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Oltre la “fabbrica”: il territorio come naturale dimen- dimen-sione del welfare aziendale

Nel documento WELFARE for PEOPLE (pagine 69-74)

INTRODUZIONE AL RAPPORTO

DI RELAZIONI INDUSTRIALI

4. Oltre la “fabbrica”: il territorio come naturale dimen- dimen-sione del welfare aziendale

Il consolidarsi della recente letteratura sulle catene globali del valore (Gereffi, 2018) e sugli ecosistemi locali come volano per il posizionamento dei territori all’interno di tali catene (Bianchi, Labory, 2017), consente di guardare con occhi nuovi anche alla dimensione territoriale del welfare aziendale, che non a caso è oggetto di costanti approfondimenti nel nostro rapporto (infra, parte II, sezioni H, I e L). Il riferimento è alla nuova fase di globalizzazione delle supply chain che sempre più si collocano in diversi luoghi del mondo in virtù di costi, infrastrutture, pre-senza di capitale umano, normative. La dimensione entro la quale queste catene vanno a collocarsi è quindi diversa da quella degli stati nazionali, troppo eterogenei nelle loro caratteristiche socio-economiche. Campioni, o sconfitti, di questa ristruttura-zione geografica della produristruttura-zione globale sono al contrario ter-ritori più circoscritti con un coordinamento interno e caratteri-stiche meglio definite. Obiettivo dei territori diventa quindi quello di attrarre quelle fasi di produzione che concentrino la maggior quota di valore aggiunto e con essa lavoro di qualità.

Recenti ricerche (Florida, King, 2019) hanno mostrato come la presenza di capitale umano qualificato sia uno dei criteri prin-cipali per decidere di localizzare una fase di produzione quali-ficata in un territorio. È questa la prospettiva degli skill ecosy-stems (Finegold, 1999; Buchanan, Anderson, Power, 2017, p.

444) entro cui il capitale umano va quindi formato, attratto e mantenuto nei territori attraverso ecosistemi in grado di rispon-dere ai bisogni che i lavoratori contemporanei sollevano e che,

soprattutto, i nuovi assetti dei processi produttivi e la trasfor-mazione del lavoro generano.

Emblematico, in tal senso, è il caso della Provincia di Belluno, dove si colloca la celebre esperienza di Luxottica. Le pionieri-stiche iniziative di questa azienda in tema di welfare aziendale sembrano in effetti mostrare la corda, nel lungo periodo, se non accompagnate da contestuali iniziative sul territorio e le comu-nità di riferimento, pena il rischio di uno scollamento tra quanto di positivo avviene dentro il perimetro aziendale e l’ambiente esterno, sollecitato da cambiamenti demografici e turbolenze sociali che rischiano di incidere negativamente anche sulle realtà aziendali maggiormente dotate. Era questo, del resto, il monito di Adriano Olivetti (1955), quando affermava che «non è possi-bile creare un’isola più elevata e trovarsi a noi tutt’intorno e ignoranza e miseria e disoccupazione».

Ed è a questo livello che si può porre il ruolo del welfare azien-dale, nella definizione descritta nei paragrafi precedenti. Il rife-rimento è in particolare alla sua declinazione in attività di for-mazione e riqualificazione del personale, di supporto nell’ac-cesso ai servizi di cura, assistenza, nel potenziamento delle forme di conciliazione vita-lavoro e nell’innovazione organiz-zativa. Tali elementi, parimenti alla presenza di istituzioni for-mative e infrastrutture materiali e immateriali, concorrono alla costruzione di ecosistemi di qualità all’interno dei quali i biso-gni connessi alla trasformazione del lavoro e della struttura de-mografica della società possono trovare risposta efficace.

Ma non è sufficiente evidenziare il ruolo del welfare aziendale nella costruzione e nel sostegno agli ecosistemi territoriali per coglierne appieno il valore. Occorre declinare come il welfare aziendale possa e, probabilmente, debba porsi in una prospet-tiva che fuoriesce dai confini fisici della fabbrica per rientrarvi all’interno di una nuova concezione dell’impresa stessa. Questo perché l’idea di un’impresa i cui confini coincidano con quelli della fabbrica o dell’ufficio non corrisponde alla moderna geo-grafia del lavoro che amplia alle città e ai territori gli spazi entro i quali avvengono i processi di creazione del valore (Moretti, 2012). Questo sia per i mutati rapporti tra produzione e con-sumo, sempre più partecipati e interdipendenti, sia per la

commistione tra produzione di beni e produzione di servizi che ampia i modelli di business delle imprese (De Backer, De-snoyers-James, Moussiegt, 2015). In un tale contesto si aggiun-gono, come oggetto primario del nostro interesse, quell’insieme di bisogni della persona nel mercato del lavoro contemporaneo ai quali l’impresa non è in grado di rispondere ma dai quali, spesso, dipende la sostenibilità del rapporto tra azienda e lavo-ratore. Bisogni che possono essere soddisfatti attraverso il coordinamento tra chi, nei territori, offre servizi adeguati, an-che sviluppati grazie alla contrattazione sociale territoriale (si veda infra, parte II, sezione G). Si pone quindi il tema della costruzione di un welfare aziendale che si affacci sul territorio così da creare circoli virtuosi che mettano in relazione persone-imprese-servizi (a loro volta svolti da persone). Così è possibile notare un potenziale ruolo del welfare aziendale come volano per potenziare una rete locale di supporto ai lavoratori e, indi-rettamente alle imprese, che ne finanziano l’utilizzo. Territori che, rafforzandosi nella logica di costruire ecosistemi territo-riali del lavoro che mettano in relazione (e attraggano) gli attori strategici, possono incrementare l’attrazione di imprese e di in-novazione. Il welfare aziendale può quindi essere strumento per la costruzione di quella nuova geografia del lavoro studiata da Moretti (2012) che ha osservato come la presenza di imprese innovative genera effetti positivi (spillover effect) sui territori in termini di domanda di nuovi bisogni e nuovo lavoro come of-ferta per rispondervi.

Tali dinamiche hanno inoltre l’effetto di potenziare le relazioni sociali ed economiche tra realtà e persone del territorio anche innalzando la domanda di servizi di qualità e la loro varietà.

Questo può contribuire a rafforzare la struttura economica lo-cale grazie alla spinta a soddisfare bisogni connessi con la tra-sformazione del lavoro ai quali precedentemente non si forniva risposta o la si forniva nell’informalità. Lo spazio è aperto quindi anche per territori geograficamente periferici e distanti dai grandi centri urbani che, in presenza di imprese che avviino processi, possono ripensarsi a partire da una ridefinizione della struttura dei bisogni. Ma lo scenario qui delineato non si svi-luppa come semplice conseguenza dell’introduzione di forme di welfare aziendale. Richiede piuttosto una progettazione condi-visa sui territori, come mostrato dalle esperienze descritte, che

nella maggior parte dei casi risulta essere oggi ancora molto complessa sia per quanto riguarda gli esiti prodotti sia per quelle che sono le dinamiche che coinvolgono i diversi sistemi di rela-zioni territoriali. Progettazione che spetta in primo luogo ai provider del welfare aziendale insieme agli attori delle relazioni industriali, ovvero agli attori che si sono resi protagonisti sui territori provando a sviluppare soluzioni condivise per certi versi innovative per favorire il coordinamento tra bisogni e ri-sposte in termini di servizi offerti valorizzando una dimensione di prossimità (Riva, 2019, p. 38) che possa favorire le dinamiche descritte.

Nel documento WELFARE for PEOPLE (pagine 69-74)