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1. Innovazione e design nella storia

50”. Il padre di Adriano, Camillo Olivetti nel 1894 fonda ad Ivrea una società per la costruzione di strumenti per la misurazione elettrica e che poi introdurrà in Italia uno strumento che sarà destinato a cambiare le abitudini, influenzando i ritmi e la cultura, diventando testimone di una società e di uno stile tutto italiano: la macchina per scri- vere. Le ha viste in America ed in Italia an- cora nessuno le produce. Il 29 Ottobre 1908

nasce la Società Ing. C. Olivetti & C. “Prima fabbrica italiana di macchine per scrivere”, la ICO. Nel 1925 il figlio Adriano all’età di 24 anni compie, assieme al Direttore Tecnico dell’azienda Domenico Burzio un viaggio studio di 6 mesi negli Stati Uniti. Rimane colpito dal Taylorismo, sistema impiegato nelle fabbriche Ford dove allo scopo di diminuire i tempi di produzione ogni ope- raio doveva eseguire un’unica e ripetitiva

Adriano Olivetti davanti alla ICO.

opera-zione alla catena di montaggio. Adriano capisce che il sistema di Taylor delle fabbriche Ford non poteva essere trasportato in quella forma nella sua Ivrea e nella sua Italia ma necessitava di “un assetto

organizzativo duttile e in evoluzione parallela al progredire dello sviluppo aziendale”.

Lo stesso Olivetti dirà “Imparai la tecnica

dell’organizzazione industriale, seppi capire che per trasferirla nel mio paese doveva es- sere adattata e trasformata.” [Renzi E., 2008]

Al suo ritorno ad Ivrea ha le idee chiare su come gestire l’azienda e convince il pa- dre che la cosa più importante è l’organiz- zazione del personale, propone un vasto programma di interventi per modernizzare l’attività della Olivetti: organizzazione de-

centrata, direzione per funzioni, razionaliz- zazione dei tempi e metodi di montaggio, sviluppo della rete commerciale in Italia e all’estero. Viene fondato nel 1931 l’Ufficio Sviluppo e Pubblicità affidato a Renato Zvetermich, ingegnere di origine dalmata. Adriano viene nominato nel 1932 Direttore Generale della Olivetti; riesce in breve tempo a diminuire i tempi di produzione di un terzo rispetto al passato e ha in mente il progetto di un nuovo prodotto: una nuova macchina per scrivere molto più piccola e leggera; qualcosa che ancora in Italia non si era mai visto. La prima macchina per scrivere portatile: la MP1. Nel 1933, dopo aver ammirato la loro “Villa-studio per un artista”, Adriano affida a due astri

Complesso di costruzioni Olivetti lungo Via Jervis a Ivrea,

la “fabbrica di mattoni rossi” e gli stabilimenti ICO

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dell’architettura razionalista la costruzione di un edificio industriale moderno: Figini e Poliini progettano gli Stabilimenti Olivetti ICO. La “Fabbrica di Mattoni” rossi che ospitava la ICO fondata dal padre Camillo viene inglobata nella nuova costruzione: 23mila mq, mura di vetro, fabbrica e uffici assieme. Lo appassionano l’architettura e l’urbanistica, pensava che la fabbrica non fosse solo un luogo di produzione e profitto, ma anche il cuore pulsante dello sviluppo economico e sociale e come tale avesse delle responsabilità verso la collettività e il ter- ritorio. Olivetti immagina un capitalismo a misura d’uomo e negli stabilimenti Olivetti non ci sono solo catene di montaggio ma anche mense, ambulatori, medici, asili nido, biblioteche. Questi valori si traducono in una serie di iniziative dedicate ai rapporti tra le persone che lavoravano nelle fab- briche ICO. Per questo Adriano seleziona e aumenta le persone di cultura umanis- tica, sia in fabbrica, inserendole in settori specifici, di dirigenza e di organizzazione dell’azienda sia chiaramente nelle organiz- zazioni culturali. Adriano introduce nel processo di progettazione e di vendita l’elemento “design” come strumento per fare emergere la sostanza culturale e l’ani- ma dei suoi prodotti. Fiorisce lo stile Olivet- ti e nel 1938 l’Ufficio Pubblicità è affidato

a Leonardo Sinisgalli, ingegnere e poeta. Lui, insieme, Xanti Schewinsky (grafico) e Costantino Nivola (pittore) realizzano il pieghevole “Storia della scrittura” che pre- senta in copertina una rosa in un calamaio.

“Per suggerire che il calamaio non serviva più a intingervi la penna. Meglio scrivere a macchina.” spiegò il copywriter olivettiano

Giovanni Giudici. Questa passerà alla storia come l’immagine che per la sua eleganza ed evocatività, segna la nascita dello stile olivettiano. Immagine che poi verrà riuti- lizzata per promuovere la macchina per scrivere Studio 44.

Entrano in fabbrica Marcello Nizzoli, pittore, grafico ed architetto, e Giovanni Pintori, sia designer che grafico.

Dal 1946 al 1958, la crescita è significativa. L’esportazione aumenta di quasi 17 volte, il fatturato interno subisce un aumento del 600%, l’occupazione del 258% e i salari medi del 386%. Nella gestione dell’azienda assume un particolare rilievo l’attenzione al miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti. Questo periodo della storia aziendale dell’Olivetti è caratterizzata dalla nascita di tre prodotti di grande successo nazionale ed internazionale. Natale Cappel- laro e Marcello Nizzoli disegnano la prima calcolatrice meccanica al mondo in grado di eseguire le quattro operazioni, la Divi- summa 14 che entra in commercio nel 1948. Sempre di quell’anno, e sempre dai dis- egni di Nizzoli, è la macchina per scrivere standard Lexikon 80 che verrà definita dai curatori della mostra dedicata all’Olivetti al Moma di New York come una vera e propria “scultura”. Siamo nel 1950 invece quando nasce accompagnata da un design innovativo la più famosa tra le macchine per scrivere: la Lettera 22. Nel ‘54 vince in Italia il primo Compasso d’Oro istituito dalla Rinascente e nel ‘59 verra indicata dall’istituto tecnologico dell’Illinois come il piu bel oggetto di design del secolo. Anche

questa è una creazio-ne di Marcello Niz- zoli, solo uno dei grandi designer impiegati presso l’Olivetti: Ettore Sotsass, Marco Zanuso, Costantino Nivoli. Adriano li ra- duna attorno a sè sostenendo che il design sia l’anima e la vera sostanza del prodotto. Nel 1955 Olivetti si dimostra fedele alla sua filosofia con un progetto che porta anche nell’arretrato sud le idee più innovative. La realizzazione della fabbrica di Pozzuoli e del suo quartiere operaio sono quasi un miracolo e nel giro di pochi anni si arriverà addirittura a registrare un tasso di produt- tività superiore a quello della fabbrica di Ivrea. Proprio nel discorso in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, Adriano esprime una riflessione destinata a diventare rappresentativa del suo pensiero:

“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?” Adriano Olivetti

Adriano sosteneva il primato della cultura all’interno della comunità come sostanziale fattore di equilibrio politico e sociale. La cultura era intesa in riferimento alla tra- dizione dei valori eterni della civiltà e alla conoscenza delle questioni generali dell’umanità, doveva concretizzarsi in una “ricerca disinteressata di verità e bellezza”. La cultura diventa mezzo per una ricerca di bellezza perché questa bellezza è elevazione dell’uomo. Adriano reinveste i capitali per costruire fabbriche moderne spaziose e confortevoli e le inserisce nel paesaggio per abbellirlo e per dare rinnovato valore alla comunità e al territorio in cui queste si collocavano. Un atteggiamento impensabile per un mondo imprenditoriale che concepi- va l’ambiente lavorativo esclusivamente in funzione del profitto. Adriano riunisce at- torno a sé i più geniali architetti degli anni ‘50 facendo di ogni suo complesso industria- le una vera opera d’arte. Nel giro di qualche decennio le imprese di Adriano Olivetti trasformano ed estendono il territorio di Ivrea che diventa un esempio eccezionale di città industriale materializzata sul modello voluto da Olivetti. A Pozzuoli afferma:

“La fabbrica fu concepita alla misura dell’uomo perché questo vi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza.

Per questo abbiamo voluto le finestre basse e i cortili aperti e gli alberi nel giardino ad esclu- dere definitivamente l’idea di una costrizione e di una chiusura ostile”

Luigi Cosenza, Adriano Galli, Pietro Ciaravolo, Piero Porcinai e Marcello Nizzoli,

Fabbrica Olivetti di Pozzuoli,

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Guido Piovene, scrittore e giornalista di rilievo scrive così sulla fabbrica, la città e le persone di Olivetti:

“La Olivetti è il caso più notevole esistente al mondo, almeno nella mia esperienza, d’industria retta come industria, il cui primo scopo è perciò il successo industriale e il mas- simo del guadagno ma che al tempo stesso vuole essere quasi uno Stato; l’incarnazione di un’idea religiosa, morale, sociale, politica. Una industria morale; ciascuna delle due pa- role, industria e morale, ha il medesimo peso... un tentativo (nell’insieme dell’architettura, negli uffici, nei corridoi decorati di fotografie di paesaggi, nei capannoni delle macchine) di fabbrica-opera d’arte, intesa ad alleviare la fatica del lavoratore e ad educarlo con il suo stesso aspetto... L’industria è per Olivetti uno strumento a doppio scopo, che deve mettere al lavoro, e redimere dal lavoro... perché gli operai sentano nella fabbrica non solo un luogo di guadagno ma in senso stretto la patria, vi sono bellissime scuole, un asilo e un nido d’infanzia altrettanto belli. Una parte dell’attività aziendale è dedicata alla cultu- ra... un insieme di prestazioni non è conside- rato laterale all’azienda; l’azienda in quanto azienda, è un centro di cultura. Le terrazze contemplano il dolce panorama del dominio nel tempo stesso spirituale e temporale; gli operai hanno un circolo nel giardino, che ap-

parteneva a un convento.”

Le Officine Olivetti sono definite dai manuali d’architettura come gli esempi più rilevanti dell’architettura industriale in Eu- ropa, divenendo capolavori dell’architettura razionalistica italiana ed internazionale. L’azienda di Ivrea diventa un cenacolo fre- quentato dai nomi più illustri della cultura e dell’arte italiana come Moravia e Pasolini. Si tenevano corsi sulla storia del movimento operaio, della rivoluzione russa e spagnola, si organizzavano festival cinematografici, mostre di pittura, sempre allo scopo di accrescere la cultura di chi lavorava all’Oli- vetti. Adriano seleziona e moltiplica le persone provenienti da studi umanistici delle quali si circonda. Sociologi, architetti, scrittori, pittori, politici, psicologi. Alla direzione Adriano colloca Geno Pampaloni, critico letterario, gli scrittori Ottiero Ottieri e Paolo Volponi, il poeta Giovanni Giudici. Altri nomi illustri rappresentanti di una cultura che donava valore e bellezza alla fabbrica di Ivrea furono Franco Momigli- ano, Bobi Bazlen, Luciano Gallino, Giorgio Puà, Franco Fortini, Francesco Novara, Bruno Zevi passando per Fichera, Soavi, Lu- ciano Foà, Lodovico Quaroni, fino a Renato A. Rozzi, Furio Colombo, Franco Ferrarotti, Tiziano Terzani.

Il posizionamento di uomini di cultura umanistica nei ruoli di dirigenza più alti dell’azienda viene così spiegato dalla figlia di Adriano, Laura Olivetti in un’intervista rilasciata al quoti-diano La Stampa: “...gli

altri intellettuali corrispondevano a un’idea di mio padre: che si ottenevano buoni frutti quando le competenze tecniche (gli ingegneri, i progettisti) erano affiancate da competenze umanistiche. Mio padre credeva rigorosa- mente nell’incontro delle due culture. Una compensava l’altra, tant’è che Paolo Vol- poni è stato direttore del personale. Da ciò l’importanza del design per dare a prodotti tecnologici e all’azienda stessa una forma estetica”. E così fu: lo straordinario successo

finanziario dell’Olivetti coincide con quello di immagine e la grafica Olivettiana viene conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. Nasce lo stile Olivetti. Anche nel settore del design Adriano fu un precursore; il primo, a quei tempi, a considerarne l’importanza culturale. Il design è concepito come espres- sione di bellezza e quindi mezzo per elevare ad un senso superiore, le cose, le idee e le persone. Percepisce l’importanza e la sostanza culturale del design all’interno di un prodotto; comprende che il design costituisce l’anima e la sostanza dei suoi og- getti esprimendone la qualità con cui sono

stati concepiti. Affida al design un ruolo centrale dicendo:

Xanti Schawinsky, Manifesto per la macchina per scrivere MP1,

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“I prodotti devono essere costruiti e poi ven- duti e quindi comunicati come prolungamenti di una certa concezione del lavoro e di una certa concezione dell’impiego concreto - da parte di donne e di uomini nella giornata di lavoro”.

Il design italiano si impone in tutto il mondo e con esso lo stile Olivetti.

Adriano sosteneva che “un buon congegno

deve avere una bella forma ma una bella for- ma deve rispondere alle caratteristiche di un buon congegno”. L’Olivetti è stata l’azienda

che maggiormente ha sfruttato il design sia per il successo dei suoi prodotti sia per la stessa comunicazione aziendale; tutto questo accadde quando ancora in italia non esistevano i designer, né le scuole di design. I designer in Olivetti venivano chiamati architetti perché non era ancora nata ufficialmente quella professionalità ma non era questa l’unica motivazione. Secondo Adriano - e qui arriviamo al punto centrale di questo approfondimento sulla vicenda olivettiana - non aveva senso che un designer sapesse disegnare prodotti senza prendere in considerazione l’ambiente sociale nel quale il prodotto si sarebbe collocato. I designer in Olivetti quindi lavorano a stretto contatto con i tecnici fin dai primi passi progettuali per dare un sen- so a ogni forma dal punto di vista comuni-

cativo, funzionale, ergonomico e tali scelte estetiche in tutte le fasi di progettazio- ne venivano considerate importanti quanto le scelte tecniche o gestionali. Per questo il designer non esaurisce le sue competenze nei concetti di bellezza formale e funzionale ma la sua professione raccoglie interessi e competenze legati ad un senso dell’estetica più articolata.

solamente l’industria ma in esso vivevano argomenti legati alla vita e all’uomo. Il compito del design è relazionare l’azienda con la vita normale di tutti i giorni in cui il prodotto incontra l’uomo. Il design deve combinare la produzione, le difficoltà produttive, di marketing con le aspetta- tive del mondo, della società, dell’uomo, della comunità. Il design diventa portavoce della filosofia dell’azienda, fuori di essa.

“Dobbiamo far bene le cose e farlo sapere”

diceva Adriano e l’azienda oltre a ricercare l’eccellenza e la qualità nei suoi prodotti, deve anche saper comunicare ed esprimere tali valori attraverso una forma ed

un’immagine che fosse veicolo ed espres- sione reale dei valori della realtà aziendale. Questo veicolo poteva essere il design di una macchina per scrivere, l’architettura di uno stabilimento, l’arredo di un negozio, la grafica di un manifesto o il disegno di una pubblicità. Il termine “veicolo”, sinonimo di “mezzo”, testimonia nuovamente la vicianza ai suoi ideali di ricerca di verità e bellezza come mezzo per l’elevazione dell’uomo,

della società e quindi anche della sua realtà, la Olivetti.

Il primo designer chiamato da Adriano nel 1938 è Marcello Nizzoli: pittore, grafico ed architetto che disegnerà per l’Olivetti calcolatori della serie “Summa” e “Divi- summa”, le macchine per scrivere “Lexikon 80” (1948) e “Lettera 22” (1950). Il design di Nizzoli segue forme morbide e vicine ai con- cetti di ergonomia d’uso e utilizza tecniche ancora oggi sfruttate come l’alleggerimento visivo delle forme attraverso l’uso di parti trattate con colori e materie diverse. Niz- zoli era aggiornato vicino alle avanguardie artistiche del suo tempo e le forme, i colori ed i dettagli dei prodotti da lui disegnati traducono la cultura artistica del suo tempo in oggetti d’uso comune. Nizzoli concepisce il design vicino al concetto di educazione in quanto attraverso gli oggetti ben progettati l’uomo e la società imparano a riconoscere le qualità di un prodotto e a godere del va- lore che tali strumenti regalano all’ambiente e a ciò che ci circonda. Il designer ha il compito di esprimere il valori intrinsechi Marcello Nizzoli,

macchine per scrivere

Lettera 22 (1950), Lexicon 80 (1948)

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dei prodotti, il senso delle loro forme, delle loro qualità e della loro bellezza.

Nel 1952 il MOMA di New York dedica una mostra al design Olivetti e qui la Lexikon 80 verrà definita una “scultura” rivoluziona- ria che integra innovazione tecnologica ed eccellenza formale. La “Lettera 22” nel ‘54 vince in Italia il primo Compasso d’Oro isti- tuito dalla rinascente. Lo storico del design Maurizio Vitta scrive:

“Nel 1952 il MoMa dedicò all’azienda di Ivrea una mostra che ne sanciva il primato nel campo dell’estetica industriale: la Lexikon 80 e la Lettera 22 entrambe disegnate da Marcello Nizzoli vi figuravano come esem- plari di bellezza garantita da una sofisticata struttura tecnica. In esse si sottolineava non solo la felice intuizione estetica, ma tutta una concezione progettuale che faceva perno sulla stretta relazione tra il modello produt- tivo e la sua espressione formale. La sostanza culturale del design ne divenne così l’elemento prorompente”

Nel 1957 viene introdotto come responsa- bile del design dei prodotti Olivetti, Ettore Sottsass che fra gli altri disegna l’Elea 9003. Sottsass dimostrò un’acuta attenzione per i dettagli e proclamò il significato sociale che i prodotti assumevano ed in particolare la disinvoltura e la vivacità che i prodotti d’ufficio dovevano acquisire. Anticipò uno

stile di lavoro informale e più stravagante al quale oggi siamo abituati e ne sono un esem- pio alcune sue opere come la macchina per scrivere “Valentine”, rossa, lucida e vivace, per i giovani e sorprendentemente lontana dalle linee della macchine per scrivere in produzione, forse più serie e tristi. Venne definita da Giovanni Giudici “una Lettera

32 travestita da sessantottina”. Il periodo

elettronico Olivetti si apre con l’Elea 9003 (1959), il primo grande elaboratore realiz- zato in Italia. Prodotto rivoluzionario ed in- novativo nella tecnica e nel design: Sottsass per soddisfare le esigenze di modularità e combinabilità di questo sistema complesso ricorre a una brillante soluzione di cablag- gio aereo delle varie unità. Rende gli elabo- ratori più snelli e visivamente leggeri e funzionali, allontanandoli dallo stile militare che avevano assunto in America. Olivetti percepisce la centralità del design all’interno e al di fuori della produzione industriale quando ancora il design non esisteva. Ha dato la possibilità a molte professionalità di esprimersi e sperimentare soluzioni creative e funzionali in un area che ancora non si era resa veramente conto di quanto fosse importante comunicare il senso e la sostanza di un oggetto. Olivetti ha spinto il design italiano all’eccellenza che lo ha reso e lo rende famoso tutt’ora in tutto il

Ettore Sottsass jr, macchina per scrivere portatile,

Valentine, 1969

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mondo. Lui, i suoi designer, i suoi architetti e le persone di cultura che lavorarono in Olivetti offrirono un modello di lavoro che ancora oggi molti cercano di imitare. Si cerca di trarre degli insegnamenti da quel modo di fare che vedeva nel combinarsi di diverse culture e professionalità un valore inestimabile, una collaborazione necessaria per raggiungere il valore della bellezza e dell’elevazione dell’uomo nella comunità, nella società e nel territorio.

Il design nasce come una disciplina fatta di processi e metodi che portano alla realizza- zione di artefatti e soluzioni a delle esigenze di natura diversa. Ma il design è prima di tutto cultura, che è quindi la cultura del design: etiche professionali e pensieri pro- gettanti che lavorano insieme per concretiz- zare artefatti e soluzioni che vivranno con- testi sociali che fin dall’inizio del progetto vanno considerati. Le innovazioni tecniche rivoluzionano e stanno rivoluzionando oggi lo stesso approccio al pensiero progettante, e gli schemi di relazione che portano alla realizzazione di un oggetto e pongono con- tinuamente gli studiosi di design di fronte a nuovi scenari e nuove problematiche da ri- solvere. Oggi il pensiero olivettiano sembra troppo distante e designer e azienda sono sempre più lontani l’uno dall’altra.

Nei prossimi capitoli vedremo come la modernità introdotta dalla cosiddetta rivoluzione elettronica abbia influenzato e rivoluzionato la cultura del design soprat- tutto in conseguenza alle nuove opportu- nità di connessione e social networking. L’avventura olivettiana viveva un momento storico lontanissimo da quello attuale, nella