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L’offerta di welfare aziendale del settore alimentare Con l’analisi sulla contrattazione collettiva, condotta su 16

Nel documento WELFARE for PEOPLE (pagine 171-174)

INTRODUZIONE AL RAPPORTO

IL CASO MODENA, PARMA E REGGIO EMILIA

5. L’offerta di welfare aziendale del settore alimentare Con l’analisi sulla contrattazione collettiva, condotta su 16

ac-cordi del settore alimentare dei territori di Modena, Reggio Emilia e Parma, si è cercato di comprendere come i sistemi di relazioni industriali, di una delle filiere produttive trainanti per il contesto di riferimento, stiano contribuendo a sviluppare nuove soluzioni di welfare contrattuale e come queste possano intercettare, o meno, alcuni bisogni emergenti sul territorio.

Sul punto occorre dapprima richiamare anche la ricostruzione fatta nel capitolo 4 in merito alle previsioni contenute dai prin-cipali CCNL del settore alimentare che pongono particolare at-tenzione agli ambiti della previdenza complementare, dell’assi-stenza sanitaria integrativa, della formazione e della flessibilità oraria.

Spostando l’attenzione sul secondo livello di contrattazione ve-diamo che, sul versante della previdenza complementare e dell’assistenza sanitaria integrativa, le previsioni aggiuntive ri-spetto a quanto stabilito dal CCNL rimangono limitate e sono rintracciabili per lo più nei contratti aziendali di grandi imprese (Barilla 2018).

Si ritrova invece un’attenzione generalizzata verso l’ambito della flessibilità organizzativa. Più nello specifico, si rileva fre-quentemente l’istituzione di sistemi di banca ore solidale, la promozione di un maggior ricorso al lavoro agile (mediante una gestione condivisa della materia) ed ampie misure di flessibilità oraria e permessi a sostegno della genitorialità (Conserve Italia 2017, Parmalat 2021).

Ancora timide restano però le previsioni volte a incentivare il ricambio generazionale, talvolta con la previsione di istituire tavoli di commissioni paritetiche e tavoli di confronto per va-lutare future azioni, altre volte con azioni di flessibilità orga-nizzativa ma che si riducono prevalentemente alla concessione del part-time negli ultimi anni di carriera lavorativa. Assenti, nei contratti analizzati, sono poi le connessioni tra questo tema e l’ambito della formazione. Solo nell’accordo Barilla 2018 si rin-traccia la volontà di realizzare azioni di studio di soluzioni che favoriscano l’introduzione sistemi di “staffetta generazionale”.

Nell’ambito della formazione, tra le principali misure contrat-tate troviamo azioni e progettualità per lo sviluppo delle com-petenze e della professionalità dei lavoratori nell’ottica di ac-crescere le loro possibilità di ricoprire altre mansioni (Conserve Italia 2017), anche di livello superiore (Grissin Bon 2020). A tal proposito, alcuni contratti prevedono sistemi di certificazione dei percorsi formativi (Mutti 2019, Parmalat 2016 e 2021). Vi sono poi misure in cui flessibilità organizzativa e formazione possono risultare azioni integrate come nelle esperienze di af-fiancamento on the job (Mutti 2019) e nei sistemi di job rotation (Grandi Salumifici Italiani 2018). Alcune misure di formazione sono inoltre indirizzate a specifici target di popolazione azien-dali quali lavoratori neoassunti (Salumi Villani 2018) e madri al rientro dalla maternità (Parmalat 2021).

Per quanto invece non trovi spazio nei CCNL del settore la ma-teria dei flexible benefit, a livello aziendale, sul territorio, si ri-scontra un’attenzione particolare sul punto. In diversi accordi vi sono disposizioni che provano ad incanalare le possibilità di spesa per i lavoratori verso misure dal contenuto più

spiccatamente sociale, e non solo meramente concessivo, specie quando è data loro la possibilità di convertire il premio di risul-tato.

In generale le previsioni di welfarizzazione del premio di risul-tato sono diffuse nella maggior parte dei contratti analizzati.

Come accennato, però, in alcuni casi particolari si specifica che i lavoratori hanno la possibilità di convertire il premio solo verso misure nell’ambito della previdenza complementare, dell’assistenza socio-sanitaria, del sostegno genitoriale (quali misure di educazione e istruzione dei figli) e della non auto-sufficienza (Grandi Salumifici Italiani 2018). Talvolta, viene co-munque individuata la necessità di destinare prioritariamente il premio convertito verso misure dalla natura più spiccatamente sociale ma ciò rappresenta un’indicazione più che un vincolo (Barilla 2018). In altri casi ancora si rimanda la decisione sull’in-dividuazione delle misure verso cui orientare il c.d. welfare di produttività ad un’apposita Commissione (Conserve Italia 2017). Queste disposizioni rappresentano sicuramente una par-ticolarità se raffrontate con quanto emerso dalle analisi con-dotte in altri settori e territori circa la welfarizzazione del pre-mio di risultato.

Altra fattispecie interessante è quella che, sempre in collega-mento alla conversione del premio di risultato, riconosce un c.d.

bonus di conversione. Nonostante anche i bonus di conversione rappresentino una disposizione che ricorre frequentemente nei contratti aziendali, si sottolinea come questi, generalmente, siano ricollegati esclusivamente alla quantità di premio conver-tito. Invece, in alcuni tra i contratti analizzati il bonus di con-versione è riconosciuto solo ai lavoratori che destinano il c.d.

welfare di produttività verso prestazioni a carattere sociale, so-lidale e mutualistico riconducibili, come nella fattispecie prece-dentemente menzionata, alla previdenza complementare, all’as-sistenza socio-sanitaria, al sostegno genitorialità, ai servizi edu-cazione e istruzione per i figli e alla non autosufficienza (Num-ber 1, Barilla 2018). Dunque, in questi casi, per il riconosci-mento del beneficio aggiuntivo rileva non solo la quantità di premio convertito, ma anche la qualità delle misure di welfare verso cui il lavoratore sceglie di convertire il premio. A margine,

si ricorda che questi valori derivanti dal bonus di conversione rientrano tra le misure di welfare on top.

Oltre a quanto appena descritto, sempre nell’ambito del welfare on top, abbiamo osservato come alcune aziende prevedano anche ulteriori soluzioni di buoni acquisto e flexible benefits (Number 1 2018, Grandi Salumifici Italiani 2018, Grissin Bon 2020). Si tratta, per lo più, di soluzioni dal valore abbastanza contenuto, che, per la maggior parte, rientrano nella soglia dell’art. 51, comma 3. Talvolta questi benefit sono usati anche come rico-noscimento una tantum in relazione all’anzianità aziendale dei lavoratori (Mutti 2019). Sporadici sono i casi in cui il valore individuato è destinato a specifiche misure. Tuttavia, in un caso si riconosce specificatamente ai lavoratori la possibilità di so-stenere i rimborsi delle spese per asili nido e scuole materne, rispettivamente per un valore mensile di 290 euro e 130 euro, e per le spese di abbonamento al trasporto pubblico (Mutti 2019).

Largamente diffuse sono le prestazioni di mensa e buono pasto.

Infine, è interessante sottolineare come, nei casi in cui si sia scelto di rafforzare l’ambito delle convezioni da offrire ai lavo-ratori, queste non abbiano avuto come focus principale i beni di consumo ma, anche qui, servizi dalla finalità sociale quali centri di cura (Salumi Villani 2018), servizi di educazione e istruzione per figli e servizi a parenti disabili e non autosuffi-cienti (Parmalat 2016).

Nel documento WELFARE for PEOPLE (pagine 171-174)