La fase di valutazione della prova.
4.1. Il paradosso del giudice “peritus peritorum” Una possibile soluzione.
La Corte Suprema degli Stati Uniti , nella sentenza Daubert del 1993 scrive « Le prove addotte dagli esperti possono essere importanti ,ma anche del tutto fuorvianti, a causa della difficoltà nel valutarle...».261
E infatti il tema della valutazione della prova scientifica ha spesso caratteristiche proprie di maggior difficoltà rispetto ad altre prove perché il giudice non è normalmente dotato delle necessarie conoscenze e conseguentemente non può, nella maggior parte dei casi, valutarla senza la mediazione dell'esperto. Nel caso della valutazione della prova scientifica, dunque, il giudice deve essere attrezzato a verificare, con particolare rigore la validità scientifica dei criteri e dei metodi di indagine utilizzati dal perito, eventualmente disattendendoli, allorché essi si presentino come "nuovi" e perciò non ancora sottoposti al vaglio di una pluralità di casi ed al reiterato confronto critico tra gli esperti del settore, sì da non potersi considerare ancora acquisiti al patrimonio della comunità scientifica.262
Se il giudice non ha le cognizioni tecniche necessarie per la
261 F. Centonze, op. cit., 2001,p.1241; Manzini, op. cit., 1970, p.223 "la valutazione
della prova consiste nell'analisi critica, fatta dal magistrato, del risultato dell'esame probatorio, e nel conseguente libero convincimento di lui circa la concludenza della prova stessa ai fini processuali";
valutazione di fatti per i quali è necessario possedere cognizioni tecnico-scientifiche, spesso di elevata specializzazione, come gli sarà possibile valutare i risultati della prova scientifica?
Di fronte a una conoscenza specifica sempre più complessa e sempre più lontana dal sapere comune, riveste un ruolo fondamentale il principio dello "iudex peritus peritorum", che attribuisce al giudice la piena disponibilità di decidere alla luce del proprio personale convincimento anche controversie ad alto tasso di tecnicità.263
Il paradosso sta nel fatto che il giudice nomina il consulente quando, sulla base di una rigorosa autocritica culturale, stabilisce di non disporre delle conoscenze tecniche o scientifiche occorrenti per la decisione ma quando si tratta di valutare se il parere fornitogli sia corretto, il giudice ritorna inspiegabilmente ad essere competente, anzi più competente di colui al quale ha appena chiesto aiuto ammettendo la propria ignoranza. In sostanza si presuppone che il giudice possa fare ex post una valutazione su cognizioni tecniche e scientifiche che egli non possedeva ex ante. 264
La fragilità logica di tale principio dello "iudex peritus peritorum" è stato messa in luce dalla dottrina, già Carnelutti parlava di una presunta inaccessibilità del sapere scientifico al campo di cognizione del giudice "profano" e scriveva che " per giudicare il consiglio del perito il giudice dovrebbe sapere quello che non solo non sa, ma che con la chiamata del perito confessa di non sapere. Insomma alla superiorità in diritto del giudice sul
263
G. Fiandaca ,op. cit.,2005, p. 23;
264 M. Taruffo, Considerazioni su scienza e processo civile , in Scienza e diritto nel
prisma del diritto comparato, a cura di Ponzanelli, Comandè, 2004, p. 492; L. Masera , op. cit, 2007, pag. 352;
perito corrisponde la sua inferiorità in fatto di fronte a lui.”.265
In proposito Melchionda dice « Se è vero che alla perizia il giudice ricorre proprio quando avverte la insufficienza della sua cultura in un dato settore della conoscenza, è assurdo pensare che improvvisamente , dopo l'espletamento della perizia, il suo intelletto si illumini di sapienza tale do consentirgli, addirittura di polemizzare criticamente con lo scienza del perito cui aveva affidato quella certa ricerca. Si direbbe, al contrario,che se il giudice è in grado di disattendere motivatamente le risultanze peritali, è già nelle condizioni di non ravvisare neppure l'esigenza di una perizia.»266
Il problema della prova scientifica è il problema di come può il giudice, come uomo medio e rappresentante della comunità, valutare e controllare l’esito di una metodologia conoscitiva che non rientra nelle conoscenze dell’uomo medio? 267
E' un paradosso al quale oggi non ci si può sottrarre . Si tratta di saperlo gestire , guardandosi dal duplice pericolo che la scienza espropri il diritto , e che il diritto ignori o rinneghi la scienza. 268
Infatti, il giudice nel processo penale vive, in quei casi che implicano il ricorso alle leggi della scienza, una condizione di perenne disagio: un giudice, dunque, sempre più "consumatore
265 F. Carnelutti, Principi del processo penale , Napoli, 1956, p. 215;
266 A. Melchionda, Aspetti problematici della perizia nell'istruzione formale, In Atti del
Convegno nazionale di studio- i problemi dell'istruzione formale, Bologna Giugno 1973, p.241; M. Taruffo, op. cit, 2004, p. 492 “ Essendosi generalizzato il principio per cui il giudice peritus peritorum deve apprezzare discrezionalmente anche i risultati della consulenza tecnica, il problema della prova scientifica è il problema di come possa il giudice, come uomo medio e rappresentante della collettività, valutare e controllare l'esito di una metodologia conoscitiva che per l'appunto non rientra nelle conoscenze dell'uomo medio.Il giudice deve però formare comunque il proprio convincimento sulle prove scientifiche valutandone l'attendibilità con gli strumenti culturali dell'uomo medio.”;
267
M. Taruffo , op. cit., 1990, p. 4;
di leggi scientifiche"269, ma al contempo perennemente gravato
dalla "fragilità del mito dello iudex peritus peritorum”270.
"Il paradosso è però solo apparente. Un paradosso del genere esiste in quel sistema nel quale la scienza è unica e la prova scientifica riposa sul terreno del positivismo, viceversa, nel sistema attuale, alla luce del sistema accusatorio, il giudice sia qualora recepisca, sia qualora si discosti dal parere del perito deve spiegare la ragione della sua scelta, e lo farà attraverso la valutazione che della perizia hanno dato gli esperti. Se da un lato la perizia non si atteggia più come prova legale, dall’altro lato,il motto iudex peritus perito rum non significa un ritorno all’intuizionismo, cioè ad un sistema in cui il giudice può sostituirsi allo scienziato. Lo vieta il vincolo del giudice alla motivazione.271 Pertanto tale formula, depurata dalle
incrostazioni volte a fare del giudice una sorta di soggetto onnisciente, “enciclopedico”, mantiene un margine di validità solo in quanto sottolinea l’esigenza di un attento controllo da parte del giudice nei confronti dell’utilizzo della scienza in ambito processuale.272 Al giudice non spetta il compito di
rielaborare la tesi che ha guidato l’opera dell’esperto, egli non deve rifare la consulenza, con esperimenti, analisi, e quant'altro possa occorrere, al fine di verificare se il consulente ha svolto bene o male il suo incarico: ciò sarebbe evidentemente assurdo, impossibile e paradossale. Tuttavia è necessario che il giudice sia in grado almeno di valutare la validità dei metodi di cui il consulente si è servito per svolgere il suo compito, i criteri
269 F. Stella, op. cit., 1990, p. 156; 270 R. F. Kostoris, op. cit., 1993, p. 322; 271 F. Stella, op. cit., 2002, p. 774 ;
272 E. Amodio, Perizia “artistica” ed indagini demoscopiche nell’accertamento dell’osceno
metodologici seguiti da quest’ultimo. Pertanto il giudice deve accertare secondo gli ordinari canoni logici, la razionalità e l’attendibilità del contributo specialistico. Infatti si sostiene che il magistrato pur essendo privo delle conoscenze possedute dall’esperto, dovrebbe essere in grado, avvalendosi della sua preparazione epistemologica, di controllare la validità dei risultati raggiunti da quest’ultimo, sulla base di schemi razionali atti a permettergli di stabilire la reale valenza della prova scientifica.273
La “razionalità” del giudice rappresenta un sufficiente strumento di verifica rispetto all’operato degli esperti, essendo sufficiente in tal caso l’adozione di quella che viene definita la “cultura dei criteri”. Si devono infatti enucleare due differenti concetti di sapere ("comune" al giudice e alle parti) per le due differenti funzioni probatorie.In relazione alla ricostruzione del fatto è in gioco quella che si può definire “cultura di merito”, ha per oggetto nozioni generali, leggi del pensiero, regole esperienziali e anche leggi scientifiche e tecnologiche ormai assorbite nel loro "sapere comune”, sottratte al sapere specialistico e possono essere direttamente usate in tale funzione. In relazione al controllo sull'operato dell'esperto è in gioco quella che si può definire “cultura di criteri”, ha per oggetto schemi concettuali volti a verificare la validità e l’affidabilità delle leggi scientifiche e delle tecnologie usate dall’esperto e la loro corretta applicazione.274
273 S. Lorusso, op. cit., 2014, p.338; M. Taruffo, La prova scientifica nel processo penale,
Relazione al Convegno su "Scienze e diritto. Il giudice di fronte alle controversie tecnico-scientifiche", Firenze, 7-8 maggio 2004, p. 22;
274 O. Dominioni, op. cit.,p. 71 « “cultura di merito” e “cultura dei criteri” non
sono categorie conoscitive necessariamente separate nel loro impiego, in certi casi presentati dalla prassi giudiziaria esse concorrono nel recare, ciascuna, il proprio contributo nel controllo sull’affidabilità della prova mediante esperto»;
Infatti, nella funzione di controllo probatorio, "il giudice non ha bisogno di possedere tutte le nozioni e le tecniche che occorrono allo scienziato per porre in essere la prova dovendo egli piuttosto disporre di schemi razionali che gli consentano di stabilire il valore della prova scientifica ai fini dell'accertamento del fatto. Anche sotto questo profilo non si tratta di identità di metodi tra il giudice e lo scienziato, ma dell'impiego da parte del giudice di strumenti di analisi che consentano la valutazione di prove prodotte con metodi scientifici".275
Spetta allo stesso giudice enucleare questi criteri di controllo, che li può attingere dall'elaborazione giurisprudenziale, dalla letteratura giuridica,276 dalla Forensic Science, dallo stesso ambito
scientifico posto che gli studiosi, nel definire un nuovo principio scientifico o un nuovo metodo tecnologico, intanto ne accreditano la validità in quanto mettono a punto anche gli indici della loro verifica. 277
Tali criteri di apprezzamento della prova si manifestano nella motivazione del provvedimento giudiziario e il controllo su questa costituisce anche il controllo della loro validità e del loro corretto impiego. In questa dialettica logico-funzionale, che, nell'orizzonte complessivo dell'esperienza giudiziaria e nello spettro della motivazione, si sviluppa tra individuazione dei criteri di affidabilità e verifica della loro attitudine al controllo probatorio, si forma la cultura di criteri.278
Quindi si viene a patti con il paradosso del peritus peritorum, sforzandosi di modulare il rapporto tra conoscenza scientifica e
275 M. Taruffo, op. cit., 2004, p. 308, nonché p. 310; 276 F. Stella, op.cit., 2002, p. 314;
277
O Dominioni, op. cit., 2005, p. 71;
conoscenza giudiziale in modo do rendere tale paradosso meno stridente.
In questa direzione , allora, si afferma che , per esercitare il ruolo assegnatogli dalla tradizione, il giudice non è necessario che abbia le conoscenze scientifiche dell'esperto, né che compia ex novo il percorso dell'esperto; cioè il giudice non deve rifare la perizia, in quanto il suo compito è limitato alla verifica della correttezza del metodo scientifico utilizzato, che può essere condotta alla luce di canoni valutativi generali e comprensibile anche al giurista.279
Nel processo il giudice assume un ruolo ben diverso da quello di un qualsiasi tecnico (anche se tecnico del diritto); egli diviene invece esponente della collettività, che suo tramite deve poter esercitare lo stesso tipo di controllo a lui rimesso, che non avrà a oggetto il merito delle valutazioni tecniche demandate al perito o al consulente, ma dovrà comunque vagliare il grado di attendibilità dei loro operato e il grado di accettabilità delle loro conclusioni.“Si spiega così perché non si possa chiedere al giudice di possedere una scienza superiore a quella del perito, e quindi di rifare per proprio conto le valutazioni dal medesimo compiute, ma gli si debba chiedere di controllare il grado di accettabilità, sul piano della conoscenza comune, dei nuovi metodi scientifici, ovvero la razionalità del procedimento seguito dal perito. Tre sono, invero, i modi di controllo che la pubblica opinione possiede nei confronti dell'opera di un esperto: a) la valutazione della sua autorità scientifica; b) l'acquisizione al patrimonio scientifico comunemente accettato dei metodi di indagine seguiti; c) la coerenza logica della sua argomentazione.
Questi stessi metodi di controllo il giudice deve applicare, ed in questo solo significato si può qualificarlo, secondo la tradizione, come peritus peritorum”.280
Emerge in ciò la funzione sociale più profonda del processo, che è quella di consentire a tutti i consociati la comprensione dei risultati e l'accettazione dei metodi processuali.281
280 V. Denti , op. cit., 1972, p.434;