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SULLA POTESTÀ DELLA CHIESA DI ESIGERE IMPOSTE

1. - Necessariamente connessa alla sua qualità di società perfetta ed originaria, la Chiesa ha la potestà di imporre tributi (*). Questa sua natu­

rale prerogativa, che rientra evidentemente nel più ampio concetto di giuri­ sdizione (2), ottiene riconoscimento giuridico nell’ ordinamento dello Stato Italiano? Il problema formò oggetto di discussione anche prima degli Accordi del Laterano (s), nè .ci sembra che le stipulazioni dell’ 11 febbraio 1929 abbiano recato nuovi elementi, tali da rendere più facile la sua soluzione (4).

Il riesame del quesito infradetto, che ci proponiamo di intraprendere, non parte quindi dal solito presupposto delle innovazioni introdotte dal Con­ cordato, ma è giustificato dal fatto che il tema venne fin qui trattato in modo semplicemente occasionale: l ’ art. 21 del T. U . 29 gennaio 1931, n. 227, costituì l ’ unico argomento testuale, su cui poggiarono i sostenitori della tesi affermativa (5); la mancata concessione alle imposte ecclesiastiche, da parte dello Stato, dei cosidetti privilegi fiscali, fu invece l ’ argomento logico, dal quale si lasciarono suggestionare i fattori della tesi opposta (6). Questo angolo visuale strettamente civilistico, proprio degli autori, anche illustri, che si posero il problema, è stato ormai completamente sfruttato,

(') can. 1496 Cod. Jur. Can. : « Ecclesiae ius quoque est, independens a eivili potestate, exigendi a fidelibus quae ad cultum divinum, ad honestam clericorum aliorumque ministrorum sustentationem et ad reliquos fines sibi proprios sint necessaria ».

(2) v. Politi, La giurisdizione ecclesiastica e la sua delegazione, Milano, 1937 p. 81.

(8) v. Scaduto, Diritte ecclesiastico vigente in Italia, Torino, 1892-94, voi. I pp. 280-281; Schiappoli, Manuale di diritto ecclesiastico, Napoli, 1913, pp. 524- 525; Jemolo, L ’ amministrazione ecclesiastica, Milano, 1918, pp. 51-52; Id. Ele­

menti di diritto ecclesiastico, Firenze, 1927, pp. 285-286; Coviello, Manuale di

diritto ecclesiastico, Roma, 1922-23, voi. 1, pp. 306-308.

(4) L ’ unica nuova disposizioue relativa alla potestà tributaria della Chiesa è l’ art. 2, ultimo capoverso, del Concordato, alla rilevanza giuridica del quale accenneremo più oltre; v. infra, n. 7.

(5) v. Jemolo, Lezioni di diritto ecclesiastico : il diritto ecclesiastico dello

Stato Italiano, Città di Castello, 1933, pp. 177-179; Sabatini, Del patrimonio

ecclesiastico, Catania, 1934, p. 209; Zanobini, Corso di diritto ecclesiastico, Pisa,

1936, p. 334.

(6) v. F

alco

,

Corso di diritto ecclesiastico, Padova,

1933, voi. II, pp. 230-231 ;

F

orchielli

,

Il diritto patrimoniale della Chiesa, Padova,

1935, p. 238.

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senza ohe un risultato sicuro potesse venire acquisito. Pensiamo quindi che attingendo, da un lato al diritto canonico, dall’ altro alla più aggior­ nata dottrina giuridico-tributaria, sia possibile completare il quadro degli elementi idonei a chiarire l ’ argomento in ogni sua parte. Per conto nostro ci proponiamo soltanto di predisporre tutte le nozioni utili alla soluzione del quesito; tanto meglio se riusciremo anche a recare un diretto contri­ buto di chiarificazione.

2. - La distinzione, classica nella dottrina tributaria, fra tasse ed imposte (*), è di massima accolta nel diritto della Chiesa ((i) 2), anche se la terminologia del C o d ec Juris C an on ici è ben lungi dall’ essere, su questo punto (3), coerente ed univoca: non soltanto infatti il can. 1355 qualifica

ta x a il tributo per il seminario, ma il can. 1504 indica con la stessa

parola la tipica e fondamentale imposta ecclesiastica, e cioè il cath ed raticu m .

Più numeroso il gruppo delle tasse : quelle per 1’ esecuzione dei rescritti (canoni 59, § 2, e 1507, § 1), per l ’ amministrazione dei sacramenti (canoni 736 e 1507, § 1), per la concessione delle dispense matrimoniali (can. 1056), per i funerali (can. 1236), per gli atti di volontaria giurisdizione (can. 1507, § 1) semprechè non si debbano annoverare in questo gruppo anche le p r ò-

cu ra tion es (can. 346) e, in conformità a quanto è stato recentemente soste­

nuto (4) (a parer nostro in modo convincente), gli stipendia m an u alia

per la messa (can. 824, § 1).

L e imposte si riducono invece a cinque: le decim e (can. 1502), pagate dai fedeli agli enti ecclesiastici, che somministrano loro l ’ assistenza reli­ giosa in generale ed i sacramenti in ispecie, il cath ed ra ticu m (can. 1504), imposta di carattere generale dovuta al vescovo da tutte le chiese, benefici e confraternite a lui soggetti, il subsidium ca ritativu m (can. 1505), del quale il vescovo, sp eciali dioecesis n ecessita te im pellente, può gravare tutti i beneficiari secolari e religiosi sottoposti alla sua giurisdizione, il

tributo di fo n d a zio n e o c o n sa cra zio n e (can. 1506), che si stabilisce

appunto nell’ atto di fondazione o consacrazione di un istituto ecclesiastico,

(i) Fra i numerosissimi trattati e manuali di scienza delle finanze, vedi prin­ cipalmente TaNGORRA, Trattato di scienza della finanza, vol. I, Milano, 1915, pp. 314-317; Pugliese, Le tasse nella scienza e nel diritto positivo italiano, Pa­ dova, 1930, passim-, e, da ultimo, per un riesame critico di tale distinzione, Gian­

nini, Il rapporto giuridico d'imposta, Milano, 1937, pp. 13-15; Griziotti, Primi

elementi di scienza delle finanze, Messina, 1940, p. 131.

(21 v. Falco, Corso cit. vol. 1, pp. 329-331; Forchielli, Il diritto patrimo­

niale, cit., pp. 237-238; Del Giudice, Istituzioni di diritto canonico, Milano,

1936, pp. 223-225; Zanobini, Corso cit., pp. 320-323.

(3) Sulla terminologia del Codex in generale, si veda Falco, Introduzione

allo studio del « Codex Juris Canonici », Torino, 1925, pp. 39-46; sulle impro­

prietà terminologiche delle leggi tributarie italiane, si vedano invece Giannini,

Istituzioni di diritto tributario, Milano, 1938, pp. 32-34; Griziotti, Primi ele­

menti cit, p. 136.

(4) v. Piola, Natura giuridica degli « stipendia manualia » per la messa,

estratto dall’ « Archivio Giuridico », voì. CXVI (Quarta Serie, vol. XXXII) anno 1936-XIV.

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sui suoi redditi certi, ed infine il sem inaristicu m (canoni 1355, n. 2°, e 1356), al quale sono soggetti la stessa mensa episcopale, tutti i benefici, anche s e . regolari o di patronato, le parrocchie o quasi-parrocchie, gli ospe­ dali e le associazioni canonicamente eletti, le fabbricerie, e la maggior parte delle case religiose (’ ). Quest’ ultimo tributo, a somiglianza dei due precedenti, ha carattere meramente eventuale, in quanto viene istituito solo nel caso che il seminario non abbia propri redditi in misura suffi­ ciente, e presenta la peculiarità di avere un soggetto attivo (il vescovo) diverso dall’ ente destinatario dei proventi dell’ imposta (il seminario).

Questa peculiarità, tale per altro solo nell’ ambito del diritto della Chiesa ( ), ci fa ravvisare nell imposta in parola alcune somiglianze coi cosidetti tributi sp eciali (3), senza per altro indurci a classificarlo fra essi (dei quali sarebbe in ipotesi l ’ unico esempio nell’ ordinamento canonico); 1 inclusione fra gli enti onerati delle case religiose e dei benefìci regolari, ci sembra escludere infatti che al pagamento del seminaristico siano tenuti soltanto « coloro che, trovandosi in una determinata situazione, risentono un particolare vantaggio... per effetto dell’ esplicazione di un’ attività, di fronte a tutti gli altri cui l ’ attività medesima indistintamente profitta », o che, « in conseguenza... dell’ esercizio di un’ ... attività, provocano una spesa o una maggiore spesa dell’ ente pubblico » (4), senza tener conto del fatto (dal quale, in questo caso, penso si potrebbe prescindere) che il vantaggio specifico, di cui sopra si fanno cenno, non avrebbe carattere propriamente economico. Nè, come oggi giustamente si ritiene, la destina­ zione speciale del provento di un’ imposta può influire sostanzialmente sulla sua natura e struttura giuridica (5).

' (') Escludo dal novero delle imposte ecclesiastiche lapensio (can. 1429), cioè la detrazione, che a volte si fa, di parte dei redditi di un beneficio a favore di una determinata persona, in quanto essa, pur avendo una disciplina tipicamente pubblicistica (cfr. can. 1505), non mi sembra possedere, nonostante qualche auto­ revole, ma non motivato dissenso (Falco, Corso cit., voi. I, p. 330; DelGiudice,

Istituzioni cit., p. 224), i caratteri di un vero e proprio tributo; v. Fedele,

Delle pensioni ecclesiastiche, Milano, 1937, passim.

(2) Non mancarono infatti, nè mancano tuttora, nel diritto statuale, casi, in cui lo Stato provvede esso all’ imposizione e riscossione del tributo, e ne attri­ buisce poi in tutto o in parte il proveute ad altri enti: p. es., a sensi dell’ art. 10 del T. U. 14 settembre 1931, n. 1175, sulla finanza locale, i Comuni parte­ cipano, nella misura dal 15 al 22°)0, al prodotto dell’ imposta erariale sui biglietti venduti per gli spettacoli teatrali, cinematografici, ecc.

(3) Intorno ai tributi speciali v. Jannaccone, I tributi speciali nella scienza

della finanza e nel diritto finanziario italiano, Torino, 1905, passim ; Romano

Principii di diritto amministrativo italiano, Milano. 1912, p. 347; Fleiner, ln-

stitutionen des deutschen Verwaltungsrechts, Tubinga, 1928, p. 427 ; D’Albergo,

11 contributo di miglioria e le imposte speciali, Catania, 1929, passim-,Prbsutti,

Istituzioni di diritto amministrativo italiano, Messina, 1931, voi. I, p. 281;

Pugliese, Istituzioni di diritto finanziario : diritto tributario, Padova, 1937, pp. 26-27; Giannini, Istituzioni cit., pp. 36-38; Griziotti, Primi elementi cit. p. 70.

(4) Giannini, Il rapporto cit., pp. 15-16; cfr. Tangorra, Trattato cit., p. 317;

Pugliese, Istituzioni cit., pp. 26-27; Giannini, Istituzioni cit., p. 38.

(5) G

iannini

,

Il rapporto

cit.. p. 13 ; sulle c. d. imposte

di

scopo v. G

riziotti

,

3. - La distinzione, ohe più rileva ai nostri fini, è però quella che discrimina i tributi gravanti sugli enti facenti parte dell’ organizzazione ecclesiastica, dagli altri concernenti invece la massa dei fedeli (‘ ).

A prescindere dalle tasse, le quali possono colpire volta a volta cosi gli uni come gli altri, la sola imposta appartenente alla seconda specie sono

le d ecim e, mentre tutte le restanti appartengono senza possibilità di dubbio

alla prima fra due menzionate categorie.

Questa classificazione, estranea agli schemi tradizionali della scienza delle finanze e comunque suscettibibile di ben scarsi sviluppi fuori del­ l ’ ordinamento canonico, assume invece qui importanza fondamentale; quando infatti si tenga presente la struttura interna della Chiesa, la quale appare come un complesso di persone giuridiche fra loro connesse e concentriche che, mediante una serie di successive concatenazioni, fanno capo e parte­ cipano alla personalità della suprema fra esse (2), non sarà arbitrario dedurne che le imposte del primo gruppo altro non sono, nella loro realtà econo­ mica, che un movimento interno di ricchezza fra il patrimonio di certi enti subordinati e quello di altri enti forniti di speciale preminenza, mentre soltanto le decim e presentano caratteri meno distanti da quelli propri delle imposte statuali.

V a peraltro tenuto presente che i soggetti attivi del diritto di decima, si identificano, di regola, coi soggetti passivi delle altre imposte, dimodoché il sistema fiscale della Chiesa potrebbe configurarsi, di massima, come una gerarchia di soggetti, nella quale 1’ ente superiore impone tributi sol­ tanto a quelli immediamente inferiori, restando integro il diritto dei secondi a rivalersi a lor volta su quelli ulteriormente subordinati, diritto che, nel caso di ente sempilice e capillare, viene ad esercitarsi diretta- mente sui fedeli (s).

Volendo cercare una imperfetta analogia, potremmo dire ohe nella Chiesa avviene press’ a poco il contrario di quanto accade nello Stato; in quest’ ultimo infatti, 1’ erario è il principale soggetto attivo delle imposte, le quali gravano direttamente sui cittadini, mentre gli enti pubblici minori non sono, in tale loro qualità, soggetti passivi di imposte erariali, ma vengono, al contrario, talvolta sovvenzionati dal bilancio dello Stato.

4. - Logico e quasi naturale corollario di questa distinzione, è il fatto che una eventuale morosità del contribuente, non è praticamente concepibile che in relazione al secondo gruppo di tributi, giacché sarebbe

(') Circa tale distinzione, v. J

emolo

,

Elementi

cit., p. 177;

Falco, Corso

cit., voi. I, pp. 329-330;

Dei, Giudice, Istituzioni

cit., pp. 223-224.

(2) Per una lucida esposizione di questa tipica struttura e per qualche spunto critico, v. Forchielli, Il diritto patrimoniale cit., pp. 12-14.

(3) Questo non esclude peraltro che si riscontrino casi, in cui la decima non sia dovuta al tipico ente capillare, e cioè alla parrocchia, ma ad altro ente eccle­ siastico : non potrà costitnire questa circostanza un indice di dominicalità della decima? oppure essa rimonterà ad un periodo storico, in cui 1 ente decimante aveva i caratteri e le funzioni attualmente propri della parrocchia?

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assurdo supporre che una persona giuridica inferiore si rifiutasse di pagare le imposte alla persona giuridica superiore, della quale essa non è in realtà che un frammento, quando l ’ ente superiore sarebbe, almeno di regola (l), in grado di realizzare, in estrema ipotesi, il suo credito attra­ verso un mezzo radicale: la soppressione dell’ ente inferiore, del quale sarebbe, a norma di diritto, il legittimo successore (can. 1501).

Ilei resto è già stato autorevolmente osservato, in linea più generale, che « in pratica, data la disciplina che regna in seno all’ crganizzazione ecclesiastica, ed i mezzi di coazione che hanno i superiori rispetto agl’ in­ feriori, non occorrerà mai che l ’ ente creditore debba convenire in giudizio il debitore » (2), ma questa osservazione riguarda, a parer nostro, soltanto e sempre il secondo gruppo di tributi, chè una sua applicazione anche alle decime riposerebbe soltanto sul presupposto, oggi non più corrispon­ dente alla realtà sociale, che la comminatoria di sanzioni spirituali costi­ tuisse per tutti i fedeli, ed in eguale misura per ciascuno di essi, una forma di coazione sufficiente ad imporre loro l ’ osservanza della legge tribu­ taria della Chiesa.

Occorre quindi, seoondo noi, far capo ancora una volta alla menzionata distinzione, per concludere che l ’ evoluzione storica dell’ organizzazione ecclesiastica da una parte, e delle condizioni sociali dall’ altra, ha portato bensì ad un progressivo rafforzamento della supremazia gerarchica degli enti superiori su quelli inferiori, e quindi del potere d ’ imposizione dei primi sui secondi, ma anche, in senso affatto opposto, ad un graduale allentamento del vincolo tributario, intercorrente fra gli istituti ecclesia­ stici ed i singoli fedeli (8). Donde, come necessaria conseguenza, un raf­ forzarsi dell’ obbligazione in rapporto al primo gruppo di imposte, ed un avvicinarsi della fisonomía, non giuridica, ma economica, delle decime a quella dell’ oblazione volontaria.

Quello che manca, in ogni caso, alle imposte ecclesiastiche « è il ruolo esecutivo, il procedimento di manoregia, ma questo non sembra affatto essere requisito sine q u a non perchè possa parlarsi d’ imposta, e bene se ne spiega la mancanza in una organizzazione cosi speciale, in cui in effetto tale mancanza... non ha mai causato inconvenienti di sorta » (4) : il ruolo esecutivo ed i privilegi fiscali sarebbero infatti del tutto superflui, sia in rapporto al primo gruppo ricordato, in quanto non realizzerebbero alcun effettivo rafforzamento del debito d’ imposta, sia riguardo alle decime,

O Il Codex Jnris Canonici prevede peraltro alcune eccezioni a questa regola riservando alla Santa Sede la soppressione delle Religioni, anche se di diritto diocesano (can. 493), dei benefici (can. 1422), degli istituti di beneficenza e delle opere pie (can. 1494).

(2) Jbmolo, Lesioni cif., p. 178

(3) Vedi qualche cenno in TanGorra, Trattato cit., pp. 679-680, in nota, e sopratutto, da ultimo, Jemolo, voce Tasse ecclesiastiche in Nuovo Digesto Italiano,

voi. XII, parte I, p. 1328.

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giacché mancherebbe alla Chiesa, se non fosse assistita dal braccio seco­ lare, la possibilità di dare ad essi concreta rilevanza.

5. - Il debito d’ imposta non si differenzia pertanto, nell’ ambito del diritto canonico, dalle altre obbligazioni : quelle che, civilisticamente par­ lando, qualifichiamo o b b liga zion i civili d’ indole pecuniaria. Ma questa configurazione giuridica costituisce veramente una peculiarità delle impo­ ste ecclesiastiche, oppure non è altro che un carattere comune a tutte le imposte, anche statuali?

Rispetto a queste ultime, la dottrina può dirsi quasi unanime nel con­ siderare il debito d’ imposta come un’ obbligazione, che può essere analoga, ma non si identifica con le obbligazioni del diritto privato (') ; questa sua concezione poggia però su elementi del tutto estrinseci, e sopratutto sulla forma privilegiata, attraverso cui l’ obbligazione può forzatamente estin­ guersi, la quale prescinde da ogni previa decisione dell’ autorità giudiziaria. Ma, secondo una moderna teoria, decisamente orientata in senso tec­ nico-giuridico, la comune concezione dottrinale non è riuscita ad indicare la pretesa nota distintiva, che, attenendo alla sostanza giuridica del rapporto, dovrebbe segnare la differenza stru ttu ra le fra il debito d’ imposta e le obbligazioni pecuniarie di natura privatistica; questa differenza, sempre secondo questa teoria, non avrebbe alcuna ragion d’ essere, postochè il primo non sarebbe soltanto affine o uguale alla seconda, ma addirittura la medesima obbligazione, utilizzata dall’ ordinamento giuridico in materia tributaria, dato che non esiste nella dogmatica giuridica statuale una figura di obbligazione pecuniaria propria del diritto pubblico (2). Penetrando quindi profondamente nell’ essenza delle due obbligazioni, potrebbe conclu­ dersi che la natura del debito d’ imposta canonico e quella del corrispon­ dente debito d ’ imposta statuale, non differiscono sostanzialmente fra loro. Sta di fatto però che, sia pure in base ad argomenti di carattere estrinseco, i due rapporti giuridici in parola si differenziano sensibilmente : sempre per limitarci alla distinzione più vistosa, l ’ esecuzione forzata di una imposta ecclesiastica (che peraltro può ipotizzarsi, come già abbiamo detto, in via puramente astratta) dovrebbe avere il suo primo e fondamen­ tale presupposto in una pronuncia della competente autorità, non esistendo alcun procedimento canonico privilegiato, che ne consenta la realizzazione,

(') V. Vogel, Die rechtliche Natur der Finanzobligation im öslerreichiscen

Abgabenrecht, iu Finanzarchiv, 1912, pp. 1-8 e passim;Blumenstein, Die Bedeu­

tung zivilrechtliche Begriffe fü r das moderne Steuerrecht, in Festgabe für Hüber,

1919, pp. 208-209; Id., Schweizerisches Steuerrecht, Tubinga, 1926, pp. 14-16, 24-28; Id., Gegenseitige Beziehungen zwischen Zivilrecht und Steuerrecht, Basilea, 1933, pp. 146-161; Merk, Steuerschuldrecht Tubinga, 1926, pp. 8-11; Bühler,

Lehrbuch des Steuerrechts, Berlino, 1927, vol. I, pp. 6-7; Henkel, Steuerrecht,

Berlino, 1933, pp. 56-69.

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prescindendo dal presupposto in questione (1), E tutto questo senza tener conto dei possibili atteggiamenti dello Stato verso l ’ obbligazione tributaria canonica, sui quali passeremo ora ad intrattenerci.

6. - Queste possibili discipline, alle quali l’ ordinamento giuridico statuale può assoggettare il debito d’ imposta ecclesiastico, sono, a parer nostro, non più di tre, e ciascuna di esse ba più volte avuto modo di realizzarsi storicamente.

La prima disciplina, che potremmo esattamente qualificare come sep a ­

ra tistica (giacché ebbe ed ha vigore sopratutto in quei paesi, nei quali i

rapporti fra Stato e Chiesa sono regolati da questo sistema), si estrinseca nella assoluta irrilevanza, di fronte all’ ordinamento giuridico statuale, del- 1’ obbligazione tributaria canonica, l’ adempimento della quale resta affidato esclusivamente alla concreta forza coattiva che, nelle specifiche circostanze di tempo e di luogo, possono avere le sanzioni comminate dalla Chiesa.

Il secondo sistema, che noi impropriamente chiameremo recettizio, si fonda invece sul riconoscimento, da parte dello Stato, del debito d’ imposta ecclesiastico, quale esso è disciplinato nell’ ordinamento giuridico canonico, sia in rapporto ai suoi elementi strutturali ed intrinseci, sia rispetto alle forme estrinseche della sua effettiva realizzazione, ed ha la sua più com­ pleta applicazione nel sistema di diritto vigente in Italia.

Il terzo sistema infine, che potrebbe definirsi con sufficiente appros­ simazione come giu riselizion alistico, non soltanto compie una completa ricognizione del rapporto giuridico d’ imposta quale è strutturalmente deli­ neato dal diritto canonico, ma addiritura conferisce ai tributi ecclesiastici, mediante l ’ aiuto del braccio secolare, la stessa forza esecutiva, gli stessi privilegi di esazione e di esecuzione forzata, che, secondo il diritto statuale, competono ai tributi erariali. Quest’ ultima disciplina è espressamente san­ cita in due fra i più recenti concordati, e precisamente nell’ art. 10, § 5, del concordato con la Baviera (2), e nell’ art. 4, n. 4, di quello col Badén (8), ma ad essa sembrano riferirsi, per quanto meno esplicitamente, anche l ’ art. 9 del vecchio concordato con la Columbia (4), il protocollo finale (a d

(!) Ferme restando tutte le possibili cautele, con cui deve accogliersi il prin­ cipio'enunciato nel testo, specialmente per quanto potrebbe riguardare la natura del provvedimento ecclesiastico, che disponesse i esecuzione forzata del ci edito tributario, l'autorità che dovrebbe emanarlo, e le caratteristiche della relativa procedura, v. S. R. Rotae Decisiones, voi. XIV, Roma, 1930, p. 323, dee. XXXVI:

Poenas et restitutionis, 2 dicembre 1922.

(2i « Die Kirche hat das Recht, a u f der Grundlage der bürgerlichen Steuer­

listen Umlagen zu erheben » (in Perugini, Concordata vigentia notis historicis et

iuridicis declarata, Roma, 1934, p. 24). 7.

(3) « Die katolische Kirche in Baden hat das Recht, aufgrund der bürgerli­ chen Steuerlisten nach Massqabe der Verfassung des Deutschen Reiches und der

Verfassung des Freistaates Baden sowie der landesrechtlichen Bestimmungen K ir­

chensteuern zu erheben » (in Perugini, Concordata c it ., p. 2 1 3 ).

(4) « Locorum Ordinariis, ut et Parochis, integrum est exigere a fidelibus obventiones proventusque ecclesiasticos ad canonuni normam et ex bono et aequo constitutos, quique sive ex immemoriali consuetudine cuiushbet dioeceseos causam

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a rt. 13) di quello col Reieh ('), e l ’ art. 14 di quello con la cessata Repub­ blica Austriaca (2). In forza di questo sistema, in sostanza, lo Stato mutua dalla Chiesa il nudo concetto di imposta, ma a questo concetto dà il rico­ noscimento giuridico ed attribuisce le specifiche conseguenze, che sono unilateralmente previste dal diritto in rapporto ai tributi statuali.

Ma, anche a prescindere da questi tre diversi orientamenti generali, cui lo Stato può ispirarsi in questa delicata materia, la disciplina positiva propria dei singoli ordinamenti giuridici laici, può conoscere molte inte­ ressanti particolarità.

La più notevole, specialmente in rapporto al diritto italiano, è la diver­ sità di trattamento, che l ’ ordinamento statuale può disporre, fra le due

grandi categorie di imposte canoniche, che abbiamo a suo tempo veduto; lo Stato può infatti (senza venir meno alla sua coerenza confessionistica) rendere omaggio al principio della libertà ecclesiastica (3), facendo ampia