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Crowdsourcing e design della comunicazione. Verso un uso corretto dei nuovi strumenti

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Academic year: 2021

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CROWDSOURCING

E DESIGN DELLA

COMUNICAZIONE

VERSO UN USO CORRETTO

DEI NUOVI STRUMENTI

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(3)

Crowdsourcing

e Design della Comunicazione

Verso un uso corretto dei nuovi strumenti

Elaborato di Tesi di Di Nardo Andrea

Relatrice prof. Pillan Margherita

Co-relatore prof. Guida Francesco Ermanno Corso di Laurea

Communication Design

Politecnico di Milano A.A. 2012/2013 font usati:

Mercury (di Jonathan Hoefler e Tobias Frere-Jones, 1997) Gotham (di Tobias Frere-Jones, 2000)

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Introduzione

Design e innovazione nella storia La duplicazione e l’unicità dell’oggetto La Rivoluzione Industriale

Arts & Crat L’Arte Liberty Le Avanguardie Bauhaus

Il Disegno Industriale

La Olivetti e la cultura del design Design e innovazione oggi La Nuova Modernità

New Economy e Business Art Democratizzazione degli strumenti Democratizzazione e volgarizzazione Dai bit agli atomi

Makers: nuovi strumenti/nuovi modelli Crowdsourcing

Definire il crowdsourcing Crowdcontent

Customer & Commerce Service Social Crowdfunding Crowdvoting Open-Innovation Crowdcreativity 0 1 1.1 1.2 1.3 1.4 1.5 1.6 1.7 1.8 2 2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 3 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 8 12 14 19 22 26 28 29 31 34 48 50 52 56 58 62 66 72 74 78 82 86 87 95 100 107

Indice

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Crowdcreativity e Design della Comunicazione Nasce la Crowdcreativity

C’era una volta l’outsourcing Eldorado della comunicazione

I modelli e il ruolo della crowdcreativity Un design rischioso

Anche mio cugino può fare il grafico

Conoscere il modello. Incontro e dibattito all’AIAP In AIAP

Organizzazione del dibattito L’Incontro

Conclusioni: norme e indicazioni per un corretto processo di crowdcreativity

Conclusioni: Regole e Cultura 10 Norme Prospettive Future 4 4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 5 5.1 5.2 5.3 6 6.1 6.2 6.3 108 110 112 115 132 140 143 156 158 161 164 180 182 184 194

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PERCORSO

STORICO

la nascita del design la cultura del design

corporazioni medievali rivoluzione industriale il disegno industriale LA VICENDA DI OLIVETTI evol uzio ne nel p rodu rre evol uzio ne nel p roge ttar e nu ov i stu m enti nu ov e o pp ortun ità nu ovi m od elli manifatture di porcellana la stampa il rapp orto tra TECNOLOGIA INNOVAZIONE PROGETTO CULTURA SOCIETÀ

Distinzione tra atto inventivo e produzione / Facilità di duplicazione dell’oggetto /

Primato dell’invenzione sulla produzione /

Il design concepito come sostanza culturale degli oggetti e come portavoce della filosofia aziendale

rivoluzione elettronica

arts&crafts / arte liberty / avanguardie / bauhaus

computer / web la nuova moder nità

riformismo permanente continua ricer ca di innovazione mod erni tà f luid a mod erni tà s olid a ricer ca di valori assoluti e soluzioni permanenti

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net economy business art

democratizzazione degli strumenti accessibilità /

volgarizzazione

EFFETTI DEL NETWORK CICLI DI RETE COMMUNITY ON-LINE CROWDSOURCING DESIGN DELLA COMUNICAZIONE cultura del design piattaforme di contest on-line

cultura del progetto etica professionale tutela della categoria

crowdcontent

customer & commerce social crowdfunding crowdvoting open-innovation CROWDCREATIVITY Movimento Makers ideazione produzione distribuzione condivisione Micro-imprenditorialità deboli ma diffuse Atteggiamento artistico spontaneo applicato a logiche industriali

Quando si connettono idee e persone queste crescono in un circolo virtuale in cui le persone creano più valore in un progetto ed il valore di un progetto attira a sé più partecipanti e più persone.

Nuovi strumenti che rivoluzionano i classici processi di generazione di un progetto e artefatto di comunicazione affidare la realizzazionedi un progetto,o di una parte di esso, comunità on-line nuov i stu men ti nuov e op port unità nuov i att eggi amen ti 29 maggio 2013

incontro tavola rotonda AIAP crowdsourced

communication design

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0

I N T R O D U Z I O N E

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Questa tesi nasce dallo studio e analisi della vita, delle opere e del pensiero di Adriano Olivetti. Durante il corso “Semiotica delle Culture” tenuto dal professor Emilio Renzi, al Politecnico di Milano ho avuto l’occa-sione di conoscere meglio la figura dell’imprenditore di Ivrea, la sua filosofia, la sua concezione del lavoro e il suo signifi-cativo apporto alla cultura del design. Il modello e il pensiero proposto da Adriano Olivetti negli anni ’50 è affascinante e am-mirabile ma leggere e ripercorrere la sua

vita oggi lascia una sorta di amarezza. È enorme il cambiamento avvenuto nel corso degli anni nei modelli e atteggiamenti che vivono dietro alla cultura del design. È sorto dunque spontaneo il paragone, seppur azzardato, tra quella che fu la concez-ione del design secondo Adriano Olivetti e quelli che sono i modelli attuali nati dalle nuove opportunità offerte dalle recenti innovazio-ni tecnologiche. Un paragone che non nasce con la pretesa di elogiare per far riemergere i modelli e il pensiero olivettiani ma per

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cercare di capire da dove nasce e in che di-rezio-ne sta andando oggi la cultura del de-sign e in che modo questa viene influenzata dai nuovi schemi che rivoluzionano sempre di più l’approccio classico. Questo testo si propone dunque di indagare il rapporto di profonda connessione tra innova-zione e progetto, tecnologia e metodo, modernità e design. Cerca di analizzare i modelli coi quali la cultura del design si è adattata e si sta adattando alle scoperte di innovazione tecnologica e alle opportunità tecnico-scientifiche e di interazione sociale che queste hanno introdotto nel corso della sto-ria. Fino ad arrivare alle moderne tecnolo-gie e ai nuovi modi del design che si affer-mano e si evolvono in rapporto agli scenari e alle potenzialità offerte dai nuovi strumenti. Stiamo vivendo oggi un’epoca di profondi cambiamenti: una terza rivoluzione indus-triale in cui i nuovi mezzi, le modalità di accesso, le scoperte tecnologiche-elettro-niche, gli effetti che queste hanno sulla società, sulla città e sull’uomo fanno sorgere delle problematiche impreviste legate al progetto e alla cultura del design. Il mondo del design come espressione di una cultura e quindi di una società sta assumendo una serie di cambiamenti legati proprio al mu-tare della società stessa. Un adeguamento spontaneo e necessario nell’era della new

economy e della net-economy in cui tutti i parametri di logica industriale precedenti stanno scomparendo per lasciare posto ad una nuova modernità più flessibile, varia-bile, intoccabile e irrintracciabile. Una modernità che, proprio per queste sue caratteristiche, dobbiamo ancora imparare a conoscere in alcuni suoi aspetti. Prendere coscienza di questi cambiamenti, delle loro cause e dei loro effetti sulla nuova società moderna, è alla base di un coerente, ade-guato ed aggiornato pensiero progettante. Il sociologo Zygmunt Bauman, nel 2000, ha pubblicato per le Università di Oxford e Cambridge, Liquid Modernity, un sag-gio che analizza il mutare del concetto di modernità all’inizio del XXI secolo. Bau-man affronta il concetto di modernità, anzi di post-modernità usando le metafore di soli-dità e liquidità. La scoperta del cal-colo elettronico e la sua applicazione nello sviluppo e nel ciclo industriale, la democra-tizzazione degli strumenti di sviluppo, produzione e distribuzione hanno portato ad una serie di conseguenze e alla genera-zione di una modernità così flessibile ed incerta. Il progetto di comunicazione deve necessariamente seguire questi movimenti fluttuanti della nuova modernità attraverso un atteggiamento altrettanto fluttuante o, per meglio dire, in grado di adeguarsi,

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rinnovarsi ed evolversi continuamente ai perenni cambiamenti del mercato. Ci con-centreremo sul design della comunicazione. Prenderemo in considera-zione i nuovi mo-delli di progetto nati in relazione alle nuove opportunità di social networking, vedremo come questi nuovi modelli stanno rivolu-zionando e ponendo di fronte a nuove inas-pettate problematiche la cultura del design. Analizzeremo il fenome-no del crowd-sourcing e i nuovi modelli per il design che da questo sono nati. Sempre più aziende e agenzie decidono di affidare alle comunità on-line e alle piattaforme di crowdsourcing lo sviluppo di artefatti comunicativi o di parte di essi. Scopriremo come tutto questo sta rivoluzionando i tradizionali modi di ideazione e generazione di un oggetto di comunicazione e lo stesso legame designer-azienda. La democratizzazione degli stru-menti, il crowdsourcing, la crowdcreativity, i valori e i rischi dell’affidare ad una com-munity on-line un progetto di comunicazio-ne, le questioni etiche di riconoscimento della professione e la cultura del design saranno dunque i temi centrali di questo testo.

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1

I N N O V A Z I O N E E D E S I G N

N E L L A S T O R I A

(13)

Per comprendere al meglio il rapporto tra innovazione e cultura del design, è necessa-rio definire cosa intendiamo per “progetto” e dare uno sguardo al passato, addirittura ad un’epoca in cui il concetto di “cultura del design” non esisteva.

La cultura del design si può riferire all’idea di produzione e di riproduzione secondo modelli già definiti. Un’attività cosciente della separazione dei ruoli dell’invenzione e della produzione che corrispondono a due diversi gruppi operativi. Il design ha il ruolo di integrare il rapporto tra questi due elementi comunque distinti: progetto

e produzione. Il progetto è inteso non solo in riferimento alle caratteristiche estetiche di un oggetto ma anche alle sue caratteris-tiche funzionali, qualitative, prestazionali e produttive. Allo stesso tempo la produzione non è riferita solamente ai metodi produt-tivi oggi intesi quindi legati alle logiche industriali, di consumo e di massa. La pro-duzione è un fattore variabile nella storia ed influenza la cultura, la società, i mestieri degli uomini che ci vivono, adeguandosi alle nuove scoperte, ai nuovi bisogni e ai nuovi pensieri. L’introduzione di nuove tecnologie e quindi nuove opportunità porta

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necessa-riamente ad un adattamento da parte della società e quindi, di riflesso, da parte del design. A seconda delle diverse scoperte introdotte nel corso della storia, la cultura del design ha dovuto adattarsi, rivedendo i propri modelli e a volte arrivando, talvolta, a compromessi con nuove realtà, le quali era inevitabile affrontare.

La prima parte di approfondimento storico che segue non vuole essere un’analisi appro-fondita di quello che è stato il rapporto tra innovazione e modelli del design nel corso dei secoli. Ogni singola situazione è profon-damente diversa dalle altre per contesto storico in cui è avvenuta e tipo di innovazio-ne tecnica introdotta, per cui risulterebbe impossibile nonchè superficiale trarre delle conclusioni di carattere generale al termine di questo percorso. Quindi verranno ripor-tati solo alcuni esempi significativi utili ai ragionamenti che verranno dopo e riferiti alla nascita del design, la cultura su cui si poggia queste disciplina e il suo rapporto con l’evoluzione tecnica.

Un primo esempio di adeguamento della cultura del progetto all’introduzione di nuove opportunità tecnologiche risale ad-dirittura all’epoca tardomedievale e alle corporazioni. In questo periodo matura la distinzione fondamentale tra atto creativo/ invenzione e realizzazione di un oggetto. Tale distinzione matura come conseguenza e adattamento all’introduzione dei nuovi metodi di duplicazione di un oggetto. Le in-novazioni tecniche portarono ad una presa di coscienza da parte del mondo del proget-to che dovette adeguarsi a dei modelli che sembravano snaturare quelli precedenti a discapito ad esempio del valore dell’unicità del pezzo. L’obiettivo delle corporazioni tardomedievali era quello di tutelare i livelli di qualità di ogni singola bottega ma soprattutto difenderla dalle fasi di cambia-mento tecnologico e sociale che stavano attraversando. Perché proprio di questo si trattava: mutamenti economici e sociali che definivano nuove soluzioni tecnologi-che e tecnologi-che richiedevano un adeguamento nell’organizzazione e nella concezione del lavoro. La vecchia società agraria basata sul feudalesimo stava scomparendo per lasciare posto ad una società mercantile che viveva su logiche di scambio e produzione. La funzione sociale del lavoro venne rivalutata e gli artigiani rischiavano quindi di perdere

1.1

La Duplicazione

e l’unicità dell’oggetto

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1. Innovazione e design nella storia

il loro primato ed il loro ruolo all’interno di quella società mutevole. In alcune botteghe non solo si realizzava il prodotto ma si concepiva anche il progetto che a volte era affidato ad artisti spesso famosi come Giulio Romano nel caso della bottega di Benvenuto Cellini. Il valore dell’ideazione aumenta la sua importanza all’interno della società e di conseguenza l’artista comin-cia ad assumere un ruolo riconosciuto nella società. Leon Battista Alberti nel “De Pictura” introdusse il tema della dignità dell’artista che, da artigiano, “meccanico” e produttore diventa uomo di cultura e artefice della vita culturale della città. L’atto creativo e l’invenzione vengono riconosciuti come fondamentali nella creazione di un oggetto in quanto, l’invenzione sotto forma di disegno, parole o teoria si presta alla realizzazione ma soprattutto alla dupli-cazione dell’oggetto inventato, da parte di

chiunque sappia interpretare tali disegni, parole o teorie. Quello delle corporazioni è un esempio perfetto che spiega la pro-fonda connessione tra mutamenti sociali e tecnici, adeguamenti progettuali e produt-tivi. Il legame che lega questi elementi non è lineare e non si può ridurre ad una semplice causa-conseguenza ma sono tutti amalgamati in uno scenario profondamente complesso di interconnessioni e motivazioni sociali, economiche e storiche. La duplica-zione degli oggetti sfruttava sia tecniche già esistenti che videro riconfermato il proprio valore tradizionale, sia nuove tecniche. In particolare una tecnica, la cui nascita in questo periodo, risulterà poi essere alla base del mondo moderno in cui oggi viviamo: la stampa. La nascita della stampa permise per la prima volta la nascita di un sistema di duplicazione seriale meccanizzato con conseguente diminuzione del lavoro

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manuale. L’ingresso di questa tecnologia fu decisivo nel sancire una volta per tutte la distinzione tra invenzione e realizzazione evidenziando il primato dell’invenzione. L’atto inventivo risulta fondamentale poiché l’ideazione dell’oggetto lo avrebbe portato ad una possibile duplicazione e produzione seriale, mentre l’esecuzione manuale poteva addirittura essere sostituita da alcuni, nuovi macchinari. L’invenzione della stampa si può in un certo senso considerare l’atto di nascita del primo sistema meccanizzato di produzione seriale. La stampa a carat-teri mobili è una tecnica di stampa inven-tata dal tedesco Johann Gutenberg nel 1455. Consisteva nell’allineare i singoli caratteri in modo da formare una pagina, che veniva cosparsa di inchiostro e pres-sata su un foglio di carta o di pergamena. L’innovazione stava nella possibilità di riutilizzare i caratteri. Uno dei primi casi di riduzione di un lavoro manuale in termini meccanici, e la sua nascita pone la base per quella rivoluzione tecnologica che ci ha portati verso il mondo moderno. Con essa si afferma la nozione di moltiplicazione meccanica di uno stesso oggetto, riprodu-cendone esemplari identici in serie. Così il foglio stampato è riprodotto in innumerevo-li copie attraverso l’uso di un sistema dove la mano dell’uomo è assente nella definizione

qualitativa della produzione, perché la qua-lità è garantita dal ciclo produttivo. Grazie alla presa di coscienza di questa separzione si duplicano oggetti e opere d’arte che non perdono il loro valore artistico nell’essere duplicate. Un altro esempio storico di pro-fondo legame tra la cultura progettante e adattamento ai mutamenti della società si trova nelle manifatture di porcellana, che all’inizio del XVIII secolo cominceranno ad utilizzare metodi lavorativi non più propria-mente artigianali ma vicini a quelle che poi sarebbero state le organizzazioni industriali del secolo successivo. L’obiettivo di queste manifatture era la realizzazione di serie di oggetti uguali nella loro qualità per cui era fondamentale la definizione di un progetto da seguire prima di iniziare il vero e proprio ciclo produttivo. Il progetto e la produzio-ne restano distinti ma dipendenti l’uno dall’altro infatti il progetto era affidato ad artisti che poi non avrebbero messo mano al ciclo produttivo che era caratterizzato da una rigida divisione dei ruoli. Proprio per questa divisione della prduzione in ruoli e quindi in fasi operative, il progetto assume un’importanza ed un ruolo di coordinamen-to attraverso la definizione delle caratteri-stiche unitarie del prodotto. La nascita delle manifatture di porcellana sancisce il termine delle corporazioni come

istitu-Johann Gutenberg (1394-1468), inventore della stampa a caratteri mobili

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zioni che monopolizzavano il mondo della produzione in serie ed anche in questo caso si deve tutto ad una mutazione sociale ed economica, nonché ad una scoperta tecnico-scientifica. La porcellana inizialmente non poteva essere prodotta in Occidente e giungeva in Europa grazie agli accordi commerciali istituiti con la Compagnia delle Indie. La produzione in Europa iniziò grazie alla scoperta fatta dall’alchimista Giovanni Federico Botter che nella vana ricerca della “pietra filosofale” si imbattè in quel materiale che giungeva da Oriente e al quale venivano attribuiti poteri divi-natori e mistici: la porcellana, nata da una miscela di creta e caolino. Aumenta quindi la richiesta di oggetti che così era possibile avere più facilmente e risulta necessario un adeguamento nei metodi ope-rativi per per-mettere la produzione in serie e in grande scala di oggetti tutti uguali. Le manifatture di porcellana nascono quindi in relazione all’affermarsi di nuove tecniche e in questi si applicano necessariamente nuovi metodi del produrre.

“La nascita e la diffusione in Europa della produzione di porcellana testimonia quelle particolari trasformazioni che nascono dall’incontro di nuove tecnologie, nuove ten-denze dei costumi, nuovi modi della

produ-zione con la ricerca scientifica e l’aspiraprodu-zione all’innovazione.”

[Chigiotti G., 2010]

Sono questi i primi tentativi di razionaliz-zazione del lavoro e di utilizzo di macchine e utensili all’interno del ciclo produttivo che porteranno in pochi anni alla “Rivolu-zione Industriale”. Le scoperte scientifiche portano allo sviluppo di tecnologie nuove; l’allargarsi del mercato definisce l’utilizzo di nuovi beni di consumo. In questo scena-rio furono molte le società che dimostrar-ono una sensibilità verso una nuova forma di progettualità che ora risulta davvero necessaria.

(19)

1. Innovazione e design nella storia

L’introduzione del sistema produttivo industriale coincide con un nuovo approccio totalmente nuovo al progetto dell’oggetto. Il nuovo sistema lavorativo è caratterizzato, oltre che dall’utilizzo diffuso delle macchi-ne, dalla definitiva separazione dei ruoli dei lavoratori che partecipano al ciclo produttivo. Mentre nelle strutture produt-tive artigianali delle epoche precedenti, un’unica competenza riusciva a coprire tutte le fasi della produzione, ora vengono introdotte figure più specifiche, riferite ai diversi momenti di creazione dell’oggetto. Viene introdotta e sfruttata l’operazione dell’“assemblaggio” per cui l’oggetto nella fase di ideazione e di progettazione veniva pensato come composizione di pezzi predefiniti. La razionalizzazione dei proces-si produttivi fu facilitata dall’introduzione di nuove macchine utensili. Adam Smith sostenne l’utilizzo di tali macchine e scrisse che “è evidente a tutti quanto il lavoro venga

abbreviato e facilitato dall’uso di macchine adatte”. Si assiste, in questo periodo di

na-scita del sistema industriale, una profonda complicità e sintonia tra il mondo scientifico e quello imprenditoriale. Le scoperte scien-tifiche ancora una volta stimolano scoperte tecnologiche che entrano in sinergia con il mondo della produzione industriale e le nuove modalità produttive. L’elemento che

costituì il motore dei nuovi sistemi opera-tivi fu la sostituzione della vecchia energia idraulica con quella del vapore. Fu James Watt a brevettare nel 1781 la macchina a vapore, sfruttando le scoperte del 1712 di Thomas Newcomen e Thomas Savery che misero a punto la prima macchina a vapore con pistone. I capitalisti industriali sfrut-tano le nuove scoperte per accelerare la produzione in serie e nascono quindi le fab-briche come luogo delle macchine.

1.2

La Rivoluzione

Industriale

James Watt, macchina a vapore, 1765.

(20)

Progetto di macchina a vapore verticale,

(21)

1. Innovazione e design nella storia

La rivoluzione industriale e quindi la ri-voluzione nel modo di produrre e progettare gli oggetti, nasce dall’applicazione della scienza moderna ai processi produttivi. Le cause scatenanti di questa grande epoca di cambiamenti, oltre alla rivoluzione tecnologica, furono anche l’espansione del commercio mondiale, che arricchì l’Inghilterra, dalla ricchezza aumentò la possibilità di creare imprese, la crescita demografica inoltre aumentò la domanda di servizi e beni materiali che a sua volta determinò l’ideazione creativa di nuove forme di vendita volte a soddisfare e alimentare tale domanda. L’affermarsi di nuovi congegni meccanici che sostituirono la manodopera artigianale e l’introduzione di una nuova energia, quella del vapore portarono alla creazione e all’ideazione di nuove forme di organizzazione produttiva. L’introduzione della nuova tecnica mec-canica all’interno dell’iter produttivo portò al continuo nascere di nuovi beni proprio grazie alla nascita di processi produttivi nuovi come lo stampaggio, la pressatura, la goffratura, la colatura e la fusione che si uniscono e si integrano ai sitemi tradiziona-li. Grazie a queste nuove tecniche l’industria poté rivolgersi ad un mercato più vasto per la grande quantità riproducibile di oggetti tutti uguali che quindi divennero accessibili

a fasce sociali sempre più ampie. La rivolu-zione meccanica che influenzò i metodi di produzione portò dunque alla nascita di nuovi prodotti e di nuovi attrezzi lontani dalla tradizione nella forma e negli usi. I nuovi prodotti a loro volta si imposero sul mercato grazie alla loro qualità e grazie a vere e proprie strategie d’impresa. La cresci-ta del commercio mondiale e l’innovazione tecnologica portò ad un aumento del reddito medio, nel 1820, e divenne ormai chiara la necessità di definire nuovi metodi di proget-to rivolgendosi al progetproget-to industriale e ai nuovi processi produttivi. La tipicizzazione dei modelli pone le basi per una disciplina che nel giro di un secolo si sarebbe affer-mata con il nome di disegno industriale. Di fronte alle nuove possibilità offerte dalla meccanica il mondo del progetto si divide in due parti: una parte sviluppa progetti carat-terizzati da una forte componente deco-rativa che non presentava nessun legame con la dimensione funzionale dell’oggetto. Dall’altra parte si progettavano oggetti in relazione alla loro funzionalità come ele-mento principe senza preoccuparsi partico-larmente della definizione formale. È il caso degli Stati Uniti. L’attenzione alla funzione dell’oggetto e la trasformazione dell’atto decorativo artistico in un atto e movimento meccanico dipendente dall’utilizzo dei

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mac-chinari di fabbrica, portano alla separazione tra concetto di arte e concetto di produzio-ne. Nella progettazione e nell’ideazione dei prodotti era necessaria l’introduzione di una nuova competenza tecnica che fosse sensibile e cosciente dei nuovi processi produttivi. Questa necessità nasceva dal fatto che la parte progettuale non poteva più essere affidata ad artisti proprio perché gli oggetti industriali stavano perdendo la loro valenza artistica e dovevano rispondere ad esigenze di tipo tecnico-scientifico.

La rivoluzione industriale, generò innova-zione nel mondo del progetto. Nacquero diversi modi di pensare riferiti ai nuovi processi operativi ma vi furono anche movimenti e scuole di pensiero che invece andarono contro la nuova conce-zione industriale del lavoro e dell’oggetto ma non per questo non crearono innova-zione. L’inserimento della meccanica nei nuovi processi produttivi alimentò un dibattito attorno alla qualità dell’oggetto, all’unicità del pezzo e ai metodi del pro-getto relazio-nato alla nuova industria. All’indomani della Grande Esposizione di Londra del 1851, tale dibattito viene messo in relazione alle critiche negative che sor-sero in quel momento. Critiche non solo rivolte ad alcuni prodotti che vennero presentati ma in generale riferite alle conse-guenze che l’introduzione dei nuovi metodi produttivi ed il processo industriale aveva-no portato. Il proliferare delle fabbriche produsse in molti casi malessere sociale, inquinamento e degrado urbano. Questi sono fattori di una crisi sociale che entra violentemente all’interno del dibattito sulla necessità di una nuova progettualità. Ruskin elabora la sua teoria secondo cui l’uomo e la sua arte devono essere profondamente radicati nella cultura e nell’etica. Ruskin associava la creatività all’abilità tecnica del

1.3

Arts

&Craft

(23)

1. Innovazione e design nella storia

singolo artigiano, del singolo uomo e non alla progettualità piegata dai processi indus-triali, né tantomeno alla manodopera non specializzata che lavorava nelle fabbriche. Ruskin affermò che un prodotto industriale non potesse avere un valore artistico e con-dannò i concetti della standardizzazione, di ripetibilità dei modelli e di produzione in serie di un oggetto. Le teorie di Ruskin vennero riprese da William Morris che creava i suoi progetti ponendo una partico-lare attenzione all’esecuzione dei dettagli costruttivi e decorativi degli oggetti. Mor-ris lavorava in piccoli laboratori ed il suo metodo è interessante per il suo adottare la decorazione non semplicemente ad un fine ornamentale bensì pratico e simbolico. Gli oggetti d’uso quotidiano dovevano avere un valore estetico e quindi non potevano essere prodotti industriali; era una questione ed una responsabilità morale ed etica ristabili-re la funzione estetica di tali oggetti. La sua era una proposta di ritorno al saper fare, rifiutando la produzione industriale e riuscì nel suo intento stimolando architetti e pro-gettisti a dedicarsi all’arte applicata. Attorno a William Morris si creò una comu-nità solidale di artisti che sostenevano le sue idee. Alla base di tale sostegno non vi erano motivazioni economiche o commerciali ma ideologiche legate al disgusto per i metodi

industriali e per lo sfruttamento delle nuove tecniche. Il loro operato non influenzò assolutamente l’evoluzione dei nuovi metodi industriali, a favore del cosiddetto artigia-nato colto. Queste teorizzazioni del rifiuto per la produzione in serie di oggetti senza valore estetico confluirono in associazioni di artisti e artigiani chiamate Arts&Crafts. Questi gruppi promossero nuove tecniche e processi legati al lavoro manuale stimo-lando una nuova estetica di tipo artigianale. La loro riforma non riguardava solo i modi del progetto ma anche e soprattutto quelli della produzione. Il dibattito attorno alle tematiche di valorizzazione della manualità e dell’artigianato, l’interesse per l’oggetto quotidiano, il rifiuto della produzione se-riale si fece sentire facendo sorgere la pro-blematica di conservazione della tradizione della ma-nualità. L’atteggiamento delle Arts&Crafts arrivò fino in America e Frank Lloyd Wright ne fu l’esponente di punta. Nonostante le associazioni Arts&Cafts si opponessero a quella che ai tempi era la vera innovazione, portarono a loro modo un grande apporto teorico e pratico alle concezioni progettuali. Sostenevano ad esempio l’unità delle arti e l’idea per cui le forme di creatività hanno tutte lo stesso valore nell’affermazione dell’opera d’arte totale. L’introduzione dei nuovi processi

(24)

industriali e la manodopera non specializ-zata avevano svalutato il contributo della manualità e il valore estetico che ne deri-vava. Merito delle Arts&Crafts fu quello di riproporre l’unità tra il progetto definito tra progettisti e artisti e i processi di produ-zione attraverso la manualità. Risposero a quelli che erano i nuovi strumenti che sembravano snaturare il loro approccio al progetto attraverso un aumento della qua-lità nell’ideazione e produzione di oggetti che non nascevano da processi industriali. Al di là delle motivazioni ideologiche, Mor-ris e le Arts&Crafts si resero presto conto che non utilizzando le macchine i tempi di lavoro aumentavano e di conseguenza non si poteva più produrre a buon mercato. Tutto ciò che veniva prodotto dunque era molto costoso e non poteva essere venduto al “popolo”. Se ne rese conto la seconda generazione dei membri delle Arts&Crafts che cominciò ad avvicinarsi alla produzione seriale tanto che, alcuni di loro, aprirono delle ditte per distribuire e per produrre le loro realizzazioni. Le Arts&Crafts sono un esempio di come ad ogni scoperta tecnica, innovazione e rivoluzione dei modelli canonici si sviluppi spesso un sentimento di protesta. Ogni innovazione porta ad un cambiamento, a miglioramenti secondo la logica che “tutto quello che è nuovo è meglio”

ma anche criticità nuove e spesso inaspet-tate che vanno valuinaspet-tate e affroninaspet-tate. E’ stato così per la stampa, per la fotografia e per i macchinari di produzione di massa. Non è giusto pensare però che questo atteggia-mento di protesta remi automaticamente contro l’innovazione. Il rifiuto delle nuove tecniche e della produzione in serie da parte delle Arts&Crafts spinsero ad un ritorno della manualità e ad un atteggiamento artistico al progetto che altrimenti sarebbe andato perso. Portò inoltre ad un aumento della qualità, unico modo per concorrere con le produzioni in serie. Hanno sviluppato un pensiero parallelo a quello legato alla ri-voluzione industriale ma che non si sostituì mai ad esso e che anzi lo incontrò a partire dalla seconda generazione, generando nuove soluzioni. Anche oggi viviamo un’epoca di grandi cambiamenti con l’introduzione delle nuove opportunità di connessione; nuovi schemi e modelli rivoluzionano e ribaltano i valori e i modelli classici che vanno affron-tati nei loro valori e nei loro difetti miglio-randoli e adattandoli alle nuove esigenze e necessità. De Morgan William, campionario di piastrelle, Arts&Crafts

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(26)

Il mercato dell’industria continua a crescere grazie anche ai contributi di Frederick W. Taylor e dei suoi studi finalizzati all’ “Organizzazione scientifica del lavoro” e attorno al 1885 si giunge ad una nuova fase dell’industrializzazione. Il progresso della meccanica non era paragonabile ai ritmi del progresso dei secoli precedenti. Lo sviluppo industriale era frenetico e il rapido evolversi della tecnica richiese un rapido evolversi di modi progettanti e portò al mutare dei gusti indirizzati incessantemente verso il nuovo. La produzione industriale esprime dunque il bisogno di progetti ed oggetti sempre nuovi e moderni. I ritmi della società ac-celerano e la tecnica moderna acquisisce una sorta di contemporaneità che comincia ad interessare il mondo artistico che, in quanto parte della società, assimila una sensibilità verso la frenesia del moderno. Grazie anche alle teorie di Morris e delle Arts&Crafts nasce una nuova spontanea collaborazione tra arte e produzione. Una produzione inizialmente artigianale ma che presto avrebbe avuto una grande influenza nella definizione di un’estetica degli oggetti di produzione industriale. Così la raziona-lizzazione industriale introduce nei processi meccanici la decorazione per esprimere la natura e la funzione dell’oggetto. Si crea inoltre un nuovo rapporto tra architettura

e decorazione percui, gli architetti, oltre a definire le proprie strutture disegnano tutto ciò che definisce lo spazio domestico. L’arte si unisce all’arte applicata, la decorazione si unisce all’architettura e artisti e architetti cercano e trovano soluzioni alla nuova e insaziabile richiesta di prodotti di massa. Tendenze artistiche e conquiste tecniche lavorano assieme nella definizione del pro-getto. Nasce in questo contesto uno stile ed un movimento che pur essendo vicino al concetto di unità delle arti delle

Arts&Crafts, guarda con interesse il mondo della produzione industriale. Una nuova ornamentazione e decorazione che non

1.4

L’arte

Liberty

(27)

1. Innovazione e design nella storia

aveva una valenza puramente artistica ma rispondeva ad esigenze di tipo progettuale e produttivo e quindi profondamente legata alla costruzione e alla funzione degli og-getti e degli spazi. In Francia si chiamerà Art Nouveau, in Germania Jugendstil e in Italia Liberty. Ogni Paese sviluppa varianti locali del nuovo stile. La grafica Liberty si concentra nella produzione di manifesti, riviste e libri assumendone il carattere di mezzo di comunicazione di massa, sia perchè i messaggi ad essa affidati erano diretti ad un pubblico sempre più vasto, sia perchè le nuove tecniche di stampa ne consentivano ormai la più ampia diffusione.

Le cifre stilistiche liberty sono il linearismo, la traduzione degli elementi formali in com-ponenti strutturali, il rapporto tra linguag-gio verbale e linguaglinguag-gio visivo, l’utilizzo di patterns decorativi, la scrittura come componente del messaggio visivo.

“Queste soluzioni formali furono rese possibili anche dal progresso delle tecniche grafiche, che i disegnatori liberty sperimenta-rono sempre con grande interesse“

[Daniele Baroni, 2007] Pagina precedente: A. Beardsley, Copertina per “The Studio”, 1893 A sinistra: Copertina per “Emporium” 1898

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Contemporaneamente al concetto di modernità si sviluppa nel mondo dell’arte il con-cetto di avanguardia, termine che si riferisce nel campo della creatività, all’instaurazione di un modello di valori opposti alla tradi-zione. L’avanguardia è l’espressione di una visione del reale totalmente opposta a quella tradizionale, si riferisce ad una ricerca di linguaggi ed espressioni artistiche sperimentale e ad un utilizzo di tecniche mai utilizzate prima nel mondo dell’arte. Il XX secolo si presen-ta come un secolo di profondi contrasti e l’espressione artistica delle avanguardie ne è una sintesi perfetta. Il manifesto era lo strumento testuale con cui i movimenti di avanguardia esprimevano un’analisi critica di una situazione presente proponendo soluzioni future e valori sostitutivi eterni, la cifra comune dei manifesti di tutte le avan-guardie che si svilupparono nel XX secolo era la posizione di rottura nei confronti del-la tradizione intesa come visione tradizion-ale della società e dell’arte. Rifiutavano l’arte per l’arte e sostenevano il suo ruolo sociale all’interno del grande rinnovamento tecnico e sociale che la modernità stava subendo. Forte era il loro entusiasmo per le novità del mondo contemporaneo come la meccanica e l’industria e molti cercarono di definirne un’estetica.

Il ruolo sociale delle opere d’arte fu sos-tenuto in modo particolare dagli artisti dell’avanguardia russa che con le loro realizzazioni parteciparono alle violente mutazioni che la società stava subendo ed ebbero una valenza rivoluzionaria, al pari delle sommosse. Artisti come Vladimir Tatlin, Kasimir Malevich, Aleksandr Rod-cenko concepirono l’opera d’arte come un mezzo per definire una nuova società e ide-arono la concezione secondo cui attraverso l’utilizzo di prodotti per la massa, la società avrebbe presto ottenuto un livello di qualità di vita molto più alto. Il Costruttivismo con-cepì l’arte come una forma di lavoro dando origine ad un nuovo modo progettuale chiamato “artigianato produttivista” che univa i concetti di arte, lavoro, produzione e vita quotidiana. Nel raggiungere il supera-mento del divario tra arte e vita di tutti i giorni venivano sviluppati progetti e design in relazione alla produzione. I costruttivis-ti come gli esponencostruttivis-ti di altre avanguardie cercarono di definire i fondamenti di nuovi criteri universali per la realizzazione di una migliore immagine del mondo. Rappre-sentano un’esempio di mutazione sociale e quindi progettuale come conseguenza dello svilupparsi di nuovi stili di vita e di di tec-nologie rivoluzionarie ed entusiasmanti.

1.5

Le

(29)

1. Innovazione e design nella storia

Nel XX secolo si svolge poi una vicenda nella quale viene condensata gran parte dell’elaborazione teorica e pratica dell’architettura e del design di questo secolo. Il Bauhaus e la sua storia breve ma intensa influenzerà il mondo del progetto e la concezione del rapporto tra arte e produ-zione in relaprodu-zione all’innovaprodu-zione tecnico-scientifica. Il primo direttore della scuola,

nata a Weimar nel 1919, fu Walter Gropius e il suo intento era quello di formare

“architetti, scultori e pittori ad un buon artigianato e a un’attività creativa au-tonoma.” [Chigiotti G., 2010] L’obiettivo finale era in realtà quello di sancire de-finitivamente l’unione tra la il momento artistico creativo e la realizzazione tecnico materiale dell’opera, l’unione tra arte e tecnica. Si punta alla creazione di una nuova

1.6

Bauhaus

Herbert Bayer, Bauhaus Universal alphabet, 1925

(30)

architettura e di una nuova progettualità che sfrutta l’artigianato e la manualità per formare i propri studenti alla definizione di un’orientamento formale di oggetti che poi sarebbero stati inseriti in processi produt-tivi industriali. Era quindi essenziale unire la creatività del progetto con la precisione e la conoscenza tecnica. Si inducevano gli studenti ad una visione creativa dei processi tecnico-industriali attraverso dei labora-tori artigianali. A supervisionare la doppia preparazione tecnico-creativa degli studenti vi erano infatti a condurre questi laboratori due maestri. Un “maestro artigiano” che si occupava dell’istruzione tecnica degli allievi ed un “maestro della forma” che invece impostava la formazione creativa del lavoro. Tale lavoro doveva portare alla creazione di forme-tipo assolutamente perfette al punto di vista tecnico, commerciale ed estetico. Nonostante la produzione artigianale dei prototipi, gli studenti erano coscienti dei processi industriali e delle logiche di assem-blaggio all’interno delle quali il prodotto si sarebbe inserito. Il merito del Bauhaus fu quello di aver intuito che la differenza e la distanza tra artigianato ed industria era dato da un diverso tipo di organizzazione del lavoro e non dalla diversità degli stru-menti progettuali. Nell’artigianato tutto era nelle mani di un “maestro”, nell’industria

la suddivisione dei ruoli. Il passaggio da produzione artigianale a produzione industriale fu una mutazione spontanea dovuta al sorgere di nuove scoperte tec-niche legate alla rivolu-zione meccanica, ma l’impostazione progettuale era iden-tica purchè il progettista fosse preparato e aggiornato sulle tecniche produttive che l’oggetto inventato avrebbe potuto/dovuto affrontare. Il Bauhaus diventa una sorta di agenzia di sperimentazione produttrice di progetti e licenze da vendere alle officine e alle fabbriche interessate. Una serie di avvenimenti negativi, tra problematiche interne e con l’amministrazione statale costrinsero la scuola a trasferirsi, prima a Dessau e poi a Berlino. Dal 1931 iniziarono gli attacchi del partito nazionalista al Bau-haus definito un “covo di bolscevismo” che portarono allo scioglimento della scuola il 19 luglio 1933. La diaspora degli insegnanti e degli studenti diffusero in tutto il mondo la nuova disciplina progettuale moderna ed adeguata ai tempi che era nata in quella scuola. Un nuovo modo progettante che sfrutta una creatività aggiornata e cosciente delle possibilità offerte dalle nuove e diverse modalità produttive disponibili.

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1. Innovazione e design nella storia

I concetti di industrializzazione diffusa e consumismo di massa si diffondono insieme all’internazionalizzazione della nuova disciplina, l’industrial design e quindi di una nuova figura professionale, il designer. In America si sviluppò all’indomani della Prima Guerra Mondiale un’espansione delle capacità produttive, un’esplosione di consumi ed una forte crescita dei consumi di massa. Uno strumento per aumentare la vendita dei prodotti è l’attenzione da parte delle aziende all’aspetto formale. Il

mercato saturo spinge le fabbriche a far distinguere i propri prodotti da quelli delle altre adottando uno stile proprio. In questo contesto nasce una generazione di indu-strial designers provenienti da diversissimi campi professionali: dall’allestimento, alla pubblicità, dalla scenografia alla rappre-sentazione commerciale. Creativi che lavoravano in un’ottica commerciale che puntava all’aumento della vendita at-traverso ricerche sugli elementi formali seguendo quelle che erano le logiche di

1.7

Il

Disegno

Industriale

Raymond Loewy, Redesign del pacchetto di sigarette Lucky Stricke,

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Corradino D’Ascanio, Prototipo MP6 Vespa Piaggio 1945

(33)

1. Innovazione e design nella storia

prodotto di riferimento. L’atteggiamento statunitense si diffonde anche in Europa ed il design anche qui comincia a rapportarsi all’industria nella scoperta di nuovi prodotti e nuovi standard qualitativi. Anche in Italia matura la concezione di un design indus-triale necessario alle metodologie delle nuove produzioni e del nuovo commercio di massa. Dopo la Seconda Guerra Mondia-le fu determinante il contatto con i modi americani che introdusse proprio questa attenzione ad un commercio non più legato ad un sistema di autoconsumo ma a delle logiche di massa. Il design italiano prende coscienza dal mondo americano ma ebbe una grande importanza per la sua formazio-ne lo sguardo al passato, verso i valori tradizionali del nostro artigianato e della cultura architettonica. Nel nostro Paese la “cultura del progetto” si è sviluppata ed ha saputo dialogare con la secolare tradizione dell’eccellenza artigianale la quale avviò la produzione di oggetti semplici e pratici in grado di risolvere le prime necessità. Gli architetti italiani, coscienti del loro ruolo sociale e politico interpretano tali oggetti e l’architettura si integra così con quanto essa contiene. Personalità come quelle di Giò Ponti, Franco Albini, Bruno Munari, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Enzo Mari furono rivoluzionarie nell’unire la genialità

della mente a un notevole saper fare manu-ale, artigianale. Il design italiano sviluppa un linguaggio proprio avvicinandosi a quelli che erano i problemi della vera industrializ-zazione e dei consumi della nuova società di massa. La nuova domanda, il mercato in espansione, lo sviluppo di nuove tecniche e materiali stimolano nuove avventure im-prenditoriali e la creatività degli architetti. L’entusiasmo dell’imprenditoria tocca anche il mondo del progetto che dovette assettarsi, aggiornarsi ed adeguarsi in nuove forme, at-teggiamenti e teorizzazioni. Alcuni prodotti rivoluzionano le abitudini ed i comporta-menti degli italiani come le Fiat 500 e 600, di Dante Giacosa, o la Vespa della Piaggio, progettata da Corradino d’Ascanio. Nas-cono i prodotti Artflex disegnati da Marco Zanuso e le macchine per scrivere Olivetti disegnate, tra gli altri, da Marcello Nizzoli.

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La figura di Adriano Olivetti è un esempio perfetto di spinta verso l’innovazione tec-nica legata ad un approccio professionale, cosciente e aggiornato alla cultura del de-sign. Approfondiamo brevemente quella che è stata la sua opera e il suo pensiero proprio perché si inserisce perfettamente nel dis-corso del rapporto tra innovazione e design e anche perché, come già anticipato, questa tesi nasce proprio da alcune valutazioni sulla concezione del lavoro e del design dell’imprenditore di Ivrea.

Ad Ivrea, la città in cui nasce l’11 Aprile 1901, ha realizzato la sua comunità concreta in cui lavoro, industria, cultura, design, po-litica, produzione e solidarietà convivevano in un’armonia e in una, come diceva lui, “comune ricerca di verità e di bellezza”. Dalla sua storia fuoriesce il ritratto di un uomo che, pur essendo stato molte cose, è sempre stato animato dalla stessa vocazione e spinto dagli stessi ideali umanistici di una comunità fondata sulla cultura e sulla col-laborazione dei suoi partecipanti. Una co-munità fatta di persone coscienti di avere un compito nel raggiungimento di un comune interesse, etico e materiale. L’industriale e imprenditore Adriano Olivetti rivoluziona le regole della produzione disegnando una fabbrica a misura d’uomo, un’azienda di cultura. Le sue fabbriche-opere d’arte sono

un esempio di quanto per Adriano la cultura giochi un ruolo centrale all’interno della sua visione della comunità. Adriano non ha dub-bi: la bellezza è un mezzo per l’elevazione dell’uomo ed è proprio la cultura a rappre-sentare questa disinteressata ricerca di verità e di bellezza. Cultura è architettura, urbanistica ma anche design ed Adriano è stato uno dei primi ad accorgersene. Diceva che “un buon congegno deve avere una bella

forma, ma una bella forma deve rispettare le caratteristiche di un buon congegno” [Renzi E., 2008]. Concepisce il design come nessun

altro in quegli anni; una visione profonda-mente legata a quella nuova visione etica e non solo mate-riale della pratica lavorativa di cui si fece portavoce. I prodotti andavano costruiti, venduti e quindi comunicati; co-municati come “prolungamenti di una certa

concezione dell’impiego concreto - da parte di donne e di uomini nella giornata di lavoro, che per definizione è sempre lunga” [Renzi E., 2008] come diceva lo stesso Adriano.

A rileggere oggi la storia della sua vita si ha l’impressione di dovere e volere imparare qualcosa sempre con un pizzico di rim-pianto. Ivrea, all’alba del xx secolo, è una ricca cittadina a nord di Torino proprio sotto la Valle d’Aosta. Una zona lenta e anonima quella del canavese. Nel giro di 40 anni Ivrea verrà definita “l’Atene degli anni

1.8

La Olivetti

e la cultura

del design

(35)

1. Innovazione e design nella storia

50”. Il padre di Adriano, Camillo Olivetti nel 1894 fonda ad Ivrea una società per la costruzione di strumenti per la misurazione elettrica e che poi introdurrà in Italia uno strumento che sarà destinato a cambiare le abitudini, influenzando i ritmi e la cultura, diventando testimone di una società e di uno stile tutto italiano: la macchina per scri-vere. Le ha viste in America ed in Italia an-cora nessuno le produce. Il 29 Ottobre 1908

nasce la Società Ing. C. Olivetti & C. “Prima fabbrica italiana di macchine per scrivere”, la ICO. Nel 1925 il figlio Adriano all’età di 24 anni compie, assieme al Direttore Tecnico dell’azienda Domenico Burzio un viaggio studio di 6 mesi negli Stati Uniti. Rimane colpito dal Taylorismo, sistema impiegato nelle fabbriche Ford dove allo scopo di diminuire i tempi di produzione ogni ope-raio doveva eseguire un’unica e ripetitiva

Adriano Olivetti davanti alla ICO.

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opera-zione alla catena di montaggio. Adriano capisce che il sistema di Taylor delle fabbriche Ford non poteva essere trasportato in quella forma nella sua Ivrea e nella sua Italia ma necessitava di “un assetto

organizzativo duttile e in evoluzione parallela al progredire dello sviluppo aziendale”.

Lo stesso Olivetti dirà “Imparai la tecnica

dell’organizzazione industriale, seppi capire che per trasferirla nel mio paese doveva es-sere adattata e trasformata.” [Renzi E., 2008]

Al suo ritorno ad Ivrea ha le idee chiare su come gestire l’azienda e convince il pa-dre che la cosa più importante è l’organiz-zazione del personale, propone un vasto programma di interventi per modernizzare l’attività della Olivetti: organizzazione

de-centrata, direzione per funzioni, razionaliz-zazione dei tempi e metodi di montaggio, sviluppo della rete commerciale in Italia e all’estero. Viene fondato nel 1931 l’Ufficio Sviluppo e Pubblicità affidato a Renato Zvetermich, ingegnere di origine dalmata. Adriano viene nominato nel 1932 Direttore Generale della Olivetti; riesce in breve tempo a diminuire i tempi di produzione di un terzo rispetto al passato e ha in mente il progetto di un nuovo prodotto: una nuova macchina per scrivere molto più piccola e leggera; qualcosa che ancora in Italia non si era mai visto. La prima macchina per scrivere portatile: la MP1. Nel 1933, dopo aver ammirato la loro “Villa-studio per un artista”, Adriano affida a due astri

Complesso di costruzioni Olivetti lungo Via Jervis a Ivrea,

la “fabbrica di mattoni rossi” e gli stabilimenti ICO

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1. Innovazione e design nella storia

dell’architettura razionalista la costruzione di un edificio industriale moderno: Figini e Poliini progettano gli Stabilimenti Olivetti ICO. La “Fabbrica di Mattoni” rossi che ospitava la ICO fondata dal padre Camillo viene inglobata nella nuova costruzione: 23mila mq, mura di vetro, fabbrica e uffici assieme. Lo appassionano l’architettura e l’urbanistica, pensava che la fabbrica non fosse solo un luogo di produzione e profitto, ma anche il cuore pulsante dello sviluppo economico e sociale e come tale avesse delle responsabilità verso la collettività e il ter-ritorio. Olivetti immagina un capitalismo a misura d’uomo e negli stabilimenti Olivetti non ci sono solo catene di montaggio ma anche mense, ambulatori, medici, asili nido, biblioteche. Questi valori si traducono in una serie di iniziative dedicate ai rapporti tra le persone che lavoravano nelle fab-briche ICO. Per questo Adriano seleziona e aumenta le persone di cultura umanis-tica, sia in fabbrica, inserendole in settori specifici, di dirigenza e di organizzazione dell’azienda sia chiaramente nelle organiz-zazioni culturali. Adriano introduce nel processo di progettazione e di vendita l’elemento “design” come strumento per fare emergere la sostanza culturale e l’ani-ma dei suoi prodotti. Fiorisce lo stile Olivet-ti e nel 1938 l’Ufficio Pubblicità è affidato

a Leonardo Sinisgalli, ingegnere e poeta. Lui, insieme, Xanti Schewinsky (grafico) e Costantino Nivola (pittore) realizzano il pieghevole “Storia della scrittura” che pre-senta in copertina una rosa in un calamaio.

“Per suggerire che il calamaio non serviva più a intingervi la penna. Meglio scrivere a macchina.” spiegò il copywriter olivettiano

Giovanni Giudici. Questa passerà alla storia come l’immagine che per la sua eleganza ed evocatività, segna la nascita dello stile olivettiano. Immagine che poi verrà riuti-lizzata per promuovere la macchina per scrivere Studio 44.

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Entrano in fabbrica Marcello Nizzoli, pittore, grafico ed architetto, e Giovanni Pintori, sia designer che grafico.

Dal 1946 al 1958, la crescita è significativa. L’esportazione aumenta di quasi 17 volte, il fatturato interno subisce un aumento del 600%, l’occupazione del 258% e i salari medi del 386%. Nella gestione dell’azienda assume un particolare rilievo l’attenzione al miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti. Questo periodo della storia aziendale dell’Olivetti è caratterizzata dalla nascita di tre prodotti di grande successo nazionale ed internazionale. Natale Cappel-laro e Marcello Nizzoli disegnano la prima calcolatrice meccanica al mondo in grado di eseguire le quattro operazioni, la Divi-summa 14 che entra in commercio nel 1948. Sempre di quell’anno, e sempre dai dis-egni di Nizzoli, è la macchina per scrivere standard Lexikon 80 che verrà definita dai curatori della mostra dedicata all’Olivetti al Moma di New York come una vera e propria “scultura”. Siamo nel 1950 invece quando nasce accompagnata da un design innovativo la più famosa tra le macchine per scrivere: la Lettera 22. Nel ‘54 vince in Italia il primo Compasso d’Oro istituito dalla Rinascente e nel ‘59 verra indicata dall’istituto tecnologico dell’Illinois come il piu bel oggetto di design del secolo. Anche

questa è una creazio-ne di Marcello Niz-zoli, solo uno dei grandi designer impiegati presso l’Olivetti: Ettore Sotsass, Marco Zanuso, Costantino Nivoli. Adriano li ra-duna attorno a sè sostenendo che il design sia l’anima e la vera sostanza del prodotto. Nel 1955 Olivetti si dimostra fedele alla sua filosofia con un progetto che porta anche nell’arretrato sud le idee più innovative. La realizzazione della fabbrica di Pozzuoli e del suo quartiere operaio sono quasi un miracolo e nel giro di pochi anni si arriverà addirittura a registrare un tasso di produt-tività superiore a quello della fabbrica di Ivrea. Proprio nel discorso in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, Adriano esprime una riflessione destinata a diventare rappresentativa del suo pensiero:

“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?” Adriano Olivetti

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(40)

Adriano sosteneva il primato della cultura all’interno della comunità come sostanziale fattore di equilibrio politico e sociale. La cultura era intesa in riferimento alla tra-dizione dei valori eterni della civiltà e alla conoscenza delle questioni generali dell’umanità, doveva concretizzarsi in una “ricerca disinteressata di verità e bellezza”. La cultura diventa mezzo per una ricerca di bellezza perché questa bellezza è elevazione dell’uomo. Adriano reinveste i capitali per costruire fabbriche moderne spaziose e confortevoli e le inserisce nel paesaggio per abbellirlo e per dare rinnovato valore alla comunità e al territorio in cui queste si collocavano. Un atteggiamento impensabile per un mondo imprenditoriale che concepi-va l’ambiente lavorativo esclusiconcepi-vamente in funzione del profitto. Adriano riunisce at-torno a sé i più geniali architetti degli anni ‘50 facendo di ogni suo complesso industria-le una vera opera d’arte. Nel giro di qualche decennio le imprese di Adriano Olivetti trasformano ed estendono il territorio di Ivrea che diventa un esempio eccezionale di città industriale materializzata sul modello voluto da Olivetti. A Pozzuoli afferma:

“La fabbrica fu concepita alla misura dell’uomo perché questo vi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza.

Per questo abbiamo voluto le finestre basse e i cortili aperti e gli alberi nel giardino ad esclu-dere definitivamente l’idea di una costrizione e di una chiusura ostile”

Luigi Cosenza, Adriano Galli, Pietro Ciaravolo, Piero Porcinai e Marcello Nizzoli,

Fabbrica Olivetti di Pozzuoli,

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1. Innovazione e design nella storia

Guido Piovene, scrittore e giornalista di rilievo scrive così sulla fabbrica, la città e le persone di Olivetti:

“La Olivetti è il caso più notevole esistente al mondo, almeno nella mia esperienza, d’industria retta come industria, il cui primo scopo è perciò il successo industriale e il mas-simo del guadagno ma che al tempo stesso vuole essere quasi uno Stato; l’incarnazione di un’idea religiosa, morale, sociale, politica. Una industria morale; ciascuna delle due pa-role, industria e morale, ha il medesimo peso... un tentativo (nell’insieme dell’architettura, negli uffici, nei corridoi decorati di fotografie di paesaggi, nei capannoni delle macchine) di fabbrica-opera d’arte, intesa ad alleviare la fatica del lavoratore e ad educarlo con il suo stesso aspetto... L’industria è per Olivetti uno strumento a doppio scopo, che deve mettere al lavoro, e redimere dal lavoro... perché gli operai sentano nella fabbrica non solo un luogo di guadagno ma in senso stretto la patria, vi sono bellissime scuole, un asilo e un nido d’infanzia altrettanto belli. Una parte dell’attività aziendale è dedicata alla cultu-ra... un insieme di prestazioni non è conside-rato laterale all’azienda; l’azienda in quanto azienda, è un centro di cultura. Le terrazze contemplano il dolce panorama del dominio nel tempo stesso spirituale e temporale; gli operai hanno un circolo nel giardino, che

ap-parteneva a un convento.”

Le Officine Olivetti sono definite dai manuali d’architettura come gli esempi più rilevanti dell’architettura industriale in Eu-ropa, divenendo capolavori dell’architettura razionalistica italiana ed internazionale. L’azienda di Ivrea diventa un cenacolo fre-quentato dai nomi più illustri della cultura e dell’arte italiana come Moravia e Pasolini. Si tenevano corsi sulla storia del movimento operaio, della rivoluzione russa e spagnola, si organizzavano festival cinematografici, mostre di pittura, sempre allo scopo di accrescere la cultura di chi lavorava all’Oli-vetti. Adriano seleziona e moltiplica le persone provenienti da studi umanistici delle quali si circonda. Sociologi, architetti, scrittori, pittori, politici, psicologi. Alla direzione Adriano colloca Geno Pampaloni, critico letterario, gli scrittori Ottiero Ottieri e Paolo Volponi, il poeta Giovanni Giudici. Altri nomi illustri rappresentanti di una cultura che donava valore e bellezza alla fabbrica di Ivrea furono Franco Momigli-ano, Bobi Bazlen, Luciano Gallino, Giorgio Puà, Franco Fortini, Francesco Novara, Bruno Zevi passando per Fichera, Soavi, Lu-ciano Foà, Lodovico Quaroni, fino a Renato A. Rozzi, Furio Colombo, Franco Ferrarotti, Tiziano Terzani.

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Il posizionamento di uomini di cultura umanistica nei ruoli di dirigenza più alti dell’azienda viene così spiegato dalla figlia di Adriano, Laura Olivetti in un’intervista rilasciata al quoti-diano La Stampa: “...gli

altri intellettuali corrispondevano a un’idea di mio padre: che si ottenevano buoni frutti quando le competenze tecniche (gli ingegneri, i progettisti) erano affiancate da competenze umanistiche. Mio padre credeva rigorosa-mente nell’incontro delle due culture. Una compensava l’altra, tant’è che Paolo Vol-poni è stato direttore del personale. Da ciò l’importanza del design per dare a prodotti tecnologici e all’azienda stessa una forma estetica”. E così fu: lo straordinario successo

finanziario dell’Olivetti coincide con quello di immagine e la grafica Olivettiana viene conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. Nasce lo stile Olivetti. Anche nel settore del design Adriano fu un precursore; il primo, a quei tempi, a considerarne l’importanza culturale. Il design è concepito come espres-sione di bellezza e quindi mezzo per elevare ad un senso superiore, le cose, le idee e le persone. Percepisce l’importanza e la sostanza culturale del design all’interno di un prodotto; comprende che il design costituisce l’anima e la sostanza dei suoi og-getti esprimendone la qualità con cui sono

stati concepiti. Affida al design un ruolo centrale dicendo:

Xanti Schawinsky, Manifesto per la macchina per scrivere MP1,

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1. Innovazione e design nella storia

“I prodotti devono essere costruiti e poi ven-duti e quindi comunicati come prolungamenti di una certa concezione del lavoro e di una certa concezione dell’impiego concreto - da parte di donne e di uomini nella giornata di lavoro”.

Il design italiano si impone in tutto il mondo e con esso lo stile Olivetti.

Adriano sosteneva che “un buon congegno

deve avere una bella forma ma una bella for-ma deve rispondere alle caratteristiche di un buon congegno”. L’Olivetti è stata l’azienda

che maggiormente ha sfruttato il design sia per il successo dei suoi prodotti sia per la stessa comunicazione aziendale; tutto questo accadde quando ancora in italia non esistevano i designer, né le scuole di design. I designer in Olivetti venivano chiamati architetti perché non era ancora nata ufficialmente quella professionalità ma non era questa l’unica motivazione. Secondo Adriano - e qui arriviamo al punto centrale di questo approfondimento sulla vicenda olivettiana - non aveva senso che un designer sapesse disegnare prodotti senza prendere in considerazione l’ambiente sociale nel quale il prodotto si sarebbe collocato. I designer in Olivetti quindi lavorano a stretto contatto con i tecnici fin dai primi passi progettuali per dare un sen-so a ogni forma dal punto di vista

comuni-cativo, funzionale, ergonomico e tali scelte estetiche in tutte le fasi di progettazio-ne venivano considerate importanti quanto le scelte tecniche o gestionali. Per questo il designer non esaurisce le sue competenze nei concetti di bellezza formale e funzionale ma la sua professione raccoglie interessi e competenze legati ad un senso dell’estetica più articolata.

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solamente l’industria ma in esso vivevano argomenti legati alla vita e all’uomo. Il compito del design è relazionare l’azienda con la vita normale di tutti i giorni in cui il prodotto incontra l’uomo. Il design deve combinare la produzione, le difficoltà produttive, di marketing con le aspetta-tive del mondo, della società, dell’uomo, della comunità. Il design diventa portavoce della filosofia dell’azienda, fuori di essa.

“Dobbiamo far bene le cose e farlo sapere”

diceva Adriano e l’azienda oltre a ricercare l’eccellenza e la qualità nei suoi prodotti, deve anche saper comunicare ed esprimere tali valori attraverso una forma ed

un’immagine che fosse veicolo ed espres-sione reale dei valori della realtà aziendale. Questo veicolo poteva essere il design di una macchina per scrivere, l’architettura di uno stabilimento, l’arredo di un negozio, la grafica di un manifesto o il disegno di una pubblicità. Il termine “veicolo”, sinonimo di “mezzo”, testimonia nuovamente la vicianza ai suoi ideali di ricerca di verità e bellezza come mezzo per l’elevazione dell’uomo,

della società e quindi anche della sua realtà, la Olivetti.

Il primo designer chiamato da Adriano nel 1938 è Marcello Nizzoli: pittore, grafico ed architetto che disegnerà per l’Olivetti calcolatori della serie “Summa” e “Divi-summa”, le macchine per scrivere “Lexikon 80” (1948) e “Lettera 22” (1950). Il design di Nizzoli segue forme morbide e vicine ai con-cetti di ergonomia d’uso e utilizza tecniche ancora oggi sfruttate come l’alleggerimento visivo delle forme attraverso l’uso di parti trattate con colori e materie diverse. Niz-zoli era aggiornato vicino alle avanguardie artistiche del suo tempo e le forme, i colori ed i dettagli dei prodotti da lui disegnati traducono la cultura artistica del suo tempo in oggetti d’uso comune. Nizzoli concepisce il design vicino al concetto di educazione in quanto attraverso gli oggetti ben progettati l’uomo e la società imparano a riconoscere le qualità di un prodotto e a godere del va-lore che tali strumenti regalano all’ambiente e a ciò che ci circonda. Il designer ha il compito di esprimere il valori intrinsechi Marcello Nizzoli,

macchine per scrivere

Lettera 22 (1950), Lexicon 80 (1948)

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1. Innovazione e design nella storia

dei prodotti, il senso delle loro forme, delle loro qualità e della loro bellezza.

Nel 1952 il MOMA di New York dedica una mostra al design Olivetti e qui la Lexikon 80 verrà definita una “scultura” rivoluziona-ria che integra innovazione tecnologica ed eccellenza formale. La “Lettera 22” nel ‘54 vince in Italia il primo Compasso d’Oro isti-tuito dalla rinascente. Lo storico del design Maurizio Vitta scrive:

“Nel 1952 il MoMa dedicò all’azienda di Ivrea una mostra che ne sanciva il primato nel campo dell’estetica industriale: la Lexikon 80 e la Lettera 22 entrambe disegnate da Marcello Nizzoli vi figuravano come esem-plari di bellezza garantita da una sofisticata struttura tecnica. In esse si sottolineava non solo la felice intuizione estetica, ma tutta una concezione progettuale che faceva perno sulla stretta relazione tra il modello produt-tivo e la sua espressione formale. La sostanza culturale del design ne divenne così l’elemento prorompente”

Nel 1957 viene introdotto come responsa-bile del design dei prodotti Olivetti, Ettore Sottsass che fra gli altri disegna l’Elea 9003. Sottsass dimostrò un’acuta attenzione per i dettagli e proclamò il significato sociale che i prodotti assumevano ed in particolare la disinvoltura e la vivacità che i prodotti d’ufficio dovevano acquisire. Anticipò uno

stile di lavoro informale e più stravagante al quale oggi siamo abituati e ne sono un esem-pio alcune sue opere come la macchina per scrivere “Valentine”, rossa, lucida e vivace, per i giovani e sorprendentemente lontana dalle linee della macchine per scrivere in produzione, forse più serie e tristi. Venne definita da Giovanni Giudici “una Lettera

32 travestita da sessantottina”. Il periodo

elettronico Olivetti si apre con l’Elea 9003 (1959), il primo grande elaboratore realiz-zato in Italia. Prodotto rivoluzionario ed in-novativo nella tecnica e nel design: Sottsass per soddisfare le esigenze di modularità e combinabilità di questo sistema complesso ricorre a una brillante soluzione di cablag-gio aereo delle varie unità. Rende gli elabo-ratori più snelli e visivamente leggeri e funzionali, allontanandoli dallo stile militare che avevano assunto in America. Olivetti percepisce la centralità del design all’interno e al di fuori della produzione industriale quando ancora il design non esisteva. Ha dato la possibilità a molte professionalità di esprimersi e sperimentare soluzioni creative e funzionali in un area che ancora non si era resa veramente conto di quanto fosse importante comunicare il senso e la sostanza di un oggetto. Olivetti ha spinto il design italiano all’eccellenza che lo ha reso e lo rende famoso tutt’ora in tutto il

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Ettore Sottsass jr, macchina per scrivere portatile,

Valentine, 1969

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1. Innovazione e design nella storia

mondo. Lui, i suoi designer, i suoi architetti e le persone di cultura che lavorarono in Olivetti offrirono un modello di lavoro che ancora oggi molti cercano di imitare. Si cerca di trarre degli insegnamenti da quel modo di fare che vedeva nel combinarsi di diverse culture e professionalità un valore inestimabile, una collaborazione necessaria per raggiungere il valore della bellezza e dell’elevazione dell’uomo nella comunità, nella società e nel territorio.

Il design nasce come una disciplina fatta di processi e metodi che portano alla realizza-zione di artefatti e soluzioni a delle esigenze di natura diversa. Ma il design è prima di tutto cultura, che è quindi la cultura del design: etiche professionali e pensieri pro-gettanti che lavorano insieme per concretiz-zare artefatti e soluzioni che vivranno con-testi sociali che fin dall’inizio del progetto vanno considerati. Le innovazioni tecniche rivoluzionano e stanno rivoluzionando oggi lo stesso approccio al pensiero progettante, e gli schemi di relazione che portano alla realizzazione di un oggetto e pongono con-tinuamente gli studiosi di design di fronte a nuovi scenari e nuove problematiche da ri-solvere. Oggi il pensiero olivettiano sembra troppo distante e designer e azienda sono sempre più lontani l’uno dall’altra.

Nei prossimi capitoli vedremo come la modernità introdotta dalla cosiddetta rivoluzione elettronica abbia influenzato e rivoluzionato la cultura del design soprat-tutto in conseguenza alle nuove opportu-nità di connessione e social networking. L’avventura olivettiana viveva un momento storico lontanissimo da quello attuale, nella società, nella moda, nella cultura, nella po-litica e nell’economia ma davvero non può insegnarci nulla?

Oggi che il design della comunicazione si trova di fronte a nuovi modelli e nuovi stru-menti deve davvero dire addio alla concezi-one di design come “sostanza cutlurale e portavoce della filosofia aziendale“? L’approfondimento su Olivetti non è stato inserito all’interno di questo studio allo scopo di elogiare una vicenda che per molti aspetti oggi non sarebbe comunque ripeti-bile. Nella consapevolezza che Olivetti sia stato una mosca bianca (già ai suoi tempi) ha voluto essere un stimolo per affrontare i discorsi che seguiranno in un’ottica ed in una visione di un design professionale, virtuoso, che nasce dalla cultura e genera innovazione.

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I N N O V A Z I O N E E D E S I G N

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