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Il passato coloniale giapponese

Nel documento Il cinema d'animazione di Shinkai Makoto (pagine 131-135)

La storia del Giappone contemporaneo e il ruolo che ha assunto sul piano internazionale sono segnati da un peculiare andamento altalenante di apertura e chiusura, influenzato da molteplici fattori interni ed esterni e modellato su ideologie nazionali molto forti.

Brevemente, in seguito al periodo Azuchi - Momoyama (1568-1600) in cui vi era stata una forte espansione del commercio e un'interesse maggiore sia per i vicini Paesi asiatici sia per l'Europa, con l'instaurarsi del regime Tokugawa, il Giappone si avviò lentamente verso un progressivo e sempre più marcato isolamento. In questo modo, il Paese riuscì a sviluppare un assetto economico, sociale e politico quanto mai unico, ponendo le basi per la rapida trasformazione che arrivò in seguito con la Restaurazione Meiji. Nel periodo del Sakoku124 il Giappone attuò una

politica limitativa nei contatti con l'estero, fatta eccezione per la città di Nagasaki (per il suo importante porto), alcuni territori nell'Hokkaido e nel regno delle Ryūkyū. Questa politica permise di “preservare la società feudale giapponese dall’influsso di concezioni come quelle provenienti dall’Occidente, improntate all’individualismo […].125 Tuttavia, già nei decenni successivi la crisi della società

feudale indusse i vertici al potere a guardare all'esterno e verso Occidente per poter sfruttare le innovazioni e i progressi che si avanzavano in campo tecnologico e scientifico. A questo va inoltre aggiunta una più complessa trasformazione dell'assetto internazionale che stava investendo a pieno l'Europa con la difesa delle frontiere, la limitazione dei contatti con l'estero e l'accrescimento di ideologie nazionaliste sempre più marcate. In Giappone una tale situazione si sviluppò su due binari distinti: da una parte, gli studi verso l'Occidente erano molteplici e

124. Sakoku(鎖国) lett. Paese chiuso (sec. XVll – XIX).

125. Alessandro Valota, La grande trasformazione del Giappone Meiji, in Enrica Collotti Pischel (a cura di), Capire il Giappone, Franco Angeli, Milano, 2007 (7°ed.) , pag 139.

attiravano una gran parte della classe intellettuale nipponica. Vi era la credenza infatti che un'apertura maggiore sarebbe stata d'aiuto fondamentale per rafforzare il Paese e risolverne le diverse problematiche. Dall'altra, i kokugakusha126 (studiosi

più nazionalisti e conservatori) stavano preparando il terreno per il ritorno allo Shintoismo come religione di Stato e al consolidamento di una forte identità nazionale, con propenso all'espulsione degli stranieri, la promozione dello Shintō e dei valori popolari nipponici a cui si aggiungeva la venerazione incondizionata della figura dell'imperatore. Con la successiva riapertura del Paese avvenne anche la modifica radicale dei rapporti con il mondo esterno, nuove opportunità economiche e di scambio provocarono d'altro canto una frattura interna al Paese ancora più forte, dovuta in primis ad una debolezza generalizzata del sistema politico e militare. Il Trattato di Kanagawa del 31 marzo 1854 segnò così la fine del Sakoku e proiettò il Giappone verso una nuova apertura, detta appunto Kaikoku127 .

Oltre alle riforme in campo economico, ve ne furono anche di carattere sociale che condussero ad una maggiore uguaglianza formale ed economica di tutti i cittadini, rafforzando ulteriormente il sentimento d'identità nazionale. Si avviò quindi un brusco processo di trasformazione, imposto dall’interno, che portò ad un radicale cambiamento delle caratteristiche del Giappone; le innovazioni introdotte erano ispirate al modello occidentale, considerato un'eccellenza di modernità ed efficienza. Eppure, queste imitazioni erano volte ad evitare allo stesso tempo un’invasione coloniale da quegli stessi Paesi da cui prendevano spunto; si credeva quindi che solo attraverso la modernizzazione del Paese, si potesse sconfiggere una possibile sopraffazione coloniale da parte dell’occidente. Per far questo il governo si dotò di uno slogan: “wakon yosai”128 cioè “spirito giapponese,

tecnologia occidentale”. Lo scopo di questo slogan era quella di rassicurare il popolo, garantendo, nonostante i mutamenti che toccavano ogni aspetto della

126. Kokugakusha (国学者 ) lett. studiosi delle cose del Paese. Intellettuali nazionalisti che prediligevano gli studi prettamente nipponici.

127. (開国) Periodo in cui il Giappone interruppe il periodo isolazionistico in concomitanza con la restaurazione Meiji (dal 1867-1868).

società, una continuità con il passato. Grazie alla definizione di questo “mito identitario”129 i giapponesi riuscirono a sopportare e a reagire all’estraneità che li

circondava e a meglio sopportare i successivi trattati che il governo dovette stipulare con la Gran Bretagna, l'Olanda, la Russia e la Francia, modellati alla stregua di quelli subiti dai vicini Paesi asiatici, come la Cina, e tristemente noti come Trattati Ineguali. Sin quindi dai suoi primi passi nell'arena internazionale, il Giappone visse in modo ambivalente il rapporto con l'estero: da un parte fu visto come una risorsa fondamentale per lo sviluppo del Paese, una possibilità di modernizzazione. Dall'altra faccia della medaglia invece, venne percepito come una minaccia, un'intrusione volta a destabilizzare l'ordine secolare preesistente; questo duplice spirito segnò anche la storia del secolo successivo, in cui il ruolo del Giappone si fece più forte sulla scena mondiale. In concomitanza con l'accrescere del suo potere economico, iniziò anche il periodo di espansionismo in Asia, dapprima in Corea e in Cina. Prendendo parte alla Prima Guerra Mondiale il Giappone confermò il suo ruolo di superpotenza emergente, di cui tuttavia venne sottovalutata l'importanza per la posizione in “secondo piano” dei Paesi non occidentali e i benefici concessi durante la Conferenza di Versailles del '22 rispecchiarono fedelmente questa situazione di disparità.

In un clima di forti tensioni trovarono allora un fertile terreno correnti di pensiero xenofobe, che alimentando il sentimento nazionalista, affermavano via via crescendo l'esigenza di espansione sotto l'ideale del Panasiatismo – unione di tutti i popoli dell’Asia Orientale sotto la guida del Giappone contro l’imperialismo bianco. Nella Grande Sfera di Co-prosperità asiatica rientrava l’ambizione di creare, negli anni ’40 del secolo XX, un’unione economica e politica con i paesi dall’area del Pacifico, dell’oceano Indiano e dell’Asia centrale. Per raggiungere tale fine, il Giappone si era preposto tre stadi di conquista: la Sfera interna era costituita da Giappone, Manciuria, Cina settentrionale, il basso Yangtze e l’area marittima russa.

Nella Piccola sfera dovevano rientrare, oltre alla sfera interna, la Siberia orientale, la Cina meridionale, l’Indocina e il Pacifico meridionale. Infine, la Grande sfera comprendeva la Piccola sfera, l’Australia, l’India e gruppi di isole del Pacifico. Vi era quindi un immenso progetto di riunificazione grazie al quale i Paesi asiatici avrebbero risollevato il loro status di colonie e avrebbero ottenuto l'indipendenza. Venne avviato quel processo di conquista che durò fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, in cui il Giappone riuscì nel massimo periodo della sua espansione ad arrivare fino alle Indie Orientali Olandesi ad est, a controllare una gran parte dell'Oceano Pacifico con l'Isola di Guam, le Salomone, fino alla parte settentrionale della Nuova Guinea. Vennero commesse atroci violenze ed ingiustizie verso quelle stesse popolazioni che voleva proteggere, motivo di forti attriti per i decenni successivi. Con la sconfitta e la resa nel 1945 tuttavia arrivò il drastico ridimensionamento e sotto lo SCAP (Comando Supremo delle Forze Alleate) venne instaurato un nuovo sistema secondo le norme occidentali, forzando la modernizzazione e modellando il Paese secondo le esigenze statunitensi.

Così si presenta il Giappone, un Paese che reduce da un passato vissuto in subordine rispetto alle altre grandi Potenze, tentò di riscattare la propria posizione diventando da vittima a carnefice, per poi essere dominato nuovamente. Ha vissuto quindi in primo piano l'esperienza di conquista, è diventata una potenza colonizzatrice durante il ventennio fascista e la Seconda Guerra Mondiale. Per questo motivo è di fondamentale importanza conoscere la storia coloniale nipponica e quali siano stati i risvolti che tuttora la società contemporanea si porta appresso. Il fardello di ciò che è stato subito e a propria volta inflitto, il riconoscimento delle proprie colpe a livello internazionale e il risanamento dei rapporti internazionali, è diventato tra i temi più dibattuti e di difficile analisi del dopoguerra. L'opera di Shinkai Makoto induce profonde riflessioni, intrecciate e forse smorzate a loro volta in questa storia d'amore e d'amicizia.

APPENDICE C:

Schede riassuntive dei film trattati

Nel documento Il cinema d'animazione di Shinkai Makoto (pagine 131-135)