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I modelli abolizionisti

Nel documento La crisi delle misure di sicurezza (pagine 190-196)

Una volta verificati i rapporti tra colpevolezza e prevenzione, è necessario capire se possa esistere una disciplina migliore rispetto a quella attuale, in merito all’infermità mentale.

L’attuale disciplina non definisce il concetto di infermità mentale e lascia alla giurisprudenza il compito di colmare tale «lacuna». Ciò spiega l’esistenza di tanti indirizzi spesso tra loro confliggenti a discapito delle esigenze e del rispetto dei principi di legalità e di certezza del diritto.

Il primo modello da esaminare è piuttosto radicale e viene definito «abolizionista». Come il termine stesso indica, questo non si limita a modificare la disciplina dell’imputabilità o dell’infermità mentale, ma ritiene più conveniente abolire in radice la distinzione tra imputabili e non.

La proposta affonda le proprie origini nella scuola positiva italiana che, negando il libero arbitrio assegnava alla sanzione penale una funzione essenzialmente di difesa sociale. E’ evidente come in questa

191 prospettiva non vi sia a spazio per l’imputabilità, la quale viene sostituita in pieno dal concetto di pericolosità sociale, né per la pena sostituita a sua volta dalla misura di sicurezza.237

Da tempo però questa visione non è generalmente condivisa e accettata. Si è infatti constatato che l’imputabilità, quale elemento della colpevolezza non poggia su questioni filosofiche, bensì su “convenzioni sociali che richiedono per l’ordinata convivenza civile che questa si basi su norme di condotta comportanti l’autodeterminazione.”238

La prospettiva abolizionista viene distinta in diversi filoni: repressivo, progressivo e medicalizzante.

Il primo si caratterizza per un giudizio più rigoroso circa le cause di esclusione dell’imputabilità che si vorrebbero ristrette alle sole ipotesi più rigorose, quali ad esempio le psicosi e si è spesso concretizzato grazie ad alcune pronunce, nelle quali la giurisprudenza ha utilizzato il concetto di «pre-colpevolezza»239 oppure con i verdetti tanto cari alla giurisprudenza americana di «guilty but insane».

Il risultato che si intende ottenere mediante tale modello è il revirement dei condannati malati di mente all’interno del circuito

237 Questa era la previsione del Progetto Ferri, peraltro mai trasfuso in legge. 238

A. Manna, L’imputabilità e nuovi modelli di sanzione, cit. p. 199. L’autore fa riferimento alla dottrina tedesca in tema di libero arbitrio. In particolare cita Dreher,

Die Willensfreiherit- Ein zentrales Probelem mit vielen Seiten, Muenchen, 1987; e

Hirsch, Das Schulpdprinzip und seine funktion in Strafrecht, in ZStW, 1994.

239

A. Manna, L’imputabilità e nuovi modelli di sanzione , cit., In riferimento al recupero, nel modello tedesco, delle esigenze connesse alla prevenzione tramite il concetto giurisprudenziale di «pre-colpevolizza», p. 45 ss.

192 penitenziario, essendo questo ritenuto il più adatto al loro «controllo». Certo è gioco facile obiettare che questo eccessivo “rigore” si pone in contrasto con il principio di colpevolezza, poiché un’applicazione quasi indistinta della responsabilità penale finisce col negare l’assioma di partenza, ossia che l’individuo possa agire differentemente, col rischio di ricadere in delle fictio iuris che altro non celano se non casi di responsabilità oggettiva.240

La proposta progressista riconosce in capo all’infermo di mente delle «sfere di libertà»241 tali da giustificare il venir meno della differenza tra imputabili e non. Ritiene, inoltre, che sia possibile soddisfare le loro esigenze terapeutiche tramite la specializzazione dell’esecuzione penitenziaria. Si prevede quindi un carcere con “cure” per i soggetti portatori di disturbi psichici ed una speciale sezione carceraria per i soggetti che presentano disturbi meno gravi, come nel progetto Corleone (1996) che a sua volta ripercorreva le linee del progetto Grossi del 1983.242 Non si tratta solo di spostare la rilevanza della malattia mentale dal giudizio sull’imputabilità al momento sanzionatorio ma di abbandonare definitivamente il doppio binario a

240

Sulle fictio iuris ed i casi di responsabilità oggettiva si veda ancora una volta Manna, cit., p. 42 e ss.

241 M. Pelissero, Pericolosità sociale e doppio binario, cit., Si tratta di una sorta di

responsabilità legale di ascendenza positivistica, connessa al fatto stesso di vivere in società.

242

Il progetto Corleone, n. 151 del1996 prevedeva all’art. 13 che «I soggetti sofferenti di disturbi psichici, che si trovino in stato di detenzione per custodia preventiva o per espiazione di pena, hanno diritto di ricevere in carcere le cure mediche e l’assistenza psichiatrica necessaria per il recupero della salute a scopo di riabilitazione»

193 favore di una soluzione monistica in grado di risolvere il problema dei disturbi psichici dell’autore di reato all’interno della pena.

E’ una prospettiva di riforma che si richiama chiaramente al modello svedese243: si presenta un sistema di tipo monista che prevede l’applicazione della pena nei confronti di qualsiasi soggetto, indipendentemente dal riconoscimento della capacità di intendere e di volere.244 Il progetto trascura il problema della determinazione del quantum di pena da applicare, presagendo così che a determinarla sarà il grado di pericolosità sociale. Non a caso il progetto Corleone aboliva il divieto di perizia criminologica, così che si potessero dare al giudice più elementi di valutazione per poter determinare la pena. Una prima critica a tale progetto risiede nella prospettiva abolizionista dell’imputabilità che non corrisponde alla realtà clinica. Considerare l’infermo psichico sempre come responsabile determinerebbe, come abbiamo detto sopra, una ficto iuris.

Anche se il riconoscimento di quote di responsabilità è stato posto alla base della riforma psichiatrica del ’78 e del trattamento della malattia mentale, si traduce, se così trasposto nella disciplina penale,

243

Nel codice penale svedese del 1965 era stata abrogata la distinzione tra imputabili e non, mentre permanevano le dovute distinzioni in fase esecutiva al fine di adeguare la sanzione alla personalità del reo.

244

Il modello, come abbiamo già precisato, rinviene le sue radici storiche nella scuola positiva. Tuttavia la differenza con la scuola positiva sta nel fatto che, mentre quest’ultima modulava la disciplina sanzionatoria in ragione della pericolosità dell’autore, riconosciuto privo della capacità di autodeterminazione, questo modello risolve il problema del trattamento all’interno della pena, dando per supposto che il soggetto sia in possesso della capacità di intendere e di volere.

194 nella mera creazione di una nuova istituzionalizzazione, operando una mera sostituzione dell’ospedale psichiatrico con il carcere, che non è sicuramente il luogo più adatto per avviare un percorso terapeutico, sia da una prospettiva ambientale che interpersonale. Il rischio di sottoporre un infermo di mente a siffatta disciplina è quello di sacrificare il suo diritto alla salute in nome di una supposta parificazione che potrebbe condurre ad una violazione oltre che dell’art. 32 Cost. anche dell’art. 27, laddove si prescrive che la pena non possa mai concretizzarsi in trattamenti contrari al senso d’umanità.

Infine vi sono proposte dirette ad abbandonare il controllo penale a favore della medicalizzazione del trattamento dell’infermo di mente autore di reato. Così alla dichiarazione di non imputabilità dovrebbe seguire l’uscita del soggetto dal sistema penale ed il contestuale ingresso in un percorso sanitario. Tale disciplina sembra ripercorrere la strada già battuta dal codice Zanardelli.

Tuttavia l’idea di affidare il malato di mente autore di reato ai servizi territoriali e sottrarlo così all’o.p.g. non può tralasciare la riflessione sulla capacità di tali servizi di farsi carico di nuovi utenti, soprattutto a fronte della presa di coscienza che la riforma del ’78 si è scontrata proprio contro la mancata attuazione dei servizi territoriali e che l’unico strumento in grado di fronteggiare una crisi acuta, rimane il

195 t.s.o. Inoltre, si deve tener conto che la realtà dei servizi di salute mentale e gli interventi da questi proposti sono profondamente differenziati sul territorio italiano. In buona parte i soggetti con disturbi psichici sono lasciati alle cure delle famiglie. La proposta di un sistema di intervento medicalizzato di tale specie non è perciò concretizzabile nel breve periodo.245

Il secondo elemento critico della pura medicalizzazione è costituito dall’insufficiente ponderazione delle esigenze di difesa sociale. L’efficacia è condizionata dalla precostituzione di strutture esterne in grado di offrire una soluzione alternativa agli attuali ospedali psichiatrici per i casi di pericolosità non fronteggiabili con interventi ambulatoriali o con l’affidamento a comunità aperte.

A tal proposito un decreto legge presentato nel 2006 (Burani- Procaccini) prevedeva la costituzione di strutture residenziali di piccole dimensioni, nelle quali doveva essere attuata un’assistenza continuativa. A tali strutture dovevano destinarsi i «malati più gravi, pericolosi per sé e per gli altri o che rifiutino l’inserimento in comunità aperte».

Questo ci permette di capire perché l’abolizione degli o.p.g. sia così poco realistica e rischiosa. E’ come se si trattasse della peggiore soluzione eccetto tutte le atre, l’unica ad adempiere a quelle funzioni

245 G.L. Gatta, Revoca del ricovero in OPG per decorso della durata massima: un

196 di controllo cui l’apparato statale non intende rinunciare. Una funzione di contenimento, forse più che della pericolosità, dell’insicurezza sociale. In una visione del criminale come soggetto “altro” la malattia mentale acuisce e amplifica la percezione della pericolosità dei soggetti, doppiamente diversi: criminali e “folli”. Eppure, il clima attuale spinge sempre più verso la chiusura di queste strutture dove ad essere annientata è la dignità di essere umano, in cui l’esistenza non è altro che un susseguirsi di trattamenti farmacologici e degradazione. E’ necessario prendere coscienza che il binomio malattia mentale- pericolosità è stato oramai spezzato dagli studi e dalle statistiche, e che la psichiatria da anni ha avviato un approccio diverso alla patologia non più fondato sulla custodia ma sulla libertà e l’autodeterminazione del paziente. Allo stesso modo, si deve però accettare che non esiste attualmente la concreta possibilità di equiparare il trattamento del folle-reo a quello dell’autore di reato non disturbato, e che questa, almeno per il momento, non è la via percorribile.

Nel documento La crisi delle misure di sicurezza (pagine 190-196)