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UNA QUANTIFICAZIONE DEL FENOMENO

Nel documento WELFARE for PEOPLE (pagine 196-200)

APPROFONDIMENTI TECNICI

UNA QUANTIFICAZIONE DEL FENOMENO

Nell’ultimo decennio, parallelamente alla diffusione delle mi-sure di welfare nei diversi contesti aziendali, si sono moltipli-cate anche le ricerche e le indagini che si sono occupate di stu-diare e quantificare la diffusione delle misure di welfare azien-dale e occupazionale. Questo fenomeno, a causa della sua stessa natura, risulta però difficilmente inquadrabile in schemi prede-finiti con la conseguenza che le diverse indagini svolte pren-dono in considerazione aspetti che, spesso, sono diversi tra di loro, giungendo a risultati molto differenti e di difficile compa-razione, anche per il fatto che tendenzialmente ogni ricerca compie le rilevazioni, analizza e restituisce i relativi dati quan-titativi sulla base della particolare classificazione adottata nell’ambito di quella specifica indagine.

Un’altra criticità che emerge da molte ricerche è la tendenziale limitatezza del campione, elemento che non consente pertanto a tali indagini di rappresentare il fenomeno nel suo complesso, ma eventualmente ne può rappresentare solamente degli spac-cati, spesso settoriali, territoriali o dimensionali.

In sintesi, dalle tante analisi emerge chiaramente che la dimen-sione aziendale è uno degli elementi che influenza la diffudimen-sione sia qualitativa che quantitativa del welfare, ma non è l’unica va-riabile perché assumono grande rilevanza anche il settore di ap-partenenza dell’impresa e la zona geografica in cui questa opera.

Sul fronte delle ragioni dell’adozione di piani di welfare si pos-sono distinguere due diversi filoni di motivazioni che rispec-chiano anche i due approcci tipici al tema del welfare aziendale.

Il primo approccio guarda al welfare principalmente come leva organizzativa per la gestione del personale, rimandando quindi a motivazioni legate all’incremento della performance, alla sod-disfazione dei lavoratori, al miglioramento del clima aziendale e all’attrazione di nuovi talenti; il secondo approccio, pretta-mente economico, si manifesta con la volontà di introdurre tali misure sulla base di motivazioni di contenimento del costo del lavoro e di utilizzo dei benefici fiscali. Occorre segnalare però che il primo approccio, in quasi la totalità dei casi, è preferito dalle aziende. Le motivazioni e quindi le aspettative delle aziende si tramutano il più delle volte anche nei risultati rag-giunti. Con riferimento alla misurazione dei risultati, le diverse indagini stanno affinando sistemi di misurazione che non si ba-sano solamente sulle percezioni dell’azienda, ma che prendono in considerazione anche elementi osservabili e misurabili.

Altro aspetto rilevato fa riferimento alla scelta delle misure di welfare da parte di lavoratori e aziende. Sul tema è possibile distinguere due filoni di indagine, il primo considera le prefe-renze delle parti in base a questionari o manifestazioni di inte-ressi; il secondo invece, grazie ai dati forniti dai provider del welfare, consente di analizzare le reali scelte di lavoratori e aziende. I dati, alquanto eterogenei, fanno emergere la presenza di alcune variabili, quali l’età, l’ammontare messo a disposizione e il sesso, che influenzano considerevolmente le scelte dei lavo-ratori e di altri fattori, quali la dimensione, il CCNL applicato e la presenza di contrattazione aziendale e di premi di risultato che incidono sulle scelte delle imprese.

Infine, le ultime indagini e rapporti consentono di analizzare altri due aspetti: le fonti di finanziamento delle misure di wel-fare e il valore medio messo a disposizione dei lavoratori. La rilevazione delle fonti di finanziamento consente di far emer-gere anche il c.d. welfare on top, frutto di liberalità aziendali, con-tenuto il più delle volte in regolamenti aziendali e che non sem-pre vengono sem-presi in considerazione dalle diverse indagini. La fonte di finanziamento incide, inoltre, anche sulla tipologia di

servizio che viene messa a disposizione, creando una distinzione tra i servizi frutto di contrattazione nazionale rispetto a quelli frutto di accordi aziendali. Età, contratto collettivo applicato e dimensione aziendale sono, ancora una volta, le dimensioni che influenzano anche l’ammontare del valore di welfare messo a disposizione dei singoli lavoratori.

1. La diffusione del welfare privato

Una prima indagine cui fare riferimento per delineare la diffu-sione del welfare in Italia è IRES, UNIVERSITÀ POLITECNICA

DELLE MARCHE, Welfare contrattuale e aziendale in Italia. Motiva-zioni, caratteristiche, dilemmi, Mimeo, 2012. Dalla ricerca emerge che la quasi totalità delle aziende coinvolte (il 95,2%) offre al-meno un intervento di welfare e che più di un terzo, circa il 37%, offre almeno quattro diverse tipologie di prestazioni. Tale indagine ha però il limite di non essere pienamente rappresen-tativa della realtà poiché il campione preso in considerazione è composto da sole 318 aziende di grandi dimensioni, escludendo quindi una buona parte del tessuto produttivo italiano.

Un risultato completamente diverso, anzi opposto, è, invece, quello raccolto da una ricerca finanziata dal Cnel e dal Ministero del lavoro: AA.VV., Il welfare aziendale contrattuale in Italia, Cer-gas, 2014, pp. 60 ss. Su un campione di 300 aziende, anche in questo caso di grandi dimensioni, solamente il 14% presenta al-meno un’attività di welfare mentre il restante 86% non risulta essere interessato da questo fenomeno. Questi dati però, a detta degli stessi autori, possono avere «due sfaccettature interpreta-tive differenti: infatti, in alcuni casi può essere vero che le im-prese decidano di non offrire alcun tipo di piano benefits, ma in altre situazioni sono la mancanza di comunicazione e traspa-renza che non permettono la percezione di questa componente indispensabile per una concezione di imprenditorialità equili-brata e pertanto, anche qualora il piano benefits fosse previsto, si constata che non viene redatto alcun documento aziendale o contrattuale che vada a comprovarne l’esistenza».

Una ulteriore indagine sulla diffusione del welfare è stata con-dotta in collaborazione da Confindustria e Percorsi di Secondo

Welfare, contenuta in G. MALLONE, Il welfare aziendale in Italia:

tempo di una riflessione organica, in F. MAINO, M. FERRERA (a cura di), Secondo rapporto sul secondo welfare in Italia, Centro Einaudi, 2015, pp. 63-65. Tramite la somministrazione di questionari, nei primi mesi del 2015, sono state coinvolte 103 imprese di dimen-sioni, settori di provenienza e origine territoriale diversa, per un totale di 23.557 lavoratori. Dall’indagine è emerso che in media il 72,8% delle aziende ha introdotto un programma di welfare aziendale anche se tale percentuale varia a seconda della dimensione dell’azienda. Nelle grandi imprese con più di 500 dipendenti, infatti, il welfare aziendale è diffuso nel 90% dei casi, in quelle tra i 150 e 500 dipendenti la percentuale scende all’81% per arrivare al 54% nelle aziende tra i 100 e i 150 denti mentre nelle imprese più piccole, con meno di 100 dipen-denti il welfare è presente nel 65% dei casi.

Molto utile alla comprensione della diffusione di queste inizia-tive è AA.VV., Rapporto Welfare 2015, OD&M Consulting, 2015.

L’indagine ha coinvolto, nei mesi di marzo e aprile 2015, 112 direttori del personale e più di 300 lavoratori con l’obiettivo di mappare lo sviluppo del welfare aziendale e comprendere gli obiettivi e i risultati ottenuti dalle imprese che hanno introdotto questi piani. Tra le aziende analizzate, il 50% ha affermato di aver attuato un piano di welfare e, tra queste, la metà ha intro-dotto questi piani del biennio 2014-2015. Secondo l’indagine, si passa dal 69,2% di diffusione nelle grandi imprese al 60% nelle medie, per arrivare al 21% nelle imprese di piccola dimensione.

Sempre dal Rapporto Welfare 2015 emerge che il 30% delle pic-cole imprese e il 40% delle medie ha intenzione di attuare un piano di welfare nei prossimi due anni.

Queste ultime due indagini consentono di mettere in evidenza il primo fattore che influenza la diffusione del welfare azien-dale: la dimensione aziendale.

La dimensione aziendale è una variabile analizzata anche da L.

PESENTI (a cura di), Il futuro del welfare dopo la Legge di Stabilità 2016, Università Cattolica-AIDP-Welfare Company, 2016, pp. 3 ss., il quale afferma che «al crescere del numero dei dipendenti e del fatturato cresce la propensione al welfare», anche se tale

affermazione non è supportata dai relativi dati percentuali. In termini generali, la ricerca, effettuata nei mesi di aprile e maggio 2017, su un campione di 326 soggetti aderenti all’associazione AIDP, afferma che «circa il 67% delle imprese intervistate pre-vede al proprio interno almeno un benefit di welfare». Dalla ricerca si evince, inoltre, che questa percentuale è in forte cre-scita, infatti, nonostante circa il 60% delle aziende presenti in-terventi introdotti da oltre tre anni, il 18,4% del campione ha introdotto misure di welfare negli ultimi 12 mesi. Anche per il futuro le prospettive sono positive, in quanto «il 41% del cam-pione è già al lavoro per introdurre un Piano nuovo o ampliare quello esistente, mentre un ulteriore 27% ha intenzione di lavo-rarci» anche se bisogna rilevare che «quasi la metà di chi oggi non è attivo sul tema welfare [circa il 16%, n.d.r.] non pensa di intervenire neppure in futuro». Una sintesi e conferma dei dati relativi alla dimensione aziendale viene fornita da F. RAZETTI, V. SANTONI, Il mercato del welfare aziendale. L’intermediazione e il ruolo dei provider, in F. MAINO, M. FERRERA (a cura di), Nuove alleanze per un welfare che cambia. Quarto rapporto sul secondo welfare in Italia, Giappichelli, 2019, pp. 131 ss., dalla cui indagine con-dotta in collaborazione con sedici provider emerge che, nono-stante il 43% delle aziende servite dai provider stessi siano im-prese con meno di 50 dipendenti, se si considera che queste costituiscono il 98,27% delle imprese italiane, ne risulta che so-lamente lo 0,13% di questo target di imprese ha introdotto mi-sure di welfare. Diversamente, le aziende con più di 250 addetti servite dai provider intervistati rappresentano circa il 29,14%

del totale delle imprese italiane rientranti in questa fascia. «Nel complesso, dunque, i dati qui presentati, pur dimostrando che i provider non hanno come clienti esclusivamente le imprese me-dio-grandi e riescono ad intercettare anche le PMI, confermano la centralità della dimensione d’impresa nella diffusione del wel-fare aziendale, anche quando l’accesso ad esso è mediato da un soggetto facilitatore quale un operatore specializzato».

La dimensione aziendale è quindi uno dei fattori, ma non l’unico, determinante per lo sviluppo dei piani di welfare azien-dale, anche se AA.VV., Lo stato del welfare aziendale in Italia, Ri-cerca Doxa-Edenred, 2016, pp. 25 ss., ipotizza un cambiamento di rotta. La ricerca, infatti, da un lato è in linea con i dati fin

Nel documento WELFARE for PEOPLE (pagine 196-200)