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TIPOLOGIA PAESE ASSICURAZIONE PENSIONISTICA ASSICURAZIONE SANITARIA Tendenzialmente

1.7 GLI ANNI NOVANTA E IL NUOVO MILLENNIO

I numerosi eventi della fine degli anni ottanta, dalla caduta del muro di Berlino, al conseguente processo di unificazione della Germania, fino al crollo dell’URSS e dei paesi ad essa collegati aprirono le porte ad una nuova stagione di riforme non soltanto sul piano dei rapporti internazionali e delle mediazioni fra le varie ideologie ma anche per le politiche di welfare.

Superata l’incontrastata fiducia verso le politiche in campo economico e quelle universaliste in 14 campo sociale, si affermò uno scenario assai più variegato.

Ciascun governo si impegnò nel rilancio delle economie cercando di salvaguardare i principi della sicurezza sociale.

Si cercò di mettere a fuoco una nuova impostazione delle politiche sociali; rifiutando una applicazione rigorosa dei principi neoliberisti, quasi ovunque si affermò quello che è stato definito

welfare capitalism, ovvero un sistema di protezione sociale di tipo misto che cercava di evitare la

piena distruzione del welfare state adottando però criteri di razionalizzazione e economicità.

Numerose e varie erano le sfide che dovettero affrontare i principali paesi europei: il Nord Europa ad esempio dovette principalmente fare i conti con il sovraddimensionamento del settore pubblico che obbligava per un riequilibrio del welfare una liberalizzazione dei servizi e quindi un aumento della disoccupazione; la Gran Bretagna nonostante presentasse un sistema tendenzialmente universalistico non aveva elaborato una protezione adeguata per tutti quegli individui che vennero colpiti dai tagli alla spesa sociale; Francia e Germania presentavano ancora un mercato del lavoro troppo rigido e livelli salariali che non permettevano alle proprie economie nazionali una qualche

In questa tesi tali politiche vengono accennate, ma non approfondite, rimando quindi per qualsiasi

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competitività; l’Italia era invece caratterizzata da un sistema di protezione sociale ancora fortemente misto, con una assistenza sanitaria di tipo universale mentre una previdenza fortemente occupazionale e ciò comportava squilibri e disomogeneità.

FIGURA 1.10 15

Ripartizione percentuale delle principali voci di spesa sociale in Italia (1999-2009).

Conti, Silei, op. cit., p. 205

15 0 17,5 35 52,5 70

pensioni sanità invalidità assegni familiari disoccupazione abitazioni

Possiamo dire quindi che proprio in questi anni le principali aree europee, quella Mediterranea con Italia, Spagna, Portogallo e Grecia, quella Continentale con Francia, Germania, Benelux, Austria e Svizzera, quella Anglosassone con Gran Bretagna e Irlanda e infine l’Europa del Nord con Svezia, Norvegia, Danimarca e Finlandia furono chiamate a elaborare interventi decisivi sulle strutture del welfare. L’area principale di intervento fu quella dei sistemi pensionistici messi in grave pericolo sia dal forte aumento della popolazione anziana dovuta all’innalzamento della vita media, sia dal calo della natalità, sia dai cambiamenti del sistema di produzione e non da ultimo dalla terziarizzazione e dalla globalizzazione delle economie occidentali.

L’alto livello della spesa per le pensioni di vecchiaia era presente in tutti i paesi più avanzati, indipendentemente dalla tipologia del sistema previdenziale e ciò comportò un progressivo aumento dell’età pensionabile e la messa in discussione il sistema di finanziamento a ripartizione.

I primi anni novanta furono quindi caratterizzati da forti interventi di modifica.

In Italia dopo le prime modifiche introdotte dal governo Amato e il fallimento del progetto di riforma del governo Berlusconi nel 1994 venne approvata la riforma Dini nel 1995.

Lo scopo di tale provvedimento era quello di riorganizzare le differenti tipologie di pensioni esistenti creando un’unica formula, quella della pensione di vecchiaia. Inoltre una delle modifiche più importanti della legge Dini fu quella di un parziale abbandono del criterio retributivo verso un modello contributivo.

Le riforme previdenziali approvate in questi anni ebbero una lunga e complessa gestione e ebbero i più diversi effetti. In alcuni casi come in Germania nel 1992, in Francia nel 199 e in Svezia nel 1998 furono approvate con ampio consenso delle forze politiche e sociali; in altri i progetti generarono durissimi scontri fra governo e parti sociali.

Quello che però accumunava tutti i progetti di riforma era da una parte il progetto di innalzare l’età pensionabile, e dall’altra il tentativo di affiancare schemi pensionistici integrativi privati alle pensioni statali.

Altro settore delle politiche sociali dove fu necessario intervenire fu quello della sanità.

In questa fase di transizione i capo saldi che caratterizzarono l’azione pubblica furono la ricerca dell’efficenza, della qualità e l’equità dei servizi per i cittadini, l’integrazione tra settore pubblico e privato, ma soprattutto le esigenze di contenimento della spesa pubblica.

Si pensi infatti che i costi della sanità nel 1996 negli stati dell’Unione Europea rappresentava il 21,5% della spesa sociale e assorbivano il 6% del PIL.

TABELLA 1.11 16

Spesa per la sanità in percentuale di PIL in alcuni paesi OCSE (1990,2000,2010)

In uno scenario simile quei paesi che avevano adottato il principio di un servizio sanitario nazionale come l’Italia, la Spagna, la Svezia e la Gran Bretagna, si videro costretti ad introdurre misure di contenimento dei costi e criteri di gestione manageriali che però, come vedremo, non riusciranno ad arrestare la crescita della spesa.

I sistemi sanitari si trovarono quindi al centro di un feroce dibattito in cui si cercava da una parte di garantire una copertura minima per i settori più deboli della società e dall’altra di sottolineare l’importanza della diminuzione della spesa pubblica.

1990 2000 2010 Austria 8,4 10,0 11,0 Danimarca 8,3 8,7 11,1 Finlandia 7,7 7,2 8,9 Francia 8,4 10,1 11,6 Germania 8,3 10,4 11,6 Italia 7,7 8,0 9,3 Norvegia 7,6 8,4 9,4 Regno Unito 5,9 7,0 9,6 Spagna 6,5 7,2 9,6 Stati uniti 12,4 13,7 17,6

Fonte: OECD Health Data 2012.

Negli Stati Uniti ad esempio introdussero sotto la presidenza Obama nel 2010 un’importante riforma, il Patient Protection and Affordable Care Act (Obamacare), con l’obbiettivo di estendere gli schemi Medicare e Medicaid per fornire assistenza sanitaria pubblica a milioni di cittadini americani privi di copertura assicurativa.

Bisogna però sottolineare che le politiche sociali sono state influenzate non solo dai processi e dai bisogni socio-politici interni ai singoli paesi ma anche dai macro processi di globalizzazione, di deindustrializzazione e di terziarizzazione.

Le politiche sociali si sono quindi dovute modificare e adattare ai nuovi contesti passando da una tradizionale logica sussidiaria all’introduzione di politiche attive mirate a una riqualificazione del lavoratore e del suo reinserimento nel mondo del lavoro. Altri interventi hanno invece riguardato più direttamente il mercato del lavoro cercando di renderlo più flessibile tramite nuove forme contrattuali che però si sono rivelate armi a doppio taglio.

Quello che emerge ripercorrendo questi anni a cavallo tra il secondo e il terzo millennio è la mancata risposta ai nuovi problemi che si sono manifestati nella vita economica e sociale del mondo occidentale. I diversi paesi infatti hanno cercato di attuare politiche di rigore sulla scia neoliberista e neoconservatrice apparentemente promettente, ma allo stesso tempo hanno tentato di mantenere le conquiste dello stato sociale tradizionali.

Particolarmente vulnerabili sotto questo profilo sono stati i paesi dell’Europa Mediterranea in cui il

welfare ha da sempre avuto una base paternalistico-clienterale che ne ha minato l’efficenza e ha

moltiplicato gli squilibri tra coloro a cui vengono garantiti i servizi e chi invece ne rimane escluso.

Si può quindi affermare con assoluta certezza che il welfare sta di fatto vivendo un processo di ristrutturazione che è ancora in corso, una sorta di sperimentazione permanente che a causa di problemi di sostenibilità non sta seguendo direzioni ben determinate.

Da una parte si pensa ancora che sia fondamentale una riduzione della spesa sociale e la promozione in campo previdenziale di schemi di tipo privato, orientandosi verso una liberalizzazione del mercato e l’introduzione di misure di flessibilità nel lavoro.

Dall’altra uno dei punti cardine del nuovo scenario mondiale è il riconoscimento dei diritti del cittadino, cui spetta tuttavia il dovere di contribuire con il proprio lavoro e con un ruolo attivo nella

società al finanziamento e al buon funzionamento agli schemi di protezione sociale del paese in cui vive.

Un’altra linea di tendenza del dibattito contemporaneo è quella che punta al rafforzamento delle comunità locali con lo scopo di eliminare la burocratizzazione e gli sprechi affidando le politiche sociali agli organismi distribuiti sul territorio.

Rientrano in questo ambito le forme miste di welfare che al dualismo Stato-mercato affiancano il terzo soggetto del non-profit dando vita a quello che è poi stato per anni definito welfare mix. Sul finire degli anni novanta infatti è emerso un nuovo approccio alle politiche sociali che ha risentito del dibattito in voga in quegli anni sulla sussidiarietà e sulla ricerca di una più stretta interconnessione ‘tra welfare pubblico, welfare privato e il settore del non-profit. Questa protezione sociale alternativa è stata definita “secondo welfare” e rappresenta non solo una sorta di possibile risposta alla crisi finanziaria e alle esigenze di ricalibratura del welfare tradizionale, ma anche uno strumento di sostegno per le famiglie.

Si fa strada quindi l’idea di una welfare Society più efficiente e vicina ai cittadini grazie alla propria natura decentrata sia delle questioni decisionali che di quelle organizzative.

Su quale sia però il futuro del welfare il dibattito è ancora aperto. L’epoca del welfare pessimist non sembra ancora conclusa, e tutt’ora manca una politica in grado di conciliare un evoluto sistema di protezione sociale con esigenze di economicità, di equilibrio e di limitazione delle spese. Non si assisterà quindi a breve a una sorta di “rivoluzione copernicana”, come fu ad esempio con il piano Beveridge, ma si cercherà di mettere a fuoco i fondamenti culturali e i principi ispiratori del welfare

state e del loro adattamento al contesto attuale.

Ora, se è vero che non ci si debba aspettare una rivoluzione eclatante dello stato sociale credo che sia anche vero che i processi di cambiamento e adattamento al contesto attuale sono già in atto da tempo e hanno evidenziato una profonda spaccatura rispetto al passato.

L’emergere dei processi di impoverimento anche nelle società industrialmente avanzate definite “società del benessere” hanno chiaramente evidenziato l’urgenza di ripensare all’impostazione delle politiche sociali. Negli ultimi dieci anni la crisi economico-finanziaria che ha colpito tutti i principali paesi del mondo ha conseguentemente portato con se l’emergere di una crescente

divaricazione tra élite sempre più esigue e masse sempre più numerose di popolazione che vedono diminuire la dotazione di risorse economiche e le possibilità di mobilità sociale.

Le tradizionali politiche redistributive rimangono impotenti nello scenario moderno poiché si sono dal sempre articolate secondo un approccio culturale che mirava a rendere oggettive le condizioni di bisogno e che quindi svolgevano un’azione passivizzante.

È necessario allora fare un’inversione di rotta e adottare quella che è stata definita da Luigi Gui 17 una prospettiva generativa che prefigura la personalizzazione delle azioni di aiuto. Secondo questa prospettiva infatti fermarsi ad erogare denaro o prestazioni a persone in gravi difficoltà senza dare loro la possibilità di essere gli artefici del proprio e dell’altrui benessere non permette di sviluppare capacità e nove risorse, ma al contrario le svilisce. Inoltre si deve tenere presente che la molteplicità crescente delle mete di benessere che si vuole perseguire, sempre più particolari, sempre più soggettive e individualistiche, mina alla base la costruzione di un consenso unanime verso mete comuni.

“La società destrutturata, efficacemente descritta da Bauman (2001) con la metafora della liquefazione , fatica a convenire su mete di benessere da assegnare come obbiettivo ai “propri” 18 sistemi di welfare; dall’altro lato, proprio per questo, tale società fatica a legittimare lo sviluppo (e i relativi costi crescenti) di assetti di welfare a spesa pubblica.” 19

Utilizzare le lenti di una prospettiva generativa per guadare alle politiche sociali ci permette quindi di apportare numerosi cambiamenti al modo di pensare il nostro welfare.

Un primo elemento innovativo sta nell’accettare e fare propria la personalizzazione degli interventi di aiuto, in relazione, come abbiamo detto, alla soggettività delle mete percepite, uscendo quindi dalla logica del livello come parametro oggettivo e standardizzato.

Altro punto essenziale dell’approccio generativo è l’interdipendenza che lega i soggetti in reciproche responsabilità, estendendo tali responsabilità ancora ad altri soggetti. Secondo questo principio possiamo vedere che se l’elemento generativo sta in tale “effetto generatore” per il quale il benessere di ciascuno cresce attraverso il suo impegno a occuparsi del benessere di altri, gli

Luigi Gui è il coordinatore del corso di laurea in Servizio sociale del dipartimento degli studi umanistici

17

presso l’ Università degli studi di Trieste.

Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma, 2018.

18

Cit. In GUI L., Un welfare che rigenera se stesso generando società, in “Un futuro che ci aspetta”,

19

interventi di aiuto assumono soprattutto una valenza “risocializzante del welfare”, ottenendo un primo effetto di ricomposizione e di estensione di consenso sulle mete di benessere da raggiungere e sui mezzi di cui servirsi.

Altra implicazione della personalizzazione dell’assistenza è l’ingente spesa di ore di lavoro e competenze relazionali, progettuali, valutative dei servizi sociali, sociosanitari e socio-educativi. Da ultimo la prospettiva generativa offre un cambiamento radicale anche in termini di quantificazione di risultati: la valutazione d’esito non trova facili applicazioni in termini di standardizzazione uniforme, ma richiede una costante e attenta correlazione tra obbiettivi di volta in volta co-determinati e risorse impiegate.

Ho voluto ripercorrere fin qui quelle che secondo me sono le principali tappe evolutive del welfare

state per poter comprendere meglio uno dei suoi tre pilastri, la sanità, che vedremo in modo più

2.