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Numero 5 Torino, 24 settembre

Smemoraggine

Qualche Piemontese, leggendo nel numero 4 che noi consigliavamo al governo lo stabilimento di 30 vapori al mese (15 per andata e 15 per ritorno) fra l’Isola e il continente, ha stralunato gli occhi e s’è impietrito per la cifra d’un milione e ottocento mila lire che i medesimi costerebbero alle finanze del Piemonte (sic). E senza badare agli utili che noi dagli stessi calcoli facemmo risultare a pro dell’Erario: – Ecco, si fe’ a gridare, come sono esigenti questi Sardi! Mentre le poste di tutto lo Stato ci costano appena un milione e duecento mila lire, la Sardegna pretenderebbe che ne spendessimo un milione e ottocento per lei sola!

L’abbiam detto noi? Toccateli nelle borse e nei milioni certuni... e addio, fusione, unione, fratellanza! Vi travisano persino i dati!

Ve li travisano; perché noi abbiam fatto notare come da quel milione e ottocento mila lire verrebbero a dedursi primamente le ducento cinquanta mila che si pagano attualmente alla società Rubattino; più tre o quattrocento mila, prodotto dei viaggiatori; più l’ammontare delle tariffe sulle mercanzie; più le immense risorse che anche per le finanze dello Stato svilupperebbero quelle frequenti comunicazioni, quel frequente scambio e contatto commerciale dell’Isola col continente.

Ma posto ancora che il governo dovesse spendere tutto un milione circa all’anno per l’immenso benefizio delle corrispondenze dell’Isola, dovrebbero poi strepitarne e piangerne tanto i Piemontesi? Essi, che per le loro strade ferrate soltanto ne spesero e ne spendono centinaia? Dovrebbero piangere nel 1852 un milione speso a benefizio di quella Sardegna che, povera, abbattuta, dimenticata, non lasciò di mostrarsi con essi medesimi i Piemontesi, generosa, quando nel 1739 veniva la Sardegna in soccorso delle assottigliate finanze del Piemonte con lo spontaneo sussidio di mezzo milione, e con altro mezzo milione, oltre a vistose provvisioni di frumento e sali, quando per le truppe, quando per le gabelle continentali nel 1741?

Per quella Sardegna che nel 1746 porgeva novella prova di sua fede, costanza e devozione alla monarchia votando per quattr’anni consecutivi l’offerta di un donativo maggiore del consueto (stabilitosi a quaranta mila scudi (dugento mila franchi annui); soccorso questo il quale (come scrive Manno) venne

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molto in acconcio per sopperire alle spese allora necessarie onde far provvisioni ai bisogni non solo delle truppe del re in Italia, cui si fecero pure negli stessi anni dai Sardi larghe somministranze di frumento e civaie, ma eziandio del naviglio inglese destinato in quei giorni a vendicare in Corsica il favore conceduto dalla Repubblica di Genova ai nemici?

Queste e simili mille altre generosità dei poveri Sardi, voi non le rammentate! come non rammentate che oggi lo Stato, le finanze siamo tutti; e che collo stesso diritto che si spendono centinaia di milioni a vantaggio del continente, possiamo noi riclamarne e pretenderne uno o due soltanto, a benefizio delle sfinite terre nostre. Ché il diritto nostro pubblico non è quello che invocano per sé gli avvocati ministeriali, sibbene il sagrosanto che nella distribuzione dei vantaggi sociali chiama tutti indistintamente, e in proporzione dei bisogni loro, i cittadini a parteciparne.

Ci duole che uomini smemorati ci tirino pei capegli a tali disgustose reminiscenze. A queste ed a simili non saremmo scesi giammai, se stanchi non fossimo di sentirci le millanta volte a rinfacciare soltanto i sussidi che in disastrose annate alla Sardegna ne porgeste voi; sussidi che, infin di conti, sussidi appellar non si possono, bensì passaggi di fondi e rimborsi alle finanze dell’isola, come meglio proveremo a suo luogo.

E finitela!

I Sardi all’Esposizione di Londra

I nostri concittadini avranno lette sicuramente le meraviglie del famoso Palazzo di Cristallo; di quest’edifizio il più gigantesco e il più economico che mente umana abbia mai saputo concepire; di questo Louvre enorme, memorabile tempio dell’industria, che, visitato da sei milioni sessantatre mila novecento ottantasei curiosi, accorsi da tutto il mondo, raccolse le opere di quindici mila esponenti, e recò all’immensa città che lo improvvisava l’ingente somma d’oltre dodici milioni e mezzo di lire, col solo prodotto dei biglietti d’ingresso.

Era il genio dell’Inghilterra sotto mille forme strane, era la materia vinta dall’intelligenza umana. Il Palazzo di Cristallo si è paragonato alla torre di Babele. Ciò dovea essere, e il paragone era troppo volgare, perché potesse sfuggire. Era diffatti la confusione delle lingue; ma c’era una lingua che tutti i popoli parlano, mercè la quale s’intendono, comunicano, anzi fraternizzano; lingua universale, non peritura; una lingua divina che si parla colle mani consacrate al lavoro, e la cui sintassi si chiama il Genio della Invenzione. Chi ricorda che, fra i quindici mila esponenti, cinque mila ottantaquattro ottennero distinzioni onorifiche, cento sessantasei la grande medaglia, e tre

mila cento e settanta la medaglia piccola, deve pure esclamare che l’Esposizione di Londra (di cui le sole copie dei cataloghi venduti passò le ottanta mila lire) fu la ottava meraviglia del mondo, anzi la prima nel progresso delle scienze, delle arti e dell’industria.

Tutte le nazioni grandi e piccole, difatti, l’ebbero come tale: Russia, Prussia, Austria, Stati-Uniti, Danimarca, Svezia, Norvegia, Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Olanda, Turchia, Egitto, India, Italia. Scienziati, intraprenditori, operai di tutte le parti del globo, vi accorsero, altri spontaneamente altri dai rispettivi governi inviativi. Non ultimo fra questi fu il Piemonte, che seppe inviarne il cospicuo numero di settantadue. Ottimo, lodevole divisamento, utile per tutti gli abitanti delle provincie continentali, doloroso e straziante soltanto pei miseri figli dell’infelice Sardegna. La quale anche in questa solenne contingenza si vide per opera degli uomini del Piemonte esclusa dal benefizio comune!...

Noi siamo stati giornalisti di partito. Per la tolleranza e il rispetto alle opinioni nostre che invocavamo coraggiosamente e lealmente, abbiamo sofferto prigioni, multe, persecuzioni d’ogni, forma e di ogni colore; ma confessiamo sinceramente che, mentre quelle prigionie, quelle multe e quelle persecuzioni non ci contristarono mai, oggi scrivendo i dolori della patria nostra siamo costretti a fremere, e se non fremiamo, a piangere. Ché la dimenticanza, il disprezzo in che ci tennero e ci tengono certuni che dicono di amarci, ha oramai oltrepassato l’antica misura.

Si presentò mai più bella e più favorevole occasione di animare le arti, l’industria dell’Isola? Bastava che il ministero se ne fosse ricordato, perché anche uno o due degli operai sardi avessero potuto godere delle agevolezze, dell’opportunità onde visitare quelle meraviglie. Ma il ministero dei Lavori Publici, l’Azienda generale delle Strade Ferrate, il municipio di Torino, la Camera di commercio, hanno proposto essi e invitato tutte le provincie del continente a proporre soggetti per quella spedizione, ma non hanno pensato alla Sardegna. Ond’è che vi mandarono i loro soggetti le scuole tecniche, la società degli operai, la società tipografica, la società dei carrozzai, i municipi di Genova, di Nizza, d’Alba, di Cluses, di Mortara, di Fossano, d’Asti, di Cuneo, di Pollone, di Ceva, di Chiavari, d’Aosta, persino l’emigrazione, ma non uno, neppure uno dell’Isola di Sadegna! Trenta ne mandò solo Torino, il ministero di Commercio ne inviò quattro a total suo carico... perché dimenticare gli isolani (1)?

La Sardegna ci sta a cuore, il ministero ama la Sardegna, l’intero gabinetto si occupa del benessere dell’Isola ... sono le esclamazioni, le ripetizioni che sentiamo e leggiamo tuttodì alla Camera dei Deputati, al Senato del Regno, sulle gazzette ufficiali. Parole (se non ci fosse anche sarcasmo e derisione)

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che fortunatamente i popoli della terra che dispregiate, tutt’altro che gonzi, e capiscono e notano.

(1) Due Sardi, il signor Guiso di Nuoro ed il cavaliere Simone Manca di Sassari ebbero menzione onorevole all’Esposizione di Londra. Il primo per la sua cera e miele vergine; il secondo pel suo olio d’olivo. Per la Sardegna queste due menzioni onorevoli equivalgono a due medaglie d’oro. Quid se le nostre industrie fossero incoraggiate e protette!!!

I privilegi dell’isola

I Piemontesi s’incapponiscono a credere ed a ripetere che i Sardi, chiamando la fusione coi continentali, ci abbiano guadagnato.

L’articolo da noi intitolato – Le due fusioni – ci pare abbia risposto in parte, se non sufficientemente, a tale poco meditata asserzione.

Se la fusione avesse sortito realmente gli effetti che se ne speravano i Sardi, e chi non vede che la Sardegna invocandola avrebbevi guadagnato e molto? Ma pur troppo e per disgrazia nostra cosi non fu!

Noi, lo sentano ancora una volta i nostri lettori, non lamentiamo sicuramente gli antichi privilegi. Costituzionali ab antico, e prima ancora dei Piemontesi, vi abbiamo rinunziato spontaneamente, generosamente. Ma appunto perché generoso e spontaneo fu quel nostro abbandono, più generoso e spontaneo credemmo sarebbe stato alla sua volta l’amore e lo studio degli uomini del Piemonte verso gli isolani.

I privilegi, lo sappiamo pur noi, non si affanno con un perfetto regime costituzionale. Ma quando? Quando appunto per un perfetto regime monarchico-rappresentativo vi ha compenso a’ sagrifizii, v’ha guadagno a ciò che altronde si stimerebbe una perdita.

Come or non a molto i Nizzardi per la quistione del loro Porto-Franco invocavano le condizioni ed i patti di loro unione al Piemonte; patti e condizioni che misero sovra pensiero i nostri ministri a segno, che stimarono prudente e conveniente di non insistere; cosi aveva condizioni e patti giurati l’Isola di Sardegna, da affacciare per la conservazione di sue antiche prerogative, libertà ed esenzioni da pesi e simili; se stimato non avesse, nella speranza di meglio, di affratellarsi e di unirsi in mensa comune con le provincie continentali.

Sappiamo che dagli uomini del Piemonte codeste cose s’ignorano, o non si voglion sentire. Lo stesso generale La Marmora, altronde erudito, nel suo Voyage en Sardaigne non ebbe difficoltà di asserire che per essere stata la Sardegna ceduta non dalla Spagna, ma dall’Austria, non aveva avuto luogo nei negoziati alcun patto che ragguardasse alla conservazione degli antichi privilegi del regno.

Fu errore o dimenticanza.

La convenzione del 29 dicembre 1718, sottoscritta a Vienna, circa la maniera con cui dovea farsi al re di Sardegna la rimessione dell’Isola, portava all’articolo X queste parole: Il possedimento della Sardegna passerà al re, al momento del suo ingresso in quel regno, e in quelle piazze, a misura ch’esso, i suoi ufficiali e le sue truppe le occuperanno... l’intiera sovranità s’intenderà all’istante passata in potere della prefata M. S... i privilegi degli abitanti di questo regno saranno conservati tali e quali essi ne godettero f n qui sotto il dominio di S. M. imperiale e cattolica – che erano i privilegi che si leggono in disteso rapportati nell’atto di cessione (Capitolo V) della Sicilia, firmato il l0 giugno 1713 da re Filippo a Madrid: leyez, fueros, capitulos, privilegios, gracias, exempciones, costitutiones, pragmaticas, costumbres, liberdades, imunidades, tanto della capitale del regno, come delle sue città, ville, terre e persone.

Faremmo ridere se noi pretendessimo alla conservazione di tutte quelle leggi, grazie, libertà, esenzioni, immunità, costumi e prerogative nei citati capitoli rammentati. È bene però sappiano coloro che così frequente di nostro peso si lagnano, che i Sardi, chiedendo parità di trattamento coi continentali, non presentivano che così presto avrebbero dovuto dimandare ai piemontesi: Realmente, allo stato in cui oggi sono le cose in Sardegna, questa ci ha guadagnato o perduto?

Risponda chi ha fior di senno. Noi ci siamo pronunciati abbastanza.

Bibliografia

Alla Direzione del Giornale l’Eco della Sardegna, in Torino, via del Belvedere, N. 15, si ricevono le associazioni al

Dizionario compendiato geografico-storico-statistico e biografico della Sardegna

Condizioni dell’abbuonamento

Il Dizionario formerà un solo volume di circa 600 pagine in ottavo, a due colonne.

Per comodo del compilatore, Direttore del Giornale l’Eco della Sardegna, ed anche degli abbuonati, sarà distribuito in 12 dispense di 6 fogli caduna, ossia 48 pagine (36 colonne), carta buona e caratteri nitidissimi.

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Se ne pubblicherà una dispensa ogni la di mese, così l’opera sarà compiuta in un anno.

Il prezzo dell’associazione è di centesimi 60 per ogni dispensa, pagabili a trimestri, semestri od anno anticipati o scaduti, a comodo dei soscritti.

La prima dispensa, e con essa la regolare pubblicazione dell’opera verrà in luce appena si avranno 500 abbuonati, indispensabili per le spese.

Ricevono anche le associazioni i signori Federico Crivellari libraio a Cagliari, e Andrea Ciceri libraio a Sassari.

Cose diverse

Quando per la prima volta si sparse la voce in Torino della scoperta del carbon fossile, fatta in vari punti della Sardegna, indovinino i nostri concittadini qual fu la prima esclamazione data dai Piemontesi? Altri avrebbe esclamato: – Che fortuna per l’Isola! o tutto al più: – Che fortuna per lo Stato! I Piemontesi all’opposto: – Che fortuna per il Piemonte! proruppero senza avvedersene, concordemente...

A proposito di miniere e di carbon fossile scoperto nell’Isola. Tutti sono stupiti che, mentre la più piccola cosa, la più lontana speranza di speculazione e di guadagno incende ed agita i capitalisti Piemontesi, solo le molte ed abbondanti miniere recentemente scopertesi fra noi, non abbiano destato in Piemonte tutto quell’entusiasmo che era prevedibile pel loro studio e l’attivazione loro. Abbiamo in mano la chiave per spiegare eziandio quest’enigma. La maggior parte dei capitalisti piemontesi trovansi impiegati nelle Società del Gaz torinesi. Le quali, come si sa hanno esse il monopolio della vendita del carbone ecc. ecc. È quindi nel loro interesse far di tutto acciò, per una buona serie d’anni, nessun’altra faccia loro concorrenza nello smercio di quel conbustibile a buon mercato, come sarebbe in grado di farlo la Sardegna. Non ci stupirebbe che il disprezzo e il discredito che da alcuni uomini del Piemonte si tentò fin dai primordii gettare sulle sarde miniere partisse anche dagli interessati nel summentovato monopolio. Che ne dicono i nostri concittadini?

Ancora miniere. Le miniere dell’Impero russo hanno dato nel 1851 per settant’otto milioni, duecentotrentadue mila novecento e tanti franchi, d’oro; e per quattro milioni novecentonovantadue mila duecentotrentadue franchi, d’argento.

L’ECO DELLA SARDEGNA

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