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PARTE SECONDA

Anno I Numero 8 Torino, 9 ottobre

PARTE SECONDA

Pratica della Fusione riguardo alla Sardegna CAPO I.

Prolegomeni storici antichi

I. Il re Giacomo secondo d’Aragona rinuncia ai suoi dritti sulla Sicilia, e accetta da papa Bonifazio VIII l’investitura della Sardegna.

II. Conquista Aragonese di alcuni luoghi dell’Isola. La potenza dei sovrani di Arborea, la opposizione dei Doria e dei Malespina, e l’avversione generale dei Sardi alla dominazione straniera, la rendono precaria ed incerta.

III. Pericoli dei nuovi conquistatori. D. Pietro IV il cerimonioso tenta scongiurarli, convoca i Sardi a Parlamento, e nel 1355 presiede personalmente alle prime Corti generali del Regno. IV. Infelice riuscita di tal mezzo. Mariano IV, Ugone IV e la famosa

Eleonora di Arborea contrastano ai re Aragonesi la sovranità dell’Isola, e sono sul punto di schiacciarli. Alla dinastia di Arborea sottentrano nella lotta i potenti marchesi di Oristano. V. D. Alfonso V. di Aragona tenta con migliore successo la prova.

Si amica i marchesi di Oristano, e gli altri baroni e notabili dell’Isola, riconosce lealmente i dritti dei Sardi e nel 1421 apre in persona il Parlamento, e fonda in perpetuo lo Statuto nazionale.

VI. Nel 1448 promette per patto pazionato l’osservanza di tale statuto, il giuramento dei suoi Reali Successori e la libera facoltà allo Stamento Militare (Feudatari e Nobili) di riunirsi in Corte

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speciale, e ai tre Stamenti (Ecclesiastico, Militare e Reale) di chiedere la riunione di Corti generali straordinarie, oltre le ordinarie e decennali.

VII. D. Giovanni II, ultimo dei re Aragonesi in Sardegna, aombra le Corti sarde, né mai le riunisce. Invece co’ cavilli, e colla forza spoglia nel 1478 l’ultimo dei marchesi d’Oristano de’ suoi vasti dominii nell’Isola.

VIII. I re cattolici osservano religiosamente la fede giurata, e dal 1481 al 1698 convocano periodicamente, giusta lo Statuto fondamentale del Regno, le Corti generali.

IX. Dritti cardinali della Nazione Sarda rappresentata dalle Corti generali; e notizia brevissima di ventun Parlamenti ordinarii (decennali), e di due straordinari, tenuti in Sardegna sotto la dominazione Spagnuola nel periodo di dugento diecisette anni, cioè dal 1481 al 1698.

CAPO II.

Prolegomeni storici moderni

I. Guerra di successione al trono di Spagna. L’arciduca Carlo è riconosciuto re di Spagna, sotto nome di Carlo III, dall’Austria, dall’Inghilterra, dall’Olanda e dal duca di Savoia. Egli fa valere il suo dritto colle armi, e nel 1708 spossessa Filippo V dalla Sardegna. Assunto all’impero d’Austria, sotto nome di Carlo VI, gli Stati Europei gli conservano e guarentiscono col Trattato di Utrecht (1713) e con la pace di Rastadt (1714) il dominio dell’isola.

II. L’audacia del cardinale Alberoni turba la pace europea. Egli caccia gli Austriaci da Sardegna nel 1717, e vi rimette le armi spagnuole. Il trattato della quadruplice alleanza, sottoscritto in Londra nel 2 agosto 1718 pone fine alle contese. La Sardegna è ceduta dall’imperatore d’Austria al duca di Savoia Vittorio Amedeo II co’ suoi antichi privilegi e libertà, sl e come l’avevano posseduta i re cattolici. Il duca di Savoia accede al trattato e alla riversibilità dell’Isola alla signoria di Spagna, in caso di estinzione dei successori di sesso mascolino della reale famiglia Savoina. La convenzione è segnata in Londra nell’8, e in Parigi nel 18 novembre 1718, confermata dall’accordo di Vienna del 29 dicembre dello stesso anno, e quindi recata ad atto nel 1720.

III. Vittorio Amedeo II fa riunire gli Stamenti Sardi nel 1721 per chiedere sussidio di denaro: ma la riunione è quasi privata di ciascun Stamento in particolare, non in Corti generali. Queste sono formalmente dimandate dallo Stamento militare

in occasione della proroga dei donativi (tributi). Il re nel 1727 e 1728 vuol convocarle per osservare il suo giuramento, e la fede dei patti diplomatici del 1718; ma i suoi ministri ne lo distolgono.

IV. Il re Carlo Emanuele III ha lo stesso pensiero nel 1731, anzi fissa pel 1734 la riunione solenne del Parlamento sardo; ma egli ancora n’è disconsigliato dai ministri. Rinnova l’espressione di suo volere nel 1743, e nuovi ingegni ministeriali e cavilli burocratici soffocano la giustizia e la generosità regia

V. I re sul trono sardo, e vicerè nell’Isola si succedono per circa un secolo e mezzo. Giura ciascuno di essi solennemente l’osservanza del patto politico fondamentale della Sardegna, e nessuno attiene la fede. Giurano e si vuole che giurino gli Stamenti, ma gli Stamenti, per fallacia filosofica, legale e politica, si fanno consistere nel placito di tre soli individui (l’arcivescovo, un marchese e il sindaco di Cagliari). E cotesto aborto di Thomm-Pouce stamentario e parlamentario si adopera per dar forma e colore di legalità agli atti più vitali alla vita istessa della Sarda nazione.

VI. I Sardi fanno rivivere nel 1793 il loro Parlamento nazionale per resistere alle armi di Francia repubblicana. nella lotta tremenda e disuguale sono vincitori. Letizia governativa. Spacci e parole di lode, che costano poco, continue e molte. Fatti che pesano e stanno, miseri, ingiusti, nulli. Gli Stamenti, autori dei sagrifizi per la causa regia e strumenti della vittoria, sono disciolti. Alla nazione, che lo domanda solennemente co’ suoi ambasciatori, è negata la riunione periodica delle Corti, l’osservanza del suo Statuto politico, dei suoi diritti e dei suoi privilegi (1794). VII. I tempi ingrossano. Le domande dei Sardi, le istanze e le proteste

continuano. La riunione delle Corti generali, ripetutamente promessa, è finalmente accordata. Però è sospesa quasi prima che conceduta, né poi è posta in atto giammai. Gli Stamenti restano, e concordi colla nazione salvano alla famiglia Sabauda la corona e la vita (1794 al 1799).

VIII. Parricidio nazionale tentato in Sardegna. Di corti e di Parlamento non si parla più. Governo dell’Isola ad arbitrio (bon plaisir). IX. Abolizione del Feudalismo Sardo nel 1836. Vantaggi che ne

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potea e ne dovea ricevere il Parlamento nazionale. I Feudatari continuavano a far parte dello Stamento militare, perché nobili. I sindaci dei comuni affrancati doveano ipso iure far parte dello Stamento reale, perché aveano riavuto la personalità politica. Quindi le Corti erano intrinsecamente ricostituite in miglior vita per elementi quasi pari di monarchia, di aristocrazia e di democrazia.

(continua) CAPITOLO IX.

La soppressione delle Università dell’Isola

Il capitolo presente, segnato nell’indice col numero trentanovesimo, ora l’abbiam fatto nono.

L’esistenza di due Università nell’Isola dà sui nervi agli uomini del Piemonte già da gran tempo, non sapremmo dire se per desiderio di meglio, per avarizia, o per invidia. Non mancò di fatti chi vagheggiò il bel progetto di sopprimerle entrambe, nell’idea di arricchire (s’intende) anche per questa parte la città di Torino, coll’affluenza in essa degli studenti di tutto lo Stato. Ma il piano che di presente frulla per la testa dei sapientoni è la fusione delle due Università insulari in una sola, ossia la distruzione, come pare probabile, della Università di Sassari, che dai riformisti si trasformerebbe in semplice Liceo.

Taluno dei politici architetti, che credono sia altrettanto facile eseguirli i progetti, quanto scarabocchiarli, avrebbe opinato per una sola Università sarda centrale, a comodo si dell’uno che dell’altro capo dell’Isola. Altri inclinerebbe di preferenza alla divisione delle cattedre e delle scienze; per cui Filosofia, ad esempio, Legge, Teologia si detterebbero in una; Matematiche, Medicina, Chirurgia nell’altra.

Il primo dei due progetti non ci par piemontese per la sua grandezza. Creare nell’interno dell’Isola una città capace di prestarsi a tutti i comodi indispensabili per una grande accademia centrale, crediamo abbia stordito e spaventato gli uomini avvezzi a spendere danari a profusione solo pei comodi e la magnificenza di casa loro. Il secondo lo reputiamo il più acconcio e dai Sardi il più desiderabile, qualora rechi esso con sé l’indispensabile complemento dei rami d’insegnamento che or si ravvisano imperfetti; quali sono le facoltà di lettere, di fisiche e matematiche, delle scienze naturali e mediche. Di queste ultime segnatamente; le quali, a parte la non comune dottrina e perizia di taluni dei cattedratici insegnanti, sono tutt’altro che in stato soddisfacente.

Noi fummo iniziati allo studio delle scienze mediche. Distratti dalle amenità letterarie, e in particolare della poetica negli anni nostri più giovanili ed inconsiderati, trasandammo d’assai l’applicazione per quelle severe discipline. Tuttavia per la fresca e dolce ricordanza che ne serbiamo, ci crediam lecito di poter affermare, che il corso di medicina e di chirurgia, quale oggi apparasi nella Università di Cagliari, ove studiammo noi, e da quanto ci consta, anche in quella di Sassari, è lungi dal rispondere alla necessità. È perciò che merita forse il primo tutto il pensiero e tutta la sollecitudine dei nostri governanti. Sei professori per la medicina, due appena per la chirurgia, è cosa troppo meschina e deplorabile, se si riflette che a Pisa (1), da noi visitata non ha guari, dettano medicina e chirurgia ben più di 20 professori. E senza ricorrere all’estero, la capitale del Piemonte medesima ne conta ben dodici. In Torino, professori speciali per l’anatomia, per la fisiologia, per la medicina teorico-pratica per la clinica interna ed esterna, per la materia medica, per la medicina legale e l’igiene, per le istituzioni mediche e chirurgiche, per la chirurgia teorico-pratica e clinica sifilitica, per le operazioni chirurgiche e clinica operativa, per la ostetricia e la clinica ostetrica, e financo per la clinica delle malattie mentali. Nell’Isola un professore di anatomia, uno di patologia, uno di teorico-pratica, uno di clinica, uno di materia medica, medicina legale ed igiene, tutto insieme, per la medicina. Per la chirurgia: un professore di teorico-pratica, un semplice reggente (e neanco di vaglia) incaricato della clinica chirurgica, delle operazioni, dell’ostetricia, della clinica ostetrica ecc. Su questo piede proseguono a mantener l’istruzione in Sardegna gli uomini del Piemonte! che pensarono per altro a dotare i loro collegi nazionali di professori di lingua greca, inglese, francese, tedesca, di disegno, di meccanica, di calligrafia, di canto e persino di scherma. Quando in tutta l’Isola, e specialmente nel capo di Sassari, si difetta tuttora, per mancanza appunto di un’apposita scuola di ostetricia, di un’abile levatrice, e non nei comuni soltanto, ma nelle città più ragguardevoli. Non par credibile, ed è vero triste, che, mentre da una statistica che abbiamo sul tavolo ci risulta che fin dal 1844 si contavano sparsi per le provincie continentali 1474 medici, 1281 chirurghi, 815 flebotomi, 1340 speziali, 289 levatrici, per avere una di queste nell’interno della Sardegna, e neppure approvata, si debbano fare 15 e 20 ore di strada, quando giunga in tempo, e quando pur si rinvenga!

Eppure tanta è l’ignoranza e la testardaggine degli uomini che, o non ci conoscono, o non ci voglion conoscere, che, anziché consigliare al governo giustizia e discrezione, gli suggeriscono economie sulle povere Università sarde, piangendo continuamente le poche migliaia di lire che costano al tesoro i venti o trenta fra professori e consiglieri di quelle Università; ce ne è da

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piangere e da fremere per chi sappia, che attualmente, come risulta dai bilanci, le due Università dell’Isola costano approssimativamente:

Pei 2 consigli universitari, franchi 15,000; Pei 2 corpi insegnanti, franchi 96,000; Pei 2 oratori, franchi 10,000; Per le 2 segreterie, franchi 14,000. Totale franchi 135,000. e che invece rendono le medesime: quella di Cagliari tra annualità, emolumenti, proventi di cedole ecc., franchi 68,228 e 67; quella di Sassari, franchi 43,562 e 8. Totale franchi 111,790 e 75.

Onde tutta la lagrimata cospicua somma che lo Stato spende del suo per le Università sarde, e per cui s’invocano economie, si riduce alla miserabile cifra di poco più di 20 mila, e se ci arriva, a 25 mila lire! Ed è la cifra di 25 mila lire appunto che osano rinfacciare ai Sardi coloro che, per abbellire soltanto, inverniciare, dorare e decorare le sale del signor ministro degli esteri, piemontese, ne gettano quest’anno trenta o quaranta mila, spremute dal sudore e dal sangue di tutti i contribuenti della nazione, i poveri Sardi anche compresi.

Concludiamo. Se lo Stato attuale della patria nostra è deplorabile sotto ogni rispetto, è colpa solo dei Piemontesi passati e presenti che la governarono. Risulta dal colpevole abbandono in che essi l’hanno sempre lasciata. Ché senza proporzionati sagrifizi, senza incoraggiamento, senza protezione, senza giustizia, senza l’iniziativa, il concorso, in ogni opera utile, del rispettivo governo, un popolo, una nazione non si rialza. È la Sardegna l’Irlanda dell’opulento Piemonte. Colla differenza, soggiungeremmo, se avessimo voglia di ridere, che mentre l’opulento Inglese ha oro, e sprezza le patate della povera Irlanda; il Piemonte, della Sardegna, se essa ne avesse, invidierebbe forse infin le patate e la polenta ancora, perché ne è ghiotto.

Ma tali allusioni non faran mai per noi, cui basta la ragione.

(1) A Pisa per la facoltà medico-chirurgica si contano professori speciali di anatomia umana, di fisiologia, di patologia generale, di materia medica e farmacologia, di medicina pubblica, di storia della medicina, di patologia chirurgica, di patologia, terapia medica speciale e clinica medica, di chirurgia operatoria e clinica chirurgica, di ostetricia e clinica ostetrica, di veterinaria; oltre alle scuole così dette di perfezionamento per le stesse facoltà con professori delle malattie umane e loro clinica medica, di clinica chirurgica e chirurgia operatoria, di clinica ostetrica e ostetricia pratica delle malattie degli occhi e clinica oftalmoiatrica, delle malattie cutanee e loro clinica, delle malattie mentali idem, delle malattie veneree idem, di ortopedia e clinica ortopedica, di anatomia patologica applicata alla patologia medica ed alla chirurgia, di anatomia sublime, di chimica organica e fisica medica, di chirurgia minore ed altre che non ricordiamo. Faremo ridere se altrettanti professori pretendessimo noi per gli studi medici e chirurgici dell’Isola. Ma crediamo faccia invece ridere il ministero dell’Istruzione pubblica del Piemonte, conservando gelosamente il gran numero di due professori soltanto pel corso di chirurgia in quelle due università.

L’ECO DELLA SARDEGNA

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