di Patrimonio e Centro Storico dipendente dall’Ufficio Maggiore di Pianificazione, aumenta d’importanza diventando “Direzione del Centro e Patrimonio Storico”[16] (Dicepahi).

La stessa ordinanza[17] dispone la diminuzione fiscale per tutti i proprietari

[14] Approvato dall’Ordinanza Municipale n.038/91.

[15] Articolo 2.4.1 del Regolamento urbano centro storico della città di Santa Cruz de la Sierra, agosto 1988.

[16] Articolo 2 O.M. n. 23/2010.

[17] Articolo 4 O.M. n. 23/2010.

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degli immobili dichiarati patrimonio storico della città come incentivo al loro lavoro di preservazione e conservazione, stabilendo una percentuale di detrazione a seconda della categoria a cui appartiene l’oggetto.

Per i beni citati nel Catalogo di Edifici di Preservazione con “Categoria I” si dispone di una diminuzione del 90 %, per quelli “Categoria II” del 80% e “Categoria III e IV” una detrazione del 75 %. I proprietari dei beni e degli immobili dichiarati patrimonio municipale urbanistico, hanno l’obbligo di mantenere e fare buon uso della loro proprietà, così come il divieto di modificare la facciata; se il proprietario venisse meno ai suoi doveri o peggio modificasse l’immobile alterandolo all’80% e così facendo perdesse i suoi elementi caratteristici, motivo della sua preservazione, la Direzione del Centro e Patrimonio Storico potrebbe far sì che l’immobile perda la catalogazione di preservazione e che il proprietario incorra in sanzioni pecuniarie[18]. Inoltre se venissero eseguite modifiche che non rispettino quanto stabilito dal Regolamento del Centro Storico il Comune può esigere che il proprietario, a proprie spese, riporti l’immobile allo stato in cui era prima dei lavori. È prevista[19] anche l’espropriazione del bene se la negligenza del proprietario possa portare alla perdita del bene per abbandono, rischio di distruzione, demolizione o sostanziale deterioro.

Se il bene catalogato è ben conservato, viene collocata su di esso una targa come patrimonio architettonico urbanistico della città quale riconoscimento del Governo Municipale e promozione al rispetto della cultura del popolo cruzegno[20].

Con l’ultima riorganizzazione del Comune di Santa Cruz del luglio 2018 si elimina la figura della Direzione del Centro Patrimonio Storico (Dicepahi) lasciando solo l’organo superiore, l’ufficio del piano regolatore.

Jery Dino Méndez, responsabile del Dicepahi dalla sua fondazione nel 2002, ha dichiarato le sue perplessità sulla scelta comunale e palesato preoccupazioni sui vari progetti dell’ufficio non ancora terminati. Si è inoltre domandato chi prenderà le decisioni per quanto concerne il patrimonio dal momento in cui non vi saranno più i professionisti con esperienza in restauro negli uffici competenti.

Emiliano Cronenbold, il nuovo responsabile ha tuttavia dichiarato che si porteranno avanti le varie questioni irrisolte e che non ci saranno grandi cambiamenti nella sua amministrazione[21].

[18] Importo conforme a quanto stabilito nell’ O.M. n. 49/2006.

[19] Articolo 56.II Legge 530/2014.

[20] Articolo 9 O.M. n. 23/2010.

[21] Paragrafo estratto e tradotto dall’articolo del giornale “El Deber” datato 2 dicembre 2018 per l’articolo completo vedere il Capitolo Allegati.

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Casona Moreno -

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1. CONTESTO GENERALE E UBICAZIONE EDIFICIO

Come già accennato nell’introduzione, Santa Cruz si è sviluppata al di fuori del primo anello solo dopo il 1930. Prima di quest’espansione e sin dalla sua fondazione, la città è rimasta circoscritta all’interno della griglia spagnola. Questa griglia altro non è che il sistema romano denominato cardo e decumano. Tutto il centro storico si è creato attorno alla piazza centrale a tutt’oggi rimasto spazio verde, su di essa si affacciano la cattedrale, il municipio ed altri edifici pubblici.

La strada che originariamente divideva la piazza con l’isolato della cattedrale, con le ultime modifiche urbanistiche è stata resa pedonale.

La pedonalizzazione del centro è un’idea che gli amministratori hanno già da qualche anno, ma che tuttavia non ha riscosso consensi né tra popolazione né tra i negoziati della zona.

Già nel piano del 1825 si vede raffigurata una costruzione nell’attuale posizione della casa oggetto di studio, non ci sono però informazioni che possano far presupporre o smentire il fatto che in quegli anni fosse già presente quella costruzione.

Spesso per indicare le case tradizionali cruzegne viene usato il termine spagnolo “Casona”, che letteralmente significa villa o grande casa, un vocabolo che anche in italiano, seppur poco usato, potrebbe ritenersi l’accrescitivo del sostantivo casa. Normalmente il nome della casa a cui ci si riferisce prende il nome della via in cui si trova; per esempio la casa oggetto della tesi è chiamata “Casona Moreno” perché situata nella via René Moreno.

1 Piano del 1825 disegnato da Carlos Cirbián

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PARTE DUE

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Nel 1973 venne effettuato un rilievo delle abitazioni del centro storico da parte del tedesco Gerrit Köster. Nella prima planimetria sono raffigurate tutte le case con galleria nel centro della città presenti nel 1973. Tra le quali è presente anche Casona Moreno.

All’epoca del rilievo la casa era circondata da altre case tipiche cruzegne. Ad oggi ne è rimasta solo una, in via Ñuflo de Chávez, recentemente ristrutturata e trasformata in un centro culturale.

Sino all’aprile del 2018 a lato di questa casa, di fronte alla Casona Moreno ne era presente un’altra che è stata poi demolita per creare dei parcheggi.

Sempre in via Chávez, al lato della Casona si trova la facoltà d’ingegneria UAGRM, edificio degli inizi del ‘900. In via René Moreno dall’altra parte della strada si trovano un hotel risalente al 1952, e un edificio del 2000 di tipologia mista.

Al lato della Casona c’è il grattacielo del BNB (Banco Nazional de Bolivia) edificio del 1980.

2 Distribuzione delle case con galleria nel centro della città di Santa Cruz, nel 1973 (Köster)

4 Nuova costruzione e demolizione dei portici nel centro della città di Santa Cruz tra il 1931 e il 1973 (Köster) 3 Nuova costruzione e demolizione dei portici nel centro

della città di Santa Cruz tra il 1906 e il 1931 (Köster)

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Nel 1973 venne effettuato un rilievo delle abitazioni del centro storico da parte del tedesco Gerrit Köster. Nella prima planimetria sono raffigurate tutte le case con galleria nel centro della città presenti nel 1973. Tra le quali è presente anche Casona Moreno.

All’epoca del rilievo la casa era circondata da altre case tipiche cruzegne. Ad oggi ne è rimasta solo una, in via Ñuflo de Chávez, recentemente ristrutturata e trasformata in un centro culturale.

Sino all’aprile del 2018 a lato di questa casa, di fronte alla Casona Moreno ne era presente un’altra che è stata poi demolita per creare dei parcheggi.

Sempre in via Chávez, al lato della Casona si trova la facoltà d’ingegneria UAGRM, edificio degli inizi del ‘900. In via René Moreno dall’altra parte della strada si trovano un hotel risalente al 1952, e un edificio del 2000 di tipologia mista.

Al lato della Casona c’è il grattacielo del BNB (Banco Nazional de Bolivia) edificio del 1980.

2 Distribuzione delle case con galleria nel centro della città di Santa Cruz, nel 1973 (Köster)

4 Nuova costruzione e demolizione dei portici nel centro della città di Santa Cruz tra il 1931 e il 1973 (Köster) 3 Nuova costruzione e demolizione dei portici nel centro

della città di Santa Cruz tra il 1906 e il 1931 (Köster)

In queste due planimetrie invece sono rappresentate le costruzioni e le demolizioni dei portici dal 1906 al 1973. Nella prima planimetria si vede come tra il 1906 e il 1931 sia stato costruito il portico della Casona nel prospetto di via René Moreno, invece nel secondo si nota come tra il 1931 e il 1973 sia stato demolito il portico di via Ñuflo de Chávez. Queste planimetrie datano e segnano alcune delle modificazioni che ha subito l’edificio.

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PARTE DUE

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Quest’ultima planimetria rappresenta la situazione del centro storico di Santa Cruz nel 1973 e la collocazione delle varie case con galleria dei differenti stili architettonici, dalle tradizionali gallerie in legno a quelle dove le colonne di mattoni sono sostituite a quelle lignee sino ad arrivare alle case con gallerie in mattoni e parapetto.

Si può notare come la maggior parte delle case fosse ancora con le gallerie in legno.

La tipologia meno sviluppata era quella con le colonne in mattoni e il parapetto e si concentrava principalmente intorno alla piazza centrale.

5 La casa con galleria nei suoi differenti stili architettonici nel centro di Santa Cruz nel 1973 (Köster)

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L’edificio è ubicato nel centro storico a tre isolati dalla piazza centrale, nell’isolato 28, all’incrocio delle vie René Moreno e Ñuflo de Chávez. Si trova nella parte sud-est della città all’interno della griglia funzionale della città storica.

A quattro isolati a Ovest dell’edificio si trova il mercato “7 Calles”, uno dei mercati più importanti di tutto il centro storico. Questo mercato si chiama, tradotto,

“7 strade” perché originariamente si affacciava nell’incrocio di sette vie. Nel 1920 il proprietario di due terreni divisi da una di queste strade ha deciso di unirli, chiudendo la strada che li attraversava. Così facendo il mercato che si affacciava sulle sette strade, da quell’anno si affaccia solo su sei. Nonostante il cambiamento continua a chiamarsi così per una memoria collettiva della città[1].

La larghezza delle strade in questa parte della città è in media di 7 metri e sono tutte a senso unico. La via René Moreno conduce alla piazza principale per cui è sempre molto trafficata.

[1] Per vedere il contesto generale Capitolo Allegati pag. 119

6 Immagini catturate da Google Earth datate 2018

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PARTE DUE

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Di seguito è riportata una tabella[2] con i flussi nell’incrocio dove si trova la casa in oggetto. Vengono analizzati i passaggi delle automobili, delle biciclette e dei pedoni nelle tre fasce principali della giornata, mattina, pomeriggio e sera per un arco temporale di 10 minuti nel mese di maggio 2018.

Giorno Maggio 2018 Ora Automobili Biciclette Pedoni

Mercoledì Mattina 10.00-10.10 61 0 25

Mercoledì Sera 19.55-20.05 107 0 65

Domenica Pomeriggio 17.45-17.55 91 1 117

Come si può notare dalla tabella, il passaggio dei pedoni e delle automobili è molto elevato. Il flusso ciclabile invece è molto scarso, questo fatto è dovuto all’assenza di piste ciclabili e la scarsa diffusione di questo mezzo di trasporto nella città.

[2] Dati raccolti personalmente in loco.

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2. RILIEVO DELL’IMMOBILE

La Casona Moreno si pensa esista dal 1888, il 26 febbraio 2016 è stata classificata come immobile con valore tipologico (CIII)[1]. Il valore tipologico dell’immobile rappresenta la tipologia della casa tradizionale cruzegna, essendo rilevante la sua importanza storica e avendo un alto valore nell’ambito della caratterizzazione dello spazio urbano dell’area storica della città. Oltre che per le tecniche costruttive e la presenza delle caratteristiche della casa tipica cruzegna, è dichiarata patrimonio anche per la presenza, nel primo patio interno, di un pozzo, dichiarato anch’esso patrimonio.

Particolare rilevanza la riveste inoltre un albero di avocado sito all’interno del secondo patio, sul quale vige l’obbligo di conservazione ed il divieto di taglio.

La casa fu disegnata e costruita come abitazione unifamiliare.

Negli anni ’50 era utilizzata come pensione per molte persone importanti che vi alloggiavano per la categoria di comfort che offriva.

Per quasi vent’anni cambiò d’uso e fu adibita a spazio commerciale, con il cambio di destinazione d’uso, la costruzione vide un’affluenza massiva di pubblico, diventando così in un’icona popolare dell’architettura locale. Successivamente fu disabitata per molto tempo, cosa che accelerò il suo deterioramento per mancanza di manutenzione.

Negli ultimi decenni la casa mutò varie destinazioni d’uso, dai semplici negozi, a officina meccanica per moto Harley Davidson, da un’agenzia di viaggi ad un ristorante sino ad arrivare ad una funzione prettamente residenziale. Ad oggi la casa è quasi totalmente abbandonata se non per la presenza di un negozio di riparazione dei computer che occupa il locale sito sull’angolo.

La casa è da considerarsi come l’unione di due corpi attualmente distinti e privi di un collegamento interno. L’ipotesi più accreditata vede all’origine i due patii interni collegati tramite un corridoio[2]. Ipotesi sostenuta dal fatto che durante i rilievi si è riscontrata la presenza di porte murate in corrispondenza della parete che separa i due corpi. Questo indizio lascia intuire il fatto che in passato le due parti fossero collegate tra loro.

Il corpo 1 è composto da 22 locali, dal patio principale che ospita il pozzo e da un albero senza divieto di taglio; il corpo 2 è composto da 14 locali ed un blocco risultato inaccessibile (stando alla pianta ottenuta dal Dicepahi si ipotizzano al suo interno 13 ambienti) e il secondo patio con due alberi da frutto su cui in uno vige la proibizione di taglio.

[1] Articolo 2.4.1 del Regolamento urbano centro storico della città di Santa Cruz de la Sierra, agosto 1988.

[2] Le piante di altre case della stessa tipologia, presentano tutte un corridoio d’unione tra i patii, il che rende plausibile l’ipotesi di una standardizzazione di questo tipo di collegamento interno. Capitolo Allegati pag. 118

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Dal 1971 la casa è di proprietà del privato cittadino, Yasser Khalil Amro Amer.

Nel 2013 il municipio avviò le trattative per l’esproprio avente come motivazione l’incuria dell’immobile di rilevanza storico-tradizionale, al fine di trasformarlo in un centro culturale[3] (la copertura stava collassando su sé stessa).

Nel 2017 il comune ha presentato una querela penale contro il proprietario presso il Pubblico Ministero. Il proprietario avrebbe ignorato le indicazioni della Direzione del Centro del Patrimonio Storico recante gli interventi da adottare per preservare l’immobile. La costruzione è ad oggi logora e fatiscente, e rappresenta una possibile minaccia all’incolumità dei passanti ai quali potrebbe crollare addosso parte del soffitto o delle travi di sostegno del tetto della galleria esterna. Il consulente legale del Dicepahi, Natalia Viera, ha dichiarato che il proprietario si è reso irrintracciabile, pertanto verrà chiamato tramite citazione in giudizio[4].

Dall’articolo del 19/09/2017 del giornale “El Deber” – traduzione italiana:

<< Ana Pérez Lijerón (45) vende mocochinchi[5] ormai da 25 anni nel portico nella strada Ñuflo de Chávez di una delle casone deteriorate. Ha visto passare l’edificio dallo splendore alla decadenza per il cambio dei proprietari, assicurando che l’ultimo affittò tutti i locali e non riparò mai l’immobile.

“Il soffitto dei portici è di chuchío, che a poco a poco sta crollando; ora si vedono le travi che in qualsiasi momento possono far male ai passanti”, ha dichiarato.

Per quanto il comune ha messo in due casi dei protettori, questi sono stati tolti e la gente continua a transitare, esponendo la propria incolumità. >>

Attualmente la struttura portante non presenta danni significativi, tuttavia l’immobile soffre un processo di deterioramento dovuto alla mancanza di interventi pertinenti per la sua conservazione e l’abbandono nel quale si trova. I danni maggiori sono la crescita incontrollata della vegetazione, come muschi e licheni, e il collasso di parte della copertura nella frazione esterna dell’edificio. All’interno parte della copertura è assente e vi è uno stato di totale abbandono. L’assenza della copertura, con il periodo delle piogge, causa l’infiltrazione dell’acqua che provoca la disgregazione dei muri, gli intonaci di terra e la marcescenza del legno.

Metà della galleria esterna del lato nord dell’edificio è chiusa al transito dei pedoni per il pericolo del collasso della copertura.

[3] Paragrafo estratto dall’articolo del giornale “El Deber” datato 8 novembre 2013 per l’articolo completo vedere il Capitolo Allegati pag. 85

[4] Paragrafo estratto dall’articolo del giornale “El Deber” datato 19 settembre 2017 per l’articolo completo vedere il Capitolo Allegati pag. 87

[5] Il Mocochinchi è una bevanda zuccherina tipica della città di Santa Cruz de la Sierra.

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