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1.4. I sistemi di corporate governance: classificazion

1.4.1. Outsider system e insider system

La distinzione tra sistemi outsider e insider deriva dal riconoscimento che il con- trollo sulla gestione delle aziende e sul raggiungimento di obiettivi soddisfacenti può avvenire dall’esterno, per effetto dell’efficiente funzionamento del mercato dei capita-

del sistema bancario. Scrive ad esempio Moro Visconti: «Una fondamentale distinzione deve anzitutto essere fatta tra modelli ancorati o, rispettivamente, non baricentrati, sul mercato dei capitali. […] L’outsider system ha il suo perno su un sistema di finanziamento a titolo di capitale di debito e di ri- schio rappresentato dal mercato dei capitali, con azionisti frammentati e maggioranze instabili; […] l’insider system è incentrato su un sistema di finanziamento non orientato al mercato, in cui prevalgono gli azionisti di riferimento […], che assicurano un controllo stabile e sono collegati a finanziatori tipi- camente rappresentati da banche». Moro Visconti R. (2000), “Baricentro e convergenza dei sistemi di governance, grado di concentrazione proprietaria e creazione di valore”, in Tarallo P. (a cura di), Cor- porate governance. Principi di gestione nell’ottica del valore, FrancoAngeli, Milano, p. 50.

Ai fini del presente lavoro, pare più utile riflettere in termini di meccanismi di controllo attivati, ri- cordando allo stesso tempo che la finalità della governance consiste nel comporre equamente gli inte- ressi confluenti in azienda: ne deriva quindi la necessità di prestare un’attenzione particolare alle attese di coloro che conferiscono le risorse finanziarie, privilegiando modalità differenti a seconda dei contesti economici.

li, oppure dall’interno, ad opera dei soggetti interessati a mantenere relazioni durevoli con l’impresa.

L’outsider system è definito anche market-oriented system in quanto ha validità in presenza di un elevato numero di grandi imprese quotate, a proprietà altamente frazio- nata e diffusa, in cui può verificarsi un conflitto di interessi tra gli azionisti e il mana- gement54: le due categorie, infatti, tendono a non coincidere, perché gli investitori non sono interessati all’azienda se non per quanto concerne la sua redditività e la conse- guente capacità di distribuire dividendi55.

L’efficacia del modello di governance in oggetto dipende dalla possibilità che, ac- quistando una certa quantità di azioni sul mercato, un soggetto possa contendere il controllo a chi lo detiene in quel momento ed assicurarsi il diritto a sostituire il mana- gement56. Il controllo da parte del mercato consiste proprio in questa situazione: nei suoi prezzi, il mercato riflette e giudica la performance che l’azienda ha ottenuto sotto la direzione del management e se, questa non è del tutto apprezzabile, la quotazione si abbassa, segnalando la sfiducia verso gli attuali dirigenti e aprendo la strada ad un ta- keover. La nuova proprietà nominerà i nuovi organi e, tramite questi, il management in sostituzione di quello attuale, che non ha saputo massimizzare il valore delle azio- ni57. Il cambio dei vertici dovrebbe altresì favorire l’individuazione di nuovi percorsi di crescita dell’impresa, sovente anche per mezzo:

 dell’attivazione di nuovi rapporti esterni (tipicamente di partnership);

54 Secondo Forestieri, la caratteristica principale dell’outsider system consiste proprio nell’assunto che un mercato dei capitali efficiente sia il meccanismo migliore per risolvere il conflitto di interessi tra azionisti e manager, a patto che l’assetto di controllo, ossia la proprietà, dell’impresa sia contendibile. Si veda al riguardo Forestieri G. (1998), “La corporate governance negli schemi interpretativi della let- teratura”, in Airoldi G. e Forestieri G. (a cura di), Corporate governance: analisi e prospettive del caso italiano, Etaslibri, Milano, p. 8.

55 Bresciani afferma che questa estraneità degli azionisti dalla gestione aziendale è il fondamento che giustifica la qualifica di sistema “esterno” di governance. Cfr.: Bresciani S. (2003), La corporate governance nel sistema impresa: prospettive di analisi e relazionali. L’esperienza americana, Giappi- chelli, Torino, p. 162.

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Il meccanismo descritto funziona perfettamente quando i titoli scambiati sul mercato sono quelli di una public company propriamente detta, che secondo Barca è caratterizzata non dal modo in cui il controllo viene esercitato, ma da come esso può venire perso: «senza necessità, né di un atto di consen- so da parte di chi il controllo esercita, né di una revisione di precedenti accordi strategici, bensì attra- verso l’acquisto di un numero sufficiente di diritti di voto». Barca F. (1993), “Allocazione e rialloca- zione della proprietà e del controllo delle imprese: ostacoli, intermediari, regole”, Banca d’Italia, Temi di discussione, n. 194, p. 46.

57 Cfr.: Fortuna F. (2001), Corporate governance. Soggetti, modelli e sistemi, FrancoAngeli, Mila- no, p. 90.

 di interventi di carattere strategico in ambito produttivo, commerciale e di ricerca (ingresso in altri settori di attività, studio di nuovi prodotti e processi, apertura ver- so nuovi mercati o segmenti di clientela, ecc.);

 di miglioramenti organizzativi (diversa attribuzione delle responsabilità, utilizzo di incentivi, formazione del personale, ecc.).

Ad evidenza, l’outsider system è il contesto di riferimento per il finance model che, come si è visto, pone al centro del problema della governance i rapporti tra azionisti e management dovuti all’accentuata separazione tra proprietà e controllo. È solo il caso di ricordare che l’allineamento degli interessi tra le due categorie può essere persegui- to mediante l’assegnazione di stock option ai dirigenti. Anche in questo meccanismo si può rilevare la funzione di controllo sui manager svolta dal mercato, che attraverso la crescita della quotazione incentiva il perseguimento di risultati gestionali positivi (anche se con un orientamento di breve periodo).

In un sistema market-oriented, la tutela degli azionisti è comunque garantita dalla immediatezza con cui questi possono uscire dalla compagine azionaria cedendo i pro- pri titoli58, grazie alla liquidità del mercato; peraltro ciò risulta ancor più facile in caso di forte ribasso dei prezzi, quando tende a concretizzarsi l’interesse per un takeover.

Non è difficile riconoscere, nell’outsider system, i caratteri tipici delle grandi im- prese anglosassoni, nelle quali la common law offre un buon grado di protezione agli azionisti di minoranza e ai creditori sociali59. La soddisfazione degli altri stakeholder è piuttosto considerata un vincolo che le aziende devono rispettare per continuare ad operare e per riuscire a remunerare gli azionisti.

Assai diversa è la situazione negli insider systems, contraddistinti essenzialmente da mercati finanziari poco sviluppati, proprietà concentrata e stabile ed importanti le- gami (di vario genere) tra le imprese e le istituzioni bancarie. In queste realtà, l’effettuazione di un controllo dall’interno si rende essenziale, in primo luogo, a causa

58 Come osservato in dottrina, l’outsider system è «caratterizzato dalla “uscita” piuttosto che dall’utilizzo della “voce”». Melis A. (1999), Corporate governance. Un’analisi empirica della realtà italiana in un’ottica europea, Giappichelli, Torino, p. 55.

In altri termini, gli azionisti scontenti trovano più comodo e conveniente vendere il piccolo pacchet- to azionario detenuto (“uscita”), piuttosto che far sentire la propria “voce” attraverso l’impegno diretto nella direzione aziendale o l’esercizio di azioni di controllo. Per un approfondimento sul significato dei termini “uscita” e “voce”, si rinvia a Hirschman A. (1970), Exit, voice and loyalty: responses to decline in firms, organizations and states, Harvard University Press, Cambridge MA, p. 4.

59 Cfr.: Fortuna F. (2001), Corporate governance. Soggetti, modelli e sistemi, FrancoAngeli, Mila- no, p. 91.

della vischiosità dei mercati finanziari: poiché la proprietà è detenuta da uno o pochi azionisti che – grazie a sindacati di voto o partecipazioni reciproche e piramidali – vanno a costituire lo “zoccolo duro”, in borsa è scambiata solo una parte marginale del capitale, che non consentirebbe la sostituzione del management per mezzo di scalate esterne nemmeno se fosse acquistata per intero da un unico soggetto.

Negli insider systems il controllo sull’attività dei manager è allora affidato ad un organo composto dai rappresentanti dei principali portatori di interessi, selezionati in base alla loro esposizione al rischio ed alla criticità della risorsa conferita.

Le vicende storiche ed economiche dei paesi in cui si è affermato l’insider system hanno contribuito, tuttavia, a delinearne due modelli parzialmente divergenti60. A fronte delle caratteristiche comuni sopra ricordate, si possono distinguere:

1. un insider system di tipo renano, connotato da un forte grado di partecipazione al controllo da parte delle banche e dei dipendenti;

2. un insider system di tipo latino, in cui è l’azionista di maggioranza a controllare il management, sul quale esercita una notevole influenza per mezzo del consiglio di amministrazione.

Il modello renano è diffuso in Germania, Svizzera e paesi scandinavi e presenta forti analogie con il modello giapponese, anch’esso di tipo insider e aperto alla colla- borazione tra gli stakeholder.

Nel modello renano il ruolo dell’alta direzione consiste nell’assicurare un’adeguata composizione ai contributi e alle attese di tutti gli stakeholder che puntano ad instaura- re e mantenere proficue e durature relazioni con l’azienda. Questi rapporti sono ispira- ti dalla reputazione dell’impresa, sono basati sulla fiducia reciproca e presentano fre- quentemente una lunga tradizione; la loro rilevanza è tale da determinare il successo congiunto dell’impresa e di tutti gli stakeholder con cui essa interagisce: in una visio- ne partecipativa della gestione aziendale, non si tratta solo dei conferenti capitale di rischio ma anche di finanziatori a titolo di credito, lavoratori, clienti, fornitori61. Il management è dunque chiamato a coordinare il tessuto di relazioni che coinvolgono

60 La classificazione è proposta da Melis A. (1999), Corporate governance. Un’analisi empirica della realtà italiana in un’ottica europea, Giappichelli, Torino, p. 55

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Cfr.: Forestieri G. (1998), “La corporate governance negli schemi interpretativi della letteratura”, in Airoldi G. e Forestieri G. (a cura di), Corporate governance: analisi e prospettive del caso italiano, Etaslibri, Milano, p. 8; Ciappei C. (2002), Corporate government. Gli assetti istituzionali di governo delle imprese, Firenze University Press, Firenze, pp. 75-76.

l’impresa e che sono finalizzate tutte alla sua sopravvivenza in condizioni di economi- cità.

La ricerca di collaborazione, insieme alla condivisione del rischio economico e del- le potenzialità di crescita, porta a definire il modello renano di corporate governance come un relationship-based system o un network-oriented system, nel quale tutti i principali portatori di interessi intervengono attivamente nei processi decisionali, esprimono giudizi sull’attività e sui risultati e hanno il potere di sostituire il manage- ment.

In proposito vale la pena di citare il caso della Germania. Nelle imprese tedesche, le banche e i lavoratori indirizzano le scelte di governo e vigilano sull’amministra- zione, in qualità di componenti dell’organo di supervisione sulla gestione (consiglio di sorveglianza), riuscendo così a controbilanciare il potere esercitabile dagli azionisti di maggioranza. Il sistema tedesco è strutturato, quindi, in modo da sottrarre il manage- ment dall’influenza diretta della proprietà e da stimolarlo a comportarsi con imparzia- lità e professionalità.

Il potere delle banche discende ancora oggi dall’appoggio che esse hanno fornito alle imprese industriali per superare le crisi dello scorso secolo, dando origine ad un rapporto così profondo da essere divenuto difficilmente eliminabile: ciascuna impresa è legata ad una banca universale, che opera come finanziatore, consulente ed interme- diario (si parla infatti di Hausbank, “banca di casa”).

La banca detiene una parte del capitale dell’azienda, alla quale fornisce tuttavia an- che risorse a titolo di credito, assumendo la duplice natura di proprietario e di confe- rente capitale di prestito. Il peso della banca in assemblea – l’organo che elegge il consiglio di sorveglianza – è ulteriormente accresciuto dalla possibilità di esercitare i voti spettanti alle azioni di cui è depositaria per conto dei risparmiatori e che di fatto le consentono di influire in modo apprezzabile sulla nomina del management e sulle de- cisioni strategiche62.

Si configura quindi un contesto in cui l’azionista di maggioranza fatica ad imporsi e trova conveniente accordarsi con la banca63 per assumere le decisioni più adatte a consentire lo sviluppo duraturo dell’impresa, scelta vantaggiosa per entrambe le parti.

62 Si osservi, inoltre, che il ruolo attivo della banca negli organi dell’impresa riduce o, addirittura, elimina i costi di agenzia connessi ad un monitoraggio dall’esterno.

Il notevole coinvolgimento degli interessi della banca nelle vicende dell’impresa contribuisce, d’altra parte, a rafforzare la qualità di co-makership64

che caratterizza questo rapporto; inoltre, porta ad accettare una visione di lungo termine per il ritorno degli investimenti, grazie alla “pazienza” non solo dell’azionista di riferimento, ma anche della banca65. Quest’ultima, in effetti, tende a tutelarsi più come creditore dell’impresa66

che come azionista – assicurandosi peraltro tassi di interesse elevati – e confida nella capacità dell’impresa di produrre reddito nel tempo.

Per quanto riguarda i dipendenti, il modello renano si distingue per la funzione at- tiva e diretta che il diritto societario riconosce loro nel controllo sull’amministrazione e nell’assunzione delle decisioni rilevanti: si osservi al riguardo un’altra sostanziale differenza dai sistemi di tipo outsider, dove il lavoro è concepito come un costo a ca- rico dell’azienda e non come una componente significativa negli assetti istituzionali.

In Germania, una parte considerevole del consiglio di sorveglianza (da un terzo ad un mezzo dei membri a seconda delle dimensioni dell’organismo personale) è compo-

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Il termine co-makership si riferisce ad una relazione di lungo periodo tra due o più aziende che condividono il rischio economico e le potenzialità di successo; la condizione di base per una sua profi- cua realizzazione è lo scambio sistematico e costante di informazioni tra i soggetti coinvolti, affinché i processi decisionali possano avvalersi delle proposte e dei giudizi di tutte le parti interessate.

Secondo Salvioni, i requisiti tipici di una co-makership si possono sintetizzare in:

 «rapporti intermittenti, ma ad elevata frequenza di attivazione [...];

 rilevante significatività economico-gestionale dei singoli rapporti, che non di rado si concretizzano in iniziative destinate ad incidere profondamente sulle dinamiche e sui risultati aziendali, nella loro dimensione quantitativa [...];

 la disponibilità a fornire – in genere per periodi non brevi – un apporto attivo, variamente condizio- nante ancorché frequentemente non esclusivo, alla realizzazione delle condizioni di economicità dell’impresa, anche a seguito dell’espressione di finalità economico-istituzionali (conferenti di capi- tale di rischio) o dell’eventuale concordanza tra finalità economiche istituzionali e non istituziona- li».

Il terzo elemento richiamato pare rappresentare adeguatamente la relazione banca-impresa nel si- stema renano e consente pertanto di riferirsi ad essa come ad una co-makership.

Per approfondimenti sulle relazioni tra co-maker si vedano in particolare Salvioni D. M. (1992), Il bilancio d’esercizio nella comunicazione integrata d’impresa, Giappichelli, Torino, pp. 35-36, da cui è tratta la precedente citazione, e Brondoni S. M. (1993), “Etica e comunicazioni interne d’azienda”, Scritti in onore di Carlo Masini, tomo primo, Istituzioni di economia d’azienda, Egea, Milano.

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«Basti pensare che, senza considerare il settore farmaceutico, in Gran Bretagna, gli investimenti in R&S, proporzionalmente alle vendite, non arrivano alla metà di quelle effettuate in Germania o Giappone». Ciappei C. (2002), Corporate government. Gli assetti istituzionali di governo delle impre- se, Firenze University Press, Firenze, p. 77.

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Forestieri ricorda una tesi secondo la quale «l’intervento delle banche è molto più strettamente correlato alle condizioni finanziarie (cash-flow, liquidità); quindi è teso a proteggere il proprio interesse come fixed claimant, più che quello degli azionisti. […] La posizione della banca come creditore, quin- di, prevale su quella di azionista. […] Questa conclusione è particolarmente evidente nei casi di ristrut- turazione: le banche sono coinvolte e perseguono il risanamento finanziario, non la performance azio- naria». Forestieri G. (1998), “La corporate governance negli schemi interpretativi della letteratura”, in Airoldi G. e Forestieri G. (a cura di), Corporate governance: analisi e prospettive del caso italiano, Etaslibri, Milano, p. 14.

sta da dipendenti dell’impresa, in coerenza con il principio della cogestione aziendale che anima il sistema economico tedesco.

L’attribuzione al personale dei poteri di decisione e vigilanza costituisce un serio vincolo all’azione dei manager: l’obiettivo è impedire che questi ultimi possano ope- rare nell’interesse esclusivo dei conferenti di capitale (di rischio e di prestito), ledendo le altre attese riposte nell’impresa, a cominciare da quelle delle famiglie dei lavoratori. Prendendo in considerazione adesso il modello latino di corporate governance (lo- calizzabile in Italia, Francia, Belgio, Spagna, Portogallo, Grecia), si può notare che questo presenta in realtà ben poche affinità con il modello renano, nonostante ne con- divida l’elemento di fondo. In effetti, anche il sistema latino è di tipo insider, nel sen- so che il potere di indirizzare la gestione e di vigilare sulla stessa è saldamente nelle mani di uno specifico soggetto, ossia la proprietà67 (direttamente o tramite i suoi ma- nager di fiducia): in altri termini, il controllo non è lasciato al mercato borsistico – po- co attivo come nel modello renano – e risulta pertanto molto stabile. Tuttavia, il mo- dello latino si differenzia da quello renano con riferimento al ruolo delle banche e dei lavoratori, visti entrambi come stakeholder esterni alle funzioni di governo economico e di controllo, importanti ma non decisivi per il successo dell’impresa.

Riflettendo dapprima sulle somiglianze con lo schema tedesco, emerge chiaramen- te che anche nelle imprese latine di grandi dimensioni la proprietà del capitale è spes- so altamente concentrata all’interno di una famiglia o di un gruppo, nonché protetta mediante accordi di voto e incroci azionari. All’acquisizione dei titoli sul mercato, dunque, non si accompagna un concreto trasferimento del controllo sull’impresa e, di conseguenza, la minaccia di takeover ostili non può mai essere così grave da impen- sierire il management. È l’azionista o il gruppo di maggioranza che, tramite gli organi di governo e di vigilanza, orienta e verifica il corretto funzionamento dell’azienda: tut- to ciò dimostra che anche il sistema latino è di tipo insider, visto che il controllo è

67 Pare opportuno sottolineare che in molte imprese medio-piccole la corporate governance presenta i lineamenti tipici del sistema latino:

 esercizio diretto delle prerogative di governo economico e di gestione operativa da parte del confe- rente capitale di rischio, con identificazione tra proprietario e imprenditore (o, in alternativa, esi- stenza di stretti contatti tra proprietà e management);

 pesante dipendenza finanziaria dalle banche, ma anche dai creditori commerciali;

 difficoltà per gli interlocutori esterni ad orientare le scelte principali e a monitorarne l’efficienza e l’efficacia;

 asimmetria informativa a vantaggio della proprietà, derivante da una certa reticenza nella comunica- zione economico-finanziaria ed istituzionale in genere.

esercitato in larga misura dall’interno e va a beneficio dell’azionista di riferimento, sebbene la legge miri a salvaguardare gli interessi degli altri investitori.

L’aspetto più significativo del modello latino consiste nella notevole influenza che la proprietà è in grado di far valere sul management, in quanto né per tradizione né per imposizione di legge esistono altri soggetti posti nella condizione di opporsi, confron- tarsi o collaborare con l’azionista di riferimento. Come anticipato, nelle imprese latine manca, infatti, la visione di una partnership con le banche e i dipendenti, a cui viene essenzialmente riconosciuto il diritto ad una remunerazione per la risorsa conferita.

Nel sistema latino è raro che il rapporto con gli istituti bancari assuma connotati strategici, perché per la proprietà esso consiste in un mero finanziamento a titolo di credito, anche se ha durata medio-lunga; talvolta la banca può essere chiamata ad assi- stere l’impresa come consulente o come intermediario nell’ambito di operazioni straordinarie, ma è assai infrequente che le sia concessa la titolarità di un pacchetto azionario così ampio da permetterle di influire sui processi decisionali.

In un contesto dominato dall’azionista di maggioranza, è ancora più difficile che siano i prestatori di lavoro a pesare sulle scelte di governo: nel modello latino è piutto- sto raro incontrare qualche forma di cogestione dell’impresa, visto che è poco diffusa anche dove è formalmente prevista (come in Francia68). Si assiste piuttosto ad una contrapposizione tra gli interessi della proprietà e quelli dei lavoratori, rappresentati dai sindacati. In ogni caso, le rivendicazioni sono di carattere economico o hanno ad oggetto le condizioni di lavoro, tendendo ad ignorare il diritto di prendere parte alle

68 Non c’è da stupirsi che il coinvolgimento dell’organismo personale nella governance aziendale sia teoricamente previsto in Francia, paese in cui i lavoratori sono considerati uno stakeholder assai im- portante: esiste infatti anche l’obbligo di redigere il bilancio sociale, che investe tutte le società quotate con almeno trecento dipendenti e che si concentra proprio sulle condizioni di lavoro (livelli retributivi; sanità e sicurezza; formazione professionale; relazioni sindacali; ecc.).

Tuttavia, dal punto di vista della partecipazione alla corporate governance, l’attenzione per i dipen-