1.) Sali della Sardegna
I Sali formano uno de’ più cospicui redditi del tesoro nazionale, se si riflette ch’essi costano alle Finanze dello Stato tre milioni di franchi circa, e producono annualmente alle medesime l’ingente somma d’undici milioni. Da una media approssimativa degli ultimi anni risulta, che il sale necessario al servizio annuale delle gabelle dello Stato ascende a 323,010 quintali decimali, cosi ripartiti:
Per la consumazione degli Stati continentali, quintali decimali 277,010; Per la consumazione dell’Isola, 27,500; Per somministranze alle gabelle di Monaco ed ai Cantoni Svizzeri, del Vallese e dei Grigioni, 8,500; Totale quintali come sopra 323,010.
Il paese più salifero di tutto lo Stato è fuor di dubbio la Sardegna, la cui superficie salifera, che comprende 37 stagni, è, secondo i calcoli del conte di Salmour, d’oltre 2 mila ettari, maggiore cioè agli stessi stabilimenti saliferi del mezzodì della Francia, che non superano i 1950 ettari.
Per dare un’idea del potente mezzo di ricchezza nazionale che offrono le saline della Sardegna, basti dire, che ove fosse eguale l’industria di esse a quella delle altre saline, ragguagliato il valore del suolo ed i loro prodotti, la superficie salifera della Sardegna dovrebbe valutarsi, senza esagerazione, a dieci milioni di lire, ed il suo prodotto in sale a venti milioni circa di quintali decimali. Anche in questi ultimi anni che le saline dell’Isola si dissero in decadenza, non ostante l’egregia somma di un milione, che dal 1831 al 1839 vi spesero le finanze per riformarle, il prodotto del sale nell’Isola non fu cosi scarso da meritare la trascuranza e l’abbandono del Governo piemontese, il quale, anziché trarre profitto da una risorsa cosi certa per se e per quell’infelice paese, anziché eccitare e sviluppare in ogni modo possibile la produzione di si abbondante e ricca derrata, ama meglio continuare a rendersi volenterosamente tributario, anche per questa, dello straniero.
La produzione, difatti, di tutti gli stabilimenti saliferi della Sardegna, nel quinquennio del 1842 al 1846, fu la seguente:
Nel 1842 prodotto netto in sale, quintali decimali 388,858 81; Nel 1843 459,004 62; nel 1844 518,583 13; Nel 1845 574,742 26; Nel 1846 636,041 01.
Come vedono i nostri lettori, risulta da questi dati ufficiali, che la produzione media annuale del sale nell’isola è di 489,445 quintali decimali circa, per cui si può, senza tema d’andare errati, stabilire in massima, che il prodotto medio di quelle saline sia di 500 a 550 mila quintali decimali annui, di cui 450 mila
provenienti dalla provincia di Cagliari e 60 o 70 mila dalle saline di Carloforte.
Abbiam visto di sopra come lo Stato richiede per la sua annua consumazione 323,010 quintali decimali soltanto, di quei sali, e come da essi ne ritragge la finanza regia il cospicuo reddito di otto milioni, dedotte le spese. Ciò che vuol dire, se non che la Sardegna è capace di somministrare essa sola quanto occorre a tutto lo Stato, di si indispensabile sostanza alla vita, non solo per l’interna propria consumazione, ma eziandio per alimentare l’esportazione della medesima all’estero?
L’amministrazione dell’isola di Sardegna essendo prima del 1848 separata da quella degli stati continentali, le regie gabelle di terraferma avevano stipulato un contratto, mercè il quale 260 mila quintali decimali di sale sardo doveano essere loro rilasciati in Genova, al prezzo di lire 1,85 ogni quintale decimale. Risulta però da un quadro ufficiale del succitato quinquennio 1842-46 che in media l’annua vendita del sale sardo alle regie gabelle del continente fu di soli quintali 238,672, e cosi sempre minore alla quantità convenuta: per cui risultava una perdita annua per la Sardegna di 40 a 50 mila lire.
Questa deficienza andò in seguito viemmaggioramente aumentando ogni anno, ed essa si attribuiva segnatamente alla difficoltà di trovare i mezzi di trasporto e talvolta anche alla cattiva qualità del sale insulare. La malafede e l’ingiustizia, anche su questo rapporto, del Governo piemontese rispetto alla Sardegna fu egregiamente notata dallo stesso conte di Salmour, che benché piemontese, non mancò di ciò attribuire invece alla colpevole trascuranza del Governo in generale, alla rivalità delle due amministrazioni del continente e dell’isola, e finalmente alle occulte cause favoreggiate da tale rivalità, per cui l’interesse privato fu al pubblico anteposto.
Crediamo pur noi di non dir falso, se affermiamo che appunto a quelle occulte cause favoreggiate da tale rivalità fra l’isola ed il continente, si debbano attribuire altri moltissimi interessi privati che vediamo tuttodì dagli uomini del Governo piemontese ai pubblici anteposti. La rinnovazione del contratto delle gabelle regie colla casa Rigal di Monpellieri, per la provvigione di tutto il sale necessario alla consumazione degli Stati continentali, ha rovinato la produzione salifera della Sardegna. Invece di ravvivare con ogni mezzo possibile la produzione del sale, questa sicura fonte di ricchezza nazionale dell’isola, attivando le saline cagliaritane soprattutto, in modo da minorare la spesa della costruzione ed aumentarne il prodotto; coll’introdurre in quelli stabilimenti tutti i nuovi ritrovati dalla scienza del saliniere, coll’imitare quanto utilmente oggi si pratica nelle saline francesi, coll’erigere laboratorii per la fabbricazione ed il raffinamento della soda (abbondantissima in Sardegna), della magnesia, della potassa, e di tutti quei prodotti che col metodo Ballari oggi si estraggono dalle acque madri delle saline, dopo la
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cristallizzazione del sale marino, metodi tutti che riducono, si può dire, a nulla, il prezzo di produzione del sale, e pe’quali lo Stato si allegerirebbe inoltre dal tributo che appunto pe’solfati delle suindicate sostanze paga alla Francia; invece, ripetiamo, di curare la produzione del sale che tiene in casa, di sollevare con essa la povera Sardegna, con una risorsa di cui la volle largamente fornita la Provvidenza, il Governo piemontese si contenta di rimanere anche per questa parte tributario servile del forestiero, della Francia. Ora andate a sperare, dagli uomini che ci governano, sviluppo, incoraggiamento e protezione nelle altre industrie, nelle altre risorse dell’isola, se in quelle delle saline, la cui ricchezza salta agli occhi, è cosi sconsigliato, cosi improvvido (1)!
(1) Proseguiremo anche in un altro articolo, sovra questo importante argomento, a sfiorare l’erudito discorso che sull’oggetto medesimo tenne alla Camera dei deputati, il conte di Salmour.
Dell’acqua e degli acquidotti in Sardegna
Il più indispensabile degli elementi è l’acqua. I suoi usi nell’agricoltura, nelle arti, nell’industria, e la sua influenza nell’economia animale dovrebbero renderne più generale lo studio. Essa è cosi sparsa nella natura che agisce continuamente, ed anco senza nostra saputa, sopra tutti i corpi, sui nostri organi, sulla costituzione di tutti gli esseri, e su tutte le sostanze di cui facciam uso. La sua utilità nelle arti, nelle industrie, come accennammo, e nell’agricoltura, è talmente riconosciuta che sarebbe superfluo occuparcene nel presente articolo. Sa ognuno con quale abbondanza l’acqua trovisi sparsa nel globo, e quanto diverse sieno le funzioni che essa vi esercita. Riunita in masse enormi nei bacini dei mari, trascinata da un moto progressivo sul letto dei fiumi e delle riviere, serve essa di veicolo ai navigli, al commercio, alla comunicazione fra i popoli delle varie parti del mondo. Col suo impulso diviene il motore d’una moltitudine di macchine, altrettanto utili quanto ingegnose; e se l’uomo oggi dispone a suo piacere d’una forza ancor superiore di essa, lo deve a questo liquido medesimo convertito in vapore. L’acqua insomma è l’elemento in cui vivono milioni d’esseri organizzati; serve di bevanda all’uomo ed agli animali che popolano la terra e l’aria; è infine uno dei principali agenti della vegetazione; si formano nel suo seno molti minerali e molte sostanze, cui l’industria umana dà poscia una nuova esistenza elaborandole per diversi usi della vita.
Se vi ha quindi elemento che più d’ogni altro riclami tutta l’attenzione e lo studio d’un Governo veramente provvido, è l’acqua senza dubbio. Un popolo che per la naturale sua postura, o per qualunque altro accidente, difetti a lungo
d’un elemento cosi indispensabile pei bisogni dell’agricoltura, dell’industria e della vita, è un popolo condannato a vivere nell’inerzia, e nella miseria perennemente; se l’opera potente del governo non giugne in tempo a sollevarlo con que’mezzi che già l’arte fin dalla più rimota antichità seppe su tale proposito additarne.
Intendiam favellare degli acquedotti; di quei grandiosi canali sotterranei che hanno appunto per oggetto di condur l’acqua dalle vaste sorgenti ai punti che ne abbisognano.
In Sardegna la provincia che generalmente più difetta d’acque, è la cagliaritana, e Cagliari soprattutto. La pochezza delle sue sorgenti, la scarsità delle pioggie, non è a dire quanto spesso nuoccia ai campi, offenda le greggie, tormenti gli abitatori di quell’infelice contrada.
Ma diteci se dal Governo piemontese, che pur la conosce, si è mai pensato seriamente e generosamente di riparare a tanta loro necessità, a tanta loro sciagura mercè l’opera indispensabile d’un grande, se non grandioso, acquidotto!?
Solino, antico scrittore, ci riferisce lo studio che gli uomini della Sardegna hanno sempre posto nel raccogliere l’acque piovane, per riservare cioè alla penuria estiva la copia invernale di queste. Ma tale studio, che pur continua fra i cagliaritani più assiduo, non sempre è sufficiente ai bisogni di quella popolazione. Onde è alla deficienza di tali conserve, ed al bisogno di provvederla d’acqua più abbondante e sicura, che si deve probabilmente quel monumentale vetusto acquidotto che vedesi ancora a Cagliari, il maggiore fra quanti ne furono mai fatti in Sardegna; siccome quello che percorreva nientemeno che una vasta linea di 45 mila metri dalla sorgente di S. Giovanni de Ucch-e-rutta (bocca di grotta), fino al punto ove oggi sorge la porta Gèsus. L’epoca della fabbricazione di questo grande acquidotto (riferiamo ciò che ne scrisse l’abate Angius) appartiene al periodo della dominazione romana, e dalla forma triangolare che tuttora conservano i suoi mattoni, v’ha chi l’attribuisce agli estremi tempi della repubblica, od ai primi dell’imperio. Durò nella sua integrità fino alle invasioni o dei barbari del settentrione, o degli arabi africani e spagnuoli che ne distrussero quanto era apparente. Nelle tristissime vicende di Cagliari, donde furono i nazionali costretti più volte ad esulare, se ne trascurò onninamente la restaurazione, finché perdutasene, in progresso di tempi tenebrosi, la cognizione, le sue rovine finirono per diventare oggetto di favole e di meravigliosi racconti.
Nel 1761 se ne scoprì per caso l’ingresso sulla estremità del Borgo dell’Annunziata, si sgombrò dalla terra e dai massi che vi recarono le grandi alluvioni, e si percorse per circa mille e 800 metri sotto i quartieri di Stampace e della Marina. Il sullodato abate Angius nel 1835 ha osservato e descritto
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circa due terzi della sua lunghezza, cioè da Cagliari a S. Maria di Siliqua, che forma una distanza di 29 mila metri all’incirca.
L’origine del romano acquidotto, comunemente creduta, e dalle dotte ricerche ed osservazioni del succitato abate confermata, vuolsi partisse dal monte di S. Giovanni presso Domus-Novas. Laonde abbenché non siasi mai potuta calcolare esattamente la quantità dell’acqua che trasportava, si può conghietturare ch’essa fosse sufficiente ai bisogni di oltre centomila anime, al numero di quei tanti truogoli domestici e di bagni pubblici che sappiamo erano in uso presso gli uomini di quei tempi.
Ma non è solo dall’esame dei monumenti antichi che appare il non cale e la colpevole dimenticanza in che sempre tennero la Sardegna gli uomini del beato Piemonte. Ciò si rileva eziandio da quanto, sull’oggetto di cui discorriamo, andarono in ogni tempo praticando, a benefizio dei loro popoli, moltissimi altri Governi.
Le miniere in Sardegna
(Continuazione, vedi il num. 9, 11 e 12)
Considerando poscia risultare dalla storia nummaria che in rimota età distruggevasi il piombo avente argento, qual contaminazione di questo nobile metallo, che avvi miniera piombifera in alcuni luoghi della Sardegna colla notevole ricchezza in argento di 0,001 a 0,003 circa, ed esservi inoltre la galena in non pochi altri luoghi abbastanza ricca in argento, onde potersi questo separare con benefizio, si avrà motivo di credere, dopo tutto ciò, che l’argento dovette essere principalmente ritratto, presso gli antichi, dal piombo solforato argentifero; e che pertanto potrà in seguito ridivenire oggetto di rilevanti speculazioni, mercè opportuni studii e ben ponderati piani di esplorazione e di coltivazione, i quali mai sempre devono scorgere lo speculatore nelle sue intraprese, non avendosi certamente a temere abbiano le discorse miniere in alcuna guisa potuto esaurirsi se ci facciamo a por mente alla profondità cui più spesso incontrasi la maggior produzione dei filoni metalliferi in generale, ed a quanto risulterebbe intorno alla loro continuazione nel senso della profondità.
Piombo. – Poiché ci dice Plinio, come si è più sopra notato, che l’argento estraevasi in Sardegna da minerali piombiferi, o con addizione di piombo, ne deriverebbe che la coltivazione di questo metallo in quell’isola sarebbe altrettanto antica quanto quella dell’argento steso. Se non che, come pur si è avvertito, nei più remoti tempi essendo il piombo tenuto in poco conto, a tal che distruggevasi qual contaminazione dell’argento che potesse contenere,
nulla sapremmo intorno all’epoca in cui sarebbesi incominciato a ritrarre il piombo oltre l’argento. Siccome poscia sonovi in Sardegna antichissime fabbriche di stoviglie ordinarie, egli è verosimile che in remoti tempi del pari già si scavasse la galena, per servire come alchifoglio alle dette fabbriche; ed i piombiferi indizi che ritrovansi in generale nelle materie di rigetto degli antichi scavamenti sunnotati chiaramente ci indicherebbero eziandio le fonti delle coltivazioni.
Relativamente alla quantità dei prodotti che si saranno ottenuti sino al 1720, ovvero fino all’epoca in cui la Sardegna era unita ai R. Stati di terraferma, noi non sapremmo formarsene neppure alcun criterio. Risulta bensì essere state accordate numerose permissioni e concesioni per ricercare e scavare miniere piombifere durante i 400 anni dell’aragonese dominio, ma appena sappiamo dall’ingegnere Mameli, da cui fu fatta diligente ricerca di storiche notizie sulle sarde miniere nei R. Archivii soprattutto in Cagliari, aver potuto essere di 88,810 cantara (quint. metrici 48,667) la galanza, ossia galena estrattasi dal 1629 al 1644. Dal 1720 in poi apparirebbe dai documenti conservati nella Biblioteca di Corte, negli archivii di Corte e delle R. Finanze ed altre carte che ho potuto esaminare essersi ricavati i prodotti seguenti, cioè:
Dal 1721 al 1741 i concessionarii generali Nieddu e Durante, coltivando le miniere sovra indicate (V. art. argento) avrebbero ottenuto: Galanza mercantile, quintali metrici 60,280; Piombo O;
Dal 1741 al 1762, il concessionario generale Mandel coltivando le miniere che del pari sonosi superiormente indicate, avrebbe ricavato: Calanza mercantile, quintali metrici 20,259; Piombo, 16,207;
Dal 1762 al 1783 si ebbero dal cav. Belly per conto delle R. Finanze e dalle miniere di Montevecchio, Acqua Cotta e monte Narba: Galanza mercantile, quintali metrici, 9,995; Piombo 9,590;
e si sarebbero inoltre ricavati quintali metrici 1610 di litargirio mercantile. Dal 1790 al 1792 nella coltivazione per conto regio della miniera di monte Poni si ebbero pure dall’ingegnere Belly: Galanza mercantile, quintali metrici, O; Piombo 1,924;
Nel 1804. Coltivazione della detta miniera pure per conto regio sotto la direzione del cav. Vicard di San Real; Galanza mercantile, quintali metrici 2,586; Piombo O;
Dal 1806 al 1809. Società Vargas, attivando le miniere di Monte Poni e di Montevecchio; Galanza mercanale, quintali metrici 2,191; Piombo O; Dal 1827 al 1830. Appalto della miniera di Monte Poni in capo al negoziante Asseretto; Galanza mercantile, quintali metrici 13,152; Piombo O;
Dal 1832 al 1848. Coltivazione per conto regio della miniera di Monte Poni, diretta dagli ingegneri, da prima Mameli, e di poi Poletti; Galanza mercantile, quintali metrici 37,739; Piombo 0;
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Totali quintali 146,202; 27,721.
Rispetto alle varie società da poco tempo a questa parte formatesi per l’attivazione delle miniere piombifere di Sardegna nulla diremo, non constandoci chiaramente fino a qual punto sieno condotte le intraprese escavazioni, e quali quindi i prodotti ottenuti; ma essendone abilmente dirette le operazioni, e non mandandosi mai ad effetto lavori senza seguire le norme, in primo luogo di piano d’esplorazione e poscia di coltivazione, coll’indicazione delle spese successivamente occorrenti al movimento della speculazione non ne sarà dubbio il successo.
Cose diverse
Ci scrivono da Cagliari che anche l’ispettore per quel collegio nazionale è un piemontese con 2500 fr. di stipendio fisso e 14 per ogni giorno di trasferta alle visite delle scuole della provincia. Così due piemontesi soltanto s’intascano 5 mila lire fisse, oltre ad altre 5 cui si faranno ascendere le trasferte. Ci scrivono inoltre che i tre professori del collegio filosofico di quella Università furono definitivamente ridotti a professori del collegio nazionale predetto, senza alcun vantaggio, anzi con perdita. Il piemontese eletto per quell’ispettorato sarebbe il professore Bertoldi, elegante compositore d’inni per la festa delle bandiere, ed autore di quel famoso ordine del giorno agli studenti di Cagliari – Noi Giuseppe Bertoldi ecc. Ecco i titoli, che lo rendono cotanto accetto al Ministero.
La legge sul matrimonio civile si vuole che non sarà ritirata dal nuovo ministero Cavour. Il Re non avrebbe imposto nessuna condizione ai novelli Ministri.
Quattro o cinque progetti di legge per nuove imposte non mancheranno all’aprirsi della nuova sessione del Parlamento.
Nel 1846 la classe dei commendatori dell’Ordine dei ss. Maurizio e Lazzaro era di 108
A tutto il 1851 ascendeva a 176 Aumento in 5 anni 68.
La classe dei Cavalieri dell’ordine predetto si componeva: 1846, di 1230
A tutto il 1851, di 1572 Aumento in 5 anni 342 croci.
Da questo quadro risulta che in media, sotto il Governo costituzionale si crearono 13 Commendatori e 70 Cavalieri all’anno. È facile quindi indovinare a qual numero si faranno essi salire i Cavalieri dei Regii Stati in cent’anni di Governo libero.
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L’ECO DELLA SARDEGNA
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