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NUOVE OCCASIONI DI LAVORO IN ITALIA E IN PIEMONTE

Nel documento Cronache Economiche. N.001, Anno 1986 (pagine 79-83)

Corrado Paracone

Le pagine che seguono presentano la relazione di sintesi delle proposte recentemente il-lustrate in argomento dalla APDAI, Associazione Piemontese Dirigenti Aziende Indu-striali. Membri del gruppo di lavoro Luigi Ferro, Lelio Casale (coordinatore), Marcello Carucci, Franco Uberto, Giancarlo Borri.

L'industria italiana e quella piemontesè in particolare hanno compiuto in questi anni con notevole successo un importante sfor-zo di ristrutturazione e innovazione: ciò ha comportato forti diminuzioni di personale. Per il futuro, si potranno avere oscillazio-ni, più o meno accentuate, ma non si pre-vedono inversioni di tendenza.

Come dirigenti industriali, cioè come com-ponente del mondo dell'industria, dobbia-mo sottolineare questa tendenza struttura-le, ma al tempo stesso non possiamo né ignorare né disinteressarci del problema occupazione, che per i prossimi 7-10 anni costituirà uno dei problemi maggiori del nostro Paese.

Al tempo stesso abbiamo la convinzione che le capacità tecniche, manageriali e cul-turali che hanno saputo contribuire al risa-namento delle aziende, possano in qualche modo provare a dare il loro contributo ad affrontare il problema occupazionale. Riteniamo abbastanza sterile e inutile la disputa tra gli ottimisti che sostengono che, in fondo tra lavori sommersi, cassa integra-zione, prepensionamenti e flessione demo-grafica, il problema non sia poi così grave; e i pessimisti — tra questi lo stesso Mini-stro del Lavoro — che parlando di un buco occupazionale di 4.500.000 di posti di la-voro da ora ai primi anni 90: quest'ultimo

è una pura proiezione statistica della pie-nissima occupazione; e sappiamo che la pienissima occupazione è un non senso nelle economie evolute: perché vorrebbe dire — è vero — una società senza disoccu-pati e senza cassintegrati — ma anche una società falansterio, in cui la mobilità non esiste e, se esiste, la gente cambia lavoro senza prendersi neppure un giorno di va-canza, dove si passa senza soluzione di continuità dai banchi di scuola al posto di lavoro. Nelle società evolute, il tasso di di-soccupazione fisiologico — la cosiddetta disoccupazione frizionale — veniva stima-to instima-torno al 4%. Molti economisti ritengo-no che nel prossimo futuro, in una società dell'automazione e della mobilità che evol-ve evol-verso assetti industriali avanzati o post-industriali, la disoccupazione frizionale fi-siologica tenda a collocarsi intorno al 6% senza che ciò costituisca un segnale d'allar-me preoccupante.

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Non ci interessa quindi ottimismo e pessi-mismo: la realtà è che il problema occupa-zionale in Italia oggi, con quasi F l l % di disoccupati esiste e non può essere esorciz-zato.

di fare i primi della classe, ma con queste nostre proposte speriamo di smuovere le acque e speriamo soprattutto che sul pro-blema occupazionale si attivino con più concretezza che nel passato le diverse com-ponenti del mondo produttivo, dagli im-prenditori alle banche, alle Camere di commercio: per non parlare delle istituzio-ni politiche.

Il dato importante da sottolineare, è che oggi il concetto di ricchezza aggiuntiva sta cambiando, e sarebbe un errore valutarlo soltanto in termini di tonnellate prodotte in più, ma va valutato in termini di moder-nizzazione del territorio in cui si inserisce il sistema produttivo, di qualità del sistema di education, di qualità della vita e del-l'ambiente, anche se questo termine è fin troppo abusato.

In sostanza creare occupazione aggiuntiva è un fatto di crescita civile e di sviluppo economico se si accompagna alla creazione di più modernizzazione, più ricchezza, più business.

La nostra convinzione è che esista in Italia e in Piemonte la possibilità di creare nuo-vo lanuo-voro e nuonuo-vo business. Con una pre-cisazione: non ci occupiamo certo di fare una rassegna di nuove occasioni di busi-ness in senso tradizionale; creare e cogliere queste occasioni è il mestiere dell'impren-ditore: gli imprenditori lo sanno fare molto bene e sarebbe semplicemente ridicolo vo-ler fare i suggeritori.

Ciò premesso veniamo al concreto della nostra proposta principale. Una delle ca-ratteristiche tipiche dell'attuale fase econo-mica internazionale è — a nostro avviso — costituita dal fatto che mentre sui mercati tradizionali la concorrenza tra le imprese diventa sempre più serrata, si manifesta in-vece sui mercati «di tipo nuovo» la ten-denza a formare cordate di imprese, pool di imprese, gruppi di imprese per realizza-re progetti di grande realizza-respiro cui partecipa-no i governi, le istituzioni pubbliche nazio-nali e comunitarie. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: dai progetti comunitari tipo Esprit, Race, Ariane, Productique, ai progetti della Round Table dei maggiori imprenditori europei. Si tratta evidente-mente di mercati di tipo nuovo, che riguar-dano la ricerca pre-competitiva nell'infor-matica o nella telenell'infor-matica, o la predisposi-zione di grandi reti telematiche, o l'avvio di progetti intereuropei di comunicazione ferroviaria a grande velocità, ecc.

Mercati che sono allo stesso tempo di inte-resse aziendale e di inteinte-resse generale: ciò spiega l'esigenza di sinergie tra imprese, governi e altre istituzioni pubbliche. Al tempo stesso questa sinergia consente di af-frontare rischi e costi che le singole aziende da sole non avrebbero convenienza o pos-sibilità di sostenere; così come consente di armonizzare operatività industriale, inter-venti normativi, interinter-venti finanziari. Al limite questi progetti si stanno rivelando come la più efficace lobby oggi esistente per armonizzare normative tecniche, am-ministrative e modi di operare diversi tra i vari Paesi. Stanno diventando il modo per

far lavorare insieme pubblico e privato se-condo modalità evolute.

Noi riteniamo che la logica dei gruppi di imprese, operanti in sinergia con le istitu-zioni pubbliche su specifici progetti, sia la via da seguire non solo a livello comunita-rio o internazionale, non solo in funzione di settori di punta, non solo tra grandi im-prese — come nei casi ora citati (tipo Esprit, ecc.) — ma sia la via da seguire an-che a livello nazionale, regionale, locale se si vuole creare modernizzazione, business e soprattutto nuova occupazione e nuove occasioni di lavoro, al di là di quelli che sono i ritmi di sviluppo che si ottengono per effetto delle sole dinamiche spontanee del mercato. Attenzione; non stiamo pro-ponendo le opere pubbliche tradizionali: tra la logica che ispira ad esempio i proget-ti della Round Table di comunicazione ferroviaria a gran velocità e la logica che ispira l'opera pubblica di realizzazione di un nuovo tronco ferroviario c'è la stessa differenza che può esistere tra il vecchio sputnik e lo space shuttle. Una differenza abissale che riguarda la sofisticazione dei progetti, le forme di finanziamento, i tempi di realizzazione.

Quando si pensa ai progetti si pensa sem-pre ai grandi progetti tipo costruzione delle autostrade o realizzazione di sistemi di tra-sporto a gran velocità: certo ci sono anche questi progetti di ampiezza nazionale e che comportano grandi investimenti; ma vi sono moltissimi interventi che possono for-mare oggetto di progetti e che rispondono ad esigenze locali e regionali di moderniz-zazione, che possono avere come protago-nisti gruppi di imprese di dimensioni mol-to diverse, che possono trovare forme di fi-nanziamento molto differenziate.

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Ovviamente i progetti volti a creare svilup-po e occupazione non nascono ssvilup-pontanea- spontanea-mente: richiedono qualcuno che li elabori, che ne quantifichi i costi, l'occupazione ag-giuntiva che si crea, che individui le fonti di finanziamento e identifichi le imprese che possono avere interesse e capacità tec-niche per candidarsi come capi commessa o come partecipanti alla cordata, che pro-ponga le possibili modalità di realizzazio-ne. Si richiede cioè qualcuno che possa for-nire a chi dovrà decidere la realizzazione dei progetti (poteri pubblici innanzitutto e imprese in seconda istanza) un quadro pre-ciso, alternative quantificate e termini di costi / benefici occupazionali / redditività tra diversi possibili progetti.

Il momento della elaborazione è un mo-mento tecnico, ma è anche il vero momen-to strategico: se in Italia la logica dei pro-getti, pur seguita in diverse occasioni, dalla Cassa del Mezzogiorno al Fio, ha dato ri-sultati modesti, ciò lo si deve in gran parte ad un vizio di fondo nella fase di elabora-zione, cioè al sovrapporsi di istanze politi-che e di valutazioni tecnipoliti-che. Noi

propo-niamo dunque che si crei in Piemonte — il

discorso, in linea di principio vale per tutte le regioni o almeno per quelle economica-mente più evolute — una Agenzia di

svi-luppo e occupazione, con funzioni soltanto progettative e non gestionali, analoga a

quelle strutture che nelle grandi aziende svolgono un ruolo di «strategie business

unit», di unità cioè di identificazione di

occasioni strategiche di sviluppo.

Ciò che proponiamo, al di là del termine agenzia che è comune, non ha nulla a che

vedere con le proposte di agenzia del

lavo-ro con funzioni di gestione che si susseguo-no da anni in Italia.

Al limite potrebbe essere anche una S.p.A. promossa da imprese o da Associazioni di categoria: anche se l'interesse di carattere generale per cui essa opera rende plausibile e più logica una promozione ad opere di istituzioni pubbliche o miste.

Suo compito sarebbe quello di compiere,

prima di tutto una esplorazione di idee che

possano dar vita a iniziative di svilup-po/occupazione (si tenga presente che mol-te idee esistono, alcune, già abbastanza for-malizzate, giacciono nei cassetti di uffici studi pubblici e privati: sono ferme perché non si è riusciti a far scattare la sinergia poteri pubblici, imprese, istituzioni finan-ziarie); in secondo luogo sulla base di que-sta istruttoria/ricognizione, scegliere quelle

che appaiono più valide per accrescere le

occasioni di lavoro e per elevare gli stan-dard di efficienza/modernità del territorio regionale e su ciascuna di esse elaborare

un vero e proprio progetto.

Chiaramente il momento decisionale e quello gestionale sono al di fuori di questa Agenzia, che è invece soltanto «elaboratri-ce di progetti». L'obiezione immediata po-trebbe essere «ma i progetti di sviluppo, anche se tecnicamente ineccepibili, rischia-no di restare sulla carta o di arenarsi nelle pastoie decisionali pubbliche». E un'obie-zione seria, ma è anche un alibi per non far nulla. In un certo senso la nostra è una scommessa sulla possibilità che in Italia e in Piemonte si possa innescare una contro-tendenza all'inerzia, alle soluzioni pastic-ciate e rinviate, al virus delle non-decisioni. Un'Agenzia come quella che proponiamo esiste e funziona a Barcellona: Barcellona non è una realtà di avanguardia mondiale, non è la Svezia o il Giappone. Non si vede perché qualcosa del genere non possa funzionare a Torino.

Resta il fatto che se questa Agenzia — o struttura affine — è 'autorevole, dispone cioè di capacità tecnico-professionali di ec-cellenza nell'elaborazione dei propri getti; se, al tempo stesso, è capace di porre agli interlocutori una gamma di pro-getti capace di attivare una sorta di new

< deal a livello regionale e di offrire un con-tributo sostanziale al problema occupazio-nale, il suo ruolo, anche se non

decisiona-le, verrebbe ad assumere un'incisività di prim'ordine, fornendo alle imprese e alle

istituzioni un servizio di fondamentale uti-lità, in sintesi attivandole a lavorare

insie-me secondo schemi moderni ed efficienti.

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Un'Agenzia del genere deve essere una struttura estremamente leggera e flessibile (proprio perché non ha ruoli gestionali), deve poter lavorare come una task force di pochissime persone a professionalità molto elevata e sciogliersi dopo aver esaurito il suo compito (al massimo dopo i 5-7 anni critici per l'occupazione): altrimenti non serve a nulla e non può funzionare. Questo tipo di professionalità oggi è reperibile nel mondo dell'industria e del terziario avan-zato per l'industria. L'errore da non com-mettere è di far intervenire criteri politici nella scelta dei tecnici. È un errore che al-tri hanno già commesso e si trovano da più di due anni bloccati con uno strumento del genere operante sulla carta, ma che non ha ancora cominciato a operare. Ai politici spetta il ruolo decisionale, non quello di progettazione tecnica.

Un'ultima considerazione: «conditio sine qua non» è che l'Agenzia abbia un collega-mento molto stretto con le Associazioni industriali, dell'Artigianato, della Piccola Impresa, con le Banche. Perché anche nel-la fase di pura e semplice enel-laborazione dei progetti è essenziale avere il coinvolgimen-to degli operacoinvolgimen-tori potenzialmente interes-sati agli sviluppi successivi; e perché non sarebbe possibile identificare le imprese adatte a realizzare il potenziale progetto senza la collaborazione delle Associazioni imprenditoriali medesime.

Questa è, in sostanza, la nostra principale proposta, con progetti di sviluppo in senso stretto (volti cioè a portare il Paese, ed il

Piemonte innanzitutto su livelli di efficien-za di standard internazionale) a partire da un progetto «parcheggi sotterranei» per le città medie e grandi, che può apparire scarsamente innovativo, ma sarebbe — a nostro avviso — un non piccolo contributo di modernizzazione. Indichiamo poi pro-getti di manutenzione urbana, territoriale, della viabilità; quindi progetti di education/ formazione/ricerca (che certamente non sono misurabili soltanto in termini di red-ditività, che certamente postulano un con-cetto nuovo di «produrre ricchezza», ma che altrettanto certamente sono un volano di sviluppo economico anche se non misu-rabile in tonnellate).

Come rispondere alla domanda «chi paga?».

Diremo soltanto che il criterio fondamen-tale è quello di far sì che il «pagatore fina-le» sia colui — cittadino o collettività — che usufruisce della singola iniziativa di modernizzazione. Nel caso dei parcheggi sotterranei paga, evidentemente, chi ne usufruisce ed è un investimento a redditivi-tà differita. Se, per esempio, si decidesse il rifacimento del manto stradale delle auto-strade secondo sistemi di deflusso delle ac-que piovane oggi in opera su quasi il 50% delle high ways americane, è evidente che il costo della modernizzazione dovrebbe trasformarsi in un plus-pedaggio per l'au-tomobilista.

Per quanto riguarda invece non il pagatore finale, ma il pagatore iniziale, cioè il repe-rimento delle risorse per finanziare i pro-getti di sviluppo, tra le tante possibili vie indicate nel «rapporto» ne citiamo una:

l'emissione di obbligazioni per conto della Società Capo-progetto, o del consorzio di imprese che realizza ogni singolo progetto approvato, obbligazioni con garanzia dello Stato e con possibilità di convertibilità in azioni, soprattutto nei progetti a redditività differita ma certa.

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Progetti di sviluppo e Agenzia sono dun-que le nostre prime principali proposte: per stimolare il mercato del lavoro, creare lavoro aggiuntivo e indirizzare lo sviluppo. Ma vi è un'altra proposta che riguarda il mercato del lavoro così come esso è oggi, senza cioè gli stimoli derivanti da eventuali progetti.

Noi riteniamo che, pur nella lentezza del quadro nazionale, il Piemonte debba cerca-re di ottenecerca-re una legge che autorizzi alcune regioni a condurre in via sperimentale una deregulation del mercato del lavoro: siamo consapevoli delle difficoltà giuridiche esi-stenti, ma siamo anche convinti che regioni come il Piemonte o come la Lombardia (le regioni forti cioè) siano in grado di «forzare la mano» utilizzando la leva della speri-mentazione. È la leva utilizzata per esempio dal ministro Scotti nell'83 con il consenso di imprenditori e sindacati in tema di assun-zioni nominative. Ha di fatto, se non «de jure», modificato il collocamento.

La legge che autorizza sperimentazioni in alcune regioni «pilota» è stata, per altro, adottata in tema di «Agenzia del lavoro». Nella ricerca sosteniamo che, al di là dei «progetti» di sviluppo, se si resta nella normale dinamica del mercato senza spin-te propulsive «pilotaspin-te», gli unici due stru-menti veramente efficaci per l'occupazione sono:

1) il part time (in tutte le sue forme, dal mezzo tempo al monte ore settimanale, mensile, annuale, fino alla riduzione mar-ginale di orario e salario);

2) i contratti a tempo determinato.

Perché misure del genere, dove applicate (ovviamente con modalità, tempistiche ed effetti diversi a seconda che si tratti di pic-cole o grandi imprese, di industria o di ser-vizi), potrebbero portare ad aumenti medi del 7% dell'occupazione.

Bene: conosciamo le difficoltà normative che si frappongono ancora ad una sostan-ziale crescita e liberalizzazione di part time e contratti a tempo determinato. Introdurre

una deregulation in Piemonte che incentivi anziché penalizzare queste forme di lavoro flessibile, è un obiettivo possibile, che noi riteniamo debba essere perseguito subito. Infine avanziamo un'ultima proposta: che questa deregulation si spinga ad autorizza-re il sorgeautorizza-re di agenzie private per far in-contrare domanda ed offerta di lavoro, so-prattutto di lavoro temporaneo: così come esistono le agenzie immobiliari (sia chiaro: nulla a che vedere tra queste agenzie e quella che proponevamo prima per i pro-getti di sviluppo: qui si tratta di agenzie tipo «Manpower» o tipo la francese «tra-vail interimaire»).

Tutte queste misure di deregulation speri-mentale, se bene studiate, funzionano egre-giamente.

Riveleranno forse delle carenze: si provve-dere a rimediare tempestivamente con l'ac-cordo delle parti sociali. Nel frattempo certamente saremo riusciti, anche ad essere molto prudenti, a creare diverse migliaia di nuove occasioni di lavoro e a creare più flessibilità in un mercato del lavoro troppo rigido. E non sarebbe un risultato da poco. Queste dunque le nostre proposte: part time, contratti a tempo determinato, dere-gulation sperimentale per il Piemonte, Progetti di Sviluppo, Agenzia progettuale per lo sviluppo e l'occupazione con filo di-retto con imprese e le Istituzioni. Su «Il Sole-24 Ore» di qualche tempo fa abbiamo rilevato una frase: le discussioni su meno Stato e più mercato o viceversa lasciano il tempo che trovano: in Italia abbiamo biso-gno di maggiore libertà di mercato «a val-le», dove operano le imprese, e di più pro-gettazione di linee guida «a monte». È una affermazione su cui vale la pena riflettere.

L'INTERNAZIONALIZZAZIONE

Nel documento Cronache Economiche. N.001, Anno 1986 (pagine 79-83)