La Germania, negli ormai sessant’anni che ci separano dalla fondazione della Comunità europea, si è mostrata, specie agli albori della Comunità, restia a rinunciare all’identità propria dell’ordinamento costituzionale tedesco, con particolare attenzione alla cessione di sovranità in ambito tributario. A supporto di queste posizioni sono state elaborate interessanti e suggestive argomentazioni giuridiche che gli stessi giudici tedeschi hanno nel tempo sottoposto al giudice comunitario e, da un lato proprio in ragione di questo atteggiamento recalcitrante, e dall’altro forse per un eccesso di zelo e solerzia, la repubblica alemanna figura tra i paesi che hanno maggiormente operato rinvii alla Corte di Giustizia36.
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In particolare, alla luce di dati monitorati e resi pubblici nell’ambito del Convegno dell’Associazione delle Magistrature Superiori, noto anche con il nome di convegno di Helsinki del 20 e 21 maggio 2002, e delle relazioni annuali rese pubbliche tramite comunicati stampa dalla stessa Corte di giustizia (vedasi sito ufficiale dell’Unione). Dai dati di seguito riportati è emerso che la pregiudiziale interpretativa costituisce nel 2002 all’incirca la metà del contenzioso della Corte. Si noti che la Corte di giustizia dell’Unione europea, nel 2013, ha dovuto affrontare e risolvere il numero più elevato di cause arrivate a Lussemburgo dal momento della sua creazione. E’ quanto riportato nella relazione annuale presentata a marzo 2014, firmata dal Presidente della Corte di giustizia V. Skouris, relativa all’intera attività del 2013. Da essa è emerso un livello di produttività senza precedenti quello del 2013 con ben 1.587 cause concluse, segno di una fiducia nel funzionamento della Corte. Con un più 10% rispetto al 2012. Il numero di rinvii pregiudiziali è arrivato a quota 450 (mai un numero così alto). Tutti elementi che indicano il successo della Corte Ue ma che mettono anche a rischio l’efficienza del sistema giurisdizionale nel suo complesso. In questa direzione, la Corte è costantemente attiva nell’introduzione di meccanismi in grado di assicurare il buon funzionamento al fine di garantire una giustizia effettiva. Basti ricordare il continuo aggiornamento delle istruzioni pratiche alle parti anche sui ricorsi diretti e le impugnazioni (le nuove istruzioni sono entrate in vigore il 1° febbraio 2014). Va sottolineato che, per i rinvii pregiudiziali, dall’inizio della sua attività all’intero 2013, la Corte si è pronunciata su 8.282 cause. Il numero più alto di rinvii pregiudiziali è targato Germania (2.050), seguita dall’Italia (1.227), dalla Francia (886), dai Paesi Bassi (879), dal Regno Unito (561).Le statistiche giudiziarie della Corte per l’anno 2013 sono, nel complesso, caratterizzate da cifre senza precedenti. L’anno appena trascorso resterà infatti negli annali, da una parte, come l’anno più produttivo nella storia della Corte e, dall’altra, come l’anno con il più alto numero di cause promosse mai raggiunto. Nel 2013 la Corte ha infatti definito 635 cause (cifra netta, che tiene conto delle riunioni di cause), il che rappresenta un aumento notevole rispetto all’anno precedente (527 cause definite nel 2012). Tra queste, 434 cause si sono concluse con sentenza e 201 hanno dato luogo ad un’ordinanza. La Corte è stata investita di 699 cause nuove (indipendentemente dalle riunioni per connessione). Tale aumento del numero totale di cause avviate è da mettere principalmente in relazione con l’aumento, rispetto all’anno precedente, del numero di impugnazioni e di rinvii pregiudiziali. In particolare, il numero di questi ultimi nel 2013, pari a 450, è stato il più alto mai raggiunto(nei dati forniti al consiglio di Helsinki erano 220-250). Per quanto riguarda la durata dei procedimenti, i dati statistici sono molto positivi. Per i rinvii pregiudiziali, tale durata è di 16,3 mesi. Il leggero aumento rilevato rispetto al 2012 (15,6) non è considerato statisticamente significativo. Quanto ai ricorsi diretti e alle impugnazioni, la durata media della trattazione è stata rispettivamente di
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Dopo aver analizzato il giudice tributario in chiave comparatistica, infatti, occorre valutare come lo stato tedesco si ponga nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di Giustizia, per dare completezza ad un elaborato che sia di ampio respiro e che investa al contempo gli aspetti interni del giudice tributario in Germania, del ruolo svolto dalla Corte Costituzionale tedesca e gli aspetti dialettici Comunitari, con particolare riferimento al rinvio pregiudiziale che rappresenta senza dubbio l’istituto giuridico di maggiore notorietà dell’intero panorama dei rimedi giurisdizionali apprestati dall’ordinamento giuridico dell’Unione europea.
La Germania nel tempo ha palesato un atteggiamento di reticenza e di non totale passiva rassegnazione all’avanzare del diritto comunitario ed alla sua immediata influenza e produttività di effetti nel singolo ordinamento così, in un primo momento con la nota sentenza del 1974, Solange I, pietra miliare nella giurisprudenza costituzionale tedesca, il giudice costituzionale tedesco aveva sancito un vero e proprio potere di controllo sul diritto comunitario, fondato sull’articolo 100 della Grundgesetz. Detto meccanismo sanciva la netta preminenza, non prima di una forte valenza simbolica, della Grundgesetz, ed in particolare dei principi in essa contenuti, sul diritto comunitario.
La sentenza Solange I era una pronuncia tedesca, in risposta ad un caso sottoposto alla Corte di Giustizia europea in tema di legittimità dei depositi cauzionali previsti dalla normativa europea. Nella specie si trattava di un regolamento per tutte le imprese che volessero ottenere licenze di importazione37. Fu il Tribunale Amministrativo
24,3 mesi e di 16,6 mesi. È vero che la durata dei procedimenti nei ricorsi diretti nel 2013 è aumentata in modo considerevole rispetto all’anno precedente (19,7 mesi). La Corte resta certamente vigile a tal riguardo, ma le prime analisi statistiche mostrano che si tratta piuttosto di un aumento dovuto a fattori congiunturali su cui la Corte ha un controllo molto limitato. Oltre che alle riforme dei suoi metodi di lavoro intraprese in questi ultimi anni, il miglioramento dell’efficienza della Corte nella trattazione delle cause è anche dovuto a un più ampio ricorso ai vari strumenti procedurali di cui essa dispone per accelerare la trattazione di alcune cause (il procedimento pregiudiziale d’urgenza, il giudizio in via prioritaria, il procedimento accelerato, il procedimento semplificato e la possibilità di statuire senza conclusioni dell’avvocato generale). Il procedimento pregiudiziale d’urgenza è stato richiesto in 5 cause e in 2 di esse la sezione designata ha considerato soddisfatti i requisiti stabiliti dagli articoli 107 e seguenti del regolamento di procedura. Dette cause sono state definite in un arco di tempo medio di 2,2 mesi. Il procedimento accelerato è stato richiesto 14 volte, ma per nessuna di esse erano soddisfatte le condizioni richieste dal regolamento di procedura. Conformemente ad una prassi stabilita nel 2004, le domande di procedimento accelerato sono accolte o respinte con ordinanza motivata del presidente della Corte. Peraltro, è stato accordato un trattamento prioritario a 5 cause. Inoltre, la Corte si è avvalsa del procedimento semplificato, previsto all’articolo 99 del regolamento di procedura, per rispondere a talune questioni ad essa sottoposte in via pregiudiziale. Un totale di 33 cause è stato così definito con ordinanza in forza di questa disposizione. Infine, la Corte si è avvalsa con una certa frequenza della possibilità, offerta dall’articolo 20 del suo Statuto, di giudicare senza conclusioni dell’avvocato generale, laddove la causa non sollevi nuove questioni di diritto. Ricordiamo a tal proposito che per circa il 48 % delle sentenze pronunciate nel 2013 non sono state presentate conclusioni.
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La decisione "Solange I" del 29 maggio 1974 incrina questo indirizzo giurisprudenziale, in quanto la Corte costituzionale federale avoca nuovamente a sé la competenza a giudicare dell'applicabilità del
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(Verwaltungsgerichtof) di Francoforte a sollecitare l'intervento della Corte di Giustizia chiedendole di valutare, alla luce dei canoni costituzionali tedeschi, le licenze in parola che contrastavano, almeno apparentemente, con i principi fondamentali di libertà economica, di azione e di disposizione, nonché di proporzionalità, tutelati dalla Legge fondamentale tedesca. Nella sentenza in parola, infatti, la Corte di giustizia affermò che la validità delle disposizioni sub iudice potesse essere sindacata solo alla luce del diritto europeo, non certo del diritto interno, per evitare ogni eventuale crepa nell'uniformità ed effettività del sistema giuridico dell'UE. Quasi per controbilanciare la forza dirompente di tale affermazione, emerse dalla sentenza Solange, pronunciata dalla Corte Costituzionale tedesca, l’assunto che i giudici nazionali tedeschi potevano non dare attuazione a norme interne che avevano il fine di attuare un disposto comunitario se erano in contrasto con le norme contenute nella Costituzione tedesca, e potevano adire il tribunale costituzionale tedesco con lo strumento del sindacato di legittimità.
Come sancito nella sentenza in esame “sino a che il processo di integrazione della Comunità non abbia raggiunto uno stadio sufficientemente avanzato perché il diritto comunitario comporti egualmente un vigente catalogo di diritti fondamentali, deliberato da un Parlamento e corrispondente al catalogo dei diritti fondamentali consacrati dalla Legge Fondamentale, il rinvio alla Corte Costituzionale federale da parte di un organo giurisdizionale della Repubblica federale di Germania, è ammissibile e si ritiene necessario, quando tale organo giurisdizionale ritenga la norma comunitaria di cui si tratta inapplicabile per il fatto di essere in contrasto con uno dei diritti fondamentali consacrati nella Legge Fondamentale”.
In un secondo momento si ha un mutamento di orientamento ed un’ ulteriore tappa dell’evoluzione giurisprudenziale tedesca è sancita dalla successiva sentenza Solange II del 1986, nell’ambito della quale si afferma che il Bundesverfassungsgericht rinuncia espressamente al proprio sindacato di conformità ai principi costituzionali tedeschi della norma comunitaria ed il singolo avrebbe potuto ricevere tutela nell’ambito della competenza esclusiva del giudice comunitario38. Detta pronunzia aveva lo scopo di ottenere dalla Corte Costituzionale tedesca una sorta di anomalo sindacato di legittimità sulle sentenze della Corte di Giustizia, per negarne valore vincolante ove fossero in qualche misura “erronee”. Tuttavia il tribunale tedesco non volle collocarsi nella scomoda posizione di giudice d'appello rispetto alle sentenze della Corte di Giustizia, per non avvalorare l'idea che si potesse ignorare o disattendere
diritto comunitario derivato in pretesa lesione di diritti fondamentali, riconosciuti e garantiti dalla Legge di Bonn. Cfr. BVerfGE 37, 271.
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Una volta mutata la situazione in ambito comunitario, anche la Corte costituzionale federale modifica la sua posizione con la celebre decisione "Solange II" del 22 ottobre 1986, in cui traccia le linee-guida, tuttora valide, della sua giurisprudenza in tema di diritto comunitario derivato e di rispetto dei diritti fondamentali. Cfr. BVerfGE 73, 339.
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il valore di una sentenza resa da un'autorità giudiziaria legittima, soltanto ritenendola (all'occorrenza) erronea o non sufficientemente chiara.
Nella Solange II emerge il principio del “rapporto di cooperazione” e viene modificato quanto era stato espresso nella precedente Solange I. Il mutamento di orientamento risulta di lapalissiana evidenza nelle locuzioni “finché non abbia raggiunto un adeguato grado di sviluppo dei diritti fondamentali”, della prima, sostituito dalla locuzione “fino a quando assicurerà una adeguata garanzia dei diritti come quella attuale” sancendo expressis verbis il riconoscimento da parte dell’ordinamento tedesco che la Comunità aveva raggiunto un sufficiente grado di sviluppo giuridico che non le riconosceva nella prima pronuncia, ma nonostante l’assunzione di questa posizione non si preclude in astratto ed in assoluto il sindacato di legittimità nei confronti del quale viene comunque lasciata una residuale possibilità di esercizio: laddove la tutela assicurata non sia pari a quella assicurata nell’ordinamento tedesco, si riserva la possibilità di esercitare il proprio sindacato, atto ad incidere anche sul merito.
Risulta evidente che l'Unione europea si è dotata tramite le pronunce della Corte di Giustizia di una Carta dei diritti fondamentali che, nell'ampiezza delle previsioni, traduce compiutamente i caratteri dì’identità di uno Stato di diritto, democratico e sociale 39.
Viene infatti affermato nella Solange II “Fino a quando la Comunità europea e, in particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia garantiscono, in modo generale, una protezione efficace dei diritti fondamentali che possa essere nella sua essenza dello stesso livello della protezione irrinunciabile dei diritti fondamentali assicurata dalla Legge Fondamentale, la Corte Costituzionale federale non eserciterà più la sua competenza relativamente alla applicazione del diritto comunitario derivato nei casi in cui lo stesso diritto fosse invocato davanti ai giudici tedeschi. I ricorsi, fondati sull’articolo 100 della Grundgesetz, saranno d’ora in poi inammissibili”. Tuttavia è proprio in materia di prelievo fiscale che si arriva ad un ulteriore ed importantissimo mutamento giurisprudenziale, data la particolare rilevanza della materia tributaria in questo ambito.
In materia di tassazione IVA, è con la sentenza Kloppenburg, che la Corte Costituzionale tedesca ha riconosciuto l'efficacia vincolante delle decisioni emesse dalla Corte di Giustizia, manifestando un progressivo avvicinamento (nella specie, in tema di effetti diretti delle direttive) e ha previsto, altresì, una sorta di "sanzione costituzionale" per i giudici che manchino di seguirle.
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Con il conseguente recepimento del trattato di Lisbona. Ai sensi dell'art. 6, al. 1, del trattato di Lisbona "L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati".
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La sentenza Kloppenburg aveva ad oggetto l'imposta sul valore aggiunto. Posto che l'IVA è un tributo che trova la propria conformazione in sede europea, soprattutto attraverso lo strumento legislativo delle direttive, sebbene l'armonizzazione dell'imposta sia prevista dai Trattati e la direttiva ne costituisca lo strumento fisiologico di attuazione, gli organi ed i tribunali nazionali tedeschi hanno mostrato in passato reticenza a cedere lo ius imperii sul tributo al diritto europeo, facendo leva sull'impossibilità di riconoscere immediata applicabilità alle direttive in materia40. La Corte Federale delle Finanze tedesca nella propria prassi giudiziaria si poneva in posizione antitetica rispetto al riconoscimento della diretta applicabilità delle direttive in materia di IVA, in netto contrasto con l'interpretazione della Corte di Giustizia. La Corte Federale delle Finanze tedesca fu chiamata a decidere il caso Kloppenburg ove la ricorrente invocava la diretta applicabilità delle direttive IVA ed il riconoscimento dei diritti ivi sanciti. Nel decidere la questione, la Corte Federale delle Finanze ribadì la propria posizione sulla mancanza di effetto diretto delle direttive, così rendendo, di fatto, inapplicabile la giurisprudenza europea formatasi sul punto. Tale.risultato fu ottenuto attraverso il richiamo e l'applicazione delle sole norme nazionali, senza alcuna considerazione per quelle europee, così da evitare il rinvio obbligatorio al Giudice europeo.
La soluzione del giudice tedesco risultava essere il frutto evidente dalla valutazione di due diversi profili. Da un lato, si riteneva che, nell'ordinamento interno, non esistessero disposizioni di legge attributive di efficacia diretta alle direttive, per cui i cittadini non erano legittimati ad adire l'autorità giudiziaria per lamentarne la mancata trasposizione sul piano nazionale. Dall'altro, la Corte Federale delle Finanze ritenne che le sentenze pregiudiziali d’interpretazione della Corte europea non potessero avere effetto vincolante se non limitatamente all'interpretazione del diritto europeo. Poiché la direttiva è una fonte che necessita di trasposizione interna, nel momento in cui ciò avviene, essa diventa legge dello Stato, come tale sottratta alla competenza interpretativa della Corte di Giustizia.
Sulla scorta di tale premessa, il giudice tedesco affermò che la Corte europea non aveva autorità giurisdizionale per creare regole efficaci sul piano nazionale, per cui spettava ai tribunali interni stabilire, attraverso l'interpretazione dell'atto (nazionale) di adesione all'Unione, se le fonti normative delle istituzioni europee potessero produrre effetti nella sfera giurisdizionale domestica. L'affermazione era frutto di un mero escamotage. Ferma restando la competenza della Corte di Giustizia ad interpretare i Trattati e le fonti derivate, i giudici tedeschi erano legittimati a fornire la lettura
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Sul punto occorre ancora rammentare che, già dal 1974, con la sentenza Van Duyn del 1974, il Giudice europeo aveva avuto modo di precisare come anche le direttive, in alcune circostanze ed entro precisi limiti, potessero avere effetto diretto ed immediata applicabilità nell'ambito degli ordinamenti interni. In particolare, nella sentenza Becker’s, questo principio venne riferito dalla Corte di Giustizia alle direttive in materia di IVA, in netto contrasto con l'interpretazione sino ad allora sostenuta nella pratica giudiziaria dalla Corte Federale delle Finanze tedesca.
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dell'atto interno di adesione alla Comunità. Per questa via, essi si garantivano, in realtà, il potere di interpretare il diritto europeo e di determinarne l'effettiva portata applicativa.
L'approccio seguito dalla Corte Federale delle Finanze era improntato non solo ad una critica serrata dei poteri delle istituzioni europee, primo tra tutti quello giudiziario, ma era anche animato dalla volontà di rivendicare la titolarità della cosiddetta Kompetenz- Kompetenz, la competenza delle competenze, vale a dire il potere di stabilire i limiti della giurisdizione europea. La Corte federale delle Finanze sembrerebbe essere andata oltre i limiti accettabili. La reazione della Corte Costituzionale , sollecitata ad intervenire sul caso attraverso l'impugnazione diretta da parte della signora Kloppenburg, si mosse in tutt'altra direzione. Stigmatizzando il comportamento tenuto dalla Corte Federale delle Finanze.
La Corte Costituzionale tedesca ribadì l'autorità vincolante delle sentenze emesse dalla Corte di Giustizia, riconoscendole il potere di decidere in via definitiva sul diritto europeo (anche) secondario, ivi comprese le direttive e chiarì che, ove un tribunale nazionale non condividesse l'interpretazione fornita dal Giudice di Lussemburgo, potrebbe esclusivamente sollecitare un nuovo pronunciamento attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale previsto dall'art. 267 TFUE. Non potrebbe, al contrario, ignorare o considerare inapplicabili i dicta interpretativi della Corte di Giustizia, da ritenersi vincolanti.
Il Bundesverfassungsgericht affermò che la Corte Federale delle Finanze, rifiutandosi di recepire quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e, altresì, di rinviare nuovamente il caso per un’ulteriore interpretazione preliminare, avesse agito arbitrariamente e negato al ricorrente il diritto al giudice naturale precostituito per legge, con palese violazione dei dettami costituzionali interni.
Il Bundesverfassungsgericht ha esercitato un penetrante controllo sulla diffusione del diritto europeo all'interno dell'ordinamento nazionale, non solo valutandone la legittimità sul piano della tutela dei diritti fondamentali e della loro eventuale violazione, ma anche individuando precisi limiti di rango costituzionale all'espansione delle competenze dell'Unione.
Risulta pertanto di estremo interesse valutare l’impatto che ha avuto in ambito tributario, posto che, la Germania riconosce la preminenza del diritto comunitario sul diritto interno ma al contempo è anche il paese che ha voluto porre un freno seppure in astratto nel caso di violazioni ai principi costituzionali tedeschi eterni ed immutabili secondo il cosiddetto principio della "Ewigkeitsgarantie" costituzionalizzato all‘articolo 79. Detto atteggiamento ambivalente si è estrinsecato nell’introduzione in costituzione della teoria dei controlimiti alla luce della quale i principi fondamentali della Costituzione tedesca sono il parametro imprescindibile alla luce del quale porre in essere il trasferimento di una fetta di sovranità all'Unione Europea.
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Nel tempo l’atteggiamento dei giudici tedeschi non è stato univoco, posto che la Germania ed i suoi giudici interni possono essere annoverati tra i principali interlocutori del giudice di Lussemburgo, da un lato, dall’altro, innanzi alla mancanza di una caratterizzazione esplicita e di una delimitazione stringente della natura da attribuire alle sentenze della Corte di Giustizia, è emersa una sorta di scetticismo nei confronti della giurisprudenza della Corte. Essa è probabilmente imputabile alla differenza ontologica delle sentenze comunitarie rispetto alle pronunce interne.
Il termine Ewigkeitsgarantie (o anche Ewigkeitsklausel) può essere tradotto con “garanzia di eternità” o “ clausola di eternità”. Enucleata all' articolo 79, comma 3 della Grundgesetz il quale recita che “agli emendamenti alla presente Legge fondamentale che influenzano la divisione della Federazione in Länder, la partecipazione fondamentale dei Länder nel processo legislativo, o i principi di cui agli articoli 1 e 20 non è consentito di apportare modifiche”. Con questa clausola eternità nasce anche all'interno della Legge fondamentale una vera e propria gerarchia.
Premesso che la Costituzione tedesca contiene già nel preambolo un'apertura ed un favor nei confronti dell'integrazione europea, e che quella tedesca è stata la prima Corte Costituzionale a dare espresso riconoscimento alla supremazia del diritto europeo rispetto a quello nazionale, non sono mancati atteggiamenti di chiusura e di