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I paradossi della performance

1. La performance in ambito pubblico – inquadramento concettuale

1.4 I paradossi della performance

La messa in opera di un sistema di misurazione e valutazione della performance, oltre a effetti positivi, contiene in sé il rischio di generare effetti non voluti, veri e propri effetti perversi. È curioso osservare le analogie tra alcuni di essi e specifiche critiche al modello di amministrazione tradizionale burocratica. Si pensi, ad esempio, alla questione del comportamento strategico del burocrate. Crozier osserva (1969, 207-232) che il ritualismo del burocrate, l’osservanza scrupolosa della lettera in luogo dello spirito delle norme che regolano il suo lavoro, va visto come una possibile strategia che lo stesso mette in atto per difendere la sua libertà d’azione, il suo micropotere, il suo spazio di libertà, nei confronti dei superiori e dell’utenza. Trovarsi di fronte ad un sistema di misurazione della performance può essere considerato simile, nella prospettiva del soggetto responsabilizzato rispetto alle variabili da esso monitorate, al trovarsi di fronte ad una regola che tenti di indirizzarne il comportamento. L’allineamento dei comportamenti tramite la performance è, infatti, uno degli scopi espliciti dei sistemi di misurazione e valutazione della stessa. Il soggetto può però deliberatamente decidere di “barare”, di manipolare le misure in modo da alimentare il sistema fornendo dati che dimostrino il conseguimento dei risultati attesi. Un esempio può essere un insegnante che, durante lo svolgimento da parte degli studenti di verifiche che costituiscano anche un parametro di valutazione della sua performance quale docente, suggerisca più o meno velatamente le soluzioni (Ferrer-Esteban, 2012). Le motivazioni del comportamento strategico possono essere diverse; la rappresentazione di risultati non veritieri può consentire l’ottenimento, ad esempio, di un ammontare più rilevante di emolumenti collegati alla performance. Una motivazione altrettanto forte, di diverso profilo etico, è il rifiuto per motivi di integrità professionale di aderire al comportamento richiesto e, quindi, ai valori sottesi allo stesso. Lo scopo, in definitiva, è preservare uno spazio di libertà ed espressione della propria individualità. Ingannando il sistema, il soggetto può continuare a perseguire pratiche che ritiene semplicemente più giuste. Altro esempio può essere l’introduzione degli “hello nurses” all’interno delle strutture di pronto soccorso. In particolare, “l’inganno” consisterebbe nel considerare l’accoglienza dei pazienti quale momento di inizio del trattamento terapeutico. Questo, se associato alla misurazione dei tempi di attesa per l’accesso al servizio, consentirebbe il conseguimento, in modo discutibile, dell’obiettivo di riduzione dei tempi

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medesimi. Vi è una differenza evidente tra le diverse situazioni: il rifiuto della regola in aderenza a valori professionali ritenuti più alti è solitamente guidato dalla volontà di offrire un servizio migliore, e dalla volontà di conseguire una miglior performance sostanziale. Altri espedienti, come nell’esempio sopra indicato del pronto soccorso, sono funzionali invece al risultato di far apparire migliorata una performance, senza che ciò abbia alcun riscontro nella realtà concreta.

Un effetto positivo atteso è stimolare l’innovazione. Il corrispettivo effetto perverso è un possibile blocco della propensione all’innovazione medesima; questo può avvenire come conseguenza della fissazione di obiettivi troppo semplici da raggiungere, perché riferiti ad attività da considerare routinarie od ordinarie. Lo scopo del sistema, ossia il miglioramento della performance sostanziale, risulta sovvertito. Ciò che si ottiene è solo la rappresentazione di un miglioramento irreale.

Una delle possibili dimensioni misurate nell’ambito delle performance è, come detto, l’efficienza; essa può sicuramente essere migliorata da un incremento qualitativo delle risorse utilizzate nei processi produttivi. La selezione dell’input può però avere anche un significato diverso; può comportare, ad esempio, la scelta di abbandonare situazioni considerate troppo complicate da gestire. L’esempio potrebbe essere una scuola valutata sulla base di un indice di performance costruito a partire dai risultati degli allievi. Un diverso valore dell’indice, qualora si tratti di una scuola a libera scelta, potrebbe avere ripercussioni sul numero delle iscrizioni. Per migliorare l’indice, la scuola potrebbe decidere di rifiutare l’iscrizione degli alunni con problemi cognitivi o comportamentali.

I dati, specie quantitativi, relativi alla performance potrebbero non informare correttamente sulla performance reale di un’organizzazione. Tali dati si riferiscono, di solito, a medie oppure ad aggregati a volte troppo estesi; in altri casi non sono adeguatamente commentati tramite l’associazione con informazioni di tipo qualitativo o di contesto che rendano giustizia della multidimensionalità dei fenomeni misurati, o della molteplicità dei rapporti causali che influiscono sui risultati. A ciò si aggiunga che, tali informazioni, se utilizzate da manager distanti dalla realtà concreta, possono essere facilmente fraintese: solo un soggetto che, in quanto coinvolto direttamente nel processo produttivo è dotato della sufficiente competenza, può essere in grado di leggere correttamente i dati. Ciò suggerisce una potenziale inutilità della rappresentazione, con misure ed indicatori, della performance: la conoscenza del fenomeno da parte dell’esperto è dovuta infatti alla sua esperienza concreta e non ai report;

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essi risultano invece inidonei a trasmettere conoscenza al di fuori della cerchia degli esperti. La produzione di una rappresentazione accattivante della propria performance è, anch’essa, un’abilità che può essere posseduta in misura estremamente differenziata dalle diverse organizzazioni. Questa capacità, conseguenza anche delle risorse impiegate a tale scopo, potrebbe non avere alcun significato, in termini di differenziazione della performance reale, rispetto ad una organizzazione che, invece, dedichi le proprie risorse prioritariamente al conseguimento della missione.

Altro aspetto da considerare è che la concreta implementazione di un servizio, precisamente di un servizio pubblico, è frutto frequentemente di un compromesso tra diversi valori, ognuno dei quali può, più o meno facilmente ed efficacemente, essere tradotto in un indicatore di performance. Se il sistema utilizza delle misure che colgono solo parzialmente tale complessità, ad esempio privilegiando gli aspetti più facilmente misurabili, il rischio è che vengano fissati degli obiettivi che, a lungo andare, snaturano il compromesso sul quale di fonda il servizio. Il risultato è la compromissione della performance reale dello stesso, se confrontata con i valori che ne costituiscono il fondamento. Un esempio calzante potrebbe essere un museo; l’utilizzo quale misura di performance del solo numero dei visitatori, connesso alla funzione di valorizzazione e divulgazione, potrebbe non rendere giustizia degli altri compiti svolti da quell’istituzione nella ricerca scientifica o nella tutela del patrimonio culturale. La funzione misurata finisce, presumibilmente, con l’attrarre risorse per il suo continuo miglioramento, mentre le funzioni trascurate, e probabilmente non finanziate, sono destinate nel lungo periodo a decadere.

I servizi pubblici sono altresì caratterizzati dal fatto di essere spesso prodotti da organizzazioni che appartengono ad un più ampio sistema, se non addirittura da organizzazioni connesse in rete; in tal caso la performance del sistema è il risultato di un impegno collettivo. Tanto quanto i sistemi di misurazione e valutazione della performance possono stimolare una competizione positiva tra organizzazioni, tanto la competizione medesima può provocare un peggioramento della performance complessiva. Si pensi ad esempio a scuole inserite nella fascia dell’obbligo che vengano confrontate in termini di arricchimento dell’offerta formativa; questo potrebbe portare alla sottrazione di risorse per un’offerta omogenea dei servizi didattici di base in tutte le scuole. La competizione per l’accaparramento dei fondi potrebbe portare anche ad una tendenziale indisponibilità alla condivisione di buone pratiche tra diversi soggetti; ognuno di essi resterebbe concentrato sulla propria prestazione a scapito di quella complessiva. D’altro

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canto, il confronto tra esperienze finalizzato al miglioramento non porta automaticamente a risultati migliori. Lo strumento privilegiato è il benchmarking; il semplice accostamento degli indicatori riferiti ai diversi soggetti non è però sufficiente a comprendere le differenze rilevate. Il confronto va realizzato tramite idonei approfondimenti che spieghino i rapporti causali sottostanti ai valori rilevati. Inoltre, il semplice trapianto di soluzioni organizzative tra realtà diverse non è, di per sé, garanzia di successo. Su questo tema possono essere richiamate le riflessioni di Mintzberg (1985, 37). Il suo approccio rifiuta sia il principio secondo il quale esista un solo modo ottimale di organizzare le aziende, propria del management scientifico, sia che tali aspetti siano affidabili alla mera casualità. Mintzberg (1985, 243) individua i tipi puri della struttura semplice, della burocrazia meccanica, della burocrazia professionale, della soluzione divisionale e dell’adhocrazia. Le loro caratteristiche fondamentali sono variamente combinabili nelle organizzazioni reali, al fine di consentire alle stesse di svilupparsi in maniera coerente alle mutevoli situazioni nelle quali si trovino ad operare. L’utilità dei sistemi di benchmarking si annulla, quindi, se porta a pratiche consistenti nella mera copia di soluzioni elaborate in altri contesti, invece che allo scambio ed all’apprendimento.

Un aspetto particolarmente delicato sono le conseguenze che deliberatamente si progetta di far seguire alla valutazione della performance. Sinteticamente, esse si possono sintetizzare nel premiare le buone performance e nel sanzionare quelle deludenti. Anche in questo ambito vi possono essere effetti inattesi. Un’organizzazione particolarmente performante potrebbe essere svantaggiata, rispetto ad una che non lo sia, se la conseguenza fosse la richiesta di mantenere stabile il proprio output a fronte di una riduzione delle risorse a disposizione. In una situazione nella quale fosse necessario operare tagli di bilancio da parte dei “sovventori”, ad esempio da parte dello stato, l’organizzazione performante vedrebbe diminuite le risorse assegnate, mentre quella inefficiente le vedrebbe confermate. Sempre su questa linea di ragionamento, una valutazione di sistema potrebbe portare a ritenere che l’organizzazione non performante non vada punita per il basso livello delle sue prestazioni, ma vada invece aiutata, eventualmente con un incremento delle risorse a disposizione. Ancora una volta, paradossalmente, l’organizzazione migliore verrebbe punita. Naturalmente queste conseguenze paradossali possono trovare una giustificazione coerente con i valori che hanno guidato la valutazione di sistema.

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