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Social eating: un fenomeno in evoluzione? 122

5. RISULTATI DELLA RICERCA 84

5.4   Social eating: un fenomeno in evoluzione? 122

Nella volontà di voler delineare le caratteristiche generali del fenomeno, si è voluto infine rispondere alla domanda se il fenomeno di social eating è da considerare un trend passeggero, ovvero un collaborative lyfestyle destinato ad affermarsi nel mondo della ristorazione e in grado di modificarne le dinamiche col tempo.

A tal riguardo risulta evidente, sia da quanto emerso dalle risposte al questionario somministrato online, sia dalle interviste in profondità condotte, come il fenomeno si stia sempre più spostando, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, verso il la sua declinazione orientata verso il segmento dei turisti, che come visto nel corso del Paragrafo 1.5.1, è sempre più interessato a vivere “like a local”.

Non è quindi un caso che siano le piattaforme che si rivolgono a questo specifico target, come EatWith e BonAppetour, con un valore societario stimato rispettivamente in 32 milioni e di 2.8 milioni di euro, a giocare oggigiorno un ruolo dominante nel mercato del social eating.

Il consumatore italiano, invece, a detta di più host, sembra non essere ancora del tutto pronto a questo tipo di esperienza.

I 2: “ […] c’è da dire che secondo me gli italiani non sono ancora pronti ad esperienze di questo tipo: dopo un po’ da Gnammo arrivavano sempre le stesse persone, molti secondo me non capiscono il senso del social eating…”

I 2: “Secondo me è un esperimento sociale interessante, ma non tutti sono pronti a farlo: una volta avevo avuto la richiesta di una signora che voleva organizzare il compleanno per il suo fidanzato da me, avevamo concordato tutto, ma a pochi giorni dalla data, quando lui lo è venuto a sapere, si è arrabbiato moltissimo perché non capiva il senso di andare a mangiare a casa di una sconosciuta, e quindi è stata costretta ad annullare tutto.”

E infatti, la piattaforma Gnammo, pensata per un target più “autoctono”, sta subendo una forte inflessione nel numero d’iscritti, che dopo un’inziale crescita esponenziale e un vero e proprio boom di iscrizioni nel biennio 2015-2016, ha registrato un brusco calo di nuove registrazioni negli ultimi due anni.

Grafico 14: numero di utenti della piattaforma Gnammo, 2012-2018.

Fonte: Rapporto sul turismo enogastronomico italiano 2019, dati Gnammo relativi all’anno 2018

0 20000 40000 60000 80000 100000 120000 140000 160000 2012   2013   2014   2015   2016   2017   2018   2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 Utenti totali 3596 11895 24241 96616 129733 145217 150805 Nuovi utenti 3596 8299 12346 72375 33117 15484 5588

Utenti della piattaforma Gnammo,

2012-2018

È utile però analizzare il dato appena visto, con quello relativo al numero di eventi realizzati nello stesso periodo di analisi. Infatti se è vero che da un lato vi è un importante inflessione nel numero di nuovi iscritti alla piattaforma Gnammo, se si considerano gli eventi realizzati nell’anno 2018, essi sono comunque sono assimilabili quantitativamente a quelli realizzati nel biennio 2015-2016, periodo in cui le iscrizioni alla piattaforma hanno registrato un vero e proprio exploit, e dunque è possibile affermare che il numero di eventi realizzati è piuttosto costante nel tempo, grazie alla presenza di uno “zoccolo duro” di affezionati che praticano social eating, e che limitano quindi le conseguenze del brusco calo di nuove iscrizioni registrato.

Grafico 15: eventi pubblicati ed eventi realizzati su Gnammo, 2012-2018.

Fonte: Rapporto sul turismo enogastronomico italiano 2019, dati Gnammo relativi all’anno 2018

È opportuno, però, precisare che quanto visto nel corso del presente paragrafo sia circoscrivibile al mercato del social eating in Italia, data la forte tradizione legata

0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 Eventi pubblicati 82 748 993 6838 4816 3746 2769 Eventi realizzati 43 149 167 892 917 1261 834

Eventi pubblicati vs eventi realizzati

Gnammo 2012-2018

all’enogastronomia del paese (si veda Paragrafo 1.5.1.1) che ha esercitato e continua a esercitare una forte attrattiva nei confronti dei turisti, soprattutto dei cosiddetti foodies, e che quindi il discorso non sia estendibile alle dinamiche che investono il fenomeno del social eating in altri Paesi.

CONCLUSIONI

Il ruolo del consumatore nella preparazione del cibo permette di valutare, riconoscere, e collegare a evidenze empiriche le diverse teorie sulla figura del consumatore che si sono succedute nel tempo, a partire dal tradizionale approccio “buy and own”, verso contributi più recenti che hanno individuato i molteplici ruoli che il consumatore oggigiorno gioca: cliente, produttore, lavoratore, distributore, comunicatore. È per questo che si è iniziato a parlare di una figura ibrida tra produttore e consumatore, ossia il prosumer come definita da Toffler, che si basa sull’assunto che non si può più considerare il consuamtore meramente come distruttore del valore immesso sul mercato dalle imprese, ma piuttosto bisogna pensare ad esso come un co-creatore di beni, servizi e valori con le imprese, ruolo che negli ultimi anni, anche grazie al Web 2.0 con l’avvento di ciò che è stato definito come collaborative consumption, si è evoluto ulteriormente.

Il social eating, oggetto di studio della presente ricerca, s’inserisce tra le pratiche di consumo collaborativo ed è considerato come il fenomeno della food sharing economy che sta riscuotendo il più ampio successo. Esso si basa sull’incontro, mediante una piattaforma digitale dedicata, tra host e guest, dove i primi offrono una cena presso la propria abitazione, mentre i secondi, dietro pagamento di una quota di partecipazione, possono prenotare il loro posto e condividere la cena, preparata dall’host, con perfetti sconosciuti.

La presente ricerca costituisce uno dei primi studi nel campo del social eating, e in particolare ha riguardato l’analisi di diversi aspetti del comportamento del consumatore legati al fenomeno. Innanzitutto si è voluto indagare la popolazione dei guest per individuarne un profilo, nonché analizzarne motivazioni, abitudini e propensione alla spesa.

Dai risultati della ricerca è emerso chiaramente come, nel caso italiano, il social eating assuma connotazioni completamente diverse in base al fatto che l’esperienza sia vissuta durante un viaggio o meno. È, infatti, in base all’occasione in cui viene praticato il social eating che è stato possibile dividere la popolazione dei guest in due gruppi che, come verificato nel corso della ricerca, presentano caratteristiche profondamente diverse tra di loro: da un lato vi sono quelli che sono stati denominati guest “turisti”, in prevalenza stranieri e che praticano social eating solo durante i loro viaggi, e dall’altra i guest definiti “autoctoni”, in prevalenza italiani, e che praticano social eating in

prevalenza fuori dal contesto di un viaggio.

I due gruppi di guest individuati sembrano guidati nella decisione di praticare social eating da motivazioni molto diverse tra loro. Infatti, se nel caso del guest “turista” è prevalentemente la volontà di conoscere la tradizione culinaria del Paese visitato in una dimensione più autentica a spingerlo a sedersi a tavola con sconosciuti, nel caso del guest “autoctono” è piuttosto il voler conoscere nuove persone e allargare il proprio network di contatti, e, talvolta, anche il voler provare qualcosa di diverso dal solito e risparmiare sul prezzo del pasto, a guidarlo in questa scelta. Si può dunque affermare che se nel caso del guest “turista” sia soprattutto la motivazione edonistica- esperienziale, legata alla degustazione di piatti tipici e della tradizione, a giocare un ruolo fondamentale nella decisione di prendere parte a un evento di social eating, nel caso del guest “autoctono” tale scelta sia guidata piuttosto da una motivazione che può essere definita sociale.

In base a quanto appena detto è possibile individuare un duplice ruolo che il cibo ricopre nelle pratiche di social eating: in linea generale è possibile affermare che esso rappresenti un importante facilitatore nella relazione tra i commensali perfetti sconosciuti, ma è possibile notare come questa dimensione risulti particolarmente importante per la categoria dei guest “autoctoni” piuttosto che per quella dei turisti. Per quest’ultimi, infatti, il cibo rappresenta una porta diretta per conoscere la cultura e la tradizione del Paese visitato, e il social eating rappresenta un mezzo per scoprirne tradizioni e valori in maniera più autentica di quanto non sia possibile fare in un ristorante.

Particolare attenzione è stata prestata anche all’analisi del vasto panorama di piattaforme online dedicate al social eating operanti sul territorio nazionale, e, nello specifico, alle quattro piattaforme utilizzate nella fase di ricerca qualitativa. I risultati della ricerca hanno evidenziato come i due diversi segmenti di guest individuati non si rivolgano indifferentemente all’una o all’altra piattaforma, ma piuttosto vi sia un pattern di utilizzo ben definito: da un lato vi sono piattaforme come EatWith, BonAppetour, Le Cesarine e Ceneromane che servono prevalentemente la categoria dei guest “turisti”, e, dall’altra, piattaforme come Gnammo e Socialeaty che invece sono orientate verso una “clientela” più local.

Infine, un ulteriore aspetto analizzato è quello riguardo alla propensione alla spesa dei guest, dal quale è emersa nuovamente una marcata differenza tra quanto dichiarato dal

collettivo dei “turisti” e degli “autoctoni”. Mentre i primi, nella maggior parte dei casi, si dicono disposti a pagare un prezzo uguale o anche maggiore, rispetto a quanto pagherebbero (a parità di menù) in un ristorante, nel secondo caso la situazione risulta invertita, con una netta prevalenza degli intervistati che ha dichiarato di essere disposta a pagare un prezzo uguale o più basso. Se ne può quindi dedurre come il guest “turista” attribuisca un valore aggiunto all’esperienza di social eating, riconoscendone un valore anche in termini monetari, poiché fortemente interessato a vivere un’esperienza culinaria “like a local”.

Anche dall’analisi condotta sui prezzi praticati sulle piattaforme prese in esame emergono risultati coerenti con quanto appena detto: sono infatti le piattaforme EatWith e BonAppetour a praticare prezzi spesso di gran lunga superiori a quelli registrati invece su piattaforme dedicate a una clientela più locale, e tale differenza di tariffe applicate risulta ancor più marcata nelle città ad alto interesse turistico. Sarebbe lecito pensare ciò derivi da diversità nei menù proposti sulle diverse piattaforme, ma in realtà dalla ricerca è emerso come tale discrepanza sia piuttosto riconducibile al fatto che gli host operanti sulle piattaforme dedicate al segmento dei “viaggiatori”, verificata la minore sensibilità al prezzo presentata da quest’ultimi, abbiano optato per una logica di discriminazione dei prezzi applicati in base alla tipologia di guest ospitati, applicando tariffe più alte per il segmento di “clientela” turistica.

Quanto appena detto può anche essere analizzato anche in relazione alle motivazioni che spingono gli host ad aprire le porte della loro casa e a cucinare per persone sconosciute: infatti, se è vero che anche in questo caso vi è sempre una forte attenzione alla componente relazionale che caratterizza il social eating, accanto ad essa, soprattutto per coloro che si rivolgono alla categoria dei “turisti”, anche la dimensione economica gioca un ruolo molto importante, tant’è che in questo caso molto spesso è emerso come il gli host non considerino l’attività di social eating come un’attività marginale, ma piuttosto lo pratichino in maniera professionale o semi-professionale, considerandolo una fonte di guadagno complementare o addirittura principale.

Cosa si può quindi affermare riguardo alla competizione del social eating con i canali di ristorazione tradizionale?

Alla luce di quanto detto in precedenza, la ricerca ha evidenziato in maniera molto chiara comee non sia possibile fornire una risposta univoca a questa domanda. Si può affermare, infatti, che il social eating abbia una duplice dimensione: da un lato, nel caso

del social eating praticato fuori dal contesto di un viaggio, assume la valenza di una pratica facilitatrice dei rapporti sociali, sia per l’host che per il guest, e dunque si pone su un piano molto diverso rispetto a quello della ristorazione tradizionale. Discorso diverso, invece, è necessario formulare riguardo alla fattispecie del social eating praticato nel contesto di un viaggio. In quest’ultimo caso sia l’host che il guest vivono l’esperienza di social eating in una maniera più vicina e assimilabile a un’esperienza di ristorazione, che ne rappresenta sì un’alternativa ma che spesso finisce per ricalcarne le dinamiche e le logiche.

I numeri che oggigiorno registra il fenomeno, però, sono ancora piuttosto contenuti, e quindi non si può ancora parlare di una vera e propria competizione con la ristorazione tradizionale, ma in futuro? Che cosa è possibile prevedere per il futuro sviluppo del fenomeno?

Dall’analisi delle performance registrate dalle varie piattaforme di social eating si evidenzia come attualmente sia la dimensione turistica quella a giocare un ruolo da padrona, con le piattaforme dedicate a questa particolare declinazione del fenomeno che registrano dati in forte crescita e fatturati molto consistenti. Interessante anche notare a tal riguardo che siano proprio le piattaforme dedicate alla clientela dei viaggiatori a ottenere cospicui finanziamenti anche da parte di grandi gruppi d’investimento e di colossi dell’era digitale della portata di TripAdvisor. Discorso diverso, invece, per le piattaforme rivolte a una clientela più local, che, dopo un’espansione registrata nel biennio 2015-2016, sembrano aver subito una battuta d’arresto sia nel numero di iscritti, sia nel numero di eventi pubblicati e realizzati.

Quanto appena detto ci porta ad affermare che con grande probabilità sarà la declinazione turistica del fenomeno a giocare un ruolo prevalente in futuro, come del resto sta già sta facendo oggi, anche se questo non significa che la sua declinazione più local non continuerà ad esistere.

Considerato quanto emerso dalla presente ricerca, dunque, si auspica un adeguato e celere intervento del legislatore per una corretta regolamentazione del social eating, che potenzialmente potrebbe rappresentare un competitor per il canale ristorativo tradizionale, soprattutto se considerato nella sua declinazione turistica, per evitare quanto accaduto già nel settore dell’ospitalità, e garantire una leale concorrenza nel settore.

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