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Fra i 30 e i 75 anni, la massa magra dell’organismo si riduce, soprattutto a causa della perdita di massa muscolare scheletrica, e il numero e la dimensione delle fibre muscolari diminuiscono progressivamente; si parla di sarcopenia. Le persone anziane con mobilità notevolmente ridotta a causa di una malattia acuta, e particolarmente le persone anziane costrette a letto, corrono il rischio dell’accelerazione della perdita di forza e di massa muscolare. Alcuni geriatri ritengono che per 1 giorno di immobilizzazione assoluta a letto siano necessarie, per ritornare allo stato funzionale preesistente, 2 settimane di ricondizionamento.

OSTEOPOROSI42

La osteoporosi rende le ossa molto fragili e le fratture ossee rappresentano oggi uno dei maggiori problemi di salute soprattutto nell’anziano. È una patologia sociale, in quanto colpisce circa un terzo delle donne dopo la menopausa e molti uomini in età senile, ed è una delle cause più frequenti di morbilità, invalidità e mortalità nella popolazione anziana, con un costo sociale elevato sia in termini sanitari che economici. La osteoporosi può essere classificata in primaria e secondaria; la osteoporosi primaria è definita menopausale e colpisce persone di età compresa tra i 51 e 75 ed è 6 volte più presente nelle donne. L’osteoporosi secondaria o senile, compare in persone con età >70 anni ed è soltanto 2 volte più frequente nelle donne rispetto agli uomini. Questo tipo di osteoporosi può essere dovuta alla comorbidità associata all’invecchiamento (patologie croniche come insufficienza cardiaca, insufficienza renale, BPCO), a deficit nutrizionali e a immobilità prolungata. Negli anziani, si rileva molto frequentemente l’associazione dell’uso di glucocorticoidi con l’insorgere di tale patologia. Questa correlazione è preoccupante nell’anziano, in cui si ha un aumento del rischio di fratture proporzionale alla dose assunta di tali farmaci. Anche un deficit da lieve a moderato di vitamina D che può causare osteoporosi. Le fratture più frequenti sono quelle a carico della colonna vertebrale, e tra i più anziani quelle al femore, con conseguente aumento del rischio di disabilità, e di mortalità. Dopo una frattura al femore, circa il 20% delle persone muore entro un anno, il 30% rimane disabile, il 40% non recupera più la propria autonomia e l’80% perde almeno una delle attività strumentali della vita quotidiana.

Le cadute hanno un ruolo fondamentale nelle fratture e la prevenzione di esse ha quindi un ruolo cardine nei pazienti anziani con osteoporosi. Sono identificabili nell’anziano numerosi fattori di rischio per le cadute, che se adeguatamente controllati, sono in grado di ridurne notevolmente il numero. Gli interventi di prevenzione includono il controllo e la correzione dell’acuità visiva e uditiva, la valutazione di problemi neurologici, la revisione di farmaci per gli effetti collaterali che possono avere sull’equilibrio e sulla stabilità (benzodiazepine, neurolettici, antidepressivi, uso

42 L.J. DOMINGUEZ et al, Osteoporosis in the older person: update on pharmacologic and non pharmacologic

eccessivo di farmaci antipertensivi), la promozione dell’attività fisica e la rimozione delle barriere architettoniche domiciliari.

Un adeguato introito di calcio è essenziale per il mantenimento della salute ossea (donne in menopausa 1500mg/die). Una dieta equilibrata è in grado di fornire un’adeguata assunzione di calcio (contenuto soprattutto nei prodotti caseari, legumi e alcune verdure), ma l’introito potrebbe essere completato con integratori o con cibi arricchiti di calcio. L’aderenza ai supplementi di calcio non è infatti semplice da realizzare negli anziani, a causa dei possibili effetti collaterali gastrointestinali, soprattutto stipsi e dispepsia, che andrebbero a peggiorare la riduzione della efficienza gastrointestinale, già compromessa a causa dell’età.

La vitamina D riveste un ruolo fondamentale nella regolazione del metabolismo osseo: promuove il riassorbimento renale di calcio e ne facilita l’assorbimento intestinale. La vitamina D è contenuta in pochi alimenti tra qui le uova, l’olio di pesce, il salmone, le aringhe e il fegato. La raccomandazione giornaliera di vitamina D per ridurre il rischio di fratture in soggetti anziani, che non si espongono al sole e che sono a rischio di carenza di vitamina D, è superiore e va dalle 700 alle 800 UI/die, ma anche di 1000 UI/die negli anziani a maggiore rischio.

L’obiettivo principale del trattamento dell’osteoporosi nell’anziano si basa soprattutto sulla reale possibilità di ridurre l’incidenza di fratture. La terapia farmacologica è composta da:

- I bisfosfonati: analoghi del pirofosfato inorganico con un’alta affinità per i cristalli di idrossiapatite. Questi agenti interferiscono con l’attività osteoclastica rallentando il turnover osseo e la resistenza dell’osso. Dunque, aumentano la massa ossea, riducono il rischio di fratture nella pazienti che assumono glucocorticoidi, contrastandone l’azione. In donne in post-menopausa (>65 anni), l’utilizzo di alendronato riduce del 50% l’incidenza di fratture ossee.

I più comuni effetti collaterali sono la disfagia, esofagite e ulcera esofagica e gastrica. - Estrogeni: ha una serie di svantaggi e di rischi come l’aumento di incidenza del carcinoma

dell’endometrio e della mammella e una serie di effetti metabolici, cardiovascolari e sulla coagulazione che ne riducono la possibilità di utilizzo, soprattutto in donne anziane con un quadro clinico già complesso. Il rapporto beneficio-rischio di tale terapia, infatti, si riduce con l’invecchiamento.

- Raloxifene inibisce il riassorbimento dell’osso e riduce il rischio di nuove fratture vertebrali in donne osteoporotiche. I SERMs (selective estrogen receptor Modulators) sono un gruppo di composti che hanno un’elevata affinità per i recettori degli estrogeni. In questi farmaci si dissociano gli effetti non favorevoli di stimolazione dei tessuti mammari ed endometriali dagli effetti benefici sul metabolismo osseo e sul metabolismo lipidico, evitando l’insorgenza di effetti collaterali tipici degli estrogeni.

- L’ormone paratiroideo (PTH), è stato ampliamente studiato per i suoi effetti sull’osso. In Italia, le terapie con teriparatide e paratormone 1-84, anche per gli elevati costi, sono riservate a donne in menopausa con osteoporosi severa in cui è stata già riscontrata la presenza di fratture vertebrali o femorali severe.

- La calcitonina è stata utilizzata per molti anni per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi, anche se l’entità del suo effetto è minore di quella degli estrogeni, dei bifosfonati o dei SERM. L’effetto sfavorevole principale è l’irritazione locale.

Tutti questi farmaci hanno un rapporto rischio/beneficio nell’anziano simile a quello riscontrato nel paziente adulto, ad esclusione degli estrogeni, in cui gli effetti collaterali legati all’utilizzo acquistano maggiore entità nel trattamento della donna anziana.

OSTEOARTROSI

“Malattia della cartilagine ialina e dell’osso subcondrale, che colpisce prevalentemente le articolazioni della mano, la colonna vertebrale e le articolazioni dell’estremità inferiore”. L’osteoartrosi è la malattia articolare più frequente ed è una delle cause principali di invalidità nelle persone di età maggiore di 65 anni.

L’invecchiamento in sé e per sé non causa l’osteoartrosi, anche se le alterazioni delle cellule o della matrice cartilaginea che compaiono con l’età probabilmente predispongono le persone anziane all’insorgenza della malattia. Tra gli altri possibili fattori predisponenti vi sono l’obesità, i traumi, le anomalie congenite (la displasia dell’anca) e le malattie articolari primitive (l’artrite infiammatoria).

I farmaci utilizzati nell’anziano sono il paracetamolo e i FANS. Il paracetamolo è il farmaco di prima scelta per il trattamento del dolore, perché è più sicuro dei FANS e ha una buona efficacia. È un farmaco che va usato con cautela nei pazienti con epatopatia poiché aumenta il rischio di epatotossicità. Per i pazienti che non rispondono in maniera adeguata al paracetamolo, bisogna prendere in considerazione un FANS che deve essere utilizzato però con molta attenzione nel paziente geriatrico. Nei farmaci più recenti è stata riscontrata una elevata tossicità a livello renale che può essere anche irreversibile. Essendo eliminati principalmente a livello renale, i FANS potrebbero andare in contro a fenomeni di accumulo nel paziente anziano, in cui c’è una riduzione della funzionalità renale associata con l’età, oppure a seguito di una patologia a carico dei reni. Si creerebbe così un circolo vizioso in cui un FANS si accumulerebbe a livello di un rene non perfettamente efficiente, provocando danno renale. I nuovi inibitori selettivi della COX-2, che hanno effetti analgesici e antiinfiammatori simili ai FANS con il vantaggio di causare una minore tossicità a livello gastrointestinale, non vi è nessuna prova che siano sicuri a livello renale. La somministrazione intra-articolare di corticosteroidi è indicata per l’osteoartrosi sintomatica delle grandi articolazioni, qualora non risponda ai trattamenti abituali, ma bisogna stare attenti alla osteoporosi dose e durata dipendente che inducono, particolarmente problematica e rischiosa nell’anziano. Non è ancora definito se l’effetto di osteoporosi iatrogena possa o meno essere ridotta dalla assunzione concomitante di vitamina D e calcio. Inoltra anche a causa degli effetti immunosoppressori, è meglio, quando possibile evitarne la somministrazione negli anziani.

L’applicazione topica di creme (FANS) può essere utile sia come monoterapia, sia in associazione con gli analgesici assunti per via orale, specialmente nei pazienti con osteoartrosi delle mani o delle ginocchia.

GOTTA

“Artrite delle articolazioni periferiche a carattere acuto ricorrente o cronico, conseguente alla deposizione, all’interno delle articolazioni e dei tendini o in loro prossimità, di cristalli di urato monosodico derivante dai liquidi corporei ipersaturi di acido urico”.

43La gotta nel paziente anziano, in particolare quando il suo esordio avviene in età avanzata,

risulta una patologia complessa, con significative differenze epidemiologiche e cliniche rispetto alla forma classica dell’età adulta. Infatti, ci sono caratteristiche peculiari come: il più frequente interessamento poliarticolare, l’andamento spesso subacuto o cronico, il coinvolgimento delle articolazioni della mano, l’aumento di casi nel sesso femminile e la frequente associazione con una compromissione della funzionalità renale e con farmaci che riducono l’escrezione renale di urati, come i diuretici.

Il principale obiettivo terapeutico negli attacchi acuti consiste nella riduzione del dolore e nella risoluzione dell’infiammazione. La terapia è basata su farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) e sulla colchicina, entrambi poco tollerati nella popolazione anziana. Infatti, a causa della presenza di comorbilità e della conseguente polifarmacoterapia, gli anziani presentano un elevato rischio di eventi avversi e di tossicità, rispetto alla popolazione più giovane, anche a causa della compromissione della funzionalità epatica e renale. I FANS a lunga emivita e l’indometacina sono molto efficaci, ma, nei pazienti anziani, dovrebbero essere utilizzati composti ad emivita più breve, come l’ibuprofene ed il diclofenac. Gli inibitori selettivi delle COX2, nonostante la bassa incidenza eventi avversi gastrointestinali e l’efficacia negli attacchi acuti di gotta, non sono raccomandati perché possono indurre tossicità renale e cardiaca. Una valida alternativa, è la prescrizione di colchicina a bassi dosaggi; il rischio di eventi avversi in corso di trattamento con colchicina aumenta nei soggetti anziani con insufficienza renale ed epatica, o di terapia con macrolidi, verapamil e farmaci ipolipemizzanti. La colchicina viene attualmente considerata come un trattamento di seconda scelta a causa del suo basso indice terapeutico, visto che molti pazienti sviluppano effetti avversi gastrointestinali ancor prima di trarne beneficio.

Recentemente i corticosteroidi hanno dimostrato di essere efficaci nel trattare l’attacco acuto. Nei pazienti geriatrici, nei quali non è opportuna la somministrazione di FANS o colchicina, la somministrazione orale di prednisone (30-50 mg/die) rappresenta una valida alternativa terapeutica, scalando le dosi nell’arco di 7-10 giorni. I farmaci corticosteroidei possono essere utilizzati anche per via intramuscolare o intrarticolare.

La terapia ipouricemizzante è indicata in quei pazienti con attacchi di gotta ricorrenti, artropatia gottosa cronica o presenza calcolosi renale, con l’obiettivo di prevenire la formazione di nuovi cristalli e dissolvere quelli già presenti. Di fondamentale importanza, oltre l’aderenza alla terapia farmacologica, è la raccomandazione di adottare un corretto stile di vita, consigliando un cambiamento delle abitudini alimentari, conducendo una dieta appropriata e cercando di ridurre il peso corporeo quando eccessivo.

La terapia ipouricemizzante dovrebbe essere continuata per un tempo indefinito, poiché la gotta si può ripresentare dopo l’interruzione del trattamento. Gli eventuali attacchi acuti in corso di terapia cronica dovrebbero essere trattati senza interrompere la terapia ipouricemizzante. Per la riduzione dei livelli di acido urico sono disponibili diverse classi di farmaci: i farmaci uricosurici (probenecid) che agiscono primariamente inibendo il riassorbimento a livello del tubulo

prossimale di anioni urici, così da favorire l’escrezione renale di acidi urici, con rapida riduzione dell’uricemia e gli inibitori della xantina-ossidasi, che bloccano la formazione di acido urico (allopurinolo).

Nella terapia della gotta è rilevante il problema della compliance a lungo termine, soprattutto nel paziente anziano. Molti pazienti non comprendendo che la terapia per l’attacco acuto non è sufficiente per trattare la gotta, motivo per il quale interrompono precocemente il trattamento ipouricemizzante se non è più presente alcuna sintomatologia.