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Metodi e processi

Nel documento IL TEATRO DELLA VITA. (pagine 141-146)

L’estrema varietà delle pratiche e dei metodi osservati in azione nei processi di teatro sociale, permette di indurre un primo criterio che risulta tacitamente condiviso. Ed è il criterio della debolezza, intesa come intenzionale co-progettazione del processo con il contesto. Questo criterio fonda un’azione teatrale che per sua natura e vocazione è relazionale e per questo si pone in ascolto delle istanze e dei sistemi performativi che caratterizzano i soggetti e i contesti e, entro questa dialettica interazionale, ricerca i processi teatrali e relazionali di quel teatro possibile e necessario per quel gruppo in quel luogo e in quel tempo. È una prospettiva che assume come cardine proprio il confronto con le soggettività individuali e collettive che incontra, la loro varietà, la pluralità dei bisogni, la frequente liquefazione dei legami e la frantumazione oppure la sclerotizzazione delle identità. Allora il metodo del teatro sociale trova nella debolezza accogliente e dialettica il suo punto di forza e di maggior contatto con l’esperienza. In questo modo persegue la ricerca di un teatro che è sociale perché e necessario all’evoluzione del soggetto ma che il soggetto da solo non sembra più in grado di attivare in maniera resiliente. Un processo che liberato da tutti gli orpelli e le sovrastrutture permette di ritrovare il suo nucleo più originario: la relazione. La relazione con se stessi e con l’altro da sé, in ogni sua possibile declinazione. In riferimento a questo criterio metodologico, un vero e proprio presupposto, il teatro sociale approfitta di una gamma molto ampia di prassi, aprendosi alla larga banda dell’esperienza performativa nella ricerca delle forme e dei processi più adeguati per lo sviluppo evolutivo dei soggetti, siano essi persone singole, gruppi o intere comunità. Siano essi i responsabili del processo o i partecipanti.

In questa varietà che declina la prospettiva relazionale propria dell’approccio del teatro sociale, si possono evincere alcuni elementi ricorrenti e fondativi che esprimono gli altri criteri del metodo.

In primo luogo le pratiche teatrali sono progettate e condotte da un operatore esperto, spesso connesso ad un gruppo di riferimento. Può essere un operatore di teatro sociale che si è formato per realizzare questo tipo di interventi, piuttosto che un operatore del teatro, attore, regista o drammaturgo, altre volte si tratta di un educatore o di uno psicologo che hanno anche una formazione teatrale, oppure un insegnante o un animatore.

In ogni caso è sua la responsabilità di presidiare il processo nelle sue varie fasi, perché risponda alle necessità evolutive dei soggetti, con un attento lavoro di conduzione che valorizzi ogni singolo, la dimensione del gruppo, l’intenzione comunitaria, l’esperienza estetica ed etica del processo.

693 Fabrizio Fiaschini, “Teatri di confine: problemi epistemologici e metodologici”, in Claudio Bernardi, Benvenuto Cuminetti, Sisto Dalla Palma (a cura di), I fuoriscena, 295.

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E, in primo luogo, è proprio il conduttore che si disarma, cioè si permette di entrare nell’esperienza di conduzione mettendo in relazione la sua azione con ciò che il gruppo e le persone portano in primo piano. Quello che ha nelle mani non sono ari ma sensibilità, pratiche di lavoro teatrali che conosce profondamente e che ha esplorato sia nelle componenti performative che in quelle sociali ed affettive. Inoltre ha la capacità di stare nella scelta e nella ricerca, la capacità di prestare attenzione, la possibilità di sbagliare, di chiedere, di avere bisogno. Tutto questo inizialmente è patrimonio del conduttore, ma presto diviene stimolo e patrimonio del gruppo e delle persone694.

Un'altra caratteristica di metodo riguarda la partecipazione diretta come attori e autori dell’attività teatrale dei diversi soggetti che vivono nel contesto in cui si svolge l’attività di teatro sociale695. Il che non esclude che possano esserci anche soggetti che svolgono il ruolo di spettatori. Il fatto che le persone, i gruppi ed intere comunità siano chiamate a svolgere attivamente questi ruoli è l’esito del riconoscimento maturato progressivamente, a partire dalla fine dell’ottocento, del valore evolutivo dell’esperienza teatrale vissuta ed agita in prima persona.

Considerare il teatro anche e soprattutto come un lavoro dell’individuo su se stesso, e quindi nello stesso tempo come esperienza di alterità, e a considerare le implicazioni pedagogiche e terapeutiche nel lavoro con i ragazzi, con i disabili, con i disagiati psichici etc. lavoro su se stessi, fondamentalmente, come addestramento all’azione organica, cosciente, volontaria e quindi come addestramento alla disarticolazione dei blocchi, degli automatismi che condizionano l’agire umano ai vari livelli: corporeo, emotivo, intellettuale, e che fanno sì che l’individuo (compreso il bambino o il ragazzo, e a maggior ragione, ovviamente, il disagiato fisico e/o psichico) più che agire di solito venga agito696.

In effetti si tratta di un metodo che sbilancia l’esperienza sul fronte dell’azione, piuttosto che quello della sola visione, e dove il processo operativo più diffuso è quella del laboratorio teatrale. Si tratta di una situazione di sperimentazione e ricerca in cui un gruppo si intrattiene attraverso attività di training, di improvvisazione, esercizi teatrali, momenti di rappresentazione, esperienze di concentrazione, giochi697. Queste diverse pratiche rinsaldano la presenza scenica, le relazioni gruppali, la mimica, la vocalità, il ritmo; amplificano le possibilità percettive e la sensazione dello spazio, allenano il corpo all’espressione, allenano il gruppo alla coralità, stimolano l’emersione immaginifica, sviluppano la dinamica narrativa698. In molte esperienze sono condotte seguendo un andamento rituale di separazione, marginalità e reintegrazione sia nel processo interno che gruppo sia nel rapporto con il contesto699. Il laboratorio è una pratica che sbilancia l’esperienza teatrale verso l’azione reale in una sorta di vita amplificata che si apre alla comunità.

All’interno del gruppo teatrale non c’è tanto il destino solitario del poeta che nella solitudine dell’officina creativa cerca di dar senso e coerenza alle proprie immagini e al proprio mondo interno, ma c’è l’opportunità di aprirsi con altri del gruppo educandosi alla relazione profonda e alla tolleranza, sapendo cogliere il disagio e la sofferenza dell’altro, sapendo interiorizzare nella sua pienezza la presenza dell’altro attraverso un gioco di scambi simbolici che sono possibili nello

694 Giulia Innocenti Malini, “Come un seme. La conduzione del gruppo nel laboratorio di teatro sociale”; in Alessandra Rossi Ghiglione, Alberto Pagliarino, Fare teatro sociale, 35.

695 Tadeusz Lewicki, Sul palco e dietro le quinte. Il teatro palestra di socializzazione, Milano, Paoline, 2012, 120-121.

L’autore propone diversi gradi e modi di partecipazione dei soggetti all’esperienza di teatro sociale, passando dalle forme passive del coinvolgimento su singole funzioni a quelle dell’autonoma mobilitazione dei soggetti alla realizzazione di fasi del processo.

696 Marco De Marinis, Il teatro dell’altro, 180.

697 Claudio Bernardi, Il teatro sociale, 81-93.

698 Daniele Seragnoli, “Il corpo ritrovato. Riflessioni sull’esperienza di laboratorio teatrale”, in Angela M. Andrisano (a cura di), Il corpo teatrale tra testi e messinscena, Roma Carocci, 2006, 225-244.

699 Claudio Bernardi, Il teatro sociale, 81.

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spazio del teatro. Se l’individuo impara a portare sulla scena non solo la propria solitudine e le proprie difficoltà ma un lembo di una comune e più ampia sofferenza sociale, all’interno del laboratorio teatrale si sviluppano linee concentriche, modalità di risonanza del disagio esterno per cui nell’intimità viva e protetta del laboratorio tutto ciò che si decide e si trasforma è, di fatto, in contatto con la comunità. Nell’ambito di un laboratorio teatrale l’interazione tra il sé e l’altro promuove non solo un’interazione più profonda ma anche la capacità di mettersi in risonanza con degli orizzonti collettivi più vasti700.

Un’azione che spazia nei diversi campi della performance, utilizzando più linguaggi e aprendosi a diversi esiti, che non sono solo quello dello spettacolo teatrale, nel modello del teatro all’italiana o delle forme meno convenzionali del teatro di ricerca, ma anche quelle delle istallazioni, degli happenings, delle feste e delle parate, del consumo di cibo, dell’arte diffusa, delle forme aperte, e delle azioni circensi e di strada701.

Il processo di costruzione dell’individuo e del gruppo della fase laboratoriale risulta incompleto se non viene messo alla prova, condiviso con altri e comunicato. Per il teatro sociale i prodotti sono un elemento non secondario, ma fondamentale, tanto quanto il laboratorio e il processo rituale702.

Diversamente dal teatro tradizionale di tipo professionale, l’esito conclusivo è nella forma dell’evento unico, o con pochissime repliche, di solito destinato a spettatori che fanno parte della medesima comunità, o con i quali si intrattengono relazioni dirette e personali. Le attività di teatro sociale possono svolgersi per più anni all’interno di un contesto e questo può portare all’istituirsi di vere e proprie ricorrenze civili, in cui la festa o l’esito evenemenziale si ripete, pur nella specifica differenza, ogni anno, o periodo di tempo, secondo scansioni fisse e modalità contestuali ricorrenti. Si creano così delle vere e proprie forme di ritualità, di tradizione che sono frutto di un’invenzione partecipata, e come tali promuovono legame sociale. Ed è proprio nelle modalità del festivo, insieme alle partiche del laboratorio teatrale e degli eventi spettacolari di varia natura, che si concentra una parte importante del metodo del teatro sociale. La festa intesa come momento di realizzazione dello scambio simbolico del dono nella comunità, l’atto non necessario, il gratuito mettere a disposizione dell’altro la propria affettività e la propria immaginazione. Momento di aggregazione in cui le diverse pratiche espressive si fanno momento di “coagulo e di ricapitolazione di alcuni percorsi sviluppati da una comunità”703. La festa agisce sia sul piano illusorio e creativo che in risposta ad una necessità del frammentato universo sociale di sentire la propria unità. Quindi non solo rottura della quotidianità, la festa è una “coerente struttura relazionale capace di accogliere e organizzare i momenti illusori del vissuto collettivo e di conferire loro un senso. Costituendosi come luogo riconosciuto di convergenze, essa rimette in movimento le attitudini mitopoietiche di un gruppo legandole ad un sistema di valori condiviso”704

Nel teatro sociale prende forma un’interazione tra il rituale sociale, che include anche i riti quotidiani, e il rituale estetico. Una dinamica che non si ferma al momento dell’evento festivo o spettacolare, bensì cerca di permeare di sé l’esperienza quotidiana e trasformarla in modo che sia evolutiva e aumenti il potere dei soggetti nell’inventare la loro quotidianità705.

Il teatro sociale, in qualsiasi situazione in cui è chiamato, cerca di mettere in atto questo circolo virtuoso attraverso la combinazione articolata di laboratori (per l’azione), spettacoli (per la rappresentazione), eventi (per le relazioni nella ritualità quotidiana e festiva). In sintesi: facciamo cosa? Facciamo come chi? Facciamo come se…706

700 Sisto Dalla Palma, La scena dei mutamenti, 96.

701 Claudio Bernardi, Il teatro sociale, 95-122.

702 Ibi, 95.

703 Sisto Dalla Palma, La scena dei mutamenti, 97

704 Ibi, 98.

705 Claudio Bernardi, Il teatro sociale, 114-121.

706 Claudio Bernardi, Eros. Sull’antropologia della rappresent-azione, Milano, Educatt, 2015, 88.

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Un altro elemento ricorrente riguarda i luoghi di realizzazione del processo e, spesso, dei suoi esiti aperti alla comunità, che sono luoghi extra-teatrali aperti alla partecipazione diffusa di soggetti e contesti abitualmente esclusi dalla produzione culturale ed artistica707.

La dislocazione nel territorio ed in contesti non precipuamente teatrali del processo comporta il suo radicamento nella specificità del sistema di relazioni, rappresentazioni e narrazioni proprie del contesto sociale e dei suoi bisogni di sviluppo. Allora “il teatro può divenire un elemento di mediazione forte tra la dimensione istituzionale e quella di relazione”708 e favorire la collaborazione tra diverse istituzioni, i soggetti del terzo settore (associazioni e cooperative sia sociali che culturali) e gli abitanti, condizione necessaria perché sia raggiunto l’effetto di cambiamento sociale ingaggiato attraverso il processo performativo di indirizzo sociale.

Una prospettiva, quella del partenariato, che favorisce la permeabilità dell’esperienza, che si fa motore di un cambiamento che trascende la dinamica teatrale per allargarsi alle relazioni del contesto e della comunità709. Il recupero di memorie, le esperienze vissute, gli immaginari individuali e collettivi, le narrazioni e le mitologie concorrono all’invenzione condivisa di identità sociali e culturali che portano alla creazione di drammaturgie sceniche a consuntivo da parte dei soggetti partecipanti (persone, gruppo, comunità), declinate poi nei molteplici linguaggi performativi, centrati sul corpo-voce e il movimento, le ritmiche, le musiche, l’allestimento degli spazi, la coralità e la relazione.

Far emergere parole, azioni, segni intorno a un tema non è un processo solo enunciativo, ma è un processo molto forte di tipo esperienziale. Il teatro mette e rimette in azione i mondi personali e collettivi e consente di modificarli sia fantasmagoricamente che realmente. Da un punto di vista drammaturgico, […] il lavoro di teatro sociale non è solo il palcoscenico dove questa cultura, intesa come unità di esperienza e di linguaggio, si ripete, si illustra e si comunica, ma dove attraverso il gruppo, che mette a contatto con una pluralità, e attraverso il lavoro teatrale , che tiene nell’azione rappresentativa sempre fortemente connessi linguaggio e vissuto, è possibile riattraversare consapevolmente l’esperienza, trasformarla e costruirne creativamente una nuova710.

Una procedura che presidia la massima rappresentatività simbolica del processo e dei suoi prodotti performativi rispetto ai soggetti autori, che restituisce voce piena a chi è normalmente escluso dai processi di produzione culturale e artistica711. Secondo Rossi Ghiglione, quando il gruppo nel laboratorio di teatro sociale ha prodotto molteplici materiali, è compito del drammaturgo accompagnare il lavoro di realizzazione dello spettacolo, o di qualunque sia l’evento che apre il lavoro del laboratorio alla relazione con la comunità. Da solo oppure con gli attori del processo, raccoglie e sistematizza i materiali, e si adopera per

costruire la forma più efficace di rappresentazione rispetto a quanto emerso in termini di espressione e di intenzione; è un lavoro di scrittura scenica che ha per oggetto la performance sia come spettacolo del gruppo (drammaturgia dello spettacolo) sia come evento di una comunità (drammaturgia della festa)712.

707 Thompson James, Schechner Richard, “Why “Social Theatre”?”, 11-13

708 Alessandro Pontremoli, Elementi di teatro educativo, sociale e di comunità, Novara, UTET, 2015, 69.

709 Ibi, 64-70. Sulla delicatezza dei rapporti istituzionali per le attività di teatro sociale si veda anche Claudio Bernardi, Il teatro sociale. L’arte tra disagio e cura, 109-110 e Giulio Nava, “Presupposti fondamentali per una diversa concezione del teatro nel sociale”, in Eugenio Bruno, Ezio Alberione (a cura di), Percorsi teatrali e programmi scolastici, 52-53. In particolare Nava distingue tra rapporti dettati dall’evasione, in cui il teatro si introduce nella vita istituzionale come un tempo di svago dalla normale routine funzionale al mantenimento dello status quo, di collusione, quando l’intervento si adatta completamente ai dettati istituzionali, di collisione quando il processo teatrale entra in conflitto con le dinamiche istituzionali, e di trasformazione quando l’intervento teatrale riesce ad aprire un dialogo costruttivo con le istanze istituzionali e procedere verso il cambiamento delle situazioni che producono disagio.

710 Alessandra Rossi Ghiglione, “Drammaturgia e teatro sociale. Fondamenti storici e linee metodologiche della scrittura scenica nel lavoro teatrale di comunità”, in Alessandro Pontremoli, Elementi di teatro educativo, sociale e di comunità, 202.

711 Alessandra Rossi Ghiglione, Teatro e Salute. La scena della cura in Piemonte, 76-82.

712 Alessandra Rossi Ghiglione, “Drammaturgia e teatro sociale. Fondamenti storici e linee metodologiche”, 204.

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Dal punto di vista dello sviluppo di competenze di linguaggio, le attività di teatro sociale spesso si svolgono in contesti che riducono gravemente la possibilità espressiva e comunicativa della persona, oppure essa stessa vive una grave menomazione delle capacità di comunicazione a causa di una disabilità o di un disagio. Dato il valore che l’espressione e la comunicazione hanno nella rielaborazione degli stati di disagio e di dolore, risulta cruciale che le attività di teatro sociale si dedichino allo sviluppo di competenze di linguaggio teatrale e performativo, che nella loro pluralità possono supportare il soggetto nell’espressione del proprio sentire, aumentando il senso di adeguatezza tra il sentire e l’agire comunicativo e dunque riaprendo il canale di comunicazione tra il sé e il mondo esterno. Il fatto che l’espressione, di per sé sempre valida, a volte non sia comunicativa, riduce notevolmente la possibilità di rielaborazione relazionale dell’esperienza, la possibilità che l’esperienza del singolo divenga patrimonio anche di altri e dunque di comprensione e empatia. Non si tratta però di uno sviluppo di competenze pensato come mera riproduzione di abilità attorali proprie della tradizione, quanto semmai nella produzione ed invenzione di forme e modi della comunicazione che realizzino una mediazione efficace tra le possibilità di comunicazione del soggetto e le possibilità di intendimento del contesto, facendo evolvere entrambe attraverso l’incontro teatrale713. Su questo criterio è opportuno chiarire una differenza rispetto alle forme terapeutiche di utilizzo del teatro e introdurre un ulteriore elemento. Pur essendo presenti nel teatro sociale una parte consistente di memorie ed esperienze di vita dei partecipanti, diversamente dalle teatroterapie che ricercano la prossimità tra il vissuto personale e l’atto teatrale, riducendo ai minimi termini la distanza affinché l’azione scenica sia ambito di emersione del vissuto conscio e inconscio del singolo, nel teatro sociale è importante la distanza che si apre nella formulazione del gesto simbolico714. Il mediatore simbolico diverge dal vissuto personale per aprirsi alla co-costruzione del gruppo, alla comunicazione verso lo spettatore. In questo non perde la sua potenza trasformativa per il soggetto. Infatti nell’esperienza di produzione simbolica il soggetto si diverte, termine che sintetizza la divergenza con il piacere, il volgere da un’altra parte l’attenzione e il piacere che l’atto procura. La prassi performativa crea un simbolico divergere, uno spostamento, che permette di avvicinare l’esperienza emotiva e il vissuto, di darle forma simbolica, e attraverso di essa di integrare quell’esperienza nella vita. Questo riuscire a mettersi di fianco, questo spostarsi, come ricordava Sisto dalla Palma, capacità propria dell’agire scenico di costruire una distanza che permette di andare vicino, fonte di un utile processo di rielaborazione creativa715.

In ultimo, dopo aver richiamato i principali processi che caratterizzano il metodo del teatro sociale, è opportuno soffermarsi, seppur in maniera sintetica, su quelli inerenti alla progettazione e allo sviluppo di comunità. Infatti molta parte dell’esperienza di teatro sociale si gioca preliminarmente nel processo di progettazione, che rappresenta la sicura base del successivo articolato percorso atto a promuovere la comunità e i diversi soggetti che la compongono, così come le relazioni tra di essi. “Si tratta di procedere con la consapevolezza che ogni azione del progetto è già un’azione di rappresentazione, in quanto espressione di una intenzionalità comunicativa, di sistemi relazionali e di costruzioni simboliche”716.

Le fasi principali che normalmente compongono un processo di teatro sociale, e che hanno bisogno di essere adeguatamente progettate e co-progettate, sono: definizione iniziale e co-progettazione con le committenze, sia quelle istituzionali che quelle reali che si incontrano nei territori e nei contesti specifici; indagine e mappatura del contesto di intervento (spesso realizzata anch’essa con procedure performative) incontrandone i diversi soggetti e rilevando bisogni, dinamiche performative, immaginari, narrazioni, vincoli; definizione e condivisione di una bozza di programmazione che sarà rivista con i diversi committenti; sviluppo del processo, che può essere di tipo laboratoriale o di altra forma secondo quanto progettato; fase performativa di spettacolo e di evento che apre il lavoro del gruppo/dei gruppi al territorio; verifica in itinere con riprogettazione e verifica finale con progettazione dello sviluppo717. Le fasi suddette rimandano ad un’impostazione di ordine sistemico

713 Giulia Innocenti Malini, “Introduzione”, in Maddalena Colombo et al. (a cura di), IncontrArti. Arti performative e intercultura, Milano, Franco Angeli, 2011, 7-8.

714 Alessandra Rossi Ghiglione, Teatro e Salute. La scena della cura in Piemonte, 81.

715 Sisto Dalla Palma, “Gioco e teatro nell’orizzonte simbolico”, Comunicazioni Sociali, 7, 2-3 (1985): 42; riedito e ampliato ne La scena dei mutamenti, 21-54.

716 Alessandra Rossi Ghiglione, “Drammaturgia e teatro sociale. Fondamenti storici e linee metodologiche”, 196.

717 Alessandra Rossi Ghiglione “Fare un progetto di teatro sociale”, in Alessandra Rossi Ghiglione, Alberto Pagliarino (a cura di), Fare teatro sociale, 11-30.

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che prevede la necessità di lavorare in equipe multidisciplinari dove si integrino competenze performative, quelle psico-sociali e quelle proprie del contesto di intervento, che possono essere di tipo educativo, terapeutico, formativo etc. Un intreccio di processi che potrebbero richiedere l’integrazione di competenze psico-sociali, sia per la conduzione dei gruppi, con attenzione ai processi intragruppali, sia per la promozione delle interazioni intergruppali in ottica di sviluppo delle reti e della comunità territoriale718.

Nel documento IL TEATRO DELLA VITA. (pagine 141-146)