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LINEE GUIDA DI INTERVENTO

3. Fase di stabilizzazione e messa in cantiere 4 Fase di intervento

3.1. METODOLOGIA DEL RESTAURO NEGLI INTERVENTI SUL PATRIMONIO MARITTIMO

3.1.1. La disciplina del restauro e le imbarcazion

3.1.1.5. Minimo intervento

Uno dei criteri di maggior rilevanza nell’ambito del restauro, per il suo stretto legame con le ricadute anche operative sul manufatto, è il minimo intervento. La necessaria declinazione del concetto porta a stabilire, senza prescindere dal grado di sicurezza per il futuro del bene e dei suoi fruitori, quello che risulta più avvicinarsi a un intervento di minima15. Quindi “il minimo intervento, che si rivolge sia a operazioni di sottrazione 10 Si veda in proposito Art. 5 della Carta di Barcellona (European Maritime Heritage) 2002.

11 Questo è avvenuto per esempio negli Stati Uniti, in particolare nella zona della Chesapeake Bay ove le tradizionali imbarcazioni da lavoro ostreicole, gli skipjacks, furono attorno agli anni ’90 dopo un opportuno recupero, le sole a essere autorizzate alla pesca delle ostriche (a vela) prima che l’inquinamento della baia provocasse la cessazione dell’intera attività ittica. Un’altra realtà volta alla valorizzazione funzionale delle imbarcazioni storiche è il network organizzato dalla Steamboat Association of Sweden in collaborazione con

altre associazioni di imbarcazione a vapore di Svezia, Norvegia e Danimarca. La loro attività è finalizzata all’organizzazione di una rete di trasporti turistici (fluviali, lacustri e marittimi) garantiti esclusivamente con unità storiche che, grazie ai proventi di questo servizio possono essere mantenute in funzione.

(eliminazione, rimozioni, demolizioni) che di addizione (consolidamenti, inserimenti, integrazioni) risulta pertanto da considerare, in quanto metodo e non dato conclusivo in sé, all’interno dei concetti di progetto e processo, rapportandosi a un sistema contingente e variabile”.16 Il minimo intervento diviene, per questo, criterio di univoco approccio a

molteplici ambiti, come ad esempio nella scelta del cambiamento di destinazione d’uso di un’unità o nella valutazione delle modalità esecutive circa la sostituzione, per esempio, di una chiglia.

Entrando nel merito di modalità operative, della cantieristica delle imbarcazioni in legno, durante le quali con più frequenza ci si dovrebbe interrogare circa l’osservanza del criterio del minimo intervento, si possono individuare la sostituzione di componenti e il trattamento delle superfici.

La tecnica della sostituzione parziale di componenti opportunamente giuntate, con adesivi ad alte prestazioni, e la tassellatura di elementi che presentano degrado localizzato a piccole zone, sono entrambe tecniche, non adeguatamente considerate quali valide alternative alla preventiva sostituzione totale, ma che possono dare interessanti risultati. Il trattamento delle superfici con i cicli preservanti è una criticità notevole nell’ambito degli interventi di minima, perché è spesso indispensabile la rimozione totale dei cicli di protezione esistenti con la messa a nudo della fibra del legno. L’impatto estetico “nuovo scintillante” di un’imbarcazione sottoposta a un trattamento di questo tipo potrebbe essere paragonato al risultato delle “operazioni di cosmesi” o di “riconduzione al nuovo dell’oggetto” tuttavia sono necessarie alcune precisazioni a riguardo. L’esigenza di interventi di questo tipo, nell’ambito del restauro del patrimonio marittimo, non sempre viene dall’esclusiva volontà di riportare l’imbarcazione, sotto il profilo dell’estetica, al giorno del varo (anche se non sono assenti casi chiaramente orientati a questo), ma frutto piuttosto di raccomandazioni e accortezze applicative mirate alla creazione delle condizioni più propizie alle protezioni delle superfici lignee e quindi alla loro difesa dal degrado. È necessario invece interrogarsi quindi, per individuare la soluzione di compromesso più efficace, che medi tra la necessità di applicare alcune procedure e di prendere distanza da rese estetiche più tipiche di imbarcazioni stampate in vetroresina che di manufatti costituiti da centinaia di componenti lignee assemblate tra loro. Con riferimento a quanto sopra, ci si dovrebbe interrogare riguardo alla necessità di indagini e ricerche più approfondite in merito alle finiture, alle rese estetiche e alle tinte in uso nel passato oltre al contenimento della prassi, ormai diffusa, della “stuccatura a rasare” degli scafi in legno. Questa é la principale causa dello stravolgimento (non solo estetico)17 delle imbarcazioni storiche, le cui superfici finiscono per ricordare più

una carrozzeria d’automobile che scafi in fasciame, nelle quali la tecnica costruttiva dovrebbe essere riconoscibile anche a distanza, per il non totale avviamento delle superfici e quindi per le ombreggiature che vi si generano sopra.

3.1.1.6. Reversibilità

Nell’ambito del restauro del patrimonio marittimo, la reversibilità è tematica particolarmente correlata all’uso, durante gli interventi, di prodotti divenuti d’impiego

permettendo stabilizzazione e consolidamento strutturale, oltre che l’impermeabilizzazione delle componenti lignee anche fortemente cariate, limitando però i margini sulla ritrattabilità, ossia “la possibilità di ripetere un intervento senza rimanere condizionati esageratamente da quelli precedenti” 18.

Alcuni moderni prodotti, tra cui le resine epossidiche19 per legno, se utilizzate

per incollaggi strutturali non garantiscono un adeguato grado di ritrattabilità. Essendo contraddistinte da migliori caratteristiche strutturali del legno causano, sotto sforzo, cedimenti della fibra prima che dell’incollaggio stesso, con evidenti criticità circa la compatibilità dei nuovi interventi con l’esistente. È da sottolineare, nonostante questo, che i collanti epossidici garantiscono, grazie alle già citate caratteristiche di stabilizzazione delle componenti, possibilità applicative e versatilità di lavorazione altrimenti impensabili20. Il loro utilizzo in taluni casi permette

l’esecuzione di intervento di minima, salvaguardando la struttura e il suo mantenimento in opera. Analogamente consentono ripristini strutturali più duraturi rispetto ad analoghi interventi eseguiti con collanti tradizionali che, nel giro di alcuni anni, richiederebbero una nuova manutenzione. L’utilizzo dei collanti epossidici può essere una soluzione di necessario compromesso in alcuni interventi; in particolare secondo quanto afferma Rosanò (2003) “val la pena perciò puntare l’attenzione sull’altro aspetto […] e cioè la compatibilità con l’esistente” al fine di comprendere l’effettiva efficacia in relazione al tipo di applicazione, anche con ricerche e verifiche sul campo. Alla luce delle precedenti considerazioni emerge come la ricerca della reversibilità sia in realtà una questione estremamente più complessa rispetto all’esclusione a priori di certi prodotti o il preventivo ripiego sulle tecniche tradizionali, a garanzia di legittimità e salvaguardia del bene.

Il processo di scelta e successiva progettazione dovrebbe essere governato dalla consapevolezza, da parte del progettista, del comportamento strutturale del manufatto, del suo stato di fatto e del degrado delle componenti entro una visione critica che gli consenta di valutare quando rinunciare alla totale reversibilità in favore della salvaguardia di caratteristiche estetiche, strutturali e di sicurezza che permettano la corretta e lunga conservazione dell’imbarcazione.

3.1.1.7. Compatibilità

Oltre alla compatibilità di destinazione d’uso, aspetto citato, la disciplina del restauro è caratterizzata anche dal dibattito circa la compatibilità meccanica e chimico-fisica tra materiali. L’introduzione di materiali innovativi e di tecniche di consolidamento molto distanti dalle tradizionali rendono la tematica di grande importanza nella progettazione degli interventi.

La “compatibilità meccanica e chimico fisica con la preesistenza, per cui i materiali aggiunti per integrazioni o riparazioni dovrebbero essere uguali agli antichi o, se moderni, forniti di analoghe caratteristiche; ciò per assicurare all’insieme omogeneità di comportamento nel tempo, onde evitare, ad esempio, differenti dilatazioni termiche e conseguenti distacchi o scorrimenti di materiali, stati di coazione, sovraccarichi localizzati e disomogeneità meccaniche, formazione di nuclei iperresistenti, accelerazione di fenomeni di degrado al margine delle zone rinnovate…”21.

Nell’ambito del settore marittimo la compatibilità è da sempre stata ricercata con

18 Si veda Bonsanti (2003, p.3).

numerose sperimentazioni, in passato anche con un certo empirismo (Romairone 2009, p.68), negli ultimi anni con approccio più scientifico, poiché le condizioni dell’ambiente marino mettono in evidenza, in breve tempo, eventuali criticità di accoppiamento tra materiali differenti anche nelle nuove costruzioni. È dunque possibile affermare che è presente una buona conoscenza in materia, anche se questa, per la maggior parte è derivata dall’esperienza sulle imbarcazioni di nuova costruzione22.

Le manifestazioni di incompatibilità più evidenti sono riscontrabili tra differenti tipologie di trattamenti protettivi, in accoppiamenti tra metalli diversi (corrosione galvanica), in accoppiamento tra legno e metallo (ferro zincato e legni tannici), e ancora a causa di scelte riguardanti la modifica della logica strutturale23 tradizionale per mezzo di collanti di

ultima generazione.

Il rischio di compiere interventi dannosi alla struttura dell’imbarcazione è molto alto, considerando le molte variabili in atto tra le quali di maggiore gravità sono:

− l’irreperibilità di molti dei legnami in opera sulle imbarcazioni storiche; − la frequente scarsa qualità di quelli disponibili in commercio;

− la cattiva (o troppo repentina) stagionatura dei legnami in commercio che si riscontra negativamente spesso solo dopo la messa in opera;

− le prassi ormai consolidate (e spesso richieste dallo stesso armatore) di stravolgimento della logica strutturale dell’imbarcazione (o di sua parziale modifica), con la creazione di nuclei iperresistenti dannosi per le componenti tradizionali adiacenti, mantenute secondo logiche d’accoppiamento e materiche diverse;

− Il riscontro in opera di situazioni già caratterizzata da incompatibilità.

In merito è interessante la prospettiva di Della Torre (2003, p.29) riguardo al riscontro, in opera, di situazioni già di per se stesse problematiche e delle prospettive d’intervento: “i compositi problematici sono spesso preesistenti, e sono proprio quello che si deve conservare: constatare che il degrado è dovuto a un difetto intrinseco non sempre autorizza a sostituire l’esistente con qualcosa di più coerente con gli schemi attuali, e quindi appare necessario impostare il problema in termini di controllo e prevenzione, definendo e valutando i parametri che delimitano il ‘dominio della compatibilità”. Il concetto, espresso dall’autore per l’ambito del restauro architettonico, si sposa perfettamente con le problematiche d’intervento sulle imbarcazioni.

Nelle unità storiche, è costante comune l’inadeguatezza di alcuni sistemi costruttivi alla luce dell’esistenza di nuovi prodotti, o la loro possibile ottimizzazione24 sul piano

strutturale. Ad esempio è chiaro come la presenza delle ferramenta utilizzate con funzione di accoppiamento delle strutture lignee è, alla lunga, causa di sollecitazioni ripetute e dannose per i legnami stessi ed evidenzia come la rimozione di perni e viti, con incollaggio alternativo delle strutture tramite resina epossidica, sarebbe una soluzione di estrema efficacia sul piano strutturale. La presa in considerazione di interventi simili, tuttavia, va valutata non solo in relazione agli effettivi vantaggi strutturali e all’accertata compatibilità chimico fisica25, ma anche e soprattutto con interesse agli aspetti formali 22 S’intendono imbarcazioni di nuova costruzione quelle unità realizzate nel periodo della costruzione classica

e di salvaguardia delle caratteristiche peculiari del bene stesso, così da non stravolgerne la leggibilità ed autenticità.

3.1.1.8. Durabilità

I materiali e i sistemi costruttivi tipici del patrimonio marittimo sono, come già esplicitato, per loro natura, soggetti a un repentino degrado. La situazione d’abbandono, in particolari condizioni ambientali, può portare un’imbarcazione a una situazione di irrecuperabilità (a meno d’interventi invasivi con estese ricostruzioni ex novo) anche nel giro di pochi anni. La consapevolezza, degli operatori e dei professionisti di queste problematiche, ha già spinto alla necessità di eseguire interventi, sia di manutenzione straordinaria sia ordinaria, che prevedano la massima durabilità; questa è quindi comunemente considerata come fondamentale requisito in ogni intervento.

Le criticità maggiori vengono piuttosto dalle modalità con cui questa durabilità è raggiunta. L’obiettivo della diminuzione della frequenza delle lavorazioni sul bene, può essere garanzia di scelte progettuali ed esecuzione degli interventi a regola d’arte, sempre che non ci si orienti sulla scelta di tipologie d’intervento mirate all’ottimizzazione strutturale, con esclusivo fine di riduzione dei costi di manutenzione (cosa purtroppo non rara) a danno della leggibilità delle caratteristiche costruttive del manufatto.

La durabilità è quindi da ricercare attraverso la qualità dei materiali, il rispetto delle procedure applicative dei prodotti, le lavorazioni correttamente eseguite, oltre che le scelte consapevoli in termini di compatibilità: lo studio e la comprensione delle dinamiche che regolano i sistemi costruttivi e i materiali tradizionali dell’imbarcazione, oltre che la conoscenza dei nuovi prodotti e i loro limiti applicativi, sono strumento utile per ottenerla.

3.1.1.9. Distinguibilità

La distinguibilità può interessare sia gli interventi di consolidamento che prevedono sostituzioni o aggiunte di elementi strutturali, sia l’installazione di dotazioni, come contemplato nell’articolo 10 della Carta di Barcellona che enuncia: “le dotazioni obbligatorie di navigazione e sicurezza devono integrarsi armoniosamente nell’insieme, ma nello stesso tempo devono potersi distinguere dall’originale, in modo che il restauro non ne falsifichi l’aspetto artistico e storico”26. Secondo quanto esplicitato, il rischio di

alterazione di parte delle caratteristiche proprie dell’imbarcazione, a causa di aggiunte di ausili alla navigazione e o d’impiantistica in linea con i requisiti di sicurezza richiesti, è risolto con l’attuazione di scelte mirate all’integrazione armonica con l’esistente, pur nel rispetto di principi di netta diversificazione dalla strumentazione originale esistente a bordo.

La Carta non fornisce tuttavia analoghe indicazioni riguardo la potenziale distinguibilità di componenti strutturali aggiunte durante un intervento di restauro. La tematica, fortemente dibattuta nel restauro, offre soluzioni quali il carattere di nuda semplicità per le aggiunte e la negazione del falso storico con integrazioni che evitino un falso antico. In prima analisi è molto chiara la volontà del raggiungimento di un’unità figurativa che permetta una corretta leggibilità dell’opera, pur senza cancellare i segni che il tempo e gli eventi hanno inevitabilmente lasciato sul manufatto, o mascherando le aggiunte necessarie a garantirne sicurezza di fruizione e conservazione.

Nell’ambito del restauro del patrimonio marittimo, l’attenzione a questa tematica

è stata raramente dimostrata fino ad ora: uno dei rari esempi al riguardo, ha previsto la marchiatura a fuoco della totalità delle componenti originali di Aria27,

un 8mSI del 1935, per distinguerle dalle aggiunte e sostituzioni avvenute durante le lavorazioni sull’imbarcazione. Un altro caso è Shylphea III, un’imbarcazione della stessa classe della precedente, nella quale si presentava la necessità di un’aggiunta alla struttura longitudinale, al fine di consolidare una zona che in queste imbarcazioni è frequentemente soggetta a rotture.In questo secondo intervento, si è scelto di installare la nuova struttura realizzata in legno dall’elevato dimensionamento e visibile al di sopra del piano dei paglioli, invece che un manufatto in metallo di minor dimensionamento che sarebbe potuto rimanere celato dal piano di calpestio. Questi sono casi sporadici e si può, in generale, affermare che l’attenzione a questo criterio non sempre è posta con la giusta rilevanza; ciò dimostra come, nonostante alcune problematiche intrinseche nella natura stessa dei materiali, anche dettate dall’esigenza periodica dell’applicazione su di questi di prodotti vernicianti, sia comunque possibile e importante interrogarsi riguardo questi temi. In merito è da sottolineare che spesso il legno, qualora trattato con vernici e o esclusivamente con impregnanti, comunica esso stesso le aggiunte o le sostituzioni, grazie alla tonalità e alla trama della fibra che sempre differisce tra tavole provenienti da piante diverse. È per questo che tassellature, tappi, intarsi e ogni genere di integrazioni sono facilmente riconoscibili sulle strutture con fibra a vista. Per quanto riguarda le componenti trattate a smalto la situazione è diversa, in quanto la finitura pigmentata cela gli interventi unificando le superfici, anche grazie alle stuccature, sotto un’unica colorazione. In questi casi potrebbe essere utile punto di partenza lasciare traccia dell’intervento attraverso opportuni elaborati che evidenzino le sostituzioni, le integrazioni e la serie di tassellature celate dagli smalti.

3.1.1.10. Documentazione

Lasciare traccia documentale di come si è operato sul bene è fondamentale. Produrre una documentazione28 che integri le motivazioni delle scelte progettuali, la descrizione dello

stato dell’arte e le indicazioni per l’esecuzione dell’intervento di restauro (unitamente ai materiali adottati) agevolerà le attività future e favorirà la leggibilità di eventuali sintomi di degrado.

Il materiale così prodotto potrà inoltre essere utilizzato per incrementare la leggibilità delle caratteristiche proprie dell’imbarcazione in occasione di mostre temporanee o permanenti, esposizioni museali, raduni ed eventi legati al mondo della marineria.