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Numero 3 Torino, 14 settembre

Fardello e Fusione

Non è dal 4 marzo 1848 soltanto, ma fin dal 1354 era la Sardegna costituzionale, aveva cioè il suo Parlamento, e si reggeva a forma rappresentativa.

Le Corti generali, così in allora chiamate, erano, come tutti sanno, formate dai rappresentanti di tutta l’Isola, divisa in tre classi, l’ecclesiastica, la militare e la reale dette in catalano Estament, Estat o Bras (Stamenti, Stati o Bracci). L’ecclesiastica, composta degli arcivescovi, vescovi, abati, priòri e canonici deputati d’ogni capitolo in particolare, aveva per prima voce l’arcivescovo di Cagliari, ed in sua assenza il vescovo il più anziano; la militare, formata di tutti i feudatari (che rappresentavano anche le comunità rispettive), dei nobili e cavalieri del regno, aveva per prima voce il titolato, e in mancanza di titolati il nobile più antico che trovavasi all’assemblea; la reale, costituita di tutti i deputati delle diverse città del regno, uno per ciascuna, grande o piccola, col consigliere capo della città di Cagliari per prima voce.

Agivano queste tre classi separate od unite. Riunite e convocate tutte ad un tempo per materia di generale interesse, erano presiedute da un ministro del re, e il nome di Corti o di Parlamento generale assumevano; se riunivansi per qualche particolare oggetto determinato, od una classe sola assembravasi, chiamavansi allora Parlamento particolare, Stamento o Braccio.

Essi erano i garanti e i depositari delle leggi fondamentali del regno, della felicità e del benessere della nazione. Tutto ciò che da loro veniva stabilito, ottenuta la sanzione reale, aveva forza di legge costituzionale, e non si poteva abolire che col concorso della volontà espressa dei tre Stamenti riuniti. Simile in tutto all’attuale nostro Parlamento, le cui leggi, una volta approvate dal re, non si posson distruggere che dal medesimo Parlamento.

La stessa prerogativa che hanno oggi le camere in forza degli articoli V e X dello Statuto, di stabilire cioè e votare le imposizioni di tributi, i bilanci, i conti dello Stato, e in generale tutto ciò che importa onere per le finanze, godevala il Parlamento di Sardegna, il quale stabiliva e votava pur esso i dazi, chiamati nell’Isola donativi, perché gratuitamente offerti o gratuitamente consentiti. Insomma gli Stamenti esaminavano le vecchie leggi, le

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riformavano, abolivano le inutili, le rifacevano più vantaggiose, più conformi ai tempi, agli usi, al genio, ai bisogni della nazione. Erano in una parola Sardi che si occupavano, pensavano, studiavano, discutevano, provvedevano al bene ed ai vantaggi dei Sardi stessi.

Tutto ciò siam venuto scrivendo non per affermare che buone e lodevoli in tutte e singole le loro parti sien sempre state quelle Corti e quelli Stamenti, né per affermare ch’essi non abbiano trasmodato più fiate; non è di questo che ci occupiamo, ma bensì lo accennammo per conchiudere che non leggiero sacrificio han fatto i Sardi chiedendo nel 1848 la fusione col Piemonte, rinunciando al privilegio antichissimo di un antichissimo Parlamento che avea, se non altro, stanza nell’Isola, ed era composto tutto di nazionali, i quali, a parte i difetti inseparabili da tutte le umane istituzioni, erano in caso di conoscere i bisogni del proprio paese e di apportarvi rimedio.

Provato per tal modo che la Sardegna, non ostante la speciosità e l’utile che, anche co’ suoi difetti le presentava quella particolare assemblea, ha nulla di meno spontaneamente chiesta la fusione colle provincie continentali e invocata parità di trattamento con elle, ragion vuole che ci facciamo un momento ad esaminare in quali condizioni di pecunia si trovava in quei giorni l’Isola, se tristi o fortunose.

A sentire i Piemontesi e i loro giornali, la Sardegna se ne venne al Piemonte carica di passività, sovracarica di debiti, lacera, famelica; furono essi che ne vestirono, che ne soccorsero, che ne sfamarono.

C’è buona fede, c’è lealtà in questa asserzione? C’è la più sfacciata menzogna L’Isola che prima vi stese le braccia, che vi salutò prima fratelli, che buona dimandò di assidersi alla vostra mensa vi recò non spregevole fardello, vi recò milioni.

Aprite lo spoglio del bilancio 1848 e residui 1847 e retro, che cosa vi presenta alla sua situazione finanziaria? L’attività nientemeno di cinque milioni duecento quarantun mila lire.

Diffalchiamo, se cosi v’aggrada, da cinque milioni duecento quarantun mila lire, i diversi sussidii che per diverse annate e per la complessiva somma di un milione trecento mila lire ci avete somministrati per le tre o quattro annate consecutive di pessimi raccolti, e residuerà sempre l’egregia somma di tre milioni settecento e più mila lire che la Sardegna ha versati nelle casse piemontesi colla sua fusione.

Serva per ora questa sola cifra a provare quanto mal fondati sono i rimbrotti ed i lagni che continuamente ci muovono gli uomini del Piemonte e i loro giornali; a provare l’insussistenza e la menzogna dell’opinione nel continente accreditatasi, che cioè la Sardegna sia di peso (e pesava certamente coi suoi milioni), abbia recato molte passività, e contribuito al dissesto delle finanze dello Stato; a provare finalmente l’ignoranza o la mala fede di certi dottoroni

di Stato continentali, i quali o parlano e scrivono delle cose sarde senza conoscerle, precisamente come fanno i ministri che trinciano e tagliano leggi e provvedimenti per l’Isola a casaccio; o non sanno parlare e scrivere senza umiliare e senza mordere tutto ciò che non è Piemonte e non è Torino.

CAPITOLO V.

I Sardi nel Calendario generale del Regno

Il titolo del paragrafo presente è alquanto strano, e sembrerà a prima giunta ai nostri lettori di poco o nullo interesse. Chiediamo loro umili scuse, e affermiamo il contrario.

Il Calendario Generale del Regno è compilato d’ordine del re e per cura del Ministero dell’Interno che lo approva, lo firma e lo licenzia alle stampe. Ciò vuol dire che non è libro spregevole, imperciocché è desso l’almanacco uffiziale dello Stato, un lavoro ministeriale, autentico.

Il bisogno e l’utilità degli almanacchi in generale, di Stato in particolare, è incontrastabile.

Quindici milioni di Francesi, per tacere di altre nazioni, non imparano oggi che dagli almanacchi i destini dell’Europa, le leggi del loro paese, i progressi delle scienze, delle arti, dell’industria. È il libro del popolo. La fisionomia, per cosi dire, il ritratto politico, religioso, morale e civile d’un popolo d’una nazione dove oggi si vuol trovare? Negli almanacchi di Stato.

L’almanacco o calendario uffiziale dello Stato è l’elenco di tutte le istituzioni, di tutti gli stabilimenti pubblici ed anco privati del Regno, Corte, Camere, Tribunali, Università, Collegi, Scuole, Accademie, Uffizi, Banche, Società e simili; è l’elenco e la classificazione di tutti i titolati, di tutti i funzionari dello Stato: cortigiani, deputati, ministri, magistrati, parroci, sindaci, militari ecc.. Dunque nel Calendario generale degli Stati sardi si rinvengono tutte le istituzioni, tutti gli stabilimenti, tutti i funzionari superiori ed inferiori del regno? Si, tutti; ma tutti quelli che comprendono Torino, Genova, Savoia, Nizza, S. Mauro e persino Cavoretto, che sono due villaggi umilissimi del Piemonte; ma non tutti gli stabilimenti che fanno onore alla Sardegna, non tutti i funzionari che a questa non ultima parte della monarchia appartengono. Per la Sardegna soltanto c’è negligenza e dimenticanza, c’è noncuranza persino nel calendario, persino nell’almanacco!!!

Il calendario generale è di utilità per tutti, ma lo è segnatamente per coloro che abbisognano di attingervi ad ogni momento esatte e precise indicazioni come sono gl’impiegati massime delle provincie e lontani, gli scrittori, i giornalisti, i viaggiatori, forestieri ecc..

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Un ministero veramente avveduto e saggio, quando non volesse usar con tutti la stessa precisione, la stessa esattezza; questa dovrebbe di preferenza curare almeno nelle indicazioni de’ paesi e de’ popoli i più lontani, e i meno conosciuti, come sono quelli della Sardegna.

Ma e a chi parliam noi di esattezza e di precisione? al ministero di Torino che vi fa stampare il nome e cognome dell’infimo procuratore ammesso dinanzi ai tribunali di Prima Cognizione d’Alba e d’Ivrea; e vi trascura l’elenco degli avvocati, dei Magistrati d’Appello delle due capitali dell’Isola di Cagliari e Sassari?

Ad un ministero che vi spiffera i nomi e cognomi dei maestri di 4a, 5a e 6a, delle scuole elementari dei più umili paesetti del continente, e vi tace i professori, direttori e maestri dei collegi principali delle città dell’Isola? ad un ministero che si trattiene a numerarvi tutti i membri dell’Accademia Filarmonica di Cuneo, dell’Accademia Filarmonica d’Alba, due città secondarie del continente, e non fa motto che due più cospicue ne esistono a Cagliari ed a Sassari? ad un ministero che vi spreca trentasei pagine per numerarvi tutti gli omnibus tutte le vetture, tutti i vapori degli Stati continentali; che si trattiene a darvi l’indirizzo preciso degli uffizi, degli orarii, dei prezzi dei posti per gli omnibus e pei carrettoni di Ponte di Barra e di Gassino, e non si cura di accennare le principali diligenze che corrono da un capo all’altro dell’Isola, non l’orario ed i prezzi dei vapori che per l’Isola rotano da Genova? ad un ministero che vi stampa scrupolosamente i luoghi, il numero, la forza degli stalloni sparsi nel continente, e intanto vi dà ancora per vivi (o resuscitati) fra i ministri di Stato un marchese Quesada di San Saturnino, un marchese Pes di Villamarina, e, fra i consoli esteri residenti a Cagliari, un Giorgio Boomester, console inglese morto da più anni?

Ma a che andiamo noi citando esempi per provare che anche nel Calendario generale dello Stato, compilato dal ministero, la provincia più dimenticata più maletrattata è la Sardegna? Raccogliere tutte le inesattezze, gli errori, le storpiature di nomi, le omissioni per tutto ciò che riflette gli stabilimenti e il personale dell’Isola, è impossibile (1), nella ristretta cerchia di un articolo di giornale. Contentiamoci di toccare le principali.

Si trovano diffusamente inseriti pel continente, e solo si desiderano accennati per la Sardegna

Gli Economi e subeconomi ecclesiastici dell’Isola, pag. 186.

Gli avvocati e procuratori dei Magistrati d’Appello e dei tribunali di Prima Cognizione, pag. 258, 273 e seguenti.

I Collegi notarili, pag. 290. Le Case di pena, pag. 314.

I cappellani, medici e chirurghi delle carceri, pag. 367.

Idem delle scuole fuori delle Università, in provincia.

Le accademie Filarmonica e Filodrammatica di Cagliari e di Sassari, pag. 383. Le stazioni dei carabinieri e cavalleggeri, pag. 422.

Le stazioni delle poste e cavalli della strada centrale, pag.493. Il Consolato di marina, pag. 505.

Gli Ingegneri delle miniere, pag. 526. I Ricevitori demaniali, pag. 589.

Le saline, le fabbriche, i banchieri e magazzinieri regi di sali e tabacchi, pag. 614.

I Consigli divisionali e provinciali, pag. 636. Le primarie Opere pie, pag. 748.

I conservatori del vaccino, pag. 753. Le diligenze fra Cagliari e Sassari, pag. 522.

Gli orarii e le tariffe dei battelli a vapore che fanno il servizio tra Genova e l’Isola, pag. 539.

Gli uffiziali di pubblica sicurezza, pag. 532.

E finalmente, per non stancare più oltre i nostri lettori, l’indicazione a caduna provincia dell’Isola, come si pratica pel continente, del numero dei mandamenti, dei comuni, delle popolazioni che la compongono.

Sono tanto precisi i nostri ministri per le cose del Piemonte e del continente soltanto, che oltre alle suddette indicazioni per caduna provincia, trovansi nel calendario notate le sedi arcivescovili con due crocette, con una le vescovili, con una trombetta le stazioni di cavalli, e con un quadratino gli uffizii di posta lettere.

Si è mai veduto tanto scrupolo per le cose della Sardegna?

Riepiloghiamo. Un viaggiatore, un forestiere, uno scrittore, un giornalista che sia costretto ricorrere per qualche indicazione al Calendario generale dello Stato, che opinione volete che si formi della Sardegna e dei Sardi? La più storta e la più svantaggevole per colpa sempre degli uomini di Stato che la governano.

Non considerati negli impieghi, non considerati negli stipendi, non al Senato, non al Ministero, neppure in un miserabile calendario ... Siamo ingiusti, siamo troppo esigenti, se vi dimandiamo quousque tandem?

(1) Un progetto per ripararvi fu da me presentato al Re, fin dai 16 maggio ultimo passato. Sua Maestà si degnava accennarmi con lettera della sovraintendenza generale della sua lista civile, in data 28 stesso mese, che previa lettura, ne avrebbe conferito col ministro

dell’Interno, al quale spettava tal pratica. Sono sicuro che gli venne trasmesso, e che il

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Il tafferuglio delle maschere in Sardegna e il tribunale

Cagliari. – Meritano di essere riportati anche nel nostro foglio i principali capi della sentenza del Magistrato d’appello di Cagliari, pronunziata il I settembre nella causa:

Contro Fais Antioco, Fadda Rafaele, Garroni Giovanni, Siccardi Giovanni, ditenuti ed accusati di ribellione alla giustizia in riunione armata di persone in numero maggiore di dieci; per avere, nel dopo pranzo del mezzodì del quindici febbraio, corrente anno 1852, attaccato ed opposta formale resistenza, con vie di fatto e violenze, pietre, bastoni ed altre armi in unione di un considerevole numero d’altre persone, ai cavalleggieri di Sardegna e carabinieri reali, nell’atto che, vestiti della loro divisa, agivano per l’esecuzione d’ordini lasciati dall’autorità legittima, da cui ne erano incaricati, con avere in quel conflitto, succeduto in diversi punti di questa città, alcuni cavalleggeri e carabinieri riportato delle ferite costituenti delitto.

Il Magistrato li assolveva senza costo di spese, mandando rilasciarli dalle carceri, perché niuna prova convincente di reità è risultata nel pubblico dibattimento contro i quattro accusati.

Prescindendo da ciò che riguarda in particolare le persone degli accusati, i seguenti motivi sui quali si poggia la sentenza del Magistrato, mentre riguardano il fatto in se medesimo, ci rivelano la verità delle circostanze e specialmente del contegno della truppa e la prudenza di chi la chiamava. Attesoché i fatti avvenuti in questa città nella sera del quindici ultimo scorso febbraio, non possono cumulativamente considerarsi come nei casi di brevi ed appositi concerti, dappoiché l’uscita soltanto delle maschere in quel giorno contro il divieto della pubblica autorità diede occasione ad un accidentale e numerosa riunione di persone, indi alle collisioni colla truppa, d’onde ne seguirono le ferite riportate da questa e da qualcheduno dei popolani, come ebbe a risultare abbondantemente nel pubblico dibattimento;

«Che due sono i fatti distinti formanti l’oggetto dell’accusa fiscale e del giudizio del Magistrato, avvenuti, uno dentro il Castello, e l’altro a Porta Villanova;

«Che in entrambi questi fatti concorrono gli elementi voluti dalla legge per costituire il reato determinato dall’accusa fiscale; perciocché nelle pietre scagliate, comunque da ragazzaglia della plebe, contro la forza pubblica posta nell’esercizio delle sue funzioni, non può che riconoscersi una materiale violenza onde impedire l’eseguimento degli ordini emanati dall’autorità legittima, senza che a cambiare il carattere del reato debba influire qualche esorbitanza che siasi potuto commettere dai funzionari, certamente oltre le incumbenze da loro avute ed in qualche modo provocate;

«Che, riguardo al primo fatto, non erano ben d’accordo gli stessi carabinieri nelle loro deposizioni e nemmeno i precedenti processi verbali da loro presentati, sia rispetto alle circostanze che lo accompagnarono, come alla parte che preso avessero il Fadda, Garroni e Siccardi nel rilascio d’una maschera arrestata;

«Che se alcuni carabinieri affermarono niun uso aver fatto delle loro armi, allorché ferma teneasi la maschera, un altro depone aver impugnato in quell’atto la sua sciabola; se due di essi ed un testimonio estraneo (questo con circostanze improbabili) accennavano a violenze adoperate dai tre accusati per liberare la predetta maschera. altri due carabinieri restringevano gli uffici di quelli a calde istanze e a vive esortazioni e gravi considerazioni di sovrastante pericolo nel conflitto che potea accendersi tra la debole forza armata e la soverchiante moltitudine;

«Che ogni indizio di violenta esimizione distrugge la stessa deposizione dello stesso brigadiere dei carabinieri, il quale afferma essere stata rilasciata quella maschera per suo ordine, suggerito dalla prudenza in quel frangente;

«Che oltre a ciò conformi furono le deposizioni di molti testimoni difensivi sui maltrattamenti usati dai carabinieri colla stessa maschera percuotendola colle armi, e che non altrimenti se non con dolci ed insinuanti modi presentavansi i primi due degli accusati agli arrestanti, pregandoli di risparmiare a quella maschera siffatta sevizie (Il Siccardi non fu nemmeno veduto da questi testimoni in tal contingenza); «Che i pietosi uffici del Fadda tanto meno gli si poteano porre a carico, in quanto che nella persona mascherata, contro la quale vedea appuntate le armi, riconoscea il proprio figlio, e naturale era il timore in lui che un urto delle incalzanti persone, un istantaneo movimento lo togliesse in un momento di vita;

«Che rispetto al secondo fatto, cui riguardava l’imputazione di Antioco Fais, uguale disaccordo scorgeasi nelle deposizioni dei cavalleggeri;

«Che le deposizioni dei carabinieri e cavalleggeri, se in altri casi avrebbero esercitato tutta la forza morale nel convincimento del Magistrato, non valeano ad inspirare piena fiducia nel presente, in cui la loro contrarietà esser potea l’effetto della concitazione in che trovavansi in quei difficili momenti, capace a far travisare le cose ed i soggetti che per avventura avrebbero veduto in diverso aspetto con animo più tranquillo. Ed a distruggere tali deposizioni concorrevano le più numerose di testimoni imparziali, che gli stessi speciali regolamenti dell’arma preferiscono a quelle degli individui che vi appartengono;

«Che in conseguenza niuna prova convincente di reità risultata essendo nel pubblico dibattimento contro i quattro accusati, la decisione del Magistrato altra essere non potea che quella di assolverli;

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«Dichiara Rafaele Fadda, Giovanni Garroni, Giovanni Siccardi ed Antioco Fais non convinti del reato di cui furono accusati.

La cancrena dei forestieri negli impieghi dell’isola, cosa vecchia

Nel 1837 l’elegante e dotto autore del Dizionario Biografico degli uomini illustri di Sardegna(1), parlando, nel brillante suo discorso preliminare, della dominazione spagnuola nell’Isola, scriveva queste memorabili parole:

«Premii ed incitamenti al bene i Sardi non avevano (sotto il dominio di Spagna), e quali essi poteano averne da un governo che schiavi li reputava, e come una frazione spregevole della grande monarchia spagnuola? Gli uffizi pubblici, per antico e disumano costume, tutti o quasi tutti erano occupati dagli stranieri. Essi le sedi vescovili, le eminenti cariche civili e militari, i minori impieghi ed i più abbietti occupavano; essi tutti gli affari dell’Isola trattavano, tutti gli stipendii dell’erario sardo si dividevano. Alcuni buoni ve ne erano, ma molti ancora miseri, cenciosi, e dal bisogno assottigliati venivano, e dopo alcuni anni vissuti in Sardegna, i ben pasciuti corpi e le borse gravi di pecunia ai domestici lari riportavano. I Sardi, esclusi per sistema dai pubblici impieghi della patria loro, queste cose per essere già ausati al servaggio, con indifferenza riguardavano, e il volgo che facilmente persuadevasi nelle sole menti spagnuole risiedere i lumi ed il senno, cotesti stranieri d’ogni condizione, di ogni ordine, uomini credeva di diversa e di più perfetta natura! Ma gli spiriti nobili e svegliati, ché molti ancora fra i Sardi ve n’erano, queste cose vedevano e si addoloravano, toccando ogni dì con mano come quegli uomini, nuovi alla nazione, nel confronto scapitassero, e come con maggior pro avrebbero seduto essi medesimi negli usurpati seggi della terra natale. Però tacevano per timore delle vendette spagnole, o in secreto ed a pochi ascoltanti contro l’abuso predicavano. Durò per lungo tempo questa oppressione, finché per attutare i clamori che già si manifestavano, si cominciò, quasi per grazia, a concedere qualche uffizio ai nazionali ed a chiamarli ancora alla cura dello Stato fuori della patria loro. Ma difficili e rari assai furono tali esempi; vi vollero le instanze di un Parlamento, acciò un Sardo nel consiglio supremo di Aragona potesse aver seggio; vi volle la dura dimenticanza di circa tre secoli, anziché i sardi di questo gran patrimonio dello Stato partecipassero.

«Si avvilivano (prosegue l’illustre biografo) gli animi per la certezza di non poter mai giungere agli onori, alle preminenze, alle illustri cariche della Nazione privilegiata, e compressi dalla ingiuriosa esclusione, o non osavano