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Numero 10 Torino, 19 ottobre

I sardi nel collegio reale Carlo Alberto pè studenti delle provincie

La scienza, scrive Ahrens, ha per oggetto di aumentare continuamente il patrimonio della verità, di far meglio conoscere l’intima natura di tutte le cose e di rivelare all’uomo tutta l’estensione del destino che esso deve compiere in mezzo agli esseri. La scienza è la sorgente della vera potenza: tutte le forze attive, per operare un cambiamento nel mondo fisico e sociale, debbono essere dirette da un’idea, la cui applicazione sarà tanto più sicura, quanto essa sarà stata più maturata e metodicamente sviluppata dalla riflessione. L’uomo non pub conquistare l’impero del mondo che colla divina forza dell’intelligenza. I più importanti problemi dell’umano destino, le grandi sociali questioni che si sono già discusse ai giorni nostri, quelle che sorgeranno ancora nell’avvenire, tutte queste questioni, la loro sorte e la loro soluzione sono intimamente congiunte colla coltura dipendente dalle scienze e di quelle in particolare che, come le scienze filosofiche morali e politiche, hanno la missione di ricercare e sviluppare i principii generali, di aprire nuovi sentieri nel mondo morale e sociale, e di proporre continuamente all’umana attività problemi più vasti e più chiaramente determinati.

Dagli immensi vantaggi che la società pub e deve ritrarre dalla cultura delle scienze nacquero le università, i collegi, le scuole, il cui scopo è di rappresentare nell’insegnamento la totalità delle umane cognizioni, di esporre liberamente tutte le scienze nei supremi loro elementi e nelle loro intime relazioni, come rami dell’albero enciclopedico della scienza generale; d’iniziare le gioventù alle ultime ragioni delle cose; d’innalzare i suoi sentimenti colle vedute superiori prese in questo studio, per renderla non solo capace di abbracciare una professione scientifica speciale, ma per farne sopratutto degli uomini universali, abili a capire agevolmente i fatti e gli avvenimenti della società nel loro vincolo, nelle loro cause e nella loro forza generale, e collocarsi in tal modo a capo di tutto il movimento intellettuale, morale, religioso e politico della società.

Uno Stato, un governo, che per poco trascuri questo supremo mezzo di procacciarsi per l’occasione uomini abili ed universali per tutte le sociali bisogne; uno stato, un governo, che per poco trascuri la compartecipazione di

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tutti gli esseri sociali alla distribuzione di tanto benefizio, vuole la morte della società, l’inerzia dei popoli alla sua cura affidati.

Il governo piemontese, che noi prendiamo ad esaminare particolarmente, comprese di quando in quando in massima le verità su enunciate, istituendo, promovendo di tempo in tempo università, scuole, collegi; ma dimenticò, o per meglio dire, trascurò, come in moltissime altre cose, di estenderne imparzialmente i benefizi e le agevolezze a tutte indistintamente le popolazioni, a quelle massime che, per infelicità di postura e di condizioni, sovra ogni altra li reclamavano. Tali, per esempio, sono i popoli della Sardegna, di cui (non sarà mai ripetuto abbastanza) 35 o 40 mila appena sono, al momento che scriviamo, quelli di essi che sanno leggere.

Abbiamo veduto dolorosamente finora come, in ogni opera utile, in ogni vantaggevole istituzione, in tutti i provvedimenti, la parte dei regi Stati più trascurata, è stata sempre l’Isola di Sardegna. L’esame degli stabilimenti scientifici d’ogni maniera, che adornano la capitale del Piemonte, viene a somministrarcene novella prova.

Esiste a Torino, fra gli altri, un collegio reale detto di Carlo Alberto per gli studenti delle provincie del regno. Fondato l’anno 1729 dal re Vittorio Amedeo II, ridotto ad ottimo stato dal re Carlo Emanuele III, protetto e migliorato particolarmente dal re Carlo Alberto, il suo scopo è di mantenervi cento giovani studenti delle provincie di tutto lo Stato, acciò possano fare il loro corso nell’università e conseguirvi agevolmente i gradi accademici. I buoni regolamenti di esso, la scelta dei professori o ripetitori gli acquistarono un’eccellente riputazione, cosicché dal collegio delle provincie uscirono molti uomini dotti nelle leggi, nella medicina, in teologia, nelle lettere.

Qual più bella e favorevole opportunità di questa per incoraggiare i giovani ingegni sardi, per chiamare a comparteciparvi, in proporzioni uguali alle altre provincie del regno, anche i poveri isolani? Niente affatto. Mentre la Savoia, con una popolazione uguale a quella dell’isola, vi conta sedici piazze, la Sardegna, che per lo meno dovrebbe averne dodici, non ve ne ha che quattro solamente! Eh si che i pochi Sardi ch’ebbero la fortuna di goderne non ismentirono mai l’aspettazione. Ma che importa ciò? Tutto per noi il buono ed il meglio – è la massima dei ministri del Piemonte. Ed hanno ragione. La cuccagna dura, nessuno li molesta.. perché non dovranno approfittarne?

Miniere in Sardegna

Siamo autorizzati da un egregio nostro concittadino cui, più del proprio, sta a cuore l’interesse della sua patria, di formare qui in Torino od all’estero una società per l’attivazione di alcune ragguardevoli miniere di sua proprietà,

scoperte nell’Isola: di galena argentifera, di rame, di pirite di ferro, di carbon fossile, di manganese, di antimonio, di telluro ricco in argento, e finalmente di vitriolo comune e di allumina; la maggior parte giudicate da chimici forestieri chiamativi appositamente, ricchissime, per trovarsi in terre non molto dal mare discoste e dal porto e in vicinanze d’acque e di legnami. Appena ci saran fatti conoscere i risultati degli esperimenti e dell’analisi scientifica, che sui campioni e saggi, delle medesime faremo istituire da’ più valenti chimici qui del continente e di Francia, ci faremo un dovere di comunicarli eziandio ai nostri lettori.

La galena, volgarmente detta anche alquifax e vernice, perché adoprasi a verniciare i vasellami, è il minerale di piombo più abbondante di metallo e che si lavora più utilmente. Può contenere fino a 75 per 100 di piombo puro; è in masse lucenti, lamellose, e talvolta in cubi regolari; contiene quasi sempre una quantità d’argento. Si crede generalmente che la galena in piccole lame sia la più argentifera.

Il rame è uno dei metalli più utili; gli usi ne sono estremamente moltiplicati; moltissimi utensili adoperati nelle fabbriche, nei laboratori, nella domestica economia sono costrutti di rame. Sarebbe impossibile annoverare di quali e quante sorte se ne facciano. Serve a foderare i vascelli, a cuoprire gli edifizi; se ne fabbrica moneta, se ne coniano medaglie, entra nella lega delle monete d’oro e d’argento, e delle minuterie e lavori dei metalli nobili; compone l’ottone; allegato con lo stagno forma il metallo duro e sonoro delle campane e dei cannoni, detto bronzo; combinato coll’acido solforico costituisce il vitriolo azzurro o solfato di rame; unito all’acido acetico compone il verde rame, il verde eterno.

La pirite di ferro, oggi chiamata sulfuro di ferro o allume, forma uno dei principali rami di commercio, ove distinguesi sotto il nome di allume di rocca e di Roma, di allume di Liegi e di Piccardia, di allume di Parigi ecc. Le prime miniere di pirite alluminose, lavorate in Europa, furono quelle d’Italia. Gli usi e le combinazioni cui serve questo minerale sono infiniti e troppo cogniti perché noi ci fermiamo a descriverli.

Il carbon fossile è il combustibile più abbondante e prezioso; è la base fondamentale di quasi tutte le industrie manifattrici, una delle principali sorgenti donde trae la Gran Bretagna la sua ricchezza e potenza immensa. Questa industriosa nazione, che fu la prima che seppe adoperarlo, trae dal carbon fossile gli immensi prodotti ottenuti dalla forza equivalente a quella di 80,000 cavalli, rappresentata dalle sue macchine a vapore, e senza la quale l’Inghilterra non potrebbe più sussistere all’altezza cui si è innalzata. La ghisa ed il ferro, onde sono composti quasi tutti gli utensili delle fabbriche, non trovansi in Inghilterra a si buon prezzo, che per la riunione delle miniere di carbon fossile e di ferro.

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Il manganese, scoperto da Scheele e Gahn, è tuttora poco conosciuto. I suoi ossidi, e massime il perossido, si usano moltissimo nelle arti. Dacché si applicò all’imbianchimento il cloro, massime nella fabbricazione della carta, il consumo del manganese va aumentando ogni dl più. Da alcuni anni si va facendo un grande consumo delle soluzioni di manganese nelle tele dipinte, esso adoprasi inoltre a colorire alcune stoviglie, serve nelle vetraie a imbianchire il vetro ed i cristalli. È col manganese finalmente che si prepara il cosi detto camaleonte minerale.

Antimonio. La medicina, e specialmente la parte veterinaria, trasse dall’antimonio molte utili preparazioni. Esso adoprasi nella composizione di alcune leghe, e particolarmente in quelle della fabbricazione dei caratteri tipografici e dei robinetti delle fontane ecc. Il rame e l’antimonio si combinano facilissimamente insieme. Per dare maggior durezza allo stagno gli si unisce talvolta un poco di antimonio, che si fa servire, cosi collegato, per le piastre della stampa della musica ecc.

Il Telluro è rarissimo e di nessun uso nelle arti. Sinora non si trovò che in alcune miniere d’oro della Transilvania, combinato coll’oro e coll’argento e talvolta col rame e col piombo. Se ne scopri in piccola quantità unito al selenio ed al bismuto nelle miniere in Norvegia. Il telluro ha qualche importanza in chimica per la doppia proprietà di fare l’uffizio di un corpo elettro-negativo ed elettro-positivo, cioè di agire come acido e come base. Del vetriolo e dell’allumina, perché cogniti, ommettiamo di favellare.

Queste sono le miniere, di cui siamo chiamati ad occuparci noi, per somma gentilezza e fiducia dell’egregio nostro concittadino proprietario, e queste sono alcune delle tante ricchezze che possiede la Sardegna. Sperare nel concorso e nella protezione del governo, èoramai impossibile. Le miniere sarde furono e saranno sempre da essa trascurate dai ministri del Piemonte. (Continua)

Cose diverse

L’idea di un Nuovo Puntello Ministeriale venne abbandonata; e le difese del governo, per ciò che riguarda i nostri rimproveri, furono affidate ad un vecchio puntello di tutti i partiti. Un giornale di Torino, da qualche giorno va occupandosi della Sardegna. È degno di essere letto il secondo articolo specialmente, siccome quello che è, al solito, un continuato rinfaccio dei benefizi che i Sardi hanno ricevuto dal Piemonte. Prima dell’Eco della Sardegna, mai un giornale si è occupato sul serio delle cose sarde. In un

mese, già quattro si sono degnati parlarne. Appena i nuovi difensori ministeriali avranno finito, ripiglieremo noi la parte nostra.

Il consiglio dei ministri sarà d’ora in avanti radunato settimanalmente sotto la presidenza di Sua Maestà.

È morto in Savoia il 12 corrente, nella fresca età di 30 anni l’ottimo abate Umberto Pillet, educatore dei reali nostri principi.

I giornali di tutto lo Stato continuano ad occuparsi dell’incameramento dei beni ecclesiastici.

Si dà per certa l’imminente pubblicazione d’una circolare ministeriale contro il suddetto incameramento.

Qualche errore di stampa nei giornali sfugge sempre. Nell’ultimo numero (9), avvece di Efisio Cav. Efisio Cao.

Se non siamo male informati (pur troppo su questo rapporto non lo siamo mai male informati), anche il personale dell’uffizio per le Contribuzioni dell’Isola, e quello dell’Economato che, dietro l’abolizione delle decime, va a stabilirvisi, sarà tutto piemontese.

Un giornale della Sardegna chiama il principe Luigi Napoleone taciturno come Guglielmo, dissimulatore quanto Tiberio, cupo quanto Cesare Borgia, Giano a doppia faccia, aggressore, insidiatore, rettile, ambizioso; chiama i banchieri francesi sozzi e infami, ignobili, inverecondi chiama i borghesi francesi barbabietole e rape, miserabili e gretti, freddi e inerti; e conchiude minacciando un cataclisma generale, riscosse, insurrezioni, cannoni ecc. Ecco il discorso, di altissima importanza politica, col quale il principe Luigi Napoleone rispose all’animato brindisi portatogli dal presidente della Camera di commercio di Bordeaux, nel banchetto solenne da questa offertagli all’albergo della Borsa:

«Lo scopo del mio viaggio era, ben lo sapete, era di conoscere da per me stesso le nostre belle provincie meridionali, di addentrarmi nei loro bisogni. Esso però diede la mossa ad un risultamento assai più importante. Diffatti io dico con una franchezza tanto lontana dall’orgoglio quanto da una falsa modestia: non mai alcun popolo manifestò in modo più diretto, più spontaneo, più unanime, la volontà di francarsi dalle preoccupazioni dell’avvenire, rassodando nella stessa mano il potere che gli è simpatico (Applausi).

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«Gli è perché ei conosce oggimai e le ingannatrici speranze da cui era lusingato, e il pericolo da cui era minacciato. Ei sa che nel 1852 la società correva alla sua rovina, perocché ciascun partito consolavasi anticipatamente del naufragio generale, colla speranza di piantare la sua bandiera sui frantumi che poteano galleggiare (Sensazione. Viva l’imperatore!). Disingannato dalle assurde teorie, il popolo acquistò la convinzione che i suoi pretesi riformatori non erano se non vaneggiatori, imperocché eravi sempre sproporzione ed incoerenza tra i loro mezzi ed il risultamento promesso (Vivi applausi; è vero, è vero!). Oggidì la nazione mi circonda delle sue testimonianze di simpatia perché io non sono della famiglia degl’ideologi.

«Per procurare il bene del paese, non occorre applicare nuovi sistemi, ma dare, innanzi tutto, fiducia nel presente, securezza nell’avvenire. Ecco perché la Francia sembra voler tornare all’impero (Si! Si! applausi prolungati. Viva l’imperatore!). Havvi nondimeno un timore al quale io devo rispondere. «Alcuni mossi da spirito di diffidenza, dicono: L’impero è la guerra; io quanto a me, dico: L’impero è la pace (Sensazione). Gli è la pace, perocché la Francia vuole la pace, e quando la Francia è soddisfatta, il mondo è tranquillo (Applausi prolungati). La gloria può ben legarsi a titolo di retaggio, ma non la guerra. Forse i principi che si onoravano di essere i nipoti di Luigi XIV hanno ricominciato le sue lotte? la guerra non si fa per proprio piacere, ma per necessità: e a quest’epoca di transazione, quando, ovunque, vicino a tanti elementi di prosperità, germinano tante cause di morte, ben può dirsi con verità: Guai a colui che il primo desse in Europa il segnale d’una lotta, le conseguenze della quale sarebbero incalcolabili (Lunga e profonda sensazione).

«Ne convengo, e ciò nonostante io ho, come l’imperatore, molte conquiste da fare. Io voglio, come lui, conquistare alla conciliazione i partiti discordi, e ricondurre nella corrente del gran fiume popolare le derivazioni ostili che vanno a perdersi senza profitto di chicchessia (Applausi). Io voglio conquistare alla religione, ai buoni costumi, all’agiatezza, quella porzione ancora numerosa del popolo che, in mezzo a un paese di fede e di credenza, conosce appena i precetti del Cristo, e che in seno alla terra più fertile del mondo può a gran fatica godere de’ suoi prodotti di prima necessità (Sensazione).

«Noi abbiamo immensi terreni incolti a dissodare, strade a costruire, scavar porti, fiumi a render navigabili, canali a terminare, a compiere la nostra rete di strade ferrate. Rimpetto a Marsiglia abbiamo un vasto regno da assimilare alla Francia; abbiamo tutti i nostri grandi porti occidentali da avvicinare al continente americano col mezzo della rapidità delle comunicazioni che ancora ci mancano: noi finalmente abbiamo in ogni luogo rovine a ristaurare, falsi dèi da abbattere, verità da far trionfare (Applausi prolungati).

«Ecco in qual maniera io intendo l’impero, se l’impero dovrà ristabilirsi (Grida di Viva l’imperatore!).

«Queste sono le conquiste che io medito, e voi tutti che mi attorniate, che al pari di me volete il benessere della nostra patria, voi siete i miei soldati (Si, si; lunghi applausi).

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L’ECO DELLA SARDEGNA

Anno I - Numero 11