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1. Organizzazione reticolare dell’economia

1.3. L’approccio della scuola di Manchester all’economia globale: Global Production

1.3.4. Operatività delle reti di produzione

Rendere operativo il quadro teorico delle GPN vuol dire analizzare, attraverso la predisposizione di un concreto caso studio, il peso delle variabili: valore, potere, radicamento.

Non si tratta di ricercare regolarità, ma di comprendere quali sono e come si svolgono le interazioni spaziali fra soggetti. Risulta opportuno richiamare le definizione dei primi due concetti, utilizzando come fonte primaria Coe (2009) e, successivamente, compiere una riflessione sulla complessità dei luoghi per discutere sul radicamento.

Con valore l’autore richiama le varie forme di rendite economiche8

Il legame fra valore e cambiamento nell’organizzazione della produzione è ben illustrato in Yeung (2007, p. 4). L’autore attribuisce la volontà delle imprese globali di specializzarsi in particolari attività della sequenza produttiva (ad esempio, nel R&D, marketing, servizi

che possono essere estratte dal partecipare ad una rete di produzione. Significa che il soggetto ha accesso ed utilizza una risorsa strategica che inibisce la concorrenza. Questo perché chi ne è privo dovrebbe sostenere dei costi di produzione per dotarsi anch’egli della medesima risorsa. L’impresa si può isolare dalla competizione possedendo ed utilizzando beni o processi tecnologici chiave, un marchio prestigioso, oppure potendo contare su di una forza lavoro particolarmente qualificata, un’organizzazione del lavoro efficiente, o l’avere canali commerciali saldi. Si possono generare barriere d’entrata anche per fattori esterni all’impresa. Si tratta ad esempio di avere un accesso preferenziale alle risorse naturali, facilità nella richiesta ed ottenimento di credito, possibilità di sfruttare i benefici stabiliti dalle politiche pubbliche, dotazione infrastrutturale favorevole. Nel primo caso è un’istituzione formale che offre un accesso preferenziale, negli altri è la localizzazione in sé che offre dei vantaggi. È bene ricordare che questi fattori possono cambiare nel tempo, e, dunque, può esserci una ridistribuzione del valore. Ad esempio la conoscenza tecnologica codificata può essere trasferita da impresa ad impresa e consentire il miglioramento della produttività a livello di sistema.

8 Nel lavoro di Henderson et al. (2002, p. 448) che costituisce l’incipit della letteratura sulle GPN si afferma che il valore si riferisce sia al concetto marxista di plusvalore che a quello di rendita economica.

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vendita) e lasciare la componente produttiva ad altre come strategia per massimizzare l’estrazione di valore da una specializzazione nelle competenze chiave. L’autore specifica che questa riorganizzazione è ben diversa dalla decisione di rilocalizzarsi per mantenere la profittabilità e avvantaggiarsi da minori costi presenti altrove. Il concetto di valore, dunque, implica componenti che non si possono inquadrare interamente sotto un profilo contabile.

Nell’apparato teorico delle GPN non si evince una chiara spiegazione del legame fra valore e prezzo; a riguardo McGrath (2013) osserva che le divergenze che nascono nella definizione del sistema dei prezzi non sono che riflesso delle diverse opinioni sul valore associato al bene. La letteratura rimane relativamente silente anche sul perché il valore non viene distribuito in maniera equa fra le parti contraenti. Uno studio tramite le catene di prodotto del Vietnam e Sri Lanka come sito di produzione per l’industria dell’abbigliamento globale (Knutsen, 2004) mette in evidenzia come il valore estratto nella relazione economica sia riflesso della capacità dell’impresa leader di esercitare la propria influenza. Nello specifico, a fronte di un aumento dell’efficienza nella produzione, minori tempi di consegna e migliore qualità, i fornitori locali di prodotto non vedono incrementi nei loro profitti. Gli autori valutano che le scarse ricadute economiche per i fornitori derivano dall’abilità dei grandi acquirenti globali nello sfruttare a loro vantaggio i miglioramenti nella produzione, offrendo nel mercato finale un prodotto ad un prezzo competitivo. L’incapacità di trattenere a livello locale la rendita deriva dalla grande competizione fra i produttori che rendono ogni fornitore facilmente sostituibile l’uno all’altro.

Altro concetto chiave nelle reti di produzione è il potere. Quest’ultimo è definito da Coe (2009) come l’abilità di un attore, anche non strettamente economico, di influire sulla strategia di un altro partecipante alla rete di produzione, in modo tale da portarlo ad attuare un comportamento subottimale. Non è un concetto assoluto che si misura in termini di quantità, ma relativo, in base alla condizione degli altri partecipanti alla rete. È importante in quanto la capacità di estrarre valore dalla produzione dipende dal potere in mano agli attori. Per comprendere la sottigliezza nel termine è utile analizzare cosa intenda Yeung (2005b, p. 316) per potere: l’autore lo definisce come “la capacità di esercitare che può dirsi espletata solo attraverso il processo di esecuzione”. Per determinare la centralità di un attore nella rete non è importante la posizione, intesa come la possibilità di avere il controllo di risorse, ma la pratica, ossia l’esercizio del potere. In Liu e Dicken (2006, p. 1231) si chiarisce il rapporto fra risorse, escludibilità e potere. Per loro infatti il potere negoziale dipende in gran parte dalla quanto un bene posseduto è ricercato da un altro soggetto e dalle modalità con cui il possessore può controllarne l’accesso. Ad ogni modo ci può anche essere una convergenza di interesse e far sì che una relazione non venga retta solo dal potere, ma pure da altri elementi quali mutua convenienza, dipendenza. In tal senso il risultato dell’interazione non è a somma zero, ma permette ad entrambi i partecipanti di ottenere un risultato positivo.

L’altro concetto chiave è il radicamento (embeddedness). L’analisi della natura sociale dei processi economici e la loro manifestazione nello spazio sono dei temi molto dibattuti nella letteratura geografica contemporanea. Una fra le sfide che si è posta la geografia economica con la svolta relazionale è l’identificazione delle relazioni che l’impresa sviluppa con l’ambiente esterno, cioè comprendere il legame con il territorio (cfr. Rota, 2012). L’idea di base è che determinati esiti economici non sono solo frutto del comportamento razionale dell’agente economico, ma anche dall’esistenza di accordi sociali che plasmano strategie collettive ed obbiettivi comuni.

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Hess (2004) ripercorre l’utilizzo del termine in letteratura e la sua applicabilità alle varie scale geografiche. Si riconduce l’introduzione del concetto all’intellettuale Karl Polanyi. La sua riflessione si fonda sul fatto che i meccanismi di allocazione delle risorse non dipendono solo da convenienze economiche, ma anche da motivazioni e obbligazioni definite da elementi non quantificabili come tradizione e valori. Studiando l’evoluzione storica dell’economia, osserva che i sistemi economici non sono che specifici sistemi di scambio di volta in volta voluti dalla società. Anche lo stesso libero scambio può essere visto come un’economia dove si sono monetizzati gli elementi culturali e sociali degli individui. Successivamente Granovetter approfondisce la questione e valuta come il radicamento non sia presente genericamente a livello di sistema, ma nel concreto reticolo di relazioni personali.

L’attenzione per questo concetto sociologico emerge nella disciplina geografica quando l’interesse dei geografi converge sulle nuove regioni tecnologicamente avanzate, che facevano concorrenza alle storiche, ma in declino, regioni industrializzate. Attenzione empirica che coincide sul piano teorico alla considerazione che, per la spiegazione del successo delle regioni, oltre ai tradizionali elementi come agglomerazione e costi di transazione era necessario ricorrere anche a fattori non economici quali capitale sociale, fiducia e appunto radicamento (Ivi, p. 424).

L’attività economica intesa come prodotto della società e della cultura è stata letta, specialmente dal nuovo regionalismo, come un elemento cruciale per la competitività ed il successo delle regioni. Da qui l’importanza dell’azione collettiva e delle interconnessioni fra istituzioni per lo sviluppo socio-economico regionale. C’è un focus nel radicamento territoriale (territorial embeddedness), che analizza “fino a che punto un attore è ancorato ad un particolare territorio o luogo” (Hess, 2004, p. 177). Le imprese non sono indifferenti alla scelta localizzativa in quanto assorbono le dinamiche economiche e sociali dei luoghi in cui si sviluppano, sfruttando ad esempio i benefici dati dall’esistenza di economie di agglomerazione o politiche fiscali vantaggiose. Le imprese sono inserite in circuiti di relazioni economiche, sociali, tecnologiche. La prossimità spaziale viene vista come condizione necessaria per generare fiducia fra gli attori partecipi all’agenda di sviluppo per la regione. Ma in un contesto di globalizzazione, l’agire dell’impresa è legato unicamente al contesto locale?

La letteratura sulle le reti di produzione oltre a riconoscere l’importanza del radicamento territoriale per la creazione di valore (cfr. Henderson et al., 2002) tende a sottolineare come le reti non colleghino solo le imprese dal punto di vista funzionale, ma connettano anche luoghi diversi. LeGPN considerano il radicamento alla network (network embeddedness), ossia il fatto che i membri della rete si sentano parte costitutiva di una struttura articolata su più luoghi. Il grado di attaccamento degli attori alla rete dipende dalla stabilità, durata e convenienza delle relazioni intraprese. Riguarda, in ultima analisi, il grado di connettività funzionale e sociale degli attori alla rete (Coe, 2009, p. 559). È una forma di radicamento non locale in cui emerge come le relazioni abbiano una natura che non si fonda esclusivamente su principi contabili di dare ed avere. Alla luce di questo, la globalizzazione dunque “non è ovviamente un processo di sradicamento basato semplicemente su meccanismi di transazione di mercato e oggettiva fiducia, ma piuttosto un processo transnazionale (e quindi translocale) di costruzione di una rete o di radicamento, che crea e maniene relazioni personali di fiducia in varie, interrelate, scale geografiche” (Hess, 2004, p. 176). In questo senso, nei sistemi di produzione transnazionale gli attori non sono legati dalla prossimità fisica, ma dall’influenza, dal potere e dalla connettività (Coe, 2009, p. 556). L’esistenza di questo tipo di radicamento è molto importante nel quadro

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teorico delle GPN in quanto permette di superare il legame privilegiato che alcuni autori (cfr.

Bair, 2008) vedono fra relazioni interpersonali, radicamento e scala locale.

Se in via generale il contesto sociale dei luoghi in cui sono insediate le imprese influenza i valori, le priorità, le attese degli uomini di affari, dei lavoratori e delle comunità, c’è da rilevare che l’impresa, nella sua traiettoria di sviluppo, porta con sé i retaggi del contesto in cui nasce.

Ogni società si caratterizza per la propria varietà istituzionale e sociale, data dalla cultura, il sistema di formazione, le istituzioni finanziare, welfare, mercato del lavoro, per citarne alcune.

Risulta significativo nel coordinamento del processo produttivo il retaggio culturale delle imprese che ne partecipano. Emerge dunque un’altra forma di radicamento, quello sociale (societal embeddedness) (Coe et al., 2008, p. 280). Le imprese non sono slegate dai territori in cui sono localizzate, ma hanno memoria e dunque “crescono e continuano ad essere influenzate dal tessuto istituzionale e dai contesti sociali e culturali della forma particolare di capitalismo presente nel loro paese di origine” (Henderson et al., 2002, p. 451). Gli operatori hanno un loro modus operandi, derivante dalla cultura predominante dei luoghi in cui si sono sviluppati, che condiziona le loro azioni, strategie e percezioni. Il luogo è importante in quanto condiziona la cultura d’impresa. Luoghi diversi generano modi d’agire specifici: questo è percettibile in misura maggiore quando un attore si sposta in altre località ed è esposto ad altri sfondi culturali e politici.

Questa interconnessione fra società e substrato economico è importante in quanto una delle finalità dell’analisi attraverso le GPN è considerare come le interrelazioni fra attori determinino sviluppo per le imprese ed i territori che partecipano alla rete di produzione (cfr. Coe, 2009). A scala locale, l’esistenza di fattori endogeni di crescita come risorse umane, tecnologiche e istituzionali, non è condizione sufficiente per lo sviluppo. Infatti un attore che partecipa al processo di produzione può creare valore, ma può non massimizzare il potenziale economico del territorio perché c’è un disallineamento fra suoi bisogni strategici e quelli del territorio in cui è insediato. Ad esempio, se si assume che il territorio sia uno spazio delimitato da confini amministrativi, allora l’istituzione in quel caso ha l’obbiettivo di massimizzare il welfare materiale della società insediata in quello spazio, mentre l’impresa può porsi l’obbiettivo di massimizzare i profitti. Quale forza prevarrà e quale sarà l’esito per la località? In Liu e Yeung (2006) ben si spiegano le origini di una differente capacità di contrattazione fra attori economici ed istituzioni. Se l’impresa cerca di sfruttare economicamente delle risorse che hanno un’ampia diffusione geografica e per il cui accesso non c’è il condizionamento incisivo delle istituzioni, significa che lo spazio è indifferente e il potere è in gran parte dell’impresa che decide dove localizzarsi per sfruttare le risorse. Se le risorse sono concentrate in una località o lo stato ne controlla in maniera pervasiva l’accesso e lo sfruttamento, è l’istituzione in questo caso che ha maggior potere negoziale: la presenza e il contributo dell’impresa nel territorio dipendono dalle regole stabilite dallo stato.

Se così si possono stilizzare in linea generale le tendenze in campo, sono poi le specifiche circostanze che determinano l’effettivo esercizio di potere. Il lavoro empirico di Thomsen (2007) sull’industria dell’abbigliamento in Vietnam è significativo a proposito. Non solo lo stato può creare vincoli all’impresa globale nell’insediamento entro i suoi confini, ma ci possono essere barriere d’entrata anche per gli stessi fornitori vietnamiti, all’interno del contesto nazionale. Data la difficoltà dei grandi acquirenti esteri nell’entrare in contatto direttamente con i fornitori locali, c’è la preferenza per i primi di utilizzare canali istituzionali nell’approccio dei produttori vietnamiti. Dall’analisi emerge che vi sono condizioni economiche e politiche che

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determinano l’interconnessione degli stranieri con le imprese pubbliche vietnamite o le imprese private che per motivi etnici o geografici erano radicate in saldi circuiti economici durante il periodo dell’economia pianificata.