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Parigi senza Victor Hugo

Nel documento Demolizioni. Fare spazio alla città nuova (pagine 83-103)

festa,4 ammassata lungo boulevards nuovi e illuminati.

Se potessimo leggere nello sguardo di Victor Hugo del 5 settembre 1870, potremmo renderci davvero conto di quanto profondamente fu trasformata Parigi in meno di vent’anni (figg. 8-9, 11-12 e 15-16). La storia di quella trasformazione – lo abbiamo visto – era iniziata nel 1789 e si concluse un secolo dopo, nel giorno del funerale di Victor Hugo. Chiuderemo questa tesi proprio con il racconto di quella giornata. Ma il punto di flesso di questa storia è il colpo di stato di Luigi Bonaparte del 2 dicembre 1851: per comprendere cosa avvenne a Parigi durante quei vent’anni cruciali, dobbiamo iniziare da lì.

4 “Parigi era in festa, apparentemente più rallegrata dalla caduta dell'Impero che rattristata dalla vergogna subita dalla Francia [per la sconfitta di Sedan. n.d.a.]." D. W. Brogan, La nazione

2 dicembre 1851

Vive Napoléon! Vivent les saucissons!5

L'ascesa al potere di Luigi Bonaparte6 fu alquanto rocambolesca e il modo in cui

avvenne condizionò profondamente lo svolgimento della storia della trasformazione di Parigi.

In quanto nipote di Napoleone7, alla nascita (20 aprile 1808) Luigi Bonaparte non era

che terzo o quarto nella linea di successione al trono di Francia, trono che d'altronde fu restituito al "legittimo" titolare8 quando lui aveva appena 6 anni. Dopo Waterloo

(18 giugno 1815) e la conseguente rovina della sua famiglia, Luigi Bonaparte andò in esilio prima in Svizzera, poi in Baviera e infine a Roma, dove all’età di ventitré anni iniziò la sua carriera politica entrando nella carboneria. Dopo due tentativi di colpo di stato contro la Monarchia di Luglio (29 ottobre 1836 e 6 agosto 1840) e un'evasione dal carcere (25 maggio 1846), Luigi Bonaparte fu costretto a fuggire prima negli Stati Uniti e poi in Inghilterra. Da qui apprese che qualcun altro era riuscito dove lui aveva miseramente fallito: il 24 febbraio 1848 un’insurrezione aveva rovesciato il trono di Luigi Filippo ed era stata proclamata la Seconda Repubblica9. Il 23 e 24 aprile

si tennero le elezioni per l’Assemblea Costituente10, alle quali Luigi Bonaparte non

5 “Viva Napoleone! Viva le salsicce!”. Slogan gridato da una parte della cavalleria alla rivista dell’esercito svoltasi al cospetto di Luigi Bonaparte a Satory il 10 ottobre 1850. Da: K. Marx, Il

18 brumaio di Luigi Bonaparte, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 133.

6 Nei loro libri dedicati al colpo di stato, né Marx né Hugo chiamano Carlo Luigi Napoleone Bonaparte con il suo nome completo, ma semplicemente Luigi Bonaparte – quando non usano appellativi più ironici o dispregiativi –, negandogli il nome altisonante di suo zio. La loro scelta è chiaramente di carattere retorico e forse, almeno per quanto riguarda Hugo, ha l’obiettivo di non insozzare il nome di Napoleone con la figura del nipote. In questa tesi adottiamo la stessa soluzione di Marx e di Hugo. Vedi: K. Marx, Il 18 brumaio, cit.; V. Hugo, Napoleone il piccolo, Universale Economica, Milano 1952.

7 Secondo uno studio genetico condotto da Gérard Lucotte (https://www.ijsciences.com/pub/ pdf/V220130935.pdf; vedi anche Le Figaro, 26 aprile 2014), Carlo Luigi Napoleone Bonaparte non sarebbe in realtà stato figlio di Luigi Bonaparte – fratello minore di Napoleone Bonaparte. Marx stesso allude all’opinione, all’epoca abbastanza diffusa, che Carlo Luigi Napoleone Bonaparte fosse un figlio illegittimo, come del resto lo era il duca De Morny, ministro di Napoleone III e suo fratellastro, in quanto figlio della stessa madre, Ortensia de Beauharnais (K. Marx, Il 18 brumaio, cit., p. 200).

Se tutto ciò fosse vero, non una goccia del sangue di Napoleone scorrerebbe nelle vene di Carlo Luigi Napoleone Bonaparte e la parte del suo nome su cui – naturalmente – si fondò il suo consenso politico, sarebbe illegittima. Questo fatto getterebbe una luce davvero grottesca su tutta la storia del Secondo Impero, comunque del tutto irrilevante ai fini di questa ricerca.

8 Luigi XVIII di Borbone, fratello minore di Luigi XVI.

9 Su pressione degli insorti fu formato un Governo Provvisorio repubblicano-socialista, costituito dai partiti della Camera dei Deputati che erano all’opposizione durante la Monarchia di Luglio.

partecipò. Riuscì finalmente a introdursi nelle istituzioni in occasione delle elezioni supplementari del 4 giugno in cui risultò tra i candidati più votati, posizionandosi subito alle spalle di Adolphe Thiers e di Victor Hugo11. Ma i dubbi sollevati da Louis

Blanc in merito alla legalità della sua elezione indussero Luigi Bonaparte a rinunciare disciplinatamente al seggio12. Questa scelta gli permise di rimanere, agli occhi degli

elettori, estraneo alla repressione guidata dal ministro Cavaignac dell’insurrezione del 23 giugno13. Il 17 settembre 1848, con Parigi sotto stato di assedio, si tennero

repubblicano-socialista, ma segnarono anche il ritorno dei monarchici. L’Assemblea fu composta da 880 deputati, di cui 600 repubblicani moderati, 200 del Partito dell’Ordine (monarchici orleanisti e legittimisti) e 80 socialisti. L’Assemblea Costituente si istallò il 4 maggio 1848 e restò in carica fino al 26 maggio 1849. Il 10 maggio 1848 L’Assemblea Costituente nominò la Commissione Esecutiva, da cui furono esclusi i membri dell’ala sinistra del passato Governo Provvisorio, mentre il generale orleanista Cavaignac divenne ministro della guerra.

11 Adolphe Thiers fu autore delle nuove mura di Parigi (1840) e più volte ministro durante la Monarchia di Luglio, che nel 1848, in qualità di primo ministro, tentò di difendere proponendo una dura repressione dell’insurrezione di febbraio. Tra le altre cose, nel suo curriculum

poteva annoverare il tristemente famoso massacro della rue Transnonain, avvenuto durante la repressione dell'insurrezione repubblicana di Parigi del 1834. Nel 1848 Thiers e Hugo entrarono insieme tra le file del Partito dell’Ordine nell’Assemblea Costituente della Seconda Repubblica e nel 1871 si ritrovarono nell’Assemblea Nazionale della Terza Repubblica, ma su fronti opposti: mentre Thiers era rimasto immobile, Hugo aveva percorso tutto l’arco parlamentare da destra verso sinistra.

12 Il 13 giugno 1848 Luis Blanc, durante un acceso dibattito all’Assemblea Costituente, oppose all’elezione di Luigi Bonaparte la legge del 10 aprile 1832 che condannava all’esilio i membri delle famiglie Borbone e Bonaparte. Nessuno oppose questa legge né all’elezione del 23-24 aprile di altri tre membri della famiglia Bonaparte, né alla successiva elezione del 17 settembre dello stesso Luigi Bonaparte. Appresa la notizia dell’opposizione alla sua elezione, l’esule scrisse da Londra una lettera dai toni concilianti che venne letta all’Assemblea Costituente: “Je désire la maintien d’une république sage, grande et intelligente; et puisque involontairement je favorise le désordre, je dépose, non sans de vif regrets, ma démission entre votre mains. Bientôt, je l’espère, la calme renaîtra et me permettra de rentrer en France.” Al posto della calma auspicata da Luigi Bonaparte, il 23 giugno scoppiò una sommossa.

Vedi: F. Choisel, La Deuxième République et le Second Empire au jour le jour, chronologie

érudite détaillée, Paris, CNRS Editions, 2015, p. 69.

13 L’intrico di eventi che portò all’insurrezione del 23 giugno 1848 e alla sua sanguinosa repressione, esula dagli interessi di questa tesi. Ricordiamo solo che scoppiò in seguito alla decisione dell’Assemblea Costituente di chiudere gli ateliers nationaux, che erano stati istituiti il 26 febbraio dal Governo Provvisorio di orientamento repubblicano-socialista, per cercare di porre rimedio alla disoccupazione che affliggeva le città francesi e soprattutto Parigi. Ma già quattro mesi dopo gli ateliers nationaux erano visti dalla Commissione Esecutiva di orientamento repubblicano-liberale come «un abus [qui a] paralysé l’industrie» (discorso del deputato conservatore Reynal, cit. in: F. Choisel, cit., p. 73). Per finanziare gli ateliers nationaux, il 16 marzo il Governo Provvisorio aveva introdotto “l’imposta dei 45 centesimi”. Come scrisse Marx, l’imposta dei 45 centesimi «colpiva anzitutto la classe dei contadini, cioè la grande maggioranza del popolo francese. Essi dovettero pagare le spese della rivoluzione di febbraio e da essi la controrivoluzione trasse le sue forze principali. L'imposta dei 45 centesimi era una questione di vita o di morte per il contadino francese; egli ne fece una questione di vita o di morte per la repubblica. Da questo momento la repubblica fu per il contadino francese l'imposta dei 45 centesimi, e nel proletariato parigino egli vide lo scialacquatore che se la spassava a sue spese» (K. Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, Editori Riuniti, Roma 1973, p. 125). L’esperienza di stampo sansimoniano degli atelier nationaux può essere letta come

le seconde elezioni supplementari per l’Assemblea Costituente. Nuovamente Luigi Bonaparte si candidò e nuovamente venne eletto. I risultati di queste ulteriori elezioni rappresentarono una svolta importante nell’evoluzione della Seconda Repubblica in senso reazionario. Come scrisse Marx, “lo stato d'assedio fu l'espressione della vittoria controrivoluzionaria della borghesia sul proletariato, […] fu l'ostetrico della Costituente durante i dolori del suo parto repubblicano”14. Da quel parto, il

4 novembre 1848 nacque la Costituzione sulla quale giurò Luigi Bonaparte, eletto Presidente della Repubblica il 10 dicembre15.

Pieno d’enfasi, Victor Hugo inizia il suo racconto del giuramento del 20 dicembre 1848 con le parole del presidente dell’Assemblea Costituente, Armand Marrast: “In nome del popolo francese:

Attesochè il cittadino Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, nato a Parigi, riunisce le condizioni di eleggibilità prescritte dall'art. 44 della Costituzione;

Attesochè nello scrutinio aperto su tutta l'estensione del territorio della Repubblica per l'elezione del Presidente ebbe la maggioranza assoluta dei voti;

in virtù degli art. 47 e 48 della Costituzione, l'Assemblea Nazionale lo proclama presidente della repubblica, da oggi, fino alla seconda domenica di maggio 1852. Ai termini del decreto, io invito il cittadino presidente della repubblica a volersi portare alla tribuna per prestarvi giuramento”16.

una anticipazione delle politiche di sostegno all’occupazione che furono in seguito attuate da Napoleone III, fondate sul finanziamento pubblico dei Grandes Travaux.

14 K. Marx, Il 18 brumaio, cit., p. 73.

15 Il 10-11 dicembre 1848 si svolsero le prime elezioni presidenziali francesi con suffragio universale maschile. Tra i circa 9 milioni di elettori, Luigi Bonaparte raccolse 5.572.834 voti (il 74,2 % delle preferenze), Cavaignac ne raccolse 1.469.156 (19,6 %), Ledru-Rollin 376.834 (5 %), Raspail 37.106 (0,5 %) e Lamartine circa 20.000 (0,3%).

Marx commentò: “[l’elezione di Luigi Bonaparte] fu una reazione dei contadini, che avevano dovuto pagare le spese della rivoluzione di febbraio, contro le altre classi della nazione; una

reazione della campagna contro la città.” (K. Marx, Il 18 brumaio, cit., p. 75). Sul rapporto

conflittuale tra Parigi e il resto della Francia vedi P. Nora (a cura di), Les lieux de mémoire, vol. III, tomo 1, Édition Gallimard, Parigi, 1984-1992.

16 V. Hugo, Napoleone il piccolo, cit., p. 4. Corsivo nostro.

A proposito della Costituzione, Marx ironizza: “Nel paragrafo 44 della Costituzione è detto: «Il presidente della repubblica francese non deve mai aver perduto la qualità di cittadino francese». Il primo presidente della repubblica francese, L. N. Bonaparte, non solo aveva perduto la sua qualità di cittadino francese, non solo era stato un funzionario della polizia inglese in servizio speciale, ma era persino naturalizzato svizzero.” (K. Marx, Il 18 brumaio, cit., p. 75). Infatti, “L. Bonaparte prese la cittadinanza svizzera nel 1832. Riparato in Inghilterra, dopo la fuga dalle galere francesi, in cui scontava la condanna subita per il fallito colpo di stato di Boulogne, si arruolò volontariamente nella riserva della polizia inglese, costituita da civili.” (K. Marx, Il 18

brumaio, cit., p. 75, nota 4). Inoltre, la già citata legge del 10 aprile 1832 prescriveva l’esilio per i

membri della famiglia Bonaparte.

Precisamente contro qla limitazione del suo mandato “fino alla seconda domenica di maggio 1852”, il presidente Luigi Bonaparte realizzò il colpo di stato del 2 dicembre 1851. In quella data – lo facciamo notare di passaggio – non ricorreva l’anniversario del colpo di Stato di Napoleone il Grande (che avvenne il 18 brumaio dell’anno VIII – 9 novembre 1799), ma dell’auto-

Luigi Bonaparte entrò nell’aula. “Quel momento – scrive Hugo – ebbe qualcosa di religioso: L’Assemblea non era più l’Assemblea, era un tempio”17. Marrast lesse la

formula del giuramento: “«Innanzi a Dio ed innanzi al popolo francese, rappresentato dall’Assemblea nazionale, giuro di restar fedele alla Repubblica democratica una e indivisibile, e di adempiere tutti i doveri che m’impone la Costituzione». Il cittadino Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, alzando la destra, disse con fermo accento: «Lo giuro»”18.

Ma il Presidente Luigi Bonaparte non si accontentò del suo giuramento e volle aggiungere una dichiarazione spontanea: “I suffragi della nazione ed il giuramento che ho prestato comandano la mia condotta futura”19. Dietro ad quella semplice

congiunzione si celava un preciso programma politico. Quel richiamo all’investitura ricevuta direttamente dal popolo, che, secondo Luigi Bonaparte, lo vincolava al

pari del giuramento sulla Costituzione, era cruciale. Quella dichiarazione esplicita,

proclamata in una occasione solenne, era un segno premonitore e, alla luce degli avvenimenti che seguirono, assume l’aria di un velato avvertimento.

Il giuramento segnò l’inizio del conflitto tra l’Assemblea Nazionale (prima Costituente e poi Legislativa) e il Presidente della Repubblica. Le cause di questo conflitto – solo apparentemente paradossale e che condusse al colpo di stato del 2 dicembre 1851 – sono individuate da Marx nella stessa Costituzione. Innanzitutto, secondo la sua analisi, la Costituzione non risolveva la contraddizione tra diritti individuali e collettivi:20

vedremo come questo conflitto fu alla base dell’intero processo di trasformazione di Parigi. Inoltre, la Costituzione era vulnerabile, perché stabiliva quel rapporto diretto tra il presidente e i cittadini al quale Luigi Bonaparte fece ricorso quando attuò il colpo di Stato.21

17 V. Hugo, Napoleone il piccolo, cit., p. 6.

18 “Quel giuramento aveva il doppio carattere della necessità e della grandezza: era il potere esecutivo, potere subordinato, che lo prestava al potere legislativo, potere superiore; era meglio di ciò ancora: all'inverso della finzione monarchica, in cui il popolo prestava giuramento all'uomo investito del potere, era l'uomo investito del potere che prestava giuramento al popolo. Il presidente, funzionario e servitore, giurava fedeltà al popolo sovrano”. Ivi, p. 6.

19 Luigi Bonaparte continuò: “Il mio dovere è tracciato, e lo adempirò da uomo d’onore. Io considererò come nemici della patria tutti coloro che tenteranno di cambiare per vie illegali, ciò che la Francia intera ha stabilito.”

20 “Ogni paragrafo della Costituzione contiene la sua propria antitesi […]: nella proposizione generale, la libertà, nella nota marginale, la soppressione della libertà.” K. Marx, Il 18 brumaio, cit., p. 69. “Ognuna di queste libertà venne proclamata come diritto assoluto del cittadino francese, ma con la costante nota marginale che essa era limitata nella misura in cui non le veniva posto un limite dagli «eguali diritti di altri e dalla sicurezza pubblica».” K. Marx, Il 18 brumaio, cit., pp. 68-69.

21 “Questa Costituzione, resa inviolabile in modo così ingegnoso, era però vulnerabile in un punto, come Achille; non nel tallone, ma nella testa, o piuttosto nelle due teste in cui culminava: l'Assemblea Legislativa da una parte, il Presidente dall'altra. Si scorra la Costituzione, e si vedrà che i soli paragrafi assoluti, positivi, senza contraddizioni, incontrovertibili, sono quelli in cui sono determinati i rapporti tra il Presidente e l'Assemblea Legislativa. Qui infatti si trattava, per i repubblicani borghesi, di salvaguardare se stessi. I paragrafi 45-70 della Costituzione sono formulati in modo che l'Assemblea Nazionale può costituzionalmente deporre il Presidente,

L’analisi di Marx tende ad individuare una logica inesorabile negli eventi che condussero al 2 dicembre 1851, presentando il colpo di stato come l’inevitabile frutto delle contraddizioni della Costituzione, rese esplosive dalle lotte di classe sviluppatesi tra il 1848 e il 1851. Al contrario, Hugo presenta il colpo di stato come “un fulmine a ciel sereno”. Ai fini di questa tesi, non è tanto importante stabilire il grado di necessità della sequenza di eventi, quanto piuttosto misurarne gli effetti sulla trasformazione della città di Parigi. La nostra ricostruzione degli eventi ha l’obiettivo di delineare il quadro politico che fece da sfondo alla trasformazione urbana, perché durante la breve vita della Seconda Repubblica furono gettate le basi del consenso che sostenne il Secondo Impero.

La sequenza dei risultati delle elezioni che si svolsero tra il 1848 e il 1851 delineò un netto movimento verso destra dell’elettorato.22 Alla progressiva concentrazione

del potere nelle mani del Partito dell’Ordine corrispondeva la progressiva esclusione

mentre il Presidente può sbarazzarsi dell'Assemblea Nazionale solo andando contro la

Costituzione, solo sopprimendo la Costituzione stessa. In questo modo la Costituzione esige la propria soppressione violenta.” (Ivi, pp. 69-70. Corsivi nel testo.)

Quella individuata da Marx sembra essere una profonda contraddizione, intrinseca al sistema presidenziale della Seconda Repubblica: “Mentre i voti della Francia si disperdono sui 750 membri dell'Assemblea Nazionale, [nel Presidente] si concentrano in un solo individuo. Mentre ogni singolo rappresentante del popolo rappresenta soltanto questo o quel partito, questa o quella città, questa o quella testa di ponte […], egli è l'eletto della nazione, e l'atto della sua elezione è la briscola che il popolo sovrano gioca una volta ogni quattro anni. L'Assemblea Nazionale eletta è unita alla nazione da un rapporto metafisico, il Presidente eletto è unito alla nazione da un rapporto personale. […] Egli possiede rispetto all'Assemblea una specie di diritto divino; egli è per grazia del popolo.” (Ivi, p. 71. Corsivi nel testo). Giustamente, Marx sottolinea l’importanza del suffragio universale, che farà esplodere le contraddizioni del nuovo sistema istituzionale disegnato dalla Costituzione: “La nuova Costituzione non fu altro, in sostanza, che l'edizione repubblicana della Carta Costituzionale del 1830. Il ristretto censo elettorale della Monarchia di Luglio, che escludeva dal potere gran parte della borghesia stessa, era incompatibile con l'esistenza stessa della repubblica borghese. La rivoluzione di febbraio aveva immediatamente proclamato, al posto di quel censo, il suffragio universale diretto”. Ivi, p. 67. Il suffragio universale divenne uno dei terreni di scontro tra l’Assemblea Nazionale dominata dal Partito dell’Ordine – che lo cancellò il 31 maggio 1850 – e il Presidente Bonaparte – che lo reintrodusse con il colpo di stato del 2 dicembre 1851.

22 Questo movimento viene perfettamente descritto da Marx: “Nella rivoluzione francese [del 1789], al dominio dei costituzionali segue il dominio dei girondini, e al dominio dei girondini il dominio dei giacobini. Ognuno di questi partiti si appoggia su quello che è più avanzato di lui. […] Così la rivoluzione si sviluppa secondo una linea ascendente. Il contrario succede nella rivoluzione del 1848. Il partito proletario si presenta come appendice del partito democratico piccolo-borghese. Questo tradisce il primo e lo lascia cadere […] nelle giornate di giugno [1848]. Il partito democratico, a sua volta, si appoggia alle spalle del partito repubblicano borghese. Non appena i repubblicani borghesi credono di avere una base solida si sbarazzano dell'inopportuno compagno e si appoggiano a loro volta alle spalle del Partito dell'Ordine. Ma questo scrolla le spalle, manda a gambe all'aria i repubblicani borghesi e si appoggia alle spalle della forza armata. Crede ancora di poggiare sopra di esse quando un bel mattino si accorge che le spalle si sono cambiate in baionette. Ogni partito recalcitra contro quello che lo spinge in avanti, e si appoggia a quello che lo spinge indietro. […] Così la rivoluzione si sviluppa secondo una linea discendente.” (Ivi, pp. 84-85. Corsivi nel testo).

dalle istituzioni di una parte sempre più ampia della Nazione.23 Il Partito dell’Ordine

aveva accresciuto il suo potere, ma aveva contemporaneamente rimpicciolito la giurisdizione sulla quale poteva esercitarlo, fino a farla coincidere con le ristrette mura del parlamento.

Il culmine del potere del Partito dell’Ordine fu raggiunto il 31 maggio 1850, quando votò la nuova legge elettorale che limitava il suffragio universale.24 Marx sentenzia:

“la legge del 31 maggio 1850 fu il colpo di stato della borghesia”25 e aggiunge: "la

dittatura [della borghesia] è fino ad oggi esistita in forza della volontà popolare; ora essa deve venire consolidata contro la volontà popolare"26. Da quel momento,

il Presidente rimase il solo rivale che si opponeva al Partito dell'Ordine, cioè alla

23 La progressiva esclusione delle fasce popolari del Paese si concretizzò in particolare in due episodi. Il primo fu la raccolta di petizioni che il Partito dell’Ordine organizzò per spingere l’Assemblea Costituente all’auto-scioglimento. Marx commenta così quell’episodio: “Il governo Barrot e il Partito dell’Ordine […] organizzarono in tutta la Francia delle petizioni all’Assemblea

Nazionale Costituente, nelle quali questa era garbatamente invitata ad andarsene. Diressero

così e infiammarono contro l’Assemblea, espressione costituzionalmente organizzata del popolo, le masse del popolo disorganizzate, insegnando a Bonaparte a fare appello al popolo contro

Nel documento Demolizioni. Fare spazio alla città nuova (pagine 83-103)