La fase di valutazione della prova.
4.3. La valutazione dello strumento scientifico-tecnico: il “peso” della prova sul libero convincimento del giudice.
La tematica delle prove scientifiche ha dato vita ad ampi dibattiti, caratterizzati spesso da critiche volte a lamentare la tendenza dell’autorità giudiziaria a subire gli allettamenti di “taumaturgiche scorciatoie” magari evocanti nuovi ritrovati della scienza e della tecnica e ad adagiarsi sugli elementi conoscitivi così ottenuti con conseguente compressione delle indagini tradizionali, che si traduce talora in una vera e propria “atrofizzazione” delle stesse.293
Secondo alcuni c’è infatti il rischio che il giudice possa considerare la prova scientifica come un mezzo atto a risolvere, in maniera incontrovertibile, tutti gli interrogativi sollevati dalla vicenda sottoposta al suo esame, finendo in tal modo per "delegare" all'esperto la soluzione stessa della controversia giudiziaria. Inoltre, il giudice dovendo decidere non solo sui fatti oggetto del processo, ma anche sui contributi scientifici degli scienziati "pre- stati" al processo, si può trovare in posizione di sudditanza non pos- sedendo le conoscenze scientifiche necessarie per distinguere la "buona" dalla "cattiva" scienza. Come sostiene Damaska « Un sintomo di imminente pericolo è la crescente preoccupazione rispetto alla funzione esercitata dall'esperto nominato dal giudice, poiché i giudici spesso non riescono a comprendere.. Si sta
293
M. Miraglia, La ricerca della verità per condannare e assolvere. Il test del DNA, e l’esperienza statunitense, in Dir. pen. proc., 2003, p.1560; S. Lorusso. Investigazioni scientifiche, verità processuale ed etica degli esperti, in Dir. pen. proc., 2010, p1351 « occorre mettere tutti gli operatori dai concreti pericoli di una “pigrizia investigativa” provocata da un eccessivo e stereotipato ricorso agli strumenti tecnico-scientifici, in danno delle tradizionali metodologie di indagine che non devono essere accantonate sulla base di una presunta e non dimostrata “superiorità gnoseologica” dei primi»
diffondendo il timore che i giudici stiano delegando i loro poteri decisori ad un estraneo...Il servitore apparente del giudice sta diventando il suo segreto padrone?"294
Tale timore è ingiustificato, la prova scientifica può unicamente fornire dati e strumenti "tecnici", atti ad illuminare una determinata vicenda sulla quale deve poi essere sviluppata l'analisi giudiziale, pertanto è erroneo ritenere che l'attività svolta dall`esperto conduca ad « una verità tecnico-scientifica, assoluta, inconfutabile, 'dogmatica' » 295,
Si deve escludere che il giudice risulti totalmente vincolato agli esiti della perizia, poichè essa non assume affatto la valenza di “prova legale”.. Nel caso in cui il giudice deferendo il giudizio,
su tematiche scientifiche, ad un organo tecnico, si attenga acriticamente alle conclusioni cui esso è pervenuto, ciò porterebbe come conseguenza l'introduzione di un 'inammissibile forma di prova legale. Il processo deciso da un responso peritale indecifrabile e insuscettibile di controllo da parte del giudice è un processo che assomiglia pericolosamente agli antichi riti ordalici. La funzione giurisdizionale tornerebbe ad assumere contorni irrazionalistici e superstiziosi: il giudice sfugge alle sue responsabilità per affidarsi nuovamente a qualcosa che, appunto, gli "sta sopra",ieri la divinità, oggi la scienza. 296
In realtà una simile impostazione è assolutamente inaccettabile.
Nella realtà odierna il ricorso alle indicazioni provenienti dalla scienza non impone di rinunciare ai tradizionali criteri valutativi e
294 Damaska, op. cit., 2003, p. 215;
295 P. Zangani, Metodologia peritale nel nuovo processo penale, in Giust. pen, 1989, III,
p. 666;
296 O Dominioni , op. cit , 2005, p.334 ; F. Caprioli, op. cit., p. 3524; C. Conti, op. cit.,
di discostarsi dal paradigma del libero convincimento non apparendo auspicabile un contesto ove esso sia escluso, così come era già avvenuto in passato all'epoca della prova legale, « ma non per effetto di una scelta effettuata a priori dal legislatore, bensì da risultati oggettivi imposti dalla scienza ».297
Le conoscenze ricavabili dai progressi ottenuti in molti campi scientifici possono fornire degli apporti decisivi, alla soluzione delle vicende giudiziarie, soprattutto con riferimento a determinati reati, ma i relativi contributi devono pur sempre essere vagliati dal magistrato, non essendo accettabile un sistema ove il giudice venga privato della sua funzione fondamentale, e l'esito della sentenza derivi quasi esclusivamente dai dati forniti dagli "esperti".298
Il nostro è un sistema basato sul principio del libero convincimento del giudice con l’obbligo di motivazione, volto ad imporre di esplicitare le considerazioni che conducono ad una determinata decisione, secondo uno schema epistemologico « che pretende la trasparenza e la comunicabilità intersoggettiva della trama giustificativa delle “ragioni” e della “logica” della decisione in fatto ».299
Esso evita che gli apporti scientifici in seno al processo assumano, quasi automaticamente, una valenza risolutiva, incontrovertibile, a prescindere da una seria ponderazione e da un raffronto con gli esiti conoscitivi ricavabili dagli altri mezzi probatori, o, al contrario, finiscano per essere ridotti ad un ruolo ingiustamente marginale, a causa, magari, della diffidenza da parte del magistrato nei confronti
297 G.F. Ricci, op. cit., 1999, p. 406-407;
298 V. Denti, op. cit., 1972, p. 434 e 435; «Il processo non deve essere trasformato « in
una sorta di laboratorio, dominato dalla tecnica e neutrale rispetto ai valori che sono in gioco nella controversia e nei quali si rispecchiano i valori della società intera » ;
di talune discipline o, più in generale, di determinate aree del sapere.
Un analogo risultato non sarebbe raggiungibile né con il criterio delle prove legali, né con quello ispirato all’intimo convincimento. Infatti in un sistema legato al tariffario delle prove legali verrebbe inevitabilmente attribuita alla prova scientifica, in considerazione del suo alto grado di attendibilità e della particolare fiducia ad essa connessa, una valenza vincolante che impedirebbe al giudice di pervenire ad una decisione aderente al complesso delle ulteriori risultanze conoscitive. D’altro canto un modello basato sull’intime
conviction risulterebbe esposto, a sua volta, o al rischio di irrazionali ipervalutazioni del “peso” della prova scientifica o, all’inverso, ad altrettanto aprioristiche prese di posizione negative, su basi meramente “emozionali”, in ordine all’utilizzo di detto strumento. L’obbligo della motivazione finalizzato a permettere un controllo non solo interno, “endoprocessuale”, ma anche esterno, sull’iter logico seguito per giungere ad una determinata decisione, funge da deterrente, costituisce uno scudo contro i due fuochi, la prova legale da un lato e l’intuizionismo dall’altro.300 Riprendendo una frase di
Iacoviello « La motivazione serve ad evitare un duplice rischio gravante sul processo: di implosione se prove legali, pregiudizi culturali e persuasioni occulte comprimono l’autodeterminazione del giudice; di esplosione se la libertà decisoria del giudice non trova alcuna barriera al suo espandersi; conseguentemente, la motivazione è ad un tempo protezione e prigione del giudice: serve a tutelare l’integrità del giudizio dall’intrusione di forze estranee e, parimenti, serve ad impedire al giudice di evadere dalla propria razionalità. Il libero convincimento del giudice è una zona protetta,
la cui invisibile linea di confine è segnata dalla motivazione”.301
E poiché,il libero convincimento opera anche con riferimento alla prova scientifica, la perizia deve essere sottoposta all'analisi ed al controllo del giudice, che svolge la sua funzione di gatekeeper, dovendo essere esaminata nel prisma di una valutazione complessiva, concernente l'insieme dei risultati dell'istruzione probatoria,302. Pertanto, qualora appaia provato al di là del
ragionevole dubbio che la legge scientifica funziona nel caso concreto, o, viceversa, qualora il giudice riesca ad esternare l’esistenza di un ragionevole dubbio circa la configurabilità di una spiegazione alternativa e intenda aderire all'impostazione sviluppata dal perito o dal consulente tecnico, l'organo giudicante deve dar conto delle ragioni di una simile scelta, i risultati di detto accertamento devono sempre essere esplicitati e resi comprensibili, all'esterno, in maniera adeguata,303 non potendosi limitare ad
un'adesione meramente passiva ed acritica. Ciò tuttavia non significa che, per dimostrare di condividere gli esiti di una determinata analisi scientifica, il giudice debba autonomamente pervenire, fondandosi su cognizioni tecniche che in realtà non può possedere, a conclusioni coincidenti con quanto emerge dall'accertamento svolto dall'esperto, fornendo in tal modo un'ulteriore, specifica dimostrazione della correttezza delle tesi sviluppate dallo specialista.304
E, parimenti,l'autorità giudiziaria sulla base del proprio libero convincimento, a seguito di un ragionamento logico e di un vaglio critico sugli apporti tecnico-scientifici, può anche non
301 F.M. Iacoviello, op. cit., 1997, p. 65-66; 302 O. Dominioni, op. cit., 2005, p. 326; 303 G. Ubertis, op. cit., 2007, p.201;
304 E. Amodio, Motivazione della sentenza penale, in Enc. dir., XXVII, Milano,
1977, p. 231; M. Nobili, Il principio del libero convincimento del giudice, Milano, 1974, p. 231;
condividere e discostarsi da tali esiti peritali effettuati da un soggetto esperto nel settore specifico, purchè sia in grado di fornire un'adeguata e analitica motivazione al riguardo; e ciò anche nell'ipotesi in cui le conclusioni raggiunte dal perito appaiano conformi alle impostazioni della scienza maggioritaria. In questo caso, egli può discostarsene, con un'adeguata motivazione, qualora ritenga, ad esempio, che esse siano contraddette da nuove teorie, fatte proprie da scuole di ricerca ancora minoritarie, e recepite da altri periti o consulenti tecnici. Deve comunque saper chiarire in sede motivazionale le ragioni dei propri convincimenti, in maniera plausibile e non contraddittoria, permettendo così un controllo sulla fondatezza di simili considerazioni e delle loro premesse epistemologiche.305
Il principio del libero convincimento nella valutazione della prova scientifica porta come conseguenza che il riconoscimento di un “peso” significativo ad una determinata prova, non autorizza l’attribuzione ad essa di un carattere di inconfutabilità, costituisce infatti « un’illusione pensare che la prova scientifica possa dare garanzie di assoluta certezza nell’accertamento del fatto » La prova scientifica al pari di ogni altra prova « riesce a provare soltanto un frammento del fatto, non l’imputazione nella sua totalità ».306
Una simile ottica risulta viziata da una sorta di aprioristica ipervalutazione del “peso” attribuibile a talune prove scientifiche, che dovrebbero comunque essere inserite in un più ampio contesto ed analizzate alla luce dell’intero quadro
305 P.P. Rivello, op. cit., 2014, p.194-195;
306 E. Amodio, op. cit., 2007, p. 15; S. Lorusso, Investigazioni scientifiche, verità
probatorio, onde evitare pericoli di gravi fraintendimenti. Occorre, infatti, evitare il pericolo legato ad un'impostazione acritica da parte del magistrato nei confronti degli enunciati scientifici, propensa ad accettare passivamente i risultati ottenuti per effetto di determinate metodologie tecnico-scientifiche. In tal modo si finirebbe con l'ipotizzare un sistema probatorio caratterizzato da una sorta di gerarchia, non esplicitata ma tuttavia di fatto operante, tra le varie prove, con quelle scientifiche poste sempre al vertice della scala ideale, in conseguenza della loro maggiore "affidabilità". E focalizzando l'attenzione, in maniera quasi esclusiva, sull'astratta affidabilità della metodologia tecnico scientifica, anche qualora essa appaia molto alta, bisognerebbe comunque tenere conto che la sentenza basata sulle sue risultante potrebbe comunque offrire un quadro completamente falsato dell'effettiva dinamica dei fatti di causa, nell'ipotesi in cui fosse stato operato in maniera scorretta il successivo giudizio inferenziale.307
Un errore frequente è proprio quello di ritenere che possa o debba essere assegnata ad ogni singola prova scientifica una valenza costante ed immutabile, a prescindere dal suo concreto riferimento ad una determinata vicenda procedimentale. Mentre non ha senso parametrare, in astratto, la maggiore o minore idoneità dei vari mezzi di prova in relazione alla possibilità di ricostruzione dei fatti di causa (194), in quanto l'analisi al riguardo
deve fare riferimento alle singole vicende processuali.
Il "peso" della prova scientifica assume un carattere particolare
307 O. Dominioni, op. cit., 2001, p.1063; S. Lorusso, op.cit., 2011, p. 261, osserva
come non debba essere assegnato alla prova scientifica « il contrassegno di 'prova certa', di 'prova perfetta', che costituirebbe un'incauta riproposizione del concetto di 'prova regina' trasferito dall'ambito soggettivo proprio della confessione (e della prova dichiarativa in genere) a quello oggettivo tipico del sapere tecnico-scientifico »;
laddove, come spesso avviene, si sia in presenza di elementi probatori fra loro confliggenti. Si pensi, ad esempio, ad una serie di rilevazioni scientifiche volte a condurre ad esiti totalmente antite- tici, per quanto concerne la ricostruzione del fatto, rispetto a quelli ricavati da una determinata dichiarazione testimoniale.
Sarebbe scorretto affermare, a priori, che in questo caso la prova scientifica "annulla", automaticamente e senza eccezioni, la valenza della prova dichiarativi; al contrario, il giudice deve ovviamente prendere in esame anche quest'ultimain quanto « la scienza e la tecnica... non sono in grado di accreditare esiti di assoluta validità, tali cioè da resistere a qualsivoglia smentita che, secondo la logica e l'esperienza, possano subire da giudizi suffragati da altri materiali probatori ».308
La necessità di evitare una sopravvalutazione della prova scientifica non deve peraltro indurre a cadere nell'estremo opposto, rappresentato da un ingiustificato scetticismo e da un'irrazionale diffidenza nei confronti della scienza e delle sue potenzialità, da una vera e propria "insofferenza" verso le prospettazioni sviluppate dagli esperti, con una conseguente rivendicazione di una presunta "supremazia" del diritto sugli altri domini scientifici e della conseguente superiorità della riflessione giuridica, in un contesto caratterizzato da primato decisionale riconosciuto al giudice.309
Bisogna, inoltre, porre l'attenzione su di un aspetto del tutto peculiare della prova scientifica che si verifica quando la scienza non è in grado di offrire risposte univoche alle domande che le vengono poste. Ciò accade raramente quando la prova scientifica
308 O. Dominioni, op. cit., 2005, p.326-327; M. Taruffo, op. cit., 1992, p. 262;
309 E.Fassone, La prova scientifica: qualche preoccupazione, in De Cataldo Neuburger
utilizza conoscenze, rimedi e tecniche ormai lungamente collaudati, quindi in grado di fornire un alto livello di attendibilità. Mentre si verifica spesso quando nel processo si debbano esplorare campi in cui anche la scienza sta muovendo i suoi primi passi, per tentativi successivi, alla ricerca di dati e leggi scientifiche tuttora non interamente conosciuti. In questi casi, il problema che si pone è quello di capire in che modo il giudice possa impiegare le conoscenze scientifiche incomplete o anche contraddittorie nell'attività decisoria che gli compete. Si può affermare che le situazioni in cui più spesso accade che la scienza non riesca ad offrire risposte valide siano quelle in cui si tratta di determinare se, dal punto di vista scientifico, due elementi di fatto siano collegati da un rapporto causale, oppure siano indipendenti, sebbene statisticamente associati. In simili casi, se la scienza non è in grado di offrire al giudice una regola che gli permetta di stabilire univocamente se e quale rapporto esiste tra le due circostanze, si è costretti a ragionare utilizzando più gli strumenti del buon senso e dell'equità che quelli del diritto.310
« Nel silenzio della scienza, senza dubbio il giudice è chiamato ad un importante compito di supplenza, perché deve in sostanza anticipare ed immaginare le conclusioni alle quali il progresso tecnico presto o tardi giungerà. Ciò, se da un lato conferma la centralità della perizia quando essa è disponibile tra gli strumenti di convincimento a disposizione del giudice, dall'altro pone quest'ultimo di fronte a scelte rispetto alle quali gli unici criteri guida non sono né il diritto né la scienza, ma soltanto la ragione.».311
310 F. Introna-C.Rago- A.Regazzo, Il giudice ed il coraggio del dubbio, in Riv. it.
med. leg., 1997, p. 467 ss.;
311 R. Bonatti, Il giudice e i silenzi della scienza, in Quaderni Riv. Trim. Dir. Proc. Civ.
Chi trascura queste considerazioni giunge, oltretutto, a riversare in alcuni casi sulla prova scientifica delle "colpe" che essa non ha, e che in realtà derivano unicamente da un suo improprio utilizzo in ambito giudiziale, in quanto è proprio tale anomalo utilizzo, e non certo il ricorso a determinate tipologie di prove, a determinare degli esiti processuali che possono risultare radicalmente dissonanti da una corretta ricostruzione dei fatti di causa. Come è stato acutamente sottolineato « il valore del singolo elemento di prova non è affatto un carattere intrinseco del fatto o della cosa che si assume come elemento di prova, ma è relativo alla connessione che si instaura tra quel fatto o quella cosa e l'ipotesi che riguarda il fatto da provare ».312
Al riguardo, occorre prendere in considerazione quello che è stato definito come il frame of reference, rappresentato dalla particolare cornice in cui la prova è inserita, e dal quale vengono ricavati i giudizi concernenti le ipotesi ricostruttive sostenute dalle
hanno avuto ampio spazio nelle cronache come il « caso Di Bella» , in cui si discuteva se la multi-terapia del professore modenese rappresentasse, secondo i criteri indicai dalla scienza medica, un efficace rimedio contro certi tipi di tumori. In attesa che le istituzioni sottoponessero il protocollo alla sperimentazione necessaria e stabilissero le proprietà antitumorali della terapia proposta, la scienza non era in grado di determinare l'efficacia del trattamento. I molti casi giudiziari in cui il paziente richiedeva al giudice di ordinare alle strutture sanitarie la somministrazione gratuita dei farmaci previsti dal « protocollo Di Bella » dovevano essere risolti senza l'ausilio della scienza. E quale criterio è stato prevalentemente utilizzato? Il ragionamento dei giudici si è orientato su dati desunti dall'osservazione empirica: cioè, dopo aver disposto la somministrazione gratuita in via d'urgenza, anche considerando la rilevanza dei diritto tutelato in questione, nel corso del processo si trattava di stabilire, con una prova scientifica che non poteva risolvere ogni dubbio, se il richiedente presentasse segni di miglioramento o se, invece, il decorso della malattia restava purtroppo regolare. Nel primo caso, il giudice si convinceva dell'efficacia della terapia su quel paziente e accoglieva la domanda; altrimenti si applicava il principio dell'onere della prova: senza visibili benefici non era possibile dimostrare alcun collegamento tra il regresso della malattia e la somministrazione di farmaci e di conseguenza la domanda era rigettata.
parti contrapposte.
La prova va infatti considerata « nella sua dinamica operativa all'interno dello specifico contesto processuale, in cui essa nasce e pulsa » 313 , ed in relazione al quale assume una sua autonoma portata
e riveste una ben precisa valenza. anche in quanto ogni prova rappresenta solo la tessera di un complesso e delicato mosaico.
Il giudice, dovendo analizzare il coacervo degli elementi di prova, si trova quasi sempre di fronte alla necessità di operare un giudizio comparativo fra dati contrapposti, essendo del tutto teorico il caso rappresentato dalla presenza di una serie univoca di elementi conoscitivi assolutamente conformi tra loro, tendenti uniformemente a confermare una determinata tesi ricostruttiva del fatto, corrispondente all'impostazione accusatoria o a quella sostenuta dalla difesa, e tali da permettere così di raggiungere un livello di certezza quasi granitica al riguardo.
Non si deve dimenticare che l'ultima inferenza ha sempre come base una massima di esperienza. Una volta che è stato accertato un fatto mediante una legge scientifica, questa non è mai l'ultima inferenza che ci permette di affermare la responsabilità dell'imputato... occorre essere consapevoli che la scienza non offre il passaggio finale per la ricostruzione del fatto storico: il passaggio finale è il frutto di una decisione mentale complessa, nella quale operano i criteri della logica e dell'esperienza, che presiedono in generale al momento della valutazione.314
Ed ecco che alla luce di tutte queste argomentazioni, appare più chiara e significativa l’affermazione enfatica del giudice peritus
313 F.M. Iacoviello, op. cit., 1997, p. 173;
314 P. Tonini, Informazioni genetiche e processo penale ad un anno dalla legge, in Dir.
peritorum, la quale non esprime la presuntuosa capacità di onniscienza del giudice, bensì il potere e il correlativo dovere del giudice di sottoporre a giudizio le conclusioni del perito, e richiede un superiore rigoroso esame sia del grado di attendibilità dei risultati offerti dalla scienza utilizzata dal perito, sia della concludenza del parere espresso in relazione alle altre acquisizioni probatorie, sia, infine, delle varie soluzioni prospettate come possibili ma di diverso rilievo processuale.315
315 P. Corso, op. cit., 1983, p. 102; M. Nobili, op. cit,. 1974, p. 389; I. Virotta, op. cit.,