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II. LUCA WADDING: CONTESTO STORIOGRAFICO E BIOGRAFIA

2. Luca Wadding

2.3 Le opere

Nonostante le varie mansioni svolte, l’irlandese non interruppe mai la sua incessante attività di erudito e di scrittore. In questo paragrafo, la descrizione puntuale delle sue opere consentirà un ulteriore avvicinamento al metodo critico da lui messo in atto, nonché la conoscenza dei manoscritti e dei codici che egli aveva a disposizione, o, che, comunque, ebbe l’opportunità di consultare.

L’opera più importante di Luca Wadding è rappresentata dalla monumentale storia, suddivisa in otto volumi, dell’Ordine francescano dal 1208 al 1540. 251

Gli Annales Minorum, in quibus res omnes trium ordinum a S. Francisco institutorum ex fide asseruntur, calumniae refelluntur, praeclara, quaeque monumenta ab oblivione vendicantur252 vennero pubblicati tra il 1625 e il 1654.

250 Cf. G. B. Fidanza 2016, p. 13. 251 Cf. B. Pandzic 1977, p. 657.

252 Buffon descrive dettagliatamente il contenuto degli Annali. Rispettivamente il primo volume include gli

avvenimenti fino al 1250; il secondo tratta i cinquant’anni successivi; infine, il terzo è concentrato sugli eventi riguardanti la nascita e gli sviluppi dell’Osservanza. Lo stesso identico percorso, poi, continua lungo tutto il quarto volume, riguardante i fatti della Regolare Osservanza, dagli anni 1351 e 1400. Nel Quinto predomina la figura di Bernardino da Siena. Esiguo è il contenuto del sesto che narra i 25 anni successivi, per poi dedicarsi alla figura di Giovanni da Capestrano Anche nell’ottavo e nel settimo volume, si esalta il valore di singole personalità, rispettivamente i cardinali Ximenes e Quinones, e, in aggiunta, viene presentata l’opera di evangelizzazione nel Nuovo Mondo e in Asia. Buffon, al fine di aiutarci a giungere a una quanto più possibile completa visione dell’opera, riporta le parole esatte del Wadding: «Nel primo tomo abbiamo raccolto numerose notizie di Santi Confessori e compagni di S. Francesco; nel secondo è seguita la vendemmia del mostro, cioè del sangue di moltissimi martiri; ora ci accingiamo alla seminagione del terzo, cui siamo principio, mentre possiamo già intravedere l’esito della semina e l’inizio dell’ampia istituzione che prende il nome dell’osservanza della Regola (…) Abbiamo visitato tutte le province, siamo entrati in più di mille e seicento conventi finché, solcato il mare alto e tempestoso, abbiamo imboccato

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Fin dal titolo dell’opera emerge una sfumatura polemica: la storia dell’Ordine è esaltata, con l’esplicita intenzione di reagire contro tutti i detrattori dei francescani.253 È l’autore stesso, nella prefazione, ad affermare che l’opera intera è indirizzata a Bzowski, o meglio, è volta a ribattere l’offesa lanciata da quest’ultimo, il quale viene definito «omnium franciscanorum hostium»254

Nel dettaglio, il domenicano Abraham Bzowki255 aveva calunniato, in diverse occasioni, l’Ordine francescano: tra le varie accuse vi era quella di scarsa erudizione.

Secondo alcuni studiosi, Wadding avrebbe lasciato trasparire anche un altro scopo, questa volta piuttosto innovativo: l’autore voleva dimostrare che, sebbene la famiglia minorita si caratterizzasse per la pluralità delle istituzioni, essa fosse unita. Perciò, secondo il frate irlandese, la distinzione istituzionale, proclamata da Leone X, avrebbe avuto il solo scopo di estinguere i conflitti esistenti tra le due correnti. Al contempo, una concreta unità si sarebbe potuta attuare esclusivamente, in una prospettiva pontificia: solo mediante l’obbedienza al Vicario di Roma le due correnti dell’Ordine avrebbero potuto cominciare a considerarsi legate. 256

L’opera rientra, quindi, pienamente nella storiografia erudita barocca, evitando però di identificarsi con la polemica antiprotestante, dal momento che il focus si concentra sulle vicende dell’Ordine o comunque interne al cattolicesimo.257

l’alveo tranquillo del fiume della Regolare Osservanza» Si comprende, dunque, che pur presentando la storia universale dell’Ordine, il punto di vista dell’Osservanza è ancora prevalente. Cfr. G. Buffon 2011, p 87.

253 Cf. S. Bertelli 1973, p. 141. 254 Cf. G. Buffon 2011, p. 87.

255 Abraham Bzowki fu un domenicano polacco, continuatore degli Annales del Baronio. Ivi., p 89. 256Ivi, pp. 88- 94.

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Il modello principale è rappresentato dagli Annales Ecclesiastici di Baronio:258 questi ultimi, composti in opposizione ai Magdeburgesi259 e in difesa della religione cattolica, si configurarono come un modello per le composizioni storiche di impronta cattolica successive. Di fatto, l’autore non riuscì a liberarsi completamente della tendenza apologetica dottrinale del predecessore, attribuendo più importanza alle questioni ecclesiastiche piuttosto che a quelle storiche. Imitò il Baronio anche dal punto di vista critico, specificando, nello spazio a disposizione nei margini della pagina, la fonte da cui ricava le informazioni.260

Ad ogni modo, l’opera del Wadding è da considerarsi innovativa e unica in riferimento all’epoca storica in cui si inserisce. Il maggior pregio che viene attribuito agli Annales è la considerevole quantità del materiale raccolto. La ricerca delle fonti fu così impegnativa da coinvolgere l’intervento di molti confratelli. Basti pensare all’iniziativa del Ministro Generale, Benigno da Genova, il quale, il 20 aprile 1619, sollecitò tutti i Ministri Provinciali a mandare a Roma quante più informazioni possibili riguardo alla storia della rispettiva provincia.261 In aggiunta, l’annalista poté servirsi di alcuni collaboratori, i quali andavo a raccogliere informazioni presso diversi archivi: P. Bartolomeo Cimarelli consultò le biblioteche d’Italia e il cooperatore P. Giacomo Polius svolse la stessa identica funzione in Germania. Inoltre, l’annalista, ricevette il permesso, dalla curia generalizia di Aracoeli, di attingere a un gran numero di codici e di pergamene; si recò anche presso gli archivi dei frati minori conventuali.262 Infine, non irrilevante è il fatto che

258 Gli Annales Ecclesiastici di Baronio, all’epoca, godevano di una considerevole importanza: Baronio fu

il primo storiografo erudito a elaborare, opponendosi alla polemica protestante, un’opera sulla storia ecclesiastica. Tuttavia, con i suoi Annales, l’autore non fece grandi passi avanti per quanto riguarda il metodo critico, tanto che, allo stesso modo dei suoi avversari, la sua operazione fallì, soprattutto, nei luoghi caratterizzati dalla tendenza confessionale. Se, infatti, l’oratoriano svolse con maggiore precisione alcune operazioni (ad esempio, valutò le fonti medievali con maggiore attenzione; non utilizzò come testimoni per il XIII secolo alcuni compilatori moderni, nonché sfruttò il materiale documentario inedito) il suo approccio alla storia non si discostò da quello dei suoi avversari, volto a leggere gli avvenimenti come prova dell’autenticità e superiorità della Chiesa Cattolica. Inoltre, secondo un’espressione battezzata da Fueter avviò il «moderno metodo di velare le cose»: egli, cioè, tralasciava di trattare determinate questioni, facendo emergere elementi secondari piuttosto che quelli principali; contribuiva a portare ancor più oscurità su precise vicende. Cf. E. Fueter 1943, pp. 338 – 339.

259 Si tratta delle Centurie di Magdeburgo, le quali costituirono la prima polemica storica di carattere

protestante, avulso dalle opere storiche umanistiche. L’importanza rivestita dai centuriati risultò importante: fu con questi ultimi che la tradizione storica inizierà ad essere sottoposta al vaglio critico, con l’unico scopo di trarre materiale per la storia della Chiesa. Risulta ancora forte l’influenza data dalla volontà di ritrovare un appoggio critico allo scopo encomiastico confessionale. Ivi, p. 320.

260 Cf. B. Panzdic 1957, p. 277. 261 Ivi, p. 275.

262 molte fonti degli Annales Minorum provengono dall’archivio del convento di S. Francesco d’Assisi a

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il francescano, mediante l’autorizzazione conferitogli dai Vicari di Cristo Gregorio XV e Urbano VIII, poté ricercare materiale all’interno dell’Archivio segreto Vaticano.263

Vista l’ampia operazione di raccolta, non sorprende il gran numero di opere citate come fonti negli Annales. A queste si devono aggiungere le biografie duecentesche. Innanzitutto, lo storico padroneggiava senza alcuna difficoltà le più antiche leggende: utilizzò le biografie composte da Tommaso da Celano; la Legenda maior di Bonaventura; la Legenda trium sociorum; lo Speculum vitae beati Francisci et sociorum eius e i Fioretti. Ancora, l’annalista era fornito dell’Expositio in Regulam, dell’Historica septem tribulationum Ordinis e dell’Arbor vitae crucifixae Jesu.264 Di fondamentale importanza per la composizione dell’opera furono anche gli scritti del Santo assisiate; in taluni casi, l’autore riportò integralmente il testo. Inoltre, egli, fu, sicuramente al corrente delle fonti Di San Domenico e, in particolare, della vita composta da Teodorico di Apolda.265

Numerose furono, poi, le compilazioni più tarde da cui attinse diverse informazioni: primo tra tutti il Fasciculus Chronicarum, della stretta dipendenza dal quale si è già parlato.

Per quanto riguarda la storia generale, egli si avvalse delle compilazioni del cronista inglese, Matteo Paris e di Vincenzo di Beauvais; rientrava nelle sue conoscenze anche la Historia orientalis di Giacomo da Vitry. Costante è il suo rifarsi ad Antonio da Firenze, aggiungendovi, tuttavia, in molti luoghi correzioni e rettifiche. Si servì, poi, di diversi autori per la storia delle singole regioni: per quanto riguarda Milano, ad esempio, utilizzò la Storia di Bernardino Corio mentre per l’esposizione di alcuni eventi bolognesi adoperò le opere di Carlo Sigonio.266 Infine, per tre citazioni contenute negli Annales e sedici negli Opuscula, Wadding si rifece al cosiddetto “Floreto”. Oggi si è abbastanza concordi con l’identificare il Floreto, citato dal Wadding, con El floreto de San Francisco.267

263 Ivi, p. 278.

264 Cf. F. Casolini 1939, p. 123. 265 Cf. F. Casolini 1939, p. 100. 266 Cf. R.Manselli 1983, pp. 12-13.

267 Per molti anni gli studiosi hanno espresso diverse incertezze circa l’identità di tale compilazione. Tali

difficoltà spiegano col fatto che, talvolta, sia negli Annales sia negli Opuscula, l’autore confondendo i fioretti con il Floreto, citò entrambi allo stesso modo. Convincente si configura l’ipotesi di Luigi Celucci circa l’origine dell’equivoco: lo studioso irlandese, avendo iniziato la sua edizione degli scritti in Portogallo

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Dopo una prima fase di raccolta di quest’ultimo, il Wadding si dedicò a l’esame analitico di quest’ultimo. Significative, a tal proposito, sono alcune sue interpretazioni filologiche. Ad esempio, in alcune fonti, l’espressione de septemsoliis veniva decodificata come il cognome del nome Jacopa a cui era accostata; Wadding invece, non rinvenendo nessuna famiglia con questo cognome e osservando che la donna abitò in un luogo chiamato septemsoliis, parafrasò questa locuzione come il luogo della abitazione.268 Anche gli emendamenti attuati nei confronti nella compilazione di Francesco Gonzaga testimoniano un meticoloso approccio critico alle fonti.269

È facile intuire l’enorme successo di cui godettero gli Annales: tale ammirazione era dovuta alla diminuzione dell’eccessivo grado di idealizzazione e di soggettività, caratteristiche tipiche della storiografia precedente, a favore di un metodo più oggettivo e di un’attenta analisi delle fonti.270

Tuttavia, alcuni studiosi moderni ne hanno sottolineato le criticità. Innanzitutto, al pari dei predecessori, il frate irlandese avrebbe avuto la tendenza a far coincidere la storiografia con l’elaborazione erudita. Inoltre, talvolta, egli avrebbe mostrato una scarsa capacità critica, servendosi sia di materiale valido sia di fonti meno fedeli. A questo errore si aggiunse l’adunanza di testimonianze più datate assieme ad altre più recenti. 271

Un’altra mancanza da attribuirgli sarebbe l’incapacità di inserire le vicende dell’Ordine minoritico all’interno della più ampia storia della Chiesa e della società: di conseguenza, l’opera si presenterebbe più come una cronaca annalistica che come una storia generale.272

e in Spagna, molto probabilmente sarebbe venuto a conoscenza dell’edizione spagnola del Floreto, ma una volta giunto in Italia avrebbe confuso tale opera con i Fioretti, a causa della equivalenza del titolo di alcuni paragrafi e dell’affinità di alcuni passaggi. D’altronde, la compilazione spagnola non doveva essergli del tutto sconosciuto. In quanto fonte delle Cronache di Marco da Lisbona. Cf. Celucci 1987, p. 84.

268 Cf. Pandiz p. 280

269 Ad esempio, Francesco Gonzaga era convinto che il motivo del nome dell’oratorio contenente le spoglie

di S. Margherita, ossia S. Basilio fosse dovuto alla precedente appartenenza ai basiliani. l’irlandese, invece, ritrovò un documento con il quale il vescovo, nel 1290, dava il permesso a Margherita di costruire una Chiesa, col titolo di S. Basilio, S. Egidio e S. Caterina. Cf. Panzdic pp 280- 281.

270 Cf. Buffon 2011, p. 110.

271 Cf. Da Campagnola 1979, p. 112. 272 Ivi, p. 113.

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Per finire, in taluni passaggi, l’annalista non riuscì a svincolarsi da una connotazione eccessivamente agiografica ed elogiativa.273

La seconda grande impresa portata a termine dal frate irlandese è l’Opera Omnia di Duns Scoto. Tale operazione era stata voluta dal Capitolo Generale del 1633, allo scopo di dimostrare, per mezzo dell’uniformità editoriale, la coerenza del pensiero filosofico e teologico integrale di Scoto:274 «ut quantum fieri poterit conservetur, etiam in Ordine nostro, uniformitas philosophicarum sentetiarum subtilissimi nostri Doctoris.»275 Effettivamente, alcuni scritti del teologo circolavano singolarmente, spesso, in fogli consumati e antichi, talvolta trascritti in caratteri illeggibili e contenenti gravi errori. In aggiunta, molti libri erano ancora inediti. Molto probabilmente tale situazione agevolava gli avversari anti-scotisti nella diffusione delle loro idee contro il filosofo scozzese.276

Per la realizzazione di quest’opera, il frate venne affiancato dai teologi John Punch e Antonio Hickey, entrambi lettori in teologia presso il Collegio di Sant’Isidoro. Il Ministro Generale attribuì a questi ultimi il lavoro tipografico a Lione, che consisteva nella correzione delle bozze.277 L’editore, infine, si servì anche di alcuni amanuensi, come è testimoniato dalle cedole di pagamento ritrovate nell’archivio di Sant’Isidoro: in esse, esattamente, compaiono i nomi di Giovanni di Paderboni; Giovanni di Munster, e, infine, di Tito de Wende Maestriche. Grazie a questa cooperazione, il Wadding terminò l’opera in soli quattro anni e nel 1637 venne pubblicata.

A questo punto, è interessante soffermarsi sul metodo critico che lo studioso stesso esplicitò nella prefazione generale dell’opera. In un primo momento, l’editore avrebbe svolto la collazione tra le edizioni già esistenti e i codici manoscritti; si sarebbe, poi, dedicato alla correzione degli errori, segnalando le varianti a margine; avrebbe diviso il testo in capitoli, paragrafi e articoli. Autorevole fu poi il lavoro di emendamento svolto sulla base di recenti edizioni delle citazioni scritturali e patristiche. Infine, il frate curatore si vantò di aver incluso nella sua Opera Omnia, anche scritti inediti del teologo. Tuttavia, alcuni filologi moderni esprimono

273 Ivi, p. 117

274 Cf. Scaramuzzi 1930, p. 389. 275 Cf. D. Scaramuzzi 1930, p. 389 276 Cf. C. M Balic 1957, p. 487. 277Cf .D. Scaramuzzi 1930, p. 386.

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parecchi dubbi circa l’autenticità di alcune opere che l’editore considerò originali.278

Per quanto riguarda i testimoni, secondo lo Scaramuzzi, il numero di codici di cui il consacrato si servì fu piuttosto esiguo: esattamente, lo studioso cita il Vaticano 876, appartenente al futuro Papa Niccolò V e il codice manoscritto di S. Francesco a Ripa, il quale venne offerto da Filippo Barberino, protonotaro apostolico, ai frati di San Francesco da Ripa. Accanto a questi, inoltre, l’autore francescano si sarebbe servito di codici secondari: quello di S. Maria del Popolo; quello del Collegio benedettino di S. Gregorio di Roma, sulla base del quale, in particolare, curò l’opuscolo In universam logicam quaestiones Porphirii.279 E, ancora, adoperò il manoscritto di S. Martino di Lovanio.280 Per l’emendamento del testo De anima si servì di altri tre codici Vaticani.

Il ms. Vaticano 869 venne invece consultato per l’opera Quaestiones miscellaneae formalitatibus. Infine, egli pubblicò il trattato De cognitione Dei, sulla base del Vaticano 890.281

Tuttavia, a questi codici, altri studiosi hanno affiancato le edizioni già esistenti degli scritti di Duns Scoto, a cui il francescano avrebbe attinto: a tal proposito, Scaramuzzi afferma che, per l’edizione dell’Oxoniense, le tre edizioni veneziane (quella di Tommaso Pencket, del 1477; quella curata da Filippo Bagnacavallo e pubblicata nel 1505; e l’edizione di Maurizio di Porto, del 1522) avrebbero affiancato sei manoscritti Vaticani.

Di diversa opinione è, invece, Charles M. Balic, per il quale l’editore, almeno per quanto riguarda l’Oxoniense, si sarebbe basato, interamente, ad esclusione dei commentarii, sull’edizione di Maurizio da Porto e di Hugo Cavellus. Per questo motivo, occorrerebbe considerare il testo come una perfetta riproduzione di quello stabilito da Cavellus.282

278 Ad oggi il numero di scritti che i filologi moderni attribuiscono a Scoto è piuttosto esiguo; nel dettaglio

gli studiosi dichiarano l’autenticità delle seguenti opere: l’Oxoniense, i Reportata, il Quodlibetum, il De

primo rerum omnium principio, i primi nove libri delle Quaestiones metheorologicae, il trattato De anima,

e, infine, l’opuscolo Logica. Ivi., p. 409.

279 Ivi, cit., p. 391. 280 Ivi, p. 389. 281 Ivi, pp. 392- 393.

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Nella ricostruzione del metodo critico del filologo irlandese è importante anche lo studio delle opere minori. Nel 1650 realizzò l’opera intitolata Scriptores Ordinis Minorum: si tratta di un vero e proprio dizionario biografico. L’autore riportò l’elenco dei maggiori eruditi appartenenti all’Ordine francescano. Tra questi, il filologo inserì anche il suo nome, affiancato dal titolo delle opere da lui già realizzate e di quelle che avrebbe composto da lì a pochi anni. All’origine di tale iniziativa vi fu la solita accusa, rivolta ai francescani, di scarsa istruzione, la quale non lasciò mai indifferente il sapiente.283

Alla difesa dell’ordine è rivolto, ugualmente, l’Apologeticus de praetenso Monachatu S. Francisci. L’opuscolo, che l’autore allegò al primo volume degli Annali nell’edizione pubblicata a Lione, consiste in una serie di argomentazioni contro la tesi agostiniana: quest’ultima prevedeva che Francesco d’Assisi avesse seguito, per tre anni, la Regola degli Eremiti Agostiniani e fosse stato guidato spiritualmente dall’agostiniano Giovanni Bono. Attualmente, molti studiosi ne sottolineano la dipendenza dal Defensorium Veritatis di Mariano da Firenze,284 tanto da affermare che l’irlandese non avrebbe fatto altro che ampliarne e trasformarne solo parzialmente il contenuto.285

Inoltre, Wadding fu curatore della pubblicazione della Concordantiae Sacrorum Bibliorum Hebraicorum del dottor generale di lingua ebraica, il minorita Mario da Calascio, morto poco tempo prima. A partire da questa esperienza, nonché stimolato dall’istruzione ricevuta da Francesco Castiglia compose il trattato De Hebraicae linguae origine praestantia et utilitate. Come è già intuibile dal titolo, in quest’opera egli cercò di rintracciare le origini della lingua, per poi soffermarsi a esporre l’utilità di tale idioma, che egli definì la matrice delle altre delle altre lingue.286

283 Cf Buffon 2011, p. 134.

284 L’opera faceva parte del Fasciculus Chronicarum e con esso è andato perduto. Ne conosciamo il

contenuto per mezzo delle tre copie pervenuteci. Cino Cannarozzi ne ha presentato un’ottima sintesi: «Precede un prologo. Cap. I-VII: confutazione dell’opinione di Giacomo da Bergamo, il quale aveva scritto che S. Francesco era stato eremita agostiniano. Cap. IX – XVI: Polemica coi Domenicani intorno ad argomenti vari e specie sulla precedenza dei due Ordini nella professione della povertà. Cap. XVII- XVIII: Rivendicazione della B. Verdiana da Castelfiorentino al Terz’Ordine Francescano. Cap XIX: Rivendicazione allo stesso Terz’Ordine del P. Torello da Poppi. Cap XX: Eguale rivendicazione del B. Giacomo della Pievre. Cap XXI: in che senso si può ritenere che la B. Chiara da Montefalco sia stata Agostiniana, essendo anche francescana.» Cfr. C. Cannarrozzi 1939, pp. 267 – 268.

285 Ivi., p. 256. 286Ivi., p. 200.

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Seguono poi tre biografie realizzate dal francescano. Innanzitutto, la Vita B. Petri Thomae Aquitani. In questo caso, l’edizione venne pubblicata nonostante l’errore, nel quale Wadding incorse: l’irlandese, nel corso delle sue ricerche aveva letto il nome di un tale Pietro Teutonico, Vescovo di Piatti e predecessore di Pietro Tommaso; confondendolo con quest’ultimo, attribuì al primo ciò che spettava al secondo. L’erudito curò, poi, l’edizione della Vita et res gestae B. Jacopi Piceni redatta, in esametri, da Giovan Battista Petrucci.287

Infine, l’irlandese realizzò l’edizione della biografia di San Anselmo, vescovo di Lucca dal 1074 al 1081: la Vita s. Anselmi episcopi Lucensis.288

A queste opere devono aggiungersi gli scritti incompiuti o di cui il religioso lasciò solo una bozza progettuale: di essi rimangono indizi negli Annales, negli Scripteres Ordinis Minorum, nonché nella Vita, composta da Harold. Ad esempio, Luca aveva iniziato a chiedere documenti e a promettere la sua collaborazione e quella del P. Antonio Hiquey, in vista della realizzazione degli Annali d’Irlanda. Allo stesso modo, secondo quanto riferito dal nipote, è molto probabile che l’irlandese avesse raccolto parecchio materiale e preparato un disegno generale per la realizzazione di una Storia delle Diocesi. Infine, alcune schede di appunti testimoniano la sua intenzione di ideare le vite di alcuni Pontefici, da Clemente VIII a Innocenzo X. 289