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Numero 9 Torino, 14 ottobre

Della fusione politica della Sardegna con gli stati continentali della Monarchia di Sardegna

Questione di diritto pubblico e internazionale proposta e discussa da Catone Strauss da Siena

PARTE SECONDA

Pratica della fusione riguardo alla Sardegna

CAPO III.

Fatti contemporanei alla fusione della Sardegna

(continuazione e fine. Vedi il N. 8)

I. Riforme del 1847 bene accolte in Sardegna. I Fusionisti e i rivoluzionari si aiutano per sfruttarle in sensi fra loro contrari. II. Cominciano i suoni, i balli, i canti, le bandiere, gli evviva, le

processioni politiche (dimostrazioni), nelle case, nei teatri, nelle piazze, nelle chiese. Guidatoriori pochi, con a capo giovani scervellati, avvocati e medici ambiziosi o ridotti al verde, preti indegni d’olio e di chierca, e frati scocollati. Segue turba di bindoli e di oziosi. Dietro la ciurmaglia. Si grida, si arringa, si declama, si schiamazza. I guidatoriori predicano, dirigono, trafelano: disotto tendono le unghie, e aprono le tasche, per arraffare e insaccare uffizi e moneta. Evviva il popolo!... E il popolo vede la commedia, sta attonito a guardarla e a udirla; e lasciala passare, senza saper nulla e comprender nulla.

III. Il furore comi-tragico degli istrioni politici va in bestia. A chi vuole, e a chi non vuole, si fa rappresentare una scena di Gianduia, di Pantalone, di Arlecchino. L’autorità insulare mangia, beve, dorme e ride. Saturnia. Libertà fescennina!... IV. Assembramento in piazza dei soliti saltimbanchi, grida orribili e

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Unione, Deputazione... E si e no, e ma, e aspetta... Nulla che tenga... Piffete, Paffete... La Deputazione è già in viaggio... Misericordia!... Non par possibile!... Ma di grazia almeno, donde in voi il dritto? Dal popolo della piazza. E il mandato? Dagli arringatori di piazza. E le Corti e il Parlamento? Un ette. E i patti internazionali? Un nulla. E l’autonomia Sarda? Men che nulla. E cosi, di galoppo, e senza più altro eccoti un mezzo milione e più di uomini, una nazione intera gittata in compedibus nel crogiuolo piemontese della fusione.

CAPO IV.

Del come fu ed è attuata la fusione sarda

I. La Sardegna si corca Nazione e si sveglia Provincia. E si trova distesa a guisa di corpus mortuum sopra una tavola. Le sono attorno gli ultramarini per farle l’autopsia. Fatta in brani, sarà meglio e più presto fusa.

II. Intanto, per consolarla, le si dice: Manda i tuoi Deputati al Parlamento; ma non al tuo, vedi, ché non ne hai più, bensi al nostro, nato appunto dappoiché il tuo fu spento, e tu stessa ci fosti data in balìa. E la Sardegna, pel nulla, o pel peggio, si rassegna al poco altrui, e al minor male. I Fusionanti troveranno poi e modi ed arti, perché la deputazione sia ermafrodita. III. Le prime sono tutte parole amorevoli. Cessati il bisogno e i

pericoli, si passa alle aspre. I fatti sono contrari, e assai lontani dalle promesse.

IV. Certo indizio dell’avvenire fu prima in Parlamento l’oblio della Sardegna, che dà nome e corona alla Dinastia di Savoia. Poi fu lo sprezzo di pochi e animosi che profetarono i primi, in Parlamento e fuori, le impotenze guerresche e i provocati disastri.

V. Al presente, di peggio. Disparità enorme ed ingiusta di cariche, di uffizi, di onori, di utili, di stipendi. Il buono, il molto, il meglio per gli altri, cioè pe’ Fusionanti: il poco, il peggio, pe’ Sardi, cioè pe’ Fusionati. Agli uni di che viversi largamente, ed a iosa: agli altri, appena e non sempre, di che campare la vita. Dritti uguali, ma premi diversi e ripartizioni scandalose.

VI. Le specialità e le anzianità sarde a monte. Le specialità e le anzianità valevoli sono i soli Fusionanti: Luigi quattordicesimo in farsetto costituzionale essi dicono: Lo Stato siamo noi.

VII Disgraziato consiglio! In tal guisa non si unisce, ma si disgrega, non si amica, ma si offende, non si cementa, ma si corrode; e se l’orizzonte si abbuia, al primo soffio di vento l’edifizio crolla, perché non ha base di dritto, e al dritto che manca non si è sostituita la giustizia del fatto.

VIII. I Sardi vedono l’andazzo fraudolento dei dispensatori e dei ripartitori, né si lasciano prendere a gabbo dalle arti subdole che usano per dividerli, né da’ rari e avari premi che a taluni danno, e spesso ai più inetti, lasciando da parte i buoni e generosi. Ciò fanno i Fusionanti per poter dire all’uopo: Ecco vi consideriamo (sempre nelle miserie, s’intende, e mai nel reggimento più alto delle cose pubbliche), e poter poi all’occasione insultare ancora, e dire ai Sardi: Voi non siete da tanto.

IX. I Sardi vedono e sopportano carichi esattamente uguali, ma ne riportano compensi e premi assai minori. E per esacerbarli viene l’esempio dei Corsi, i quali, ed in passato, ed oggi, partecipano onoratamente al governo di Francia. Isolani ancor essi, che molto più ricevono dalla Metropoli di ciò che dànno: esempio doloroso e troppo vicino, perché dall’attuale Sardegna piemontese alla Corsica francese non vi ha che un passo.

CAPO V.

Corollari sulla teorica e consigli sulla pratica della fusione sarda I. La Fusione della Sardegna, nulla in radice, perché l’autonomia di

una nazione non è fusionabile: 1° Se non sono pur tali i suoi elementi constitutivi; 2° Se alcuni di questi elementi, anche nella ipotesi di fusionabilità, non sono concorsi alla Fusione.

II. La detta Fusione è nulla: 1° Perché i Fusionanti Sardi non avevano dritto proprio, e non poteano, né doveano usurpare il dritto nazionale; 2° Perché non aveano dritto demandato dalla nazione.

III. La stessa Fusione è nulla: 1° Perché i mandati nazionali debbono essere spediti nelle forme politiche costitutive dell’essere politico ed autonomo della nazione medesima; 2° Perché l’individuo non è la nazione; 3° Perché la data e vincolata esistenza politica di una nazione non si distrugge in piazza, senza precedervi certa scienza, giusto consenso e maturo consiglio; 4° Perché è leonina la cessione incondizionata della nazionalità. IV. Item, la Fusione è nulla, perché i Fusionanti Sardi, che non

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erano sui iuris nel fatto politico in questione, chiesero la semplice Unione; e invece fu operata la fusione. Ora la Fusione e la Unione politica sono due forine sostantive d’essere affatto diverse e spesso contrarie nella natura, nella qualità e negli effetti.

V. La Fusione nulla, come sopra, non è suscettiva di convalidazione per fatti successivi, che sono contra o ab extra della Fusione. I fatti possono sussistere per altro motivo, ma giammai per effetto di una cosa nulla, che non ha virtù di operare. I motivi di sussistenza dei fatti posteriori possono soltanto ricevere la continuazione del loro essere dalla giustizia e dalla temperanza dei Fusionanti.

VI. Dunque, perché i fatti durino, e non si ricorra alla molesta ragione del dritto, i Fusionanti debbono verso i Fusionati usar giustizia e discrezione: 1° ammettendoli a compartecipare al governo dello Stato; 2° Distribuendo con giusta proporzione, sia aritmetica, sia geometrica, fra nazionalità e nazionalità le alte cariche, gli onori, gli utili, gli stipendi; 3° Usare giustizia rigorosa nel calcolare il numero, la qualità e l’anzianità dei servizi; 4° non sollevare ad altezze insulari le nullità, e talvolta le vergogne continentali; e per opposto deprimere fino ai bassifondi continentali le sommità e le onorabilità insulari; 5° Spartire egualmente i benefizi materiali e morali, politici, economici, giuridici e amministrativi; 6° Finirla da una volta la brutta canzone delle molte parole e dei tristi fatti.

VII. Dal cambiar metro e dalla riforma del presente dipende l’avvenire.

VIII. Conclusione del Libro.

La concorrenza ed i prezzi liberi in Sardegna

I vantaggi che il pubblico può sovente ricavare dalla concorrenza, dalla libertà commerciale e dei prezzi, sono numerosi, non si può niegare. Ché una ben intesa concorrenza, una ben intesa libertà di commercio influisce non solo sulla produzione, ma eziandio sul fatto importante del lavoro, sulla distribuzione, e per ultima conseguenza tende a scemare il prezzo dei prodotti. Se noi avessimo qui a sviluppare una teoria sociale, potremmo, dopo segnalati i vantaggi, fermarci ad enumerare eziandio gl’incovenienti moltissimi che da una esagerata concorrenza, da una troppo larga libertà di commercio risentono le popolazioni. Ci limiteremo solamente a poche generali osservazioni.

Quando i produttori, i mercanti domandano la libertà del commercio e dell’industria, è presto capito che è per loro soltanto che spesso la reclamano. E perché? Perché sperano in una foggia o nell’altra di vedere col tempo scemato il numero dei loro concorrenti. Nulla più naturale di questo sentimento, nulla più naturale degli sforzi che ogni concorrente fa allora per attrarre a sé il maggior numero di consumatori. E che cosa allora succede? Che la concorrenza degenera in monopolio; quando cioè due o tre concorrenti più felici, più destri, più attivi tentano distruggere a sé d’intorno i loro rivali, i quali alla loro volta, per non soccombere nell’infelice lotta, ricorrono a sforzi quando innocenti, quando biasimevoli; a segno che non accade radamente di vedere industrie, per tale intestina gara, ridotte a non aver più altra regola nelle proprie transazioni che la frode, l’inganno, e l’effetto contrario infin del conflitto, dell’aumento, anziché della diminuzione dei prezzi, a danno del pubblico.

La concorrenza quindi, la libertà dei commercii e dei prezzi hanno, come tutte le cose umane, bisogno della sorveglianza governativa; esse debbono avere la loro misura, i loro limiti, la loro moralità, la loro giustizia. Una concorrenza, una libertà senza regola, senza riscontro, senza controllo, lungi dal recar giovamento, torna perniciosissima ai popoli; a quei popoli specialmente la cui sfera d’azione, di bisogni, di mezzi è molto ristretta; quali appunto si mostrano i popoli della Sardegna. Anche presso di essi si è voluto introdurre la concorrenza, accordare il così detto prezzo libero nella vendita delle carni ed altri oggetti di prima necessità. Che cosa è avvenuto? Ci scrivono moltissimi padri di famiglia, che giammai si videro prezzi cosi esorbitanti sulle carni e sui pesci, come dacché si proclamarono i pezzi liberi. Oggi la vendita di tali importanti alimenti trovasi concentrata in mani di quattro o cinque monopolisti, molti membri dei rispettivi consigli comunali compresi; i quali assorbendo tutto, e tutti dettando a bacchetta, accrescono, lungi dal scemare, per vile e sordido desio di impinguare, la miseria ed il malcontento della classe povera e meno agiata della loro patria. E tutto ciò per voler imitare, scimmiottare le grandi nazioni! Maledetta mania che non fa che distruggere, senza edificare! Invece di vegliare da buoni amministratori e padri della nazione, acciò, anche nelle concorrenze, nelle libertà commerciali e d’industrie, i mezzi adoperati sieno legittimi ed esenti da ogni specie di frode; per procurarsi una preferenza illegale, sia colla inesattezza dei pesi e delle misure, sia anche colla malsana qualità dei prodotti, sappiamo che da taluni consiglieri comunali si specola, si mercanteggia sul povero popolo, d’accordo cogli speculatori e coi mercanti.

Conchiudasi. Il prezzo libero nella vendita degli oggetti di prima necessità, quali sono le carni, i pesci e simili, se vere sono le notizie che ci pervengono, è per le città dell’isola dannosissimo. La Sardegna non è per prosperità e per

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ricchezza giunta al punto da gareggiare su tale rapporto colle grandi città del continente e d’Europa. Ci vuole un freno all’ingordigia speculatrice, e questo è in dovere di porlo il governo piemontese, visti i mali effetti che le sue avventate, mal studiate e peggio applicate teorie vanno producendo, fra i Sardi specialmente (1).

(1) Per non aver la legge dell’imposta sui fabbricati provvisto alle esorbitanze cui la sua applicazione poteva dar luogo, si videro e si vedono tuttavia a Torino i fitti delle abitazioni accresciuti non del solo 10 per 100, ma del 20, del 30 e fin del 40 per 100. Cosi una legge che si voleva colpisse i proprietari ed i ricchi, ha finito per pesare intieramente sui poveri affittavoli soltanto. Il ministro autor della legge... siam certi che ne riderà... è proprietario di case anch’esso!!!

Gli studi universitari nell’isola e gli studi universitari nel continente Si grande manifestasi ed urgente il bisogno di generale riordinamento degli studi universitari dell’Isola, sull’esempio di quanto si va da tempo praticando nel continente, che crediamo non disutile e ai leggitori nostri non discaro il tornarvi sopra. Tanto più che veniamo in oggi assicurati che, nel progetto per tale riordinamento che esiste sul tappeto ministeriale, avvece di venire, fra gli altri, stabilito un corso completo anche per le scienze fisiche e matematiche, di cui difettasi nell’Isola, si pensi piuttosto di statuire qui in Torino 16 piazze gratuite a benefizio degli isolani più distinti che vorranno dedicarsi ed approfondirsi nel grave studio di quelle discipline.

Se si riflette che il completamento della facoltà fisica e matematica non richiede essa sola meno di 18 e 20 professori speciali, e che i bisogni altronde dell’Isola, per questa parte, non appariscono urgenti a segno da richiedere nel suo seno un cosi vasto e spendioso insegnamento, troviamo questa volta di dover appoggiare le intenzioni dei progettanti per la creazione delle anzidette piazze gratuite. Sedici giovani ausiliati dal tesoro in Torino a quello studio, possono, noi lo crediamo, bastare alle esigenze della nazione. Non vorremmo però fosse anche questo uno dei soliti progetti ministeriali, che, allorquando riflettono in qualche modo l’interesse e il bene della Sardegna, o se ne rimette l’esecuzione alle calende greche, o finiscono per dileguarsi collo scomparire dei ministri e dei progettisti.

Mentre a Torino le scienze fisiche e matematiche vantano 19 professori diversi: per l’aritmetica e la geometria, la geometria pratica, la fisica, la fisica sublime, l’analisi e il calcolo, la meccanica, la costruzione, l’architettura civile, la chimica generale, la chimica farmaceutica, la botanica, la mineralogia, la zoologia, l’idraulica; in Sardegna non si poté mai avere più di un professore di matematica elementare, 1 di fisica, 1 di chimica, 1 di storia

naturale, 1 di geodesia ed 1 di architettura. E questi anche per la sola accademia di Cagliari; ché per quella di Sassari tutto il corso si riduce attualmente ad una cattedra di matematica elementare, di fisica e di chimica. D’una cattedra di mineralogia specialmente, di meccanica e di costruzione, altamente invocata dalla natura e dalle risorse delle popolazioni sarde, i ministri del Piemonte non se ne diedero mai pensiero.

Ma non è soltanto lo studio delle scienze fisiche e matematiche che si trascurò fin qui nelle Università sarde. Altri due non meno importanti vi si scorgono negletti, e di uno specialmente si può affermare che non esiste nell’Isola neppur ombra. È il primo là facoltà teologica, la quale, checché possa avvisarne il moderno indifferentismo, merita pur essa quella protezione e quello sviluppo che già seppe acquistarsi presso le più riputate accademie cattoliche: onde ed anche a Torino, sull’esempio di Roma, di Napoli, di Parigi, noi vediamo che la facoltà sacra possiede oltre alle cattedre dei dogmi, della morale, della scrittura, due cattedre pure per la storia ecclesiastica e la eloquenza sacra. Di queste un insegnamento eziandio nell’Isola si reputa indispensabile.

L’altro, di cui dicemmo non esistere nelle Università sarde neanc’ombra, nonostante la naturale e non comune disposizione per esso dell’ingegno sardo, è il corso di belle lettere e di filosofia, di cui tutto lo insegnamento si fa consistere in un semplice professore di logica e metafisica, ed uno di etica (filosofia morale).

Nella capitale del Piemonte, non par vero, dettano per la sola filosofia e le belle lettere quattordici professori: logica, metafisica, etica, umane lettere, archeologia, grammatica e letteratura greca, eloquenza e letteratura italiana, lingue orientali, metodo, storia antica, moderna, della filosofia, della monarchia di Savoia ecc. A Pisa la medesima facoltà possiede una cattedra di lingua copta, sanscritta e persino chinese. A Napoli, di scienza diplomatica e di paleografia. E in Sardegna? In Sardegna terra italiana, con due Università, con tanti cospicui redditi che le medesime possiedono, con tutta la vivacità ed il genio degli abitanti, si è trascurata fino al 1852, da un governo che si dice italiano, una scuola di storia patria, una scuola di lingua e di belle lettere italiane! E poi si osa ancora da qualche periodico subalpino insultare all’oppresso, tacciare il Sardo d’incapacità, di pigrizia, d’intolleranza! Intollerante, pigro, incapace il Sardo... ma chi osa scriverlo? Coloro cui sorrise sempre fortuna, cui fruttò invece, ed assai, la tolleranza isolana. Fondetevi, se vi dà l’animo, un’altra fiata con gente che, dopo avervi trascurato e spogliato, della vostra miseria, della nudità vostra ancora si ride!

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NOTIZIE Interno

La Gazzetta ufficiale reca la nomina ad applicato d’intendenza, del volontario avvocato Effisio Salaris; la promozione a consigliere dell’intendenza generale di Ivrea, dell’avvocato Giovanni Vitelli, attuale sostituito procuratore regio nell’intendenza di Vercelli; e la destituzione dall’impiego di scrivano in quella d’Oristano, del signor Effisio cavaliere.

Veniamo assicurati che pel riordinamento dei collegi-convitti nazionali dell’isola, d’imminente pubblicazione, siasi per l’influenza di due membri del ministero piccolo, sul grande ministero, pensato di mandare segnatamente in quello di Sassari, tutti Piemontesi.

Questa notizia viene dolorosamente a confermarci su quanto andiamo affermando, che cioè i più lucrosi ed onorifici uffici della Sardegna sono sempre riservati pei Piemontesi!

L’ECO DELLA SARDEGNA

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