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Perché condividere? 35

2. LA SHARING ECONOMY E LA COLLABORATIVE

2.4   Perché condividere? 35

Nonostante la recente ondata di studi in materia di collaborative consumption, la questione relativa alle motivazioni che spingono le persone a parteciparvi (Tussyadiah, 2015; Grassmuck, 2012) è stata lasciata a lungo in secondo piano, ma nella letteratura più recente vi è un crescente interesse per l’argomento.

Molti degli studi sull’argomento utilizzano il modello della Self Determination Theory (Deci e Ryan, 2000; Ryan e Deci, 2000), secondo il quale il comportamento è guidato sia da motivazioni intrinseche, che emergono dall’innata soddisfazione che si prova svolgendo una particolare attività, sia da motivazioni estrinseche che sono invece legate all’output e quindi separate dal comportamento in se, che diventa quindi meramente strumentale.

Per quanto riguarda le motivazioni che spingono alla condivisione nell’era del consumo collaborativo, in particolare la maggior parte degli autori ne ha individuate tre:

1. motivazioni economiche, 2. motivazioni ambientali, 3. motivazioni sociali.

Per quanto riguarda il primo driver menzionato, quello economico, molto spesso l’ascesa della collaborative consumption e la crisi economica del 2008 sono state collegate. Dovendo far fronte alle difficoltà finanziarie, infatti, le persone hanno ripensato e ri-adattato i loro modelli di consumo (Bocker e Melen, 2017), e non è un

caso che le soluzioni proposte dal consumo collaborativo siano più economiche di quelle del mercato tradizionale (Schor, 2014), essendo in grado di re-distribuire valore lungo la supply-chain dal produttore al consumatore, senza passare da alcun intermediario.

Anche se questo è vero per molti autori, altri studi, invece, hanno dimostrato che non vi è alcuna evidenza di price consciousness da parte degli utilizzatori delle piattaforme di collaborative consumption (Moeller e Wittkowsy, 2010).

L’aspetto economico può essere visto però non solo da parte dell’user che, grazie alle piattaforme di consumo collaborativo, riesce ad ottenere un bene/servizio a un minor prezzo, ma anche da parte del peer che diventa provider grazie al Web 2.0: egli infatti, grazie alle pratiche di consumo collaborativo può godere di un entrata economica secondaria.

Nel dibattito sul consumo collaborativo, anche il fattore ambientale è sempre più sottolineato (Schor, 2014). Potenzialmente questa tipologia di pratica di consumo, infatti, potrebbe rappresentare un contributo per la sostenibilità ambientale in alternativa al modello economico tradizionale. In alcuni casi questo effetto è ovvio: basti pensare alla ri-circolazione dei beni, piuttosto che a un nuovo acquisto, oppure a come alloggiare in case esistenti riduca la domanda di nuovi hotel, e così via. Alcuni studi però hanno invece evidenziato che nessuna influenza è esercitata dal fattore ambientale sull’intenzione di ricorrere alla collaborative consumption, come ad esempio nel caso della condivisione di alloggi (Tussyadiah, 2016), nel caso del car sharing (Mohlmann, 2015), oppure nel caso dei peer-to-peer network (Moeller e Wiitowsky, 2010).

Infine, è anche un aspetto sociale a guidare oggigiorno la scelta di condividere (Botsman, 2013; Ozanne e Ballantine, 2010). Aumentare le connessioni sociali e costruire una rete relazionale sono un fattore molto importante per coloro che decidono di partecipare alle pratiche di condivisione, soprattutto se si pensa che, come già discusso, che nella new era of sharing, la condivisione avviene tra sconosciuti.

In altri termini la condivisione è considerata da coloro che adottano pratiche di consumo collaborativo come un valido mezzo per la soddisfazione dei bisogni sociali, già individuato da Maslow (1943)12 e che, con la crisi relazionale tipica dell’era                                                                                                                

12 Nel 1943 Abraham Maslow, nel suo “A Theory of human Motivation”, identifica 5 macro-gruppi di

bisogni che guidano le scelte individuali e d’acquisto degli individui. I bisogni sono organizzati secondo uno schema piramidale, alla cui base si trovano i bisogni fisiologici, ossia quelli il cui soddisfacimento è

postmoderna, è sempre più difficile soddisfare.

Dunque possiamo affermare, sempre utilizzando il modello piramidale dei bisogni proposto da Maslow (1943), che le pratiche di collaborative consumption, possono essere considerate un mezzo per soddisfare sì bisogni posti alla base della piramide, ma al contempo hanno la facoltà di soddisfare bisogni appartenenti ai gradini più alti della stessa.

Se è vero che molti siti e piattaforme della condivisione pubblicizzano il fatto di creare nuovi legami sociali come un core outcome della loro attività, in moti si sono interrogati se però effettivamente riescono a creare amicizia, legami e fiducia sociale.

Alcuni studi hanno evidenziato come in effetti alcune di queste piattaforme siano in grado di creare legami sociali, come ad esempio evidenziato dallo studio del sociologo alla Stanford Paolo Parigi nel caso del CouchSurfing, ma altri, invece, hanno evidenziato come alcune piattaforme falliscono nel creare legami sociali duraturi (Dubois, Schor e Carfagna, 2014), e come addirittura tavolta le due parti della transazione non si incontrino nemmeno (Fenton, 2013), facendo sì che l’interazione sia “anonima” e “sterile” (Schor, 2014).

Anche ricerche quantitative in merito alle motivazioni che spingono ad adottare pratiche di consumo collaborativo, come ad esempio al survey condotta a livello europeo da ING, “The Sharing economy 2015”, hanno evidenziato le medesime tre motivazioni principali sopra esposte come principali fattori che determinano la partecipazione a pratiche dell’economia collaborativa (si veda Figura 3): il fattore economico, sia da parte di coloro che usufruiscono del bene/servizio (“It saves money”) sia da parte di coloro che lo forniscono (“An easy way to make extra-money”), il fattore ambientale (“It is good for environment”), e il fattore sociale (“It helps build communities”).

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    necessario per la sopravvivenza, come ad esempio mangiare. Successivamente si trovano i bisogni legati alla sicurezza, al benessere fisico e alla sicurezza economica, mente al gradino superiore sono posizionati i bisogni sociali, ossia tutti i bisogni che gli individui soddisfano trovandosi a contatto con altri individui. Dopo i bisogni sociali, infine si trovano i bisogni di stima, e, al vertice della piramide, il bisogno di autorealizzazione di se.

Figura 3: fattori che influenzano la partecipazione nell’economia collaborativa in Europa Fonte: “The sharing economy 2015”, ING International survey.

A queste tre motivazioni, sempre ricorrenti nella letteratura sull’argomento, è stato aggiunto un ulteriore driver che guida le persone a partecipare a pratiche di consumo collaborativo, ossia l’impegno a creare una trasformazione sociale (Dubois, Schor e Carfagna, 2014). Spesso, infatti, coloro che decidono di partecipare a questa tipo di pratiche sono emotivamente spinti a ricorrere a transazioni che vanno al di là delle logiche del mercato capitalistico, verso il quale spesso sono molto critici. Ovviamente la componente ideologica nelle motivazioni alla base della scelta di ricorrere alla collaborative consumption variano da piattaforma a piattaforma: sarà più contenuta nel caso di AirBnB e più marcata nel caso del CouchSurfing.

Interessante, ai fini della ricerca, è inoltre un altro punto evidenziato dalla Schor (2014) che differenzia il consumo collaborativo dalle altre e precedenti forme di condivisione, ossia il fatto che la partecipazione a quest’ultima tipologia di pratiche è in prevalenza di consumatori con un high cultural capital13 che utilizzano le pratiche legate alla collaborative consumption come una preferenza di consumo distintiva (Carfagna et al,                                                                                                                

13 Secondo la Teoria del gusto di Bourdieu (1979) ogni individuo adotta delle pratiche di consumo in base

alla combinazione di tre tipi di capitale: capitale economico (disponibilità economica), capitale culturale (competenze acquisti grazie alla scuola e alla famiglia), e capitale sociale.

2014), e che ha portato l’emergere di un high cultural capital “eco-habitus” (Carfagna, Dubois, Fitzmaurice, Ouimette, Schor, Willis, Laidley, 2014). Dunque, mentre le altre forme di condivisione possono essere considerate piuttosto come un meccanismo di sopravvivenza per i più svantaggiati, le pratiche di consumo collaborativo hanno l’abilità di coinvolgere questa tipologia di consumatori, che invece erano esclusi dai meccanismi di condivisione più antichi e “primitivi”, anche se questo non significa che pratiche di collaborative consumption sono riservate a un élite.

Un altro contributo sull’argomento è quello di Hamari, Sjoklint e Ukkonen (2016), che, invece, individuano cinque motivazioni principali che spingono le persone a partecipare a ricorrere al consumo collaborativ , e più in particolare:

1. Sostenibilità (sustainability); 2. Divertimento/piacere (enjoyment); 3. Reputazione (reputation);

4. Benefici economici (economic benefits); 5. Atteggiamento (attitude).

In parte dunque, coincidono con quanto esposto precedentemente (sostenibilità- motivazione ambientale, benefici economici-motivazione economica), ma sono arricchite da nuove dimensioni intrinseche che altri studi non avevano preso in considerazione, come ad esempio il divertimento/piacere derivante dall’attività svolta: una dimensione fondamentale nella scelta di riccorrere alla collaborative consumption, infatti, è legata a quella che è stata definitita da Csikszentmihalyi (1975) come dimensione autotelica14 dell’attività, ossia del piacere che ne deriva.

Accanto al fattore enjoyment, di fondamentale importanza è anche l’aspetto legato alla reputazione, che con l’avvento del Web 2.0 si è spostata dall’ambiente circoscritto di parenti, amici e conoscenti, a uno spazio (o meglio cyber-spazio) molto più ampio, dove ogni azione è sottoposta a un maggior livello di “controllo” degli altri membri, che                                                                                                                

14  Nell'ambito della teoria del flusso di Mihaly Csikszentmihalyi, dicesi di azione o attività che, dotata

di obiettivi pratici, trova però in se stessa e nel proprio stesso svolgimento lo scopo precipuo del suo realizzarsi, e che è parte essenziale di quegli stati di benessere allo stesso tempo fondati sulla e fondanti la consapevolezza superiore dell'uomo che si intuisce in rapporto fluido e quasi inesplicabile con un'autocoscienza in continuo divenire, slegata dalle nozioni limitanti che utilizziamo per rappresentare a noi stessi la nostra identità e ruolo mondo.

possono lasciare feedback, commentare, danneggiandola o, viceversa, incrementandola. Inoltre la reputazione, è di fondamentale importanza in un sistema che, come visto in precedenza, si base sulla fiducia, e può essere considerata un vero e proprio lasciapassare per ottenere l’accesso a prodotti e servizi condivisi.