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Il ruolo del giudice e l’idoneità probatoria come presupposto di ammissibilità

I criteri di ammissione della prova “nuova”

2.3. Il ruolo del giudice e l’idoneità probatoria come presupposto di ammissibilità

Il primo fondamentale problema che il giudice deve affrontare riguarda la validità e l’affidabilità della prova scientifica E’ però evidente che la verità o la falsità di una proposizione scientifica è un problema che non può essere risolto di volta in volta dal giudice, secondo criteri adottati per la singola ipotesi scientifica considerata, ma deve essere risolto sulla base di principi metodologici universalmente validi; infatti, il giudice non deve possedere le nozioni e le tecniche che sono appannaggio dello scienziato, ma solo disporre di «schemi razionali che gli consentano di stabilire il valore della prova scientifica ai fini dell’accertamento del fatto».157 Il

giudice, infatti, non è tenuto al «controllo sull’attendibilità dei risultati specifici della prova scientifica», bensì alla «verifica preliminare della validità dei metodi che essa impiega» dovendo limitarsi ad accertare la sussistenza di adeguati parametri scientifici volti a supportare la metodologia proposta dall’esperto; una parte della dottrina ha parlato, al riguardo, di un controllo dell’idoneità “in astratto” della prova.158

Il codice non indica un criterio per valutare in positivo o in negativo la scientificità di un metodo proposto da un tecnico nominato dal giudice medesimo o da una parte., manca quindi una disciplina che imponga al giudice di escludere quei metodi che niente hanno di scientifico, e, viceversa, di ammettere metodi anche nuovi, ma che rispettano il criterio della scientificità. E’ una carenza significativa, dal momento che è un corollario del principio del contraddittorio che le parti abbiano conoscenza anticipata dei criteri in base ai quali

157 F. Stella, op. cit., 2002, p. 1230;

possono in concreto esercitare il proprio diritto alla prova, costituzionalmente protetto. Non è accettabile che l’esercizio del diritto alla prova scientifica sia interamente rimesso al libero convincimento del giudice, senza alcuna regolamentazione di tipo procedurale e senza alcun criterio attraverso il quale sia possibile valutare la scientificità di una prova.

Questo vuoto di indicazioni è stato tradizionalmente colmato con il criterio del “consenso della comunità scientifica”159 il quale se non

crea problemi con riferimento ai metodi scientifici tradizionalmente accolti, esso appare insufficiente quando si chieda al giudice di ammettere un metodo nuovo sul quale non si è ancora formata una generale accettazione da parte della comunità scientifica. Sulla base del criterio menzionato, il giudice dovrebbe respingere la richiesta di ammettere il nuovo metodo in quanto mancano criteri per valutarlo. E’ ovvio che in tal modo si otterrebbero due effetti:

1) il giudice diventerebbe quasi un ostaggio degli scienziati “tradizionali” e le parti non avrebbero la possibilità concreta di esercitare il proprio diritto alla prova.

2) All’esperto si consentirebbe di fondare un’asserzione senza giustificarne né le premesse, né il metodo utilizzato, per il solo fatto che si tratta di “scienza”, quindi egli avrebbe il privilegio di provare senza spiegare il perché della sua attività.160

Il problema che si pone è se il giudice, nell’accertare la sussistenza dell’”idoneità” probatoria, debba rimettersi alla comunità scientifica interessata e da questa recepire l’opinione che vi sia consolidata oppure debba svolgere un proprio controllo diretto avvalendosi di

159 P. Tonini, La prova scientifica, in Trattato di procedura penale di G. Spangher,

vol.II, tomo I, a cura di A. Scalfati, Torino, 2009, p.85 ss.; P. Ferrua, Un giardino proibito per il legislatore: la valutazione della prova, in Quest. Giust., 1998, p. 587;

criteri di giudizio capaci di garantirne l’effettività e la razionale correttezza.

È facile cogliere come in ciò si riproponga il dilemma fra i termini che hanno segnato l’evoluzione del tema in ambito statunitense, cioè la general acceptance doctrine secondo cui una prova scientifica poteva essere ammessa soltanto quando fosse fondata su di un principio o una scoperta sufficientemente stabili da aver ricevuto generale accettazione nell’ambito di ricerca al quale attengono affermata dalla decisione resa con la sentenza Frye del 1923,161e il gatekeeper role, sancito dalla sentenza Daubert secondo cui il giudice deve svolgere un proprio controllo diretto al fine di valutare l’affidabilità dei metodi e delle procedure adottate dall’esperto. Tutti i dati ricavabili dall’art. 189 c.p.p. e dal sistema depongono per la seconda soluzione.

A tal fine occorre svolgere un’indagine oltre il tenore letterale dell’art. 189 c.p.p., che ,come precedentemente visto ,vale per le prove atipiche in senso proprio, oltre che per la nuova prova scientifica come prova atipica in senso improprio, secondo il quale, richiesta una prova del tipo detto, “il giudice può assumerla se risulta idonea ...”; ne risulta che non sono estraibili elementi ermeneutici significativi, infatti la locuzione “risulta idonea” non autorizza né esclude, di per sé, l’una interpretazione o l’altra, di conseguenza tali nuove prove, consistendo in entità normative- processuali, non possono che trovare nel giudizio del giudice l’unica fonte di verifica della loro idoneità “ad assicurare l’accertamento dei fatti”. 162

L’assegnazione al giudice di un ruolo di gatekeeper è invero

161 S. Lorusso, op. cit., 2009, p. 13 ss.; 162 O. Dominioni, op. cit., 2005, p. 210;

ricavabile dallo stesso contenuto composito del concetto di idoneità probatoria, in cui confluiscono, oltre alla validità teorica del principio scientifico, del metodo, della tecnologia che si intende usare nell’operazione di prova e alla controllabilità della correttezza del loro uso pratico, anche fattori di natura essenzialmente di natura tecnico-processuale. Il giudizio su questo secondo ordine di fattori è indubbio che appartiene al giudice e, in una consistente misura, sì intreccia con quello vertente sui primi, tanto che, essendo del tutto improbabile discernere, all’interno del concetto di idoneità probatoria, due diversi registri di tecnica di accertamento, l’uno di verifica acritica del giudice, recepita per relationem dalla comunità degli studiosi, l’altro di verifica critica, è da ritenere che in ogni suo aspetto tale,requisito di ammissibilità sia tema di controllo attivo e diretto del giudice.163

La tesi così esposta suscita qualche perplessità. In primo luogo il giudizio di "utilità" e di affidabilità di un nuovo criterio scientifico, difficilissimo già per la comunità degli esperti, lo è ancor più per il giudice. Inoltre in tal modo il giudice, a causa di questa prevalutazione concernente il mezzo probatorio del quale viene richiesta l'ammissione, rischierebbe di compromettere la propria posizione di neutralità metodologica non potendo evidentemente ammettersi, in questa fase, che « l'organo giurisdizionale tenga comportamenti attinenti alla verifica delle affermazioni delle parti, i quali implichino l'accoglimento di una delle prospettazioni in

163 O. Dominioni, op. cit., 2001,p.1061; G. Canzio, op. cit., 2003, p.1194-2000; M.

Taruffo, op. cit., 1996, p. 239: "nel momento in cui la validità scientifica della prova diventa il criterio della sua ammissibilità, il relativo controllo non può più essere delegato agli esperti. Sono anzi gli esperti, con le loro nozioni specialistiche e i loro metodi, ad essere oggetto di un controllo preliminare che può solo essere effettuato dal giudice, oltre che dai difensori"; F. Focardi, op. cit., 2003, p. 174 ss

contrasto »164.

Oltretutto una simile importazione non riesce ad evitare il rischio che l'autorità giudiziaria si "ritragga" di fronte alla prova scientifica nuova. Sussiste infatti il pericolo che, ogni qualvolta siano evidenziabili dei contrasti, nell'ambito della comunità degli esperti di un determinato settore, circa la validità di nuove impostazioni teoriche, non ancora unanimemente accettate da parte dell'ambiente scientifico di riferimento, il giudice finisca col ritenere inammissibili le prove scientifiche basate su detti criteri, adottando la regola di esclusione delineata dall'art. 189 c.p.p. e considerando conseguentemente inaccoglibili le relative richieste probatorie, con le gravissime conseguenze che deriverebbero da tale approccio giudiziale;165 infatti qualora ogni dubbio in ordine all'effettiva

idoneità probatoria comportasse la mancata ammissione si rischierebbe di comprimere ingiustificatamente il diritto alla prova, impedendo l'ingresso sulla scena processuale delle metodiche più innovative dal punto di vista scientifico, che proprio in quanto tali risultano molto spesso controverse, almeno in occasione delle loro prime applicazioni.

Detto rischio non sussiste invece qualora si accolga la tesi volta a fare riferimento, anche in simili ipotesi, ai "tradizionali" mezzi di prova della perizia o della consulenza tecnica; infatti chi aderisce a questa soluzione ritiene che il controllo al riguardo debba essere

164 G. Ubertis, Il giudice, la scienza e la prova, in Cass. pen., 2011, p. 4115, nel sistema

processuale italiano il criterio di rilevanza per idoneità del mezzo di prova appare dettato proprio dall'esigenza di « proteggere dal pericolo che il giudice incorra in un 'pregiudizio' sulla forza persuasiva di quanto sottoposto al suo esame in sede di ammissione probatoria ».;

165 C. Brusco, DNA e valutazione della prova scientifica alla luce di un recente

intervento legislativo, in Prelievo del DNA e Banca dati nazionale. Il processo penale tra accertamento del fatto e cooperazione internazionale, a cura di A. Scarsella, Padova, 2009, p. 267;

esperito in virtù del giudizio di rilevanza-idoneità del mezzo e/o fonte di prova, concernente la capacità « di veicolare elementi di prova da cui inferire o smentire l'affermazione probatoria ».166

Indubbiamente, a favore di quest'ultima impostazione milita il fatto che in tal modo il giudice non è tenuto ad operare una diversificazione, per quanto concerne i criteri ammissivi da adottare, a seconda che si sia in presenza di una prova scientifica "tradi- zionale", alla quale si applicherebbero i criteri valevoli per i mezzi di prova tipici, o di una "nuova" prova scientifica, rispetto alla quale, accogliendo l'opposta tesi, dovrebbero invece valere i più rigidi parametri di ammissibilità delineati dall'art. 189 c.p.p.; oltre- tutto, detta diversificazione appare estremamente disagevole, vista la difficoltà nel tracciare una netta linea di demarcazione in materia risultando infondata la « pretesa di separare nettamente le conoscenze scientifiche indiscutibili da quelle che tali non sono, appunto perché nuove (e conseguentemente non ancora sottoposte a un adeguato collaudo dagli studiosi della materia) o controverse »..Inoltre in tal modo il giudizio di rilevanza-idoneità non si traduce affatto in un'anticipazione della decisione, comportando semplicemente una valutazione « vertente non sull'affidabilità, attendibilità, credibilità (ossia, comunque, sulla forza persuasiva) dell'operazione probatoria, ma sulla assoluta infruttuosità di quest'ultima per la sua incapacità a fornire elementi di prova di cui potersi servire in sede deliberativi per il controllo sull'oggetto di prova considerato ».167

Il giudice conseguentemente non deve verificare quale potrà

166

G. Ubertis, op. cit., 2011, p. 4116-4118;

essere, in concreto, la forza persuasiva all'esito dell'assunzione della prova scientifica, essendo detta analisi riservata al momento della valutazione finale della prova, in occasione del giudizio. La posizione del magistrato non viene in tal modo compromessa da un'analisi diretta esclusivamente a valutare se un determinato strumento probatorio possa risultare fruibile.

D’altronde, come sostiene Dominioni, l’assunto che il giudice sia vincolato, per il giudizio sulla validità teorica dello strumento probatorio, all’opinione comune affermatasi nella comunità degli studiosi imporrebbe una sorta di ipse dixit spingendo la prova scientifica, ad assestarsi sul terreno della prova legale, contro la regola del libero convincimento. Né sarebbe fondato obiettare che questa regola vale per il momento della valutazione e solo per questa. Non c’è dubbio che, in corrispondenza con il succedersi degli stati processuali e con il crescere della conoscenza giudiziaria, le norme mutino nel prescrivere il titolo logico del giudizio valutativo sulla prova (dalla “non manifesta superfluità” si progredisce ala “superfluità”, poi all’”assoluta necessità”, tutti giudizi ciascuno dei quali condiziona il relativo provvedimento sull’ammissione della prova, e infine alla “pratica certezza”, giudizio probatorio che legittima la pronuncia di colpevolezza)168

necessario perché, secondo la regola di decisione, si adotti un provvedimento piuttosto che un altro. Ma ciò non può non avere una base di razionale sviluppo del processo: le regole che valgono per il primo stato processuale, dedicato all’ammissione, sono serventi all’ordinato e corretto svolgersi dei successivi, quelli di formazione della prova e della sua valutazione, e non possono

168O: Dominioni, op. cit., 2005, p. 212;

anticipare irragionevoli sbarramenti all’esercizio di tali ulteriori funzioni. Il risultato è una progressione di giudizi e di regole di decisione che porta ad un passaggio graduale dalla prevalutazione alla valutazione.

Si introdurrebbe invece una irriducibile aporia nel funzionamento del sistema se per la fase dell’ammissione si istituisse un criterio di apprezzamento dell’idoneità probatoria, il vincolo dell’accettazione generale, preclusivo dell’ammissione di una prova che in momenti processuali ulteriori e , in particolare, in quello della valutazione potrebbe essere giudicata come idonea alla ricostruzione del fatto grazie al libero convincimento esercitato sulla scorta di “sopravvenute acquisizioni dell’istruzione dibattimentale”. Una simile inversione logica dei rapporti tra i giudizi che determinano l’originario provvedimento sull’ammissibilità, e quelli che determinano i successivi provvedimenti e la sentenza è quanto conseguirebbe da una costruzione che vincolasse il giudice, nel formulare il primo, all’ipse dixit della comunità scientifica e da questo lo sciogliesse per gli altri successivi prescrivendogli di praticare i canoni del libero convincimento. 169

169 O. Dominioni, op. cit, 2005, p. 212-213; D. Siracusano, Diritto processuale penale

2.3.1. … (segue) I criteri di idoneità probatoria

Nel sistema italiano le connotazioni che qualificano come ammissibile la nuova prova scientifica sono enunciate in modo sintetico nel concetto di idoneità probatoria, contemplato dall’ Art.189 c.p.p . Le regole che il giudice italiano potrà o dovrà applicare non potranno discostarsi significativamente dai parametri propri del sistema statunitense perché si tratta di generalizzazioni che consentono di affermare che una prova o un metodo scientifici sono affidabili, perché hanno superato positivamente valutazioni di attendibilità da parte degli esperti del settore, hanno resistito ai tentativi di falsificazione, hanno avuto un consenso diffuso nella comunità scientifica. Nell’ottica processuale gli ingredienti che concorrono a costituire l’idoneità probatoria di uno strumento scientifico-tecnico sono così enucleabili:

a) la validità teorica del principio, della metodologia, della tecnologia, dell’apparecchiatura tecnica che ci si propone di impiegare nell’operazione probatoria da espletare nel processo o dei quali l’esperto ha fatto uso fuori del processo per elaborare l’oggetto di prova in funzione della sua deposizione nel processo;

Le due ipotesi tipologiche di attività attengono rispettivamente ai mezzi di prova della perizia e della consulenza tecnica extraperitale. b) l’adeguatezza dello strumento scientifico-tecnico alla ricostruzione del fatto che è specifico oggetto di prova.

Deve cioè trattarsi non soltanto di una validità in sé, ma anche di un’attitudine probatoria nel caso concreto, apprezzabile in virtù della correlazione gnoseologica dello strumento scientifico-tecnico con le questioni che si pongono nella ricostruzione del singolo fatto. E’ ciò -che nel diritto statunitense si è definito con il termine fit :

l’adeguatezza di uno strumento di prova “non è né neutra né- sempre ovvia, e comunque non indifferentemente valida in ogni circostanza; sicché la validità scientifica riconoscibile per un certo fine non lo sarà per altri, diversi fini”;170

c) la controllabilità del corretto uso pratico: La verifica della correttezza d’uso dovrà essere fatta nel corso dell’assunzione della prova e, conclusivamente, nel momento della valutazione. Ma già nella fase dell’ammissione deve risultare l’esistenza di criteri capaci di adempiere a tale compito. In altri termini: nei momenti dell’assunzione e della valutazione ciò che rileva è che si eserciti la funzione di controllo; nel momento dell’ammissione ciò che rileva è il requisito, della controllabilità della prova, il quale concorre a determinare l’idoneità probatoria perché corrisponde a un’esigenza della funzione di ricostruzione processuale del fatto.

Non è dunque ammissibile nel processo uno strumento scientifico- tecnico di prova che già a priori si presenti come insuscettibile di verifica nella sua correttezza d’uso;171

d) la qualificazione dell’esperto. Questo fattore, è polivalente. Concorre infatti a determinare la validità teorica dello strumento scientifico tecnico e ad accreditare la correttezza della sua applicazione nel singolo caso ;

e) La comprensibilità dello strumento probatorio scientifico-tecnico. Questa connotazione, corollario del sistema razionale della prova, implica il dominio dei giudice sulle fonti della conoscenza giudiziaria. Una risorsa scientifico-tecnica che si esibisca con una esasperata sofisticazione tale da sfuggire alla comprensione del

170 A.Dondi, op.cit. ,1996, p.281;

171 K.R. Fosterp-W. Huber, Judging Science. Scientific Knowledge and the Federal

Courts, Cambridge, Mass., London, Engl.,1999, p.16 ss.; M. Taruffo, op. cit.,2001, p. 151;

giudice e delle parti pur nell’uso il più attento e scrupoloso del loro “sapere comune” si sottrae al controllo che tali soggetti, ognuno nel proprio ruolo processuale, sono impegnati ad esercitare sulla prova nei diversi stadi di sviluppo del fenomeno probatorio: nella fase dell’ammissione, per apprezzarne con cognizione di causa la validità teorica, l’adeguatezza e la verificabilità del suo corretto uso nel caso concreto; nella fase dell’assunzione, per governare l’assunzione della prova in modo che il sapere dell’esperto sia acquisito correttamente e compiutamente, secondo le regole che presiedono alla formazione della conoscenza giudiziario; nella fase della valutazione per inferire dall’elemento di prova, risultato dell’operazione probatoria scientifico-tecnica , la premessa della decisione e per determinarne l’efficacia probatoria.172

172O. Dominioni, op. cit., 2005, p.217;

2.4. Un esempio di approccio alla prova scientifica non conforme