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Il processo di produzione secondo lo schema delle catene di prodotto

1. Organizzazione reticolare dell’economia

1.2. Connessioni fra imprese nell’economia globale

1.2.1. Il processo di produzione secondo lo schema delle catene di prodotto

sottolinea come empiricamente si rileva il ricorso anche a forniture che riguardano componenti non standardizzate, avanzate, dove a valutazioni di natura economica subentrano analisi concernenti il grado di capacità di apprendimento dell’impresa. Si allude al fatto che per l’impresa può essere troppo oneroso, anche in termini temporali, raggiungere un certo livello di conoscenza su uno specifico dominio per cui è conveniente ricorrere a risorse esterne. Nella vita economica reale, poi, si decide di affidarsi all’esterno perché ci sono altri elementi non monetari quali prossimità geografica, cognitiva, organizzativa, sociale, istituzionale che aiutano a risolvere il problema del coordinamento (Boschma, 2005). Inoltre, è possibile controllare l’opportunismo connesso a commesse complesse attraverso l’utilizzo di una serie di elementi come transazioni ripetute, reputazione, norme sociali del luogo o delle comunità (Gereffi et al., 2005, p. 81). In altre parole, non esiste solo l’anonimo mercato dei modelli neoclassici.

1.2. CONNESSIONI FRA IMPRESE NELLECONOMIA GLOBALE

1.2.1. Il processo di produzione secondo lo schema delle catene di prodotto

Si riconduce a Hopkins e Wallerstein (1986) l’introduzione del concetto di catene di prodotto negli studi sull’integrazione dell’economia. Il loro obbiettivo era di esaminare come i processi produttivi, presenti in diverse aree geografiche, facessero parte di una complessa divisione su scala globale del lavoro e come nel tempo queste relazioni internazionali fossero oggetto di ristrutturazione. Per gli autori, la catena di prodotto (Hopkins e Wallerstein, 1986, p. 159)

“riferisce a una rete di processi produttivi e lavorativi in cui il risultato finale è un prodotto finito1

Nonostante Bair (2005) marchi le differenze fra i due approcci

”. Si ricostruiscono sequenzialmente le operazioni che hanno concorso alla formazione del prodotto finito, individuando le fasi in cui si genera il valore. L’obbiettivo di questo approccio è spiegare l’economia capitalistica e dall’analisi ne deriva che l’obiettivo dell’imprenditore di minimizzare i costi di transazione comporta modifiche nell’organizzazione e nella geografia della produzione (cfr. Bair, 2008, pp. 347-8). Successivamente nel 1994 Gereffi e Korzenievicz, con l’opera Commodity Chains and Global Capitalism, riprendono la definizione di catena di prodotto di Hopkins e Wallerstein per dare il loro contributo allo studio sui cambiamenti spaziali della produzione e del consumo nell’economia mondiale. Il loro approccio viene denominato catene globali di prodotto (global commodity chain, GCC), definito come (Gereffi et al., 1994, p. 2) “insiemi di reti costruite fra organizzazioni, raggruppate attorno ad una merce o ad un prodotto, che collegano famiglie, imprese e stati l’uno all’altro nell’economia mondiale”.

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1 La definizione in inglese parla, precisamente, di finished commodity; si ricorda che in lingua inglese con commodity s’intende un prodotto o una materia prima che può essere comprata e venduta. L’aggettivo finished, esprimendo che qualcosa è stato completato, ha portato la scrivente a tradurre con il termine prodotto.

, l’espediente analitico in entrambi i casi è un oggetto composto da due elementi: i nodi, che sono le operazioni, i

2 Nonostante entrambi riguardino la divisione internazionale del lavoro connessa alla produzione capitalistica, per Bair (2005) ci sono differenze significative fra gli approcci delle due scuole. Il primo elemento di contrasto è nel contesto storico di riferimento. Per Hopkins e Wallerstein la globalizzazione è un processo che è emerso con il capitalismo nel sedicesimo secolo; per Gereffi e collaboratori, la

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processi; ed i legami che si riferiscono invece alle relazioni che uniscono sequenzialmente le operazioni. Hopkins e Wallerstein (1986, p. 166) descrivono dettagliatamente quali sono gli elementi qualificanti per ogni nodo. Per ogni operazione serve conoscere i flussi in uscita ed in entrata e le condizioni del trasferimento, le caratteristiche della forza lavoro, l’organizzazione della produzione in termini di tecnologia utilizzata e le caratteristiche dell’unità di produzione, la località geografica del nodo. I processi che si sviluppano nei nodi, caratterizzati per i loro attori, per i loro luoghi e per le loro scale geografiche, sono dunque collegati tra loro da relazioni che oltrepassano dei contenitori geografici predeterminati. Le reti non poggiano su basi astratte, su uno spazio omogeneo, come nelle teorie classiche della localizzazione. Infatti, come osservano Gereffi, Korzenievicz M. e Korzenievicz R. P. (1994, p. 2) “le reti sono specifiche a delle situazioni, costruite socialmente, ed integrate entro dei luoghi particolari, mettendo in rilevo il radicamento sociale dell’organizzazione economica”.

Nei contributi del libro di Gereffi e Korzenievicz del 1994, l’enfasi è sul ruolo della competizione e dell’innovazione nel determinare i cambiamenti storici nell’organizzazione dei processi produttivi. Si nota a questo proposito una correlazione fra benessere costruito in un nodo e regime di mercato: i nodi in cui si genera maggior benessere sono quelli in cui è presente minore pressione competitiva.

Anche Porter nell’opera del 1990 The Competitive Advantage of Nations sottolinea l’importanza di guardare, per analizzare la competitività, al comparto economico nel suo insieme; mentre per Porter la chiave per rispondere alle nuove opportunità dell’economia globale è la capacità dell’impresa di esercitare forme di flessibilità organizzativa, per i teorici delle catene globali di prodotto è fondamentale comprendere, sia in termini spaziali che temporali, l’organizzazione dei sistemi di produzione che sostengono le strategie competitive delle imprese e degli stati (Gereffi et al., 1994, p. 7). Il focus non è tanto sulle caratteristiche quantitative dell’organizzazione del sistema di produzione, bensì sulla sostenibilità dell’integrazione funzionale fra aree, che “richiede coordinazione amministrativa o la governance” (Ivi, p.10). Gereffi (1994) chiarisce cosa intende per governance quando discute sulle tre dimensioni principali delle catene globali di prodotto3

globalizzazione è un fenomeno contemporaneo, promosso dall’integrazione dei sistemi produttivi. In secondo luogo, le catene di prodotto servivano ai primi per dimostrare come le relazioni internazionali strutturavano e riproducevano un sistema produttivo stratificato e gerarchico, in cui si riproponeva il modello centro-periferia, mentre per i secondi l’interesse era spiegare come la partecipazione in reti globali di produzione poteva fare da traino al potenziamento industriale nei paesi esportatori.

. L’autore afferma infatti che ogni catena ha, in primo luogo, una struttura input-output, cioè è un insieme di prodotti e servizi collegati sequenzialmente attraverso attività economiche che creano valore aggiunto in ciascuna fase. In secondo luogo le catene hanno una loro territorialità, nel senso che possono essere concentrate o disperse spazialmente e costituite da unità produttive diverse per tipologia. Infine le catene sono caratterizzate da una struttura di governance, intesa come “relazioni di autorità e potere che determinano l’allocazione ed i flussi di risorse finanziarie, monetarie e umane” (Ivi, p. 97), essenziale per la coordinazione dei sistemi di produzione.

3 Bair (2005, p. 159) sottolinea che Gereffi, un anno più tardi, aggiunge il contesto istituzionale come quarta dimensione fondamentale delle global commodity chain. Questo aspetto non verrà mai esaminato in maniera approfondita dall’autore. Preferisce invece focalizzarsi su come la globalizzazione, che si stava manifestando in quegli anni, implicasse nuove forme di coordinamento e controllo, le quali a loro volta influivano nella composizione, organizzazione e geografia delle varie attività economiche.

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L’autore, in base ai paradigmi organizzativi osservati negli anni ′70 e ′80 individua due tipologie di strutture di governance. Si riferisce alle catene guidate dal produttore (producer-driven commodity chains), in cui vi è una grande impresa che, dalla sua sede amministrativa, riesce ad esercitare il controllo su tutto il sistema di produzione. Questa forma di governance è tipica del settore automobilistico, dell’informatica, dell’aviazione: trattasi di settori ad alta intensità di capitale, in cui è rilevante il ruolo della tecnologia e si esternalizza la fase di fornitura delle componenti. I profitti, per l’impresa leader, derivano dal grado di innovazione e dal raggiungimento di economie di scala. L’altra tipologia è la catena guidata dal consumatore (buyer-driven commodity chains) dove c’è tipicamente una grande impresa distributrice che costruisce una rete districata su più luoghi, soprattutto nei paesi in cui non sono presenti affermati processi di sviluppo economico. Si tratta di settori ad alta intensità di lavoro, finalizzati alla produzione di beni di consumo in cui le imprese nelle aree periferiche realizzano il prodotto finale sulla base degli accordi stipulati con gli operatori che pongono il marchio.

Risultano strategici l’innovazione di prodotto, il design, la reputazione del marchio e la distribuzione commerciale. Questa forma di governance testimonia il fatto che ci possono essere degli attori economici, come i grandi acquirenti, che riescono ad esercitare una forte forma di controllo su imprese spazialmente disperse anche non svolgono direttamente attività di produzione o non possedendo infrastrutture di trasporto o strutture di trasformazione. Yeung (2001, p. 304) offre un importante parallelismo fra questa tipologia di rete e l’economia globale vista nella teoria della New International Division of Labour. Per quest’ultima una disomogeneità nei costi determina l’incentivo per la tradizionale impresa verticalmente integrata a portare delle fasi produttive in località meno sviluppate economicamente. Nelle catene di prodotto, a livello teorico, la natura e l’organizzazione della produzione risente della spazialità della località, facendo sì che i nodi che costituiscono la rete non siano caratterizzati solo per comportare vantaggi nei costi di produzione.

Riassumendo nell’organizzazione dell’economia osservata da Gereffi, ciascuna unità di produzione è caratterizzata da un regime di mercato (i.e. concorrenziale, oligopolistico, monopolistico) e si creano modalità di supervisione del processo produttivo differenti (e.g.

legami di proprietà, relazioni di mercato) che legano le fasi produttive. Il grado di controllo del sistema produttivo e, dunque, la dimensione organizzativa e spaziale dei processi produttivi, dipendono in maniera cruciale dal potere di mercato dell’impresa. Un’impresa crea potere di mercato principalmente attraverso due modalità: da un lato attraverso la reputazione e la riconoscibilità del marchio, dall’altro, attraverso l’introduzione di innovazioni e le economie di scala.

L’organizzazione delle catene di prodotto rileva la natura transcalare del sistema economico mondiale. La costruzione a rete4

4 È opportuno ricordare che oltre alle catene di produzione, la scuola francese ha proposto il concetto di filière per studiare l’organizzazione dell’economia, in particolare il settore agricolo negli ex-territori francesi d’oltremare. Data la difficoltà di rintracciare un tratto teorico distintivo e la preferenza per l’aspetto quantitativo legato alle relazioni lungo il processo produttivo, il suo contributo allo studio della spazialità dell’economia è limitato. Si rimanda al lavoro di Raikes et al. (2000) per un suo approfondimento.

delle relazioni economiche risulta in tal modo efficace per

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comprendere la dinamica delle imprese transnazionali e dell’incisività delle relazioni internazionali per la crescita economica della località5

Molti autori (cfr. Dicken et al., 2001, p. 99) lamentano come il sistema di governance non sia l’unico aspetto qualificante delle catene globali di prodotto, anche se nei contributi empirici l’attenzione verte su questo. In Celata (2009, p. 126) ad esempio si evidenzia che lo spazio in cui si sviluppano le relazioni input-output fra imprese non è nella realtà indifferenziato e le imprese non sono impermeabili alle caratteristiche del territorio in cui sono localizzate. Lo studio della spazialità in cui si sviluppano le catene di prodotto si è concretizzato però con la mera ricostruzione geografica della distribuzione dei nodi e dei flussi di scambio per ogni prodotto finito o settore di attività. Si deve a Dicken e Malmberg (2001, p. 355) la considerazione delle imprese come organizzazione sociale con la propria spazialità e territorialità. Mentre per spazialità s’intende che l’impresa sia sensibile nelle sue scelte a considerazioni legate alla prossimità geografica (e.g. disponibilità di risorse, mercato potenziale), per territorialità si attribuisce il significato che le imprese vengano viste come un prodotto del territorio e allo stesso tempo soggetti in grado di influenzare direttamente i territori in cui sorgono. Nelle GCC non si riconosce di fatto questa relazione biunivoca fra impresa e luoghi, c’è solo consapevolezza della dimensione spaziale.

.

In secondo luogo, le analisi empiriche eseguite con le catene di prodotto sottovalutano di fatto il ruolo delle istituzioni. In primo luogo, cosa sono le istituzioni? Una citazione di Boschma (2005, p. 68) del lavoro del 1997 Institutions and organizations in systems of innovation di Edquist e Johnson è utile alla comprensione: sono un “insieme di abitudini comuni, routine, pratiche assodate, regole, o leggi che ordinano le relazioni e le interazioni fra individui e gruppi” (Ibid.). Definiscono quindi un quadro entro cui i soggetti si possono muovere, chiarendo cosa è possibile o non è possibile fare. L’effetto è che il raggio d’azione del soggetto viene prestabilito in determinati canali, le istituzioni appunto, e questo per l’impresa vuol dire ridurre l’incertezza ed abbassare i costi di transazione. A livello globale la loro esistenza implica che ci sia un clima stabile e prevedibile che consente lo svolgimento, in maniera ordinata, delle operazioni economiche (Gertler, 2010). Se l’istituzione più conosciuta è lo stato, non è da dimenticare che oltre ai vincoli formali dati da regole e leggi esistono altre modalità di regolamentazione, come le istituzioni informali, costituite da usi, abitudini e norme culturali. Specificato questo si ritorni alle GCC. Gereffi (1994, p. 100) riconosce dal punto di vista teorico l’importanza delle politiche dello stato nelle relazioni industriali. Afferma ad esempio che nelle catene guidate dal consumatore, lo stato risulta un facilitatore: non è coinvolto direttamente nella produzione ma cerca di creare supporto in termine di predisporre infrastrutture, stabilire norme doganali favorevoli, agevolare l’accesso al credito. Nelle catene guidate dal produttore, lo stato fa una politica più interventistica, promuovendo le esportazioni, la formazione di joint venture o coinvolgendo se stesso nella produzione. Celata (2009) sottolinea che pur riferendosi esplicitamente all’istituzionalismo, nella pratica, nelle analisi svolte con le catene di prodotto il processo produttivo viene inserito per lo più in un contesto

5 L’inserimento di imprese in catene globali può determinare per le regioni periferiche occasioni di sviluppo quando, ad esempio, imprese occupate in attività poco specializzate avviano con il tempo attività più specializzate ed a più alto valore aggiunto. Ad ogni modo, l’inserimento di imprese all’interno di reti, può essere un’opportunità di sviluppo ma anche determinare maggiore vulnerabilità in quanto l’inserimento in circuiti globali può determinare l’esposizioni a dinamiche e relazioni di potere che hanno origine altrove (Celata, 2009, p. 130).

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istituzionale di de-regolamentazione, dove dunque lo stato condiziona in tono minore l’attività economica. Dunque, l’approccio delle GCC fa sì che si sopravvaluti il ruolo delle imprese che hanno di fatto la coordinazione della catena di prodotto e che si dia poco peso ai fattori contestuali che impattano le scelte decisionali degli operatori economici. Questi elementi portano a sottovalutare il legame dell’agire economico al territorio e l’importanza delle relazioni locali nel sostenere la competitività delle imprese (Ivi, p. 128). Complessivamente, l’apparato sminuisce la portata dei luoghi nel determinare la spazialità dell’impresa.