Se, come dice Damaska, il futuro del processo penale porterà ad una progressiva adozione di modelli scientifici nell’indagine sui fatti, i quali potranno essere dimostrati, soltanto con elementi tecnici sofisticati, appare decisivo che, poiché il diritto segue l’orientamento epistemologico del periodo storico che si trova ad interpretare, la scienza veda attualmente consolidato il suo ruolo di fonte dominante di conoscenze. Se è insensato riproporre una impostazione positivistica ormai datata e superata, basata sul totale e acritico affidamento del giudice sulla prova scientifica, e teorizzare, dunque, un “processo come laboratorio scientifico, affidato ad asettici operatori in camice bianco” come ci dice Amodio, si deve, tuttavia, riconoscere che talora il mondo del diritto finisce con l’apparire confuso ed incerto di fronte alle evoluzioni della scienza e della tecnologia, che lo costringono ad “inseguire” i segnali del progresso per recepirne la portata all’interno del suo contesto. In futuro il mondo del diritto dovrà lasciare più potere alla scienza? Come si dice del domani non v’è certezza, le certezze che oggi abbiamo sono che il sapere scientifico costituisce, senza dubbio, un prezioso alleato del giudice nella ricerca della verità, e il ricorso alla cultura scientifica all’interno del processo è ormai un fenomeno che non si può negare, ma non deve essere superato il limite del pieno rispetto delle griglie probatorie e decisorie tracciate dal legislatore. Il ricorso alla scienza non può tradursi in un “vulnus”, in una lesione, per l’intero sistema di garanzie delineato dall’impianto processuale. Pertanto è necessario un ridimensionamento della centralità ed importanza della prova scientifica nella decisione giurisdizionale. La scienza offre un
valido, insostituibile supporto all’indagine ed alla raccolta delle prove, ma occorre evitare che la prova scientifica si presenti con credenziali di particolare attendibilità e forza persuasiva rispetto agli ordinari standard di giudizio propri del processo penale, svilendo così la rilevanza e significatività della prova - che per mera comodità possiamo qualificare come – “non scientifica” e negare così ogni possibile razionalità dei ragionamenti fondati sulle nozioni di senso comune.
Il giudice deve sforzarsi di considerare la prova scientifica, elevata da alcuni a prova regina di questo terzo millennio, come una prova fra le altre: una prova che al pari di ogni altro elemento epistemologico a sua disposizione rappresenta solo un tassello nel suo ragionamento probatorio, che permette di fissare con maggiore o minore certezza un passaggio argomentativo intermedio ma mai quello finale, quello con cui si delibera della responsabilità dell’imputato.
Se l’apporto degli esperti alla formazione del convincimento giudiziale può risultare decisivo per la soluzione di casi giudiziari inestricabili, ciò non significa che la scienza sia oggi in grado di fornire tutte le risposte. Il loro apporto, per quanto attendibile possa risultare, costituisce soltanto una “certezza provvisoria” che richiede un attento e meditato vaglio da parte del giudice nel rispetto delle regole probatorie e decisorie dettate dal codice di rito. Il procedimento probatorio ha un suo iter che deve essere osservato sempre, senza che il progresso scientifico e la sua proiezione processuale possano alimentare facili scorciatoie.
Questo ridimensionamento della rilevanza degli strumenti e della conoscenza specialistica non significhi una rinuncia immotivata alla ricerca della verità nel processo penale accettando di rimettersi
all’insindacabile arbitrio del giudice. Il problema è saper riconoscere che la decisione finale del giudice e l’ausilio che alla stessa può offrire la scienza si pongono su due piani diversi, anche se irrelati; il sapere tecnologico consente di approfondire, accertare, acquisire singoli elementi epistemologici i quali vanno però poi ricomposti all’interno di un unico schema esplicativo che dia ragione di tutti gli elementi raccolti: quando tale schema esplicativo sia quello che racconta della responsabilità dell’imputato al di ogni ragionevole dubbio può stabilirlo solo il giudice
Deve ritenersi che la maggiore garanzia di attendibilità della correttezza di una decisione giudiziale, sia essa di condanna che di assoluzione, non sta solo nella qualità scientifica delle conoscenze acquisite ma nell’incessante ricerca da parte del giudice di elementi epistemologici utili a corroborare o smentire l’ipotesi accusatoria. D’altronde sono gli stessi scienziati forensi ad ammettere che i media, la fiction, la cronaca offrono oggi un’immagine idealizzata della scienza e che il suo metodo viene spesso visto dalla gente comune, come infallibile. Le scienze forensi appaiono investite di aspettative che spesso superano le loro reali potenzialità e come ha affermato una nota antropologa forense impegnata nelle più importanti indagini di questi ultimi anni, Cristina Cattaneo, «l’equivoco che attribuisce a queste discipline, che, certo, possono fare molto ma non sono prive di limiti e imprecisioni, una sorta di ‘onnipotenza’ può nuocere davvero non solo agli ‘scienziati forensi’ stessi, ma alla giustizia e alle vittime…la scienza regina delle indagini forensi non esiste, o meglio, non dovrebbe esistere. Alla ‘corte’ della Giustizia la scienza può essere paragonata a un Gran Consigliere, che talvolta può diventare anche un
cortigiano, nel senso deteriore del termine » 316
Il continuo progresso tecnologico in campo scientifico, il predominio incondizionato della scienza e della tecnica sull’uomo metterà il mondo del diritto di fronte a nuove problematiche, e come quest’ultimo reagirà non ci è dato saperlo, poiché come ricorda Ubertis, il diritto si comporta come la nottola di Minerva, che inizia il suo volo soltanto sul far del crepuscolo, e si manifesta dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di trasformazione.
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