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Monastero della Visitazione

Nel documento L'Ateneo di Salò e la sua biblioteca (pagine 134-144)

Il Fondo ottocentesco

V. Monastero della Visitazione

Sul frontespizio di sei libri conservati nella Biblioteca dell'Ateneo si ritrovano riferimenti al Monastero della Salesiane della Visitazione di Santa Maria di Salò: « ce livre e[s]t de notre monastere d'.... de la visitation st. Marie Dieu soit beni363», « Questo libro è del Mon.ro Visitaz. Di Salò. Noviziato», « Q.sto libro è del Mon.ro della Vis.ne S.ta Maria di Salò».

Fig. 13 Particolare della risguardia anteriore del volume Pinelli Luca, Gersone della perfezione religiosa, e dell'obbligo, che ciascun religioso ha d'acquistarla. Composto, e diviso in quattro libri dal p. Luca Pinelli della Compagnia di Gesù - Edizione terza - In Venezia : presso Giuseppe Rosa, 1763.

Sono per la maggior parte opere del XVII e XVIII secolo, solo una è stata stampata nel 1865. Un esemplare prevede anche il timbro dei “Cappuccini di Salò”, sugli altri invece nessun'altra indicazione che possa far pensare ad una provenienza diversa da quella del monastero. Anche in questo caso, come per altri libri, mancando la documentazione relativa al loro arrivo, si cerca di capire quali siano stati i motivi e il momento del trasferimento, partendo dalla storia stessa del monastero.

L'idea dell'apertura di un monastero di clausura si deve al ricchissimo salodiano Bartolomeo Pedretti, che nel 1591 scrisse il suo testamento, nel quale dichiarava che, in caso di morte dei suoi eredi, il suo patrimonio sarebbe stato ceduto al Comune, con la clausola che le rendite dei suoi beni sarebbero state utilizzate per erigere un monastero di clausura femminile dell'ordine di S. Benedetto e al

363 Il fatto che tra questo ci sia un libro in francese con la scritta in lingua non deve stupire più di tanto, dato che abbiamo testimonianza che nel monastero era previsto l'insegnamento del francese. In AVS, cart. Salò, circolare 18 aprile 1897, ci si lamenta infatti che « solo in due sono rimaste con questa abilità». M. G. FRANCESCHINI, Alle porte della città. Il monastero

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mantenimento delle monache che vi avrebbero abitato. Se, per qualche motivo, questo progetto non fosse stato realizzato, il denaro sarebbe stato impiegato per costruire un ospedale o per finanziare altre opere pie.

Fu però solo nel 1611 che i notabili salodiani iniziarono ad interessarsi davvero della volontà del Pedretti e finalmente nel 1615 il General Consiglio della Riviera deliberò la costruzione del monastero. Il luogo prescelto fu « il sito fuori dalla porta del carmine a banda destra verso il lago, detto il Rivo» e il 17 ottobre 1626 arrivò l'autorizzazione da parte di Venezia per cominciare i lavori. Purtroppo una serie di circostanze fortunose e tragiche travolse la Riviera, spazzando via ogni iniziativa.

Alla fine del secolo, ottenendo anche nuove donazioni per questo progetto: da parte di Innocenzo Moniga di Salò, 25 ducati; da Luce Angelica Bertarelli Arrighi di Fasano ducati 250 e da Lucrezio Donati di Salò, ducati 100, si decise di riprendere in mano le pratiche. Tra le pretese dei donatori vi fu quella di poter scegliere l'ordine di suore che sarebbe stato ospitato. Si decise per le monache della Visitazione della Beata Vergine, un ordine fondato il 6 giugno 1610 da S. Francesco di Sales e da S. Giovanna Francesca di Chantal ad Annecy in Savoia.

Il comune e il General Consiglio della « Magnifica Patria», il 21 giugno 1710, diedero mandato al signori Fabio Traccagni, Andrea Barbaleni e Serafino Rotingo, in qualità di loro eletti, di individuare, seguire e portare a compimento tutte le pratiche necessarie e di reperire un alloggio idoneo per le prime monache364.

Per prima cosa i nobili deputati Barbaleni e Rotingo, il 17 dicembre 1710, si recarono ad Arona, monastero nello Stato di Milano, per consegnare alla Madre Superiora la lettera del card. Giovanni Alberto Badoer, vescovo di Brescia, finalizzata a definire nel miglior modo possibile le formalità della fondazione e, successivamente, richiedere il permesso per la realizzazione del progetto all'arcivescovo Giuseppe Archinto, cardinale di Milano e ordinario superiore delle monache.

Da Milano fu stabilito che si sarebbero trasferite sul Garda tre suore velate: suor Giulia Margherita Castiglioni (superiora), suor Maria Serafina Lezzeni e suor Maria Laura Visconti d'Aragona insieme a qualche figliola di educazione. Per

364 Per maggiori dettagli sul processo che portò alla realizzazioni del Monastero si rimanda all'instromento rogato dal notaio Zanetti il 26 gennaio 1714 che si trova negli Archivi della Magnifica Patria nel faldone 304,4 numerazione Livi.

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costruire il convento si decise di mettere mano alle case di proprietà Roveglio in prossimità di piazza Barbara, ovvero un insieme di case con orti e giardini, in un'ottima posizione, dove l'aria era salubre.

Nonostante alcune difficoltà legate a questioni economiche, prima del 1719 le monache riuscirono a stabilirsi nel monastero e a dare il via alle loro attività, tra cui la gestione di un educandato riservato ad accogliere figlie di agiate famiglie di Salò e della Riviera. Venivano offerti corsi elementari, lezioni di lingua francese, di musica e di pittura e rimase attivò fino al 1871. La clausura fu stabilita solennemente il 29 gennaio 1719 dal cardinal Gianfrancesco Barbarigo, vescovo di Brescia, e la chiesa annessa al monastero fu costruita a tempo record su progetto dell'architetto Antonio Spiazzi e consacrata il 17 novembre 1715365.

I salodiani impararono presto ad apprezzare il buon operato delle monache e si diffuse un generale affetto nei loro confronti, emblema del loro radicamento sul territorio. Tutto ciò si rese particolarmente palese durante il periodo burrascoso dell'invasione francese di fine XVIII secolo366. Anche loro contribuirono alla colletta comune imposta dalle truppe francesi che chiedeva « un milione di lire di Francia nello spazio di quattr'ore per provvedere ai bisogni dell'esercito»367 e il 24 aprile 1797 « per liberare la patria dalle Minacie de Francesi abbiamo dato la maggior parte dell'argento della nostra Chiesa»368. Sappiamo poi che questi furono anni difficili per gli ordini religiosi e i loro conventi e monasteri, la Visitazione di Salò però, grazie al sostegno dei cittadini, ed interventi provvidenziali di personalità salodiane o della nobiltà bresciana, riuscì superarli. Lo stesso educandato rimase attivo, sia pur con un numero ridotto di ragazze, e cominciò ad attirare l'interesse del Regio Governo369.

L'altra grande minaccia per il monastero fu quella dei provvedimenti contro le congregazioni religiose del 1805370, ma anche in questa occasione le salesiane furono risparmiate. Non si può certo dire, però, che la condizione con cui

365 L. AIMO, La fondazione del monastero della Visitazione, Salò 20 dicembre 1717-20

dicembre 2012, in Memorie dell'Ateneo di Salò, 2010-2011, Brescia, Ateneo di Salò, 2011. p.

9 ss.

366 Sugli eventi dell'invasione francese AVS, ms del 1799, STEFANI A., Memorie di alcuni fatti seguiti nella Riviera di Salò, p. 48.

367 SOLITRO, Benaco. cit., p. 676.

368 AVS, Cart. D1, fasc, 1, n. 5, memorie che devono star appresso alla Superiora che ponno dar lume, ms, carta 67.

369 M. G. FRANCESCHINI, Una città. Un monastero sulle tracce di documenti inediti, in

Memorie dell'Ateneo di Salò, 2010-2011, Brescia, Ateneo di Salò, 2011, p. 24-38.

370 Come si specifica nell'articolo IV del decreto, paragrafo 17: « Si conservano i nove monasteri di salesiane colle rispettive rendite di ciascun monastero», ASCS, fald. 175.

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dovevano convivere fosse felice, tanta era la miseria « tanto che talvolta si dovette rinunciare pure al pane», il gruppo tendeva a diminuire in numero e l'avanzare dell'età delle consorelle rendeva anche le attività quotidiane difficilmente sostenibili371. Nuove preoccupazioni sorsero con il decreto del 25 aprile del 1810372, ma anche in questo caso la provvidenza volle che il monastero riuscisse a rimanere aperto373. Scampato anche il pericolo di dover essere trasferite a Brescia374, si aprì una prospettiva di giorni di pace. Il Governo permise al monastero di accogliere nuove monache, e questo permise di aprire le porte al gruppo di salesiane di «Roveredo», con le quali vi era un rapporto di aiuto reciproco e sostegno alle notizie delle penose vicende di cui furono vittime.

Con il passaggio al governo austriaco ci si dovette però abbassare ad un controllo maggiore sull'istituto da parte dello Stato: si potevano ammettere nuove monache alla professione, ma si doveva sottostare alle leggi della monarchia, che prevedevamo che non si potesse emettere a ragazze al di sotto del ventiquattro anni e che queste avrebbero dovuto fornire una dote di L. 8.000 milanesi375.

Con il passaggio sotto il governo austriaco alte sono le speranze di una nuova stagione di pace e ripresa, come si era vissuto nella fase pre rivoluzione, ma presto ci si accorse che non poteva essere realmente così. Se ne resero ben conto le monache, che potevano nuovamente ammettere alla professione, che però era diventata ormai un vero e proprio affare di stato. Infatti non si poteva essere emesse prima dei ventiquattro anni, così come era prescritto in tutta la monarchia

371 Il governo controllava anche gli ingressi che venivano riservati solo a coloro che avevano un' abilitazione all'insegnamento e forniti di una dote cospicua.

372 AVS, cart. 1D, fasc. 1, n. 6/1.

373 Dal racconto di madre Dossi sappiamo che « il nostro (monastero) pure doveva essere involto nel comune disastro, ove la Provvidenza che di modo speciale vegliava su d'esso non si fosse servita per preservarlo dell'accortezza del fu conte Leonardo Martinengo fratello della degnissima nostra madre. Era egli gran ciambellano quindi ordinariamente i decreti passavano fra le di lui mani avendo osservato che in quello emanatosi per la distruzione dei conventi della provincia bresciana eccettuavasi quello delle salesiane in Brescia e sapendo che nella città non ve n'erano di tal ordine fece trasmutare le parole e mettervi invece quello sia ecettuato in Salò: così da noi si restò nel nostro santo asilo ma ridotte in sì picciol numero e in tale scarsezza di mezze che ormai sembrava impossibile mantenervici», Ivi.

374 Il Podestà stesso affiancò le monache per ribellarsi a questa decisione. Nelle sue suppliche ai vertici del Regno puntò molto sul ruolo fondamentale che questo monastero aveva per l'istruzione delle fanciulle a Salò, questo perché sapeva che poteva essere uno dei pochi motivi che avrebbero giustificato il mantenimento della sua attività a Salò. In realtà una delle principali ragioni era di sicuro il profondo affetto che la città nutriva per il monastero. FRANCESCHINI, Una città. Un monastero sulle tracce di documenti inediti, cit.

375 EADEM, Alle porte della città. Il monastero della Visitazione di Santa Maria di Salò, Brescia, 2012, p. 119.

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austriaca376, oltre al fatto che le candidate avrebbero dovuto fornire una dote di L. 8000 milanesi, cifra ovviamente fissata dal governo.

Si arrivò quindi agli anni '40 del XIX secolo, che sappiamo essere anni di grande fermento. Fu la complessa e vivace stagione in cui idee e concezioni nuove si affrontarono e si confrontarono. L'ordine esistente non soddisfaceva più, le difficoltà economiche mettevano ancor più a fuoco il disagio in cui viveva gran parte delle popolazione. Si iniziò nei diversi stati della penisola a reclamare riforme, mentre il regno sabaudo andava gradualmente assumendo un ruolo guida. Era l'epoca delle guerre di indipendenza.

Questo periodo di disordini ed incertezze convince le consorelle ad affidarsi ai buoni cittadini salodiani per le questioni più delicate, nel 1841 si diede massima fiducia al protettore del monastero, Augusto Rotingo «autorizzandolo ad operar liberamente» quale procuratore legale, in modo che potesse assisterle nelle varie procedure burocratiche imposte dallo Stato377.

Nel 1848 la questione si fece ancor più preoccupante: tra le cronache di quel tempo troviamo una lettera della superiora Luigia Teresa Castori inviata il 23 marzo 1848 alla deputazione comunale: « Nella scorsa notte alcuni malevoli hanno tentato di scalare la muraglia che cinge questo monastero». Per scoraggiare ulteriori tentativi del genere la madre supplica il Comune di stabilire « un numero sufficiente di guardia armata che permanentemente circondi il monastero» dichiarando la disponibilità dello stesso a pagarne la spesa378.

A questi problemi si aggiunsero negli anni successivi quelli legati ad epidemie quali il colera e la tisi che fecero molte vittime anche tra le monache. Quando poi si presentò la prospettiva di passare dal dominio austriaco a quello del regno di Sardegna nacquero molti interrogativi legati al risaputo indirizzo anticlericale verso cui stava pendendo il parlamento piemontese379.

Per evitare di venir colte impreparate, alla notizia delle prime soppressioni causate dalla legge Rattazzi (29 maggio 1855), si decise che, in occasione di doni di un certo valore ricevuti da parenti o amici, si sarebbero stipulati accordi legali per cui i donatori dichiaravano che « quel paramento o quel vaso sacro sono consegnati alla superiora solo ad uso della chiesa e del monastero e qualora, per

376 Dispaccio governativo del 4 marzo 1816 inviato in copia manoscritta dal podestà di Salò alle suore della Visitazione in Salò « per intelligenza e norma», AVS, cart. B, fasc. 1.

377 AVS, cart. 1D, fasc. 1, n. 6/2. 378 ASCS, fald. “Atti sul Risorgimento”.

379 FRANCESCHINI, Alle porte della città. Il monastero della Visitazione di Santa Maria di

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qualsiasi motivo, questo venisse soppresso, sarebbero dovuti tornare ai legittimi proprietari» 380.

Dopo aver dovuto sopportare anche l'arrivo dei garibaldini a Salò, diventata quartier generale per gestire l'attacco per la conquista del Trentino, si arrivò alla legge del 7 luglio 1866, la quale sancì la soppressione di tutte le congregazioni religiose sopravvissute alle precedenti misure legislative. Il monastero avrebbe perso la personalità giuridica e quindi la possibilità di possedere e gestire beni patrimoniali, di conseguenza vi fu l'incameramento dei beni che dovettero essere dettagliatamente inventariati da parte del Demanio. Le monache ricevettero infatti i moduli di inventario sollecitate a restituirli compilati correttamente: « Ci fu inviata la defida di tutti gli articoli da denunziare per la presa di possesso. Coll'aiuto degli avvocati abbiam riempito tutte le finche, cioè non solo dei capitali, ma di tutto ciò che esiste in monastero di locali, di mobili e mobiglie di sacrestia, lingeria ecc... nonché tutti gli attrezzi di cucina, di cantina, d'ortaglia, ecc. »381.

« Il 24 agosto venne inaspettatamente al monastero un ingegnere che per ordine del governo dovea visitar la casa per veder se atta fosse a formarne un ergastolo, tal perquisizione era stata ordinata su tutti i monasteri della Lombardia »382. Nel frattempo il Comune, facendo valere l'antico “strumento” del 1714, inoltrò la domanda per subentrare come proprietario dell'immobile del monastero allo scopo di utilizzarlo per scuole pubbliche. Considerando che a capo del municipio in questo momento c'era l'avv. Bernardino Maceri, devoto del monastero, si può fondatamente credere che tale richiesta abbia avuto lo scopo di sottrarlo alle mani de Demanio.

Parallela a queste vicende è quella che coinvolge la chiesa delle ex monache. Già nel settembre 1866 la direzione dell'amministrazione del Fondo per il culto avviò una raccolta dati presso i comuni in vista di ridurre il numero delle chiese aperte al pubblico sul territorio383. Il sindaco fu sollecitato ad indicare quali e quante ve ne fossero che meritassero «uno speciale trattamento» per qualche particolare motivo come « antichità, vastità, e ricchezza di monumenti». Si chiesero anche informazioni circa il clero, se fosse più o meno numeroso, e circa l'affluenza al culto da parte della popolazione. Il sindaco Maceri portò le sue

380 AVS, cart. 2A, fasc. 3, n. 2. 381 AVS, cart. 1D, fasc. 1, n. 5. 382 AVS, cart. 1D, fasc. 3, n. 2. 383 ASCS, cart. 189, fasc. 19.

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argomentazioni a difesa delle chiese della Visitazione e di quella dei Cappuccini di Barbarano. A sostegno di tale giudizio portò solidi motivi: anzitutto la configurazione urbana del comune:

« Qualora restasse aperta al culto solo la parrocchiale, verrebbe a trovarsi priva del servizio religioso tutta la zona di porta orientale costellata di case coloniche fino a palazzo Martinengo e servita egregiamente al momento dalla chiesa di San Giovanni tenuta dai padri cappuccini. E quella delle salesiane risultava una delle più frequentate dalla città. E ribadisce il fatto che il funzionamento della chiesa non pesa sulle pubbliche finanze essendo officiata grazie a oblazioni private».

Per i primi tempi parve che la situazione si fosse calmata. Finché il 7 luglio 1868, prendendo l'occasione della notizia apparsa per certa sui giornali di una imminente chiusura della chiesa delle salesiane, il sindaco fece nuovamente presente la sconvenienza di tale provvedimento.

« La chiesa del monastero è distante dalla parrocchiale e serve alla zona più popolosa della città e soltanto lì, oltre che nella parrocchiale stessa, si celebra la messa quotidiana. Tenendo presente che « nell'attuale condizione delle credenze e delle abitudini una parte ragguardevole della popolazione desidera la messa quotidiana», si corre il rischio, con la chiusura, di gravare in definitiva sulle finanze pubbliche poiché il Municipio si troverebbe a dover affrontare la spesa per far celebrare, in ogni caso la messa altrove, messa che invece al momento è celebrata a beneficio della popolazione, nella chiesa delle salesiane a spese delle monache. Del resto il pubblico pur frequentando la chiesa delle monache non è affatto disturbato dalla loro presenza, celata dalla alta e fitta grata, tanto che non s'accorge nemmeno della loro esistenza»384 .

Nonostante questo, nel luglio del 1868 gli incaricati dal Demanio giunsero per farne l'inventario. L'anno successivo però si stabilì che la gestione della chiesa sarebbe stata affidata alla Fabbriceria della parrocchiale. Tra le condizioni di questo passaggio si citino: la gestione della chiesa e del culto che non avrebbe dovuto gravare sulle finanze del Comune; che la Fabbriceria si sarebbe caricata di qualsiasi spesa inerente alla chiesa; che sarebbe stato nominato un Rettore approvato dall'autorità politica, che il Ministero dell'Istruzione Pubblica avrebbe potuto riservarsi di disporre di eventuali oggetti d'arte presenti nella chiesa e, infine, qualora questa avesse cessato di essere officiata, il suo patrimonio sarebbe dovuto tornare a disposizione del Fondo per il culto.385

Sempre in Comune è presente poi uno scambio di lettere tra il Municipio e la «R. Intendenza Provinciale di Finanza in Brescia Ufficio Registro di Salò», per cui quest'ultima chiedeva informazioni circa le origini e l'attuale condizione in cui versava la Chiesa del Monastero della Visitazione di S. Maria in Salò, e di risposta riceveva:

384 ASCS, cart. 189, fasc. 19. 385 AVS, cart. 2A, FASC. 3, n. 2.

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« Risposta al N. 22 Aprile 1870 N. 125 Salò 24 aprile 1870 / La chiesa del Monastero della Visitazione di S. Maria in questa città sorse contemporaneamente alla fabbrica di detto Monastero e fanno fin dall'origine un sol corpo e una sola proprietà con quel caseggiato che in forza dell'Instromento di fondazione n. 26 . 72 1714. atti del notaio Zanetti venne assegnato alla Corporazione monastica delle Salesiane. I capitali per la fondazione del Monastero furono sovvenuti parte da alcuni fautori di quella istituzione, e in parte dal Comune di Salò allo scopo evidente di provvedere per la educazione delle fanciulle. Questo Municipio atteso il concorso da esso prestato in origine con mezzi propri alla fondazione del Monastero, credette che avvenuta la soppressione del medesimo, fosse per legge il caso della devoluzione a suo vantaggio del Fabbricato, onde usarne a scopo di pubblica istituzione e a tele effetto con deliberazione consigliare del dì 7 Settembre 1866 adottava la proposta di chiedere allo stato la cessione a termini di legge del caseggiato. Trasmessa tale deliberazione alla locale R. Sotto Prefettura con circostanziato rapporto 17. 7 [2] 1866, del Sindaco Maceri non ebbe più evasione alcuna per parte della Superiorità. Frattanto le monache Salesiane continuarono e continuano a restare nel Monastero e ad usare tanto del caseggiato che della Chiesa colle stesse forme monastiche del tempo anteriore alla soppressione. La chiesa venne per qualche tempo d'ordine alla Superiorità chiusa al pubblico, ma in seguito al rapporto 9 Settembre 1866 del Sindaco Cav. Maceri vene riaperta, e oggidì continua ad essere officiata a spese delle Madri Salesiane»386.

In quello stesso anno però il Monastero dovette chiudere l'educandato, con i rischi che questo avrebbe comportato. Più volte, infatti, era stato risparmiato da chiusure e soppressioni proprio grazie alla presenza del servizio scolastico, che ne garantiva la sua utilità pubblica.

Un episodio di qualche anno dopo, 1873, testimonia come ormai le consorelle non potesseropiù nemmeno contare sull'appoggio del Comune in difesa della loro

Nel documento L'Ateneo di Salò e la sua biblioteca (pagine 134-144)