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Morfologia dell’ordinamento preocessual-tributario italiano

Nel documento Il giudice tributario come giudice europeo (pagine 117-120)

La giurisdizione è la porzione di ius dicere affidata ad un determinato organo giurisdizionale e per quanto concerne la giustizia tributaria italiana gli organi giurisdizionali a ciò dedicati sono le commissioni tributarie, la cui cognizione prescinde il valore della controversia. L’iter esperibile si articola in più gradi di giudizio ove la Commissione tributaria provinciale è competente per le liti in primo grado, la Commissione tributaria regionale è competente per le liti in secondo grado e la Corte di Cassazione per un giudizio di legittimità quindi per le sole questioni di diritto. Il perimetro della cognitio dei giudici tributari è delimitato dal limite “esterno” delle singole materie e da quello “interno” degli atti impugnabili. Risulta tuttavia utile al fine di questa trattazione soffermarsi in primo luogo sul concetto di “giurisdizione tributaria” e come l’attuale locuzione sia il frutto di una evoluzione storico culturale del pensiero giuridico processual-tributario. Vanno fatti dei doverosi distinguo poiché del concetto di “giurisdizione tributaria”, non è dato, a rigore, parlare prima degli anni settanta del secolo XX177, appariva infatti difficile qualificare “giurisdizionali” degli organi, quali le Commissioni, che di molto si discostavano dai principi cardine e dai singoli disposti della Costituzione repubblicana. La stretta dipendenza delle Commissioni dall’amministrazione attiva si poneva in conflitto con le garanzie imprescindibili di imparzialità e terzietà; lo sbilanciamento tra le parti in causa andava a minare il diritto dei privati a difendersi e tutelarsi contro gli atti amministrativi. Nel previgente sistema, infatti, non v’era nulla di giurisdizionale né nella funzione e né nei caratteri delle Commissioni di allora, che erano essenzialmente preposte all’accertamento dell’imposta di ricchezza mobile178, e più che giudicare, accertavano i redditi e sindacavano le dichiarazioni dei contribuenti. Dalle ceneri del precedente sistema emerse un nuovo schema nell’ambito del quale nel 1974 si può iniziare a

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Le Commissioni tributarie italiane non sono nate negli anni settanta, ma nel lontano 1864 con la legge sull’imposta di ricchezza mobile, che, istituendo un doppio ordine di Commissioni tributarie, gettava i semi del vigente sistema di giustizia Cfr. legge 14 luglio 1864, n. 1830, in Racc.

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Quest’ultima si calcolava secondo il sistema del contingente, mediante la determinazione di una somma fissa da ripartirsi tra le province e poi tra i comuni o consorzi obbligatori di comuni, l’attività di stima era demandata alle Commissioni comunali o consorziali, che si avvalevano dell’opera degli agenti di finanza. I contribuenti procedevano alla compilazione delle schede di dichiarazione dei redditi e le presentavano agli agenti; questi ultimi si limitavano a formulare pareri sulle schede raccolte e proposte di accertamento d’ufficio dei redditi non dichiarati. Gli elenchi e le schede, corredati dai pareri e dalle proposte, venivano sottoposti al vaglio delle Commissioni comunali, che non tanto giudicavano, quanto, piuttosto, accertavano i redditi e sindacavano le dichiarazioni dei contribuenti. Cfr.GIORDANO A.,cit.

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parlare di natura “giurisdizionale” del giudice tributario179. Intervenuto il d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha fatto seguito la definizione esplicita, in termini di “giurisdizione”, del carattere giurisdizionale e del campo di azione delle stesse180. La riforma ha comportato l’istituzione del Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria in grado di garantire l’autonomia di gestione dei nuovi giudici speciali tributari, competente a nominare i membri delle commissioni, ad assegnare gli uffici direttivi, a formare sezioni e collegi giudicanti, ad assegnare i ricorsi alle commissioni. La giurisdizione tributaria venne ampliata, nei limiti della delega, alle liti riguardanti tributi comunali e locali e ad “ogni altro tributo attribuito dalla legge alla competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie.

La definizione esplicita del giudice tributario come organo “giurisdizionale” si è, poi, mantenuta nelle importanti riforme181, le quali, devolvendo alle Commissioni le controversie sui “tributi di ogni genere e specie comunque denominati”, hanno dato i natali ad una giurisdizione tributaria sostanzialmente generale ed esclusiva. Risulta evidente quindi che le garanzie giurisdizionali a tutela del privato non siano state concesse in una sola ed unica soluzione, né che si siano originate in modo accidentale e subitaneo, ma piuttosto che siano state il frutto di un articolarsi continuo della morfologia dell’ordinamento processual-tributario182.

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Si aprì nel corso degli anni un processo di profonda revisione in chiave critica, che vide la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale difendere tesi diverse: la Corte di Cassazione sposò la tesi della natura giurisdizionale, mentre la Corte Costituzionale riconobbe alle Commissioni natura amministrativa. E’quindi il d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636 che, rimodulando criteri di selezione e poteri dei componenti le Commissioni e razionalizzando il sistema di tutela, ha consentito una generale propensione per la natura giurisdizionale degli organi di giustizia tributaria. Nel 1974 la Consulta, preceduta poco prima dalle sezioni unite della Cassazione, si è definitivamente pronunciata a favore della natura giurisdizionale delle Commissioni tributarie, superando così l’orientamento antecedente e risolvendo, almeno nella forma, una questione a lungo vessata.

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Prima del 1992 erano presenti deficit rilevanti sotto il profilo dell’imparzialità e terzietà delle Commissioni, ancora eccessivamente vicine all’amministrazione attiva: non a caso, le pronunce delle commissioni tributarie erano sprovviste dell’etichetta di “sentenze”, ancorché rese nel nome del popolo italiano. La successiva evoluzione del contenzioso tributario fu tesa al superamento dei limiti anzidetti. Il Parlamento delegò il Governo ad emanare decreti legislativi riguardanti la revisione della disciplina del contenzioso tributario. Ebbero, quindi, luce i Decreti legislativi nn. 545 e 546 del 31 dicembre del 1992, rispettivamente relativi alla composizione dei nuovi giudici e alla disciplina del nuovo processo. Solo con l’insediamento delle nuove commissioni, nell’Aprile 1996, i provvedimenti divennero operativi. Nei decreti in questione, venne rivista la composizione delle commissioni; pur richiedendosi, ai giudici, una maggiore preparazione in campo giuridico ed economico, si rinunciava, tuttavia, alla creazione di sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari ed alla costituzione di giudici speciali professionali.

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Si fa riferimento, in particolare, all’articolo 12 L. 28 dicembre 2001, n. 448 e all’articolo 3- bis del D.L. 30 settembre 2005, n. 203.

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Si è, infatti, assistito, ad un vero e proprio crescendo di tutela per comprendere il quale è necessario fare un passo indietro, quando la legge delega n. 825 del 1971 ed il d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 636, attuativo della delega, fecero chiarezza sulla questione, riconoscendo il carattere giurisdizionale delle Commissioni tributarie e rivedendo, in ossequio alla VI disposizione transitoria, il rito e i criteri di selezione e nomina dei giudici. Il citato decreto articolava il processo tributario in tre gradi, il terzo dei quali poteva tenersi a Roma, avanti alla Commissione tributaria centrale, oppure di fronte alla Corte

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Alla luce delle considerazioni sopra espresse risulta evidente che solo con la riforma del 1992, si è, in sintesi, inaugurato quello che può dirsi propriamente un sistema “processual-tributario”, un corpus sostanzialmente autonomo, costituito dalle disposizioni del d.lgs. n. 546 del 1992 e dalle norme del codice di procedura civile, operative ex articolo 1 c. 2 dello stesso decreto183.

d’appello. Era possibile proporre ricorso in Cassazione, ex articolo 360 cod. proc. civ., contro la decisione emessa all’esito del terzo grado di giudizio. Emerse un nuovo tipo di processo tributario, dotato di sufficiente autonomia e capace di rappresentare il punto di riferimento dell’intero contenzioso fiscale poté ritenere acquisita la natura giurisdizionale delle commissioni tributarie, nel contesto di un processo che includeva anche l’impugnativa avanti alla Corte d’appello e il ricorso per Cassazione.

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Vennero introdotte rilevanti novità, a presidio delle situazioni protette, quali l’obbligo di assistenza tecnica del contribuente, l’introduzione del regime delle spese del processo il procedimento cautelare incidentale nel giudizio di primo grado e il giudizio di ottemperanza, vero progresso, quest’ultimo, verso la possibilità di eseguire sentenze definitive a sfavore dell’amministrazione la l. 28 dicembre 2001, n. 448 e il D.L. 30 settembre 2005, n. 203 e hanno significativamente espanso la cognizione delle prime, fino a ricomprendervi “i tributi di ogni genere e specie comunque denominati”. Il Legislatore si è persino spinto al di là della stessa nozione tradizionale di “tributo” e di “natura tributaria” del rapporto controverso. La novella del 2005, ha incluso nella giurisdizione tributaria le controversie relative al canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, al canone comunale sulla pubblicità e al diritto sulle pubbliche affissioni, oltre alle liti riguardanti il canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani e quello per lo scarico delle acque reflue. Alle imposte e alle tasse sono state, insomma, aggiunte entrate di natura prevalentemente sinallagmatica o, comunque, paratributaria. Il D.L. 4 luglio 2006, n. 223 ha ulteriormente espanso la nostra giurisdizione, includendo, tra gli atti impugnabili di cui all’articolo 19 D.lgs. n. 546 del 1992, anche il fermo amministrativo di beni mobili. Significativa è stata la pronuncia n. 16776 del 2005, con la quale la suprema Corte ha avallato l’ampliamento della giurisdizione alla totalità delle liti in materia tributaria. Una ulteriore sentenza, la n. 7388, del 2007, ha, poi, ha sottolineato che al giudice ordinario spetterebbero le sole controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica della cartella di pagamento o dell’avviso di mora; gli atti amministrativi generali o regolamentari resterebbero, poi, di competenza del giudice amministrativo. Anche in relazione alle tariffe e ai canoni ex articolo 2 c. 2 D.lgs. 546 del 1992, le sezioni unite hanno avallato la sussistenza della giurisdizione tributaria, in quanto le prime sarebbero “figlie” di precedenti prelievi tributari e di questi conserverebbero il presupposto d’imposta e gli elementi fondamentali. Per un approfondimento cfr. DEL FEDERICO L., Tasse, tributi

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Nel documento Il giudice tributario come giudice europeo (pagine 117-120)