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PROFILO DEL FALLIMENTO PER DEBITO DI IMPOSTA

I

1. - Per quanto il fallimento per debito di imposta abbia costituito oggetto di numerosi studi, non si può dire che V istituto disciplinato dalla 1. 9 dicembre 1928 n. 2834 ed ora dall’ art. 23 r. d. 17 settembre 1931 n. 1608 (T. U . disposizioni riguardanti le dichiarazioni dei redditi e le sanzioni in materia di imposte dirette) sia stato perfettamente inteso nel suo lato funzionale come in quello strutturale. Ne sono dipese notevoli incertezze nella configurazione dei presupposti (n. 3 s.) e delle conseguenze del fallimento stesso, prima tra le quali quella relativa alla necessità del- l ’ osservanza del « solve et repete » per 1’ esperibilità dell’ opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento f1). È però da osservare che lo scarso ricorso al fallimento in questione da parte della p. a. finanziaria non ha invogliato gli studiosi a fermare la propria attenzione su un istituto, che si può dire sostanzialmente mancato (v. n. 7), tanto per proprio vizio intrinseco quanto per l ’ interpretazione amministrativa,'data alle disposizioni di legge.

Si noti che la legge 1928 cit., con cui l ’ istituto è stato introdotto, disciplina le penalità in materia di imposte dirette, e 1’ art. 25 r. d. 1931 cit., che attualmente regola la materia, è collocato nel capo II, sotto la rubrica « delle sanzioni » . Dal combinato disposto degli artt. 6 1. 1928 e 25 r. d. 1931 cit. si evince che il commerciante, moroso per il pagamento di sei rate consecutive di imposte dirette, relative alla sua attività com­ merciale, può essere dichiarato fallito ad istanza dell’ esattore, in seguito ad autorizzazione dell’ intendente di finanza. E evidente l ’ intenzione del legislatore di considerare siffatto fallimento come una sanzione diretta a « punire » il commerciante, con l ’ irrogazione di conseguenze giuridiche, a carico del contribuente moroso, che non derivano invece da altri mezzi esecutivi, posti a disposizione dell’ esattore, ed aventi maggior efficacia satisfattiva.

N el dare all’ intendente di finanza le direttive, circa il modo di eser­ citare il potere discrezionale nella concessione dell’ autorizzazione all’ esat- (*)

(*) Unica monografia di una certa completezza sull’ argomento è quella del Murano, 11 fallimento per debito di imposta, Napoli, 1935, ed ivi spec. p. 74 s. con abbondanti riferimenti alla dottrina; ampia la trattazione che vi dedica il Moffa, Trattato di proc. es. fise., Napoli, 1941, Y, p. 3 s. ; cfr. poi Pugliese,

Istit. dir. trib., Padova, 1937, p. 375 s., 377 ; Giannini, lst. dir. trib., Milano, 19412, p. 190 nota 47, 287 e nota 8 ; Tesoro, Principi di dir. trib., Bari, 1938, p. 587; Buzzetti, Imposta ricchezza mobile, Milano, 1937, p. 33 6; Andriou in Bonelu, Del fallimento, Milano, 19883, I, un. 29 bis, 40 bis ; Navarrini, Trattato

dir. fallim entare, Bologna, 1934, I, p. 45 s. ; Scandai.e, Riscossione imposte d i­

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tore, necessaria per la richiesta del fallimento, 1’ amministrazione finan­ ziaria ha dato una sua interpretazione dell’ istituto, che non ha mancato di influire sul successivo sviluppo di esso ; sviluppo che, a vero dire, ha un poco dell’ involuzione, poiché per ragioni di convenienza se ne è sostanzialmente snaturato il fondamento. Precisato infatti con succes­ sive circolari (30 giugno 1929 n. 7386; 3'J dicembre 1929 n. 14020; 3 settembre 1935 n. 4100) (*) che il fine « penale » del fallimento non è da considerarsi quale fine a sè stesso, dato che la punizione del contri­ buente ha pure lo scopo di costringerlo all’ adempimento degli obblighi tributari, senza ricorrere a vere e proprie pene (quale sarebbe invece quella dell’ art. 27 r. d. 1931 cit.), l ’ amministrazione ha ritenuto di poter affermare che la legge, parificando il debito di imposta ad ogni altro de­ bito commerciale, considera la finanza alla stregua di ogni altro credi­ tore, avente la facoltà di provocare la pronuncia del fallimento comune. Si noti però che l ’ ultima circ. 1935 cit. prevede espressamente che l ’ esat­ tore sia 1’ unico creditore del contribuente (v. nn. 3, 5).

A suffragio di questa interpretazione dell’ amministrazione si è creduto di poter contrapporre all’ istituto, introdotto dalla legge ’28, il fallimento fiscale, previsto dal dlgt. 1 ottobre 1917 n. 1562, per i debiti di imposta e di sovrimposta sui profitti e sovraprofitti di guerra (2). Si ritiene che tale fallimento abbia costituito un mezzo di riscossione affatto nuovo, oltre che una misura coercitiva assai efficace, in quanto che il debitore di im ­ posta, anche se non commerciante, era senz’ altro considerato in istato di cessazione dei pagamenti, onde il tribunale doveva dichiararne il fallimento a termine dell’ art. 687 c. co. Anche in tale ipotesi era necessario un ri­ corso dell’ esattore, previamente autorizzato dall’ intendente di finanza.

. Partendo dalla constatazione che la legge del ’28 restringe il falli­ mento per debito di imposte dirette al solo commerciante moroso, si è ri­ tenuto da parte della dottrina di poter assimilare senz’ altro il fallimento in questione al fallimento comune (8), rilevandone d’ altro canto il carat­

(l ) Vedile riportate rispettivamente in Murano, op. cit., pp. 101-113 e in

Giustizia tributaria, 1936, 124.

(8) V. per tutti Scandale, Natura giuridica del fall, fise, in D ir. fall., 1929, 1069 s. ; Murano, op. cit., p. 21 s. ed ivi ulteriori riferimenti. Sui lavori prepa­ ratori, oltre che in fra n. 2, cfr. Meda, Il codice penale trib., in Giustizia trib.,

1929, 42 s.

(8) V. spec. Scandai.e, Riscossione cit., p. 29 7; Murano, op. cit., p. 16 s. ; Navarrini, op. cit., I, p. 4 8 ; 1’ Andrioli, in Bonei.li, op. cit., 1, p. 333, lo assi­ mila invece maggiormente al fallimento c. d. tecnicamente fiscale del ’ 17; nel senso di distinguere il fallimento in esame dalle altre penalità, previste dalla legge 7 gennaio 1929 n. 4, v. Lampis, L e sanzioni in materia d i imposte d irette, Padova, 1934, p. 6 8 ; Tesoro, L e penalità nelle imposte dirette, Milano, 1930, p. 194 s. e Principi cit., p. 587, che lo assimilano al fallimento com une; contro De Francesco, Sanzioni penali e sanzioni amm. in materia di imposte dir., in

Riv. it. dir. peti., 1929, 1, 109, nel senso di considerare come penale la sanzione

tere di misura coercitiva, di mezzo, cioè, di c. d. esecuzione indiretta (*)- La giurisprudenza, invece, insiste nel considerare l ’ istituto del ’28 quale un mezzo esecutivo speciale, a somiglianza di quanto aveva detto rispetto al fallimento del ’17 (2).

Le incertezze in proposito sono dovute ad una non chiara ed unitaria visione dell’ istituto del fallimento per debito di imposta, quale risulta dalle disposizioni delle leggi del ’17 e del ’28, poiché tra i due tipi di falli­ mento corrono, a mio avviso, dei nessi che non si possono disconoscere,, qualora non si assuma un atteggiamento preconcetto. Ed il primo, fonda- mentale, di questi nessi è che il legislatore, volendo colpire duramente il contribuente moroso, ricorre al fallimento comune, assumendone il com­ plesso meccanismo, al fine di far leva su ll’ animo del debitore e per con­ seguire il soddisfacimento della propria pretesa. Soddisfacimento, si noti,, che il fisco potrebbe comunque raggiungere per altra via, anche più eco­ nomica, ma di significato meno esemplare. La configurazione dei due isti­

{*) Sulla classificazione delle varie sanzioni tributarie, tra cui può rientrare altresì il fallimento per debito di imposta, v. Giannini, lstit. cit., p. 224 s. Lampis, op. cit. loc. cit. Sul carattere del fallimento medesimo quale misura coercitiva v. la R elazione Ministeriale alla cit. legge del '28 (è riportata anche in brola, Delle nuove responsabilità p er il pagamento delle imposte, in Riv. d ir -

comm., 1929, I. 428), secondo cui la lotta contro le evasioni fiscali è condotta

non tanto per scopi fiscali « q u a n to e più ancora a fini di giustizia, di perequa­ zione, di preparazione del terreno necessario per ulteriori graduali diminuzioni di aliquota ». Sul concetto poi di coercizione (su cui tornerò ex professo infra n. 7) cfr. Brunetti, Delitto civile, Firenze, 1906, p. 484; Zanzucchi, L e domande

in separazione n ell’ es. forzata e la rivendicazione fallim entare, Milano, 1916,

p. 78, 126 e D ir. proc. civ., Milano, 1938, I, p. 128 s.; Ferrara L., Esecuzione

processuale indiretta, Napoli, 1915, p. 268, 277 ; Chiovenda, L' azione nel sistema

dei diritti, ora in Saggi dir. proc. civ., 1, Roma, 1930, p. 42, lstit. dir. proc. civ., Napoli, 19362, I, p. 261 ; Vassalli G., La mancata esecuzione di provvedi­

menti del giudice, Torino, 1938, p. 4 0 ; Grassetti, Debiti ( Arresto personale per), in Nuovo dig. it., IV, p. 652, nel senso di considerare i mezzi di coercizione come rientranti nel concetto di esecuzione forzata ; cantra Carnelutti, Diritto e

processo nella teoria delle obbligazioni, in Studi in onore di Chiovenda, Padova, 1927, p. 221 s. e Sistema del dir. proc. civ., Milano, 1936,1, p. 180 ; Ferrara F. j . ,

L esecuzione coatta della compravendita commerciale, Milano, 1937, p. 66; Gar- bagnati, Concorso dei creditori nell' esecuzione forzata, Milano, 1938, p. 14, 18 ; Cesarini Sforza, Risarciviento e sanzione, in Scritti giur, p er S. Romano, Pa- <4°va> 1940, I, p. 153 nota 1, che li considera simili formalmente a sanzioni sa- tisfattive, quando vengano attuati; v. pure Calamandrei, Ist. dir. proc. civ., Padova, 1941, I, p. 46 s.

O V. riferimenti in Murano, op. cit., p. 16 e nota 3. Non manca però anche nella dottrina chi rileva il carattere di mezzo esecutivo del fallimento per debito di imposta, considerandolo un rafforzamento dei normali mezzi di riscossione; cfr. Garrili.i, Riscossione delle imposte dirette, Milano, 1928, p. 527 s. ; Buzzetti,

op. cit., p. 33 6; Rantomauro, Trattato della riscossione delle imposte, Bari-Roma, 1934, p. 196; Pugliese, op. cit-, p. 375, il quale contrappone 1 mezzi di esecu­ zione ai mezzi di riscossione, annoverando tra questi ultimi il fallimento in questione, che non si differenzierebbe pertanto dal fallimento comune ; Bompani,

Imposta complementare progressiva sul reddito, Padova, 1939, p. 2 6 8 , 2 7 6 ; v.

invece Santoro, in Giusi, trib., 1932, 399 nel senso di considerarlo un mezzo esecutivo speciale; v. pure Andrioli, in Bonelli, op. cit., 1, n. 40 bis ed in fra n. 10.

tuti, e dei rapporti ohe corrono tra l ’ uno e l ’ altro di essi, permette per­ tanto, a mio avviso, di esporre qualche considerazione non superflua sulla contrapposizione, impostata dalla dottrina, tra m isura co ercitiva e m isura

esecu tiva diretta. Contrapposizione che non ha nulla in sè di logicamente

necessario, e che riduce a una mera formula l ’ affermazione, secondo cui il fallimento per debito di imposta, regolato dalla legge del ’28, non sa­ rebbe un mezzo esecutivo, sihbene una « sanzione ». Con il quale ultimo termine si vuole indicare quel particolare tipo di sanzione che è la pena.

2. - Se si confrontano le due leggi del ’ 17 e del ’28, le differenze macroscopiche, che si vogliono ravvisare tra il primo (detto fallimento fiscale in senso tecnico) ed il secondo istituto, si riducono di molto ('). Precisamente esse si compendiano nelle due seguenti : a) limitazione del fallimento del ’28 al solo commerciante cessante, a mente del codice di commercio; b) equiparazione del debito di imposta al debito commerciale, in virtù della qualità del soggetto passivo del rapporto tributario, onde rispetto al fallimento del ’28 sarebbe richiesto il normale requisito del­ l ’ insolvenza, a differenza da quanto avveniva con il fallimento del ’ 17.

Sotto il primo profilo (tz) è da osservare che l ’ estensione dell’ istituto del fallimento a chiunque abbia realizzato redditi soggetti alla imposta e sovrimposta di guerra, ancorché non eserciti od abbia esercitato abitual­ mente il commercio, non deve essere considerata come una « fictio » del tutto in contrasto con la realtà economica ; realtà che il legislatore finan­ ziario deve invece tenere nel debito conto. Dato il genere di profitti che l ’ imposta in questione colpiva (2), non parrà strana la parificazione al commerciante, e comunque l ’ esecuzione collettiva non è logicamente incon­ cepibile rispetto a chi non è commerciante (8), come lo dimostrano il di­ ritto comparato e gli stessi progetti di riforma italiani (4).

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(*) V. ne! senso del testo pure Santoro, op. cit., 399; Andrioli, in Bonelli,

op. cit., I, p. 333; implicitamente in questa direzione sono anche Candian, Op­

posizione al fallimento fiscale e il « solve et r ep e te» , in Riv. d ir. proc. civ., 1934,

I, 401, 403 e Processo di fallimento, Padova, 19382, p. 190 s. ; D’ Onofrio, L'op­

posizione al fall. fise, e il « solve et repete », in R iv. dir. proc. civ., 1934, li,

84 s.; Bigiavi, Continuazione del fallimento con un solo creditore, in Foro it., 1937, I, 1256 s.; contro pare il Provinciali, Esecuzione collettiva e creditore

unico, in D ir. fall., 1937, 241.

(2) Non è da dimenticare che per il r. d. 21 novembre 1915, n. 1648, oggetto dell’ imposta in questione erano « i nuovi redditi realizzati inconseguenza della guerra europea da commercianti, industriali e intermediari, nonché i redditi della medesima natura realizzati in eccedeuza dei redditi ordinari », ma data la ■ampia responsabilità per il pagamento dell’ imposta l’ istituto del fallimento è stato esteso anche a quei debitori, che non fossero commercianti agli effetti del codice di commercio (cfr. un’ esauriente illustrazione del provvedimento, in

Einaudi, La guerra e il sistema trib. it., Bari, 1927, p. 132 s., 212 s.).

(s) V. le osservazioni del Rocco, Il fallimento, Torino, 1917, p. 6 s. ; Na- yarrin i, op. cit., I, p. 39 (ed ivi ulteriori richiami); Arena (Andrea), La riaper­

tura del fallimento, Milano, 1938, p. 14 s.; Pavanini, Alcune osservazioni sugli effetti della risoluzione e dell' annullamento del concordato giudiziale, in Riv. -dir. proc. c i v , 1940, II, 110.

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Per il secondo aspetto (b) è da osservare che la riforma del ’ 28 ha ■dichiarato di natura commerciale, in lu itu p e r s o n a e , il debito di imposta, considerato in genere come civile (v. art. 71 t. u. 17 novembre 1922, n. 1401) ('). Ma, a mio avviso, la formula adottata dagli artt. 6 1. 1928 cit. e 25 r. d. 1931 cit. non vale ad assimilare senz’ altro il fallimento per debito di imposta al fallimento comune, malgrado il parere ufficiale, espresso fin dalle istruzioni ministeriali, contenute nella circolare 30 giugno 1929 n. 7386 cit., secondo cui « la legge — avendo parificato il debito di imposta del commerciante ad ogni altro debito commerciale — non ha apportato alcuna variazione alle norme del diritto regolanti l ’ istituto del fallimento ». E stato invero obiettato (2) che rispetto al regime normale del fallimento la legge del ’ 28 ha quantomeno modificato questo : e cioè che il mancato pagamento di sei rate consecutive di imposta importa la presunzione dello stato di cessazione dei pagamenti. Or dunque, anche dopo la modifica della formulazione originaria, contenuta nel progetto mi­ nisteriale, presentato al Senato, uno dei requisiti essenziali del fallimento comune viene in qualche modo modificato rispetto al fallimento per de­ bito di imposta.

Il vero è che la morosità nel pagamento dell’ imposta non può, a mio avviso, parificarsi alla cessazione dei pagamenti (s). Ciò era evidente ri­ spetto al fallimento t e c n ic a m e n te fiscale del ’ 17, dato che la « fictio » del-

1 art. 1 cit. non era sufficiente a colmare la differenza sostanziale, inter­ corrente tra i due presupposti del fallimento ordinario e di quello fiscale. In quest ultimo, invero, la morosità del debitore di imposta è ritenuta op e

legis equivalente allo-stato di cessazione dei pagamenti; ciò significa

che la procedura fallimentare può essere iniziata a n ch e nel caso di mo­ rosità per debito di imposta, distinguendo pertanto i requisiti del falli­ mento tecnicamente fiscale da quelli propri del fallimento comune (4).

Rispetto invece al fallimento, previsto dalla legge del ’28, si è detto

( 1) In proposito Murano, op. cit., p. 14 ; il Brunetti A ., Lezioni sul falli­ mento, Padova, 1937, p. 29 s., rilevato che una volta dichiarato il fallimento

anche il credito civile diviene commerciale, osserva che il disposto in questione ha ribadito un principio già immanente nel sistema. Gli artt. 6 e 25 rispettiva­ mente della 1. 28 e t. u. 31 derogano in sostanza al disposto dell’ art. 71 t. u. 17 ottobre 1922 n. 1401 sulla riscossione delle imposte dirette, che determinò la natura civile del debito di imposta. V. del resto la Relazione min. al t. u. di in cui si specifica che trattasi di « obbligazione commerciale, non per sua ■natura, ma soltanto in relazione alla persona del contribuente « (p. 22)

(2) Dal Navarrini, op. cit., II, p. 47. '

(3) V. Pavanini, op. cit., 110 n. 3 ; Andrioli, in Bonei.li, ori. cit. I n

333-Bompani, Imposta cit., p. 264. ’ ’ 1 ’

(4) In proposito Arena, op. cit., p. 14 nota 4, secondo il quale la morosità del commerciante a mente della legge del ’28 è da ricondursi alla cessazione dei pagamenti del fallimento ordinario, a differenza della morosità per debito di imposta sui profitti di guerra, che integra un presupposto a sè per la dichia­ razione del fallimento; Candian, Proc. cit., p. 19 s „ 22, nel senso di considerare um o le morosità come prove della cessazione dei pagamenti ; v. anche De Gen­

naro, Bancarotta, Napoli, 1930, p. 20 nota 1.

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che in esso la morosità del commerciante è da considerarsi quale un sin­ tomo dello stato di cessazione dei pagamenti, onde il giudice non dovrebbe- pronunciare senz’ altro il fallimento, bensì accertarsi dell’ effettivo stato di insolvenza (’ ). Codesta interpretazione mi pare pero contraria alla lettera, oltre che allo spirito degli artt. 6 e 25 rispettivamente 1 1928 e r. d. 1931 cit giacche al tribunale non sembra conferito un potere discrezio­ nale nella dichiarazione del fallimento, quando l’ esattore abbia presentata, la propria istanza. La circolare 30 giugno 1929 c it , potrebbe invero ali­ mentare la contraria opinione, giacché vi si legge che « la ^ n z a allo- stesso modo che il creditore privato del commerciante, ha solo la facoltà di provocare il fallimento ». Innanzitutto si vedrà sotto in che limiti questa affermazione sia esatta, per quanto attiene al carattere della richiesta del­ l’ esattore, ma poi tale constatazione (di per sé già discutibile) non porta nessun contributo alla soluzione dell’ altra questione, Be cioè il debito di imposta sia d a solo sufficiente per fare dichiarare il fallimento

È piuttosto da rilevare che contro l’ interpretazione qui difesa si po­ trebbero trarre elementi dalla relazione della commissione senatoriale (rei. Rava), la quale ultima, come si è detto, volle attenuare la sanzione del pro­ getto ministeriale, nel senso che il debito di imposta non producesse di per sé gli effetti dello stato di cessazione dei pagamenti. La commissione, inveio, intendeva in tale modo trattare il debito per imposta alla stregua di ogni altro indizio della situazione di insolvenza, onde esso, come tale, « con­ corre, con altre eventuali inadempienze, a creare la situazione del com­ merciante nei riguardi delle speciali leggi che lo concernono ». Questa, può essere stata dunque la m e n s le g is la to r i», e lo può dimostrare il fatto- che le istruzioni anzidetto considerano il fallimento in questione come soggetto alle disposizioni del fallimento comune, ma non credo che possa costituire la m en s le g is , quando si tenga in dovuta considerazione il ca­ poverso dell’ art. 25 r. d. 1931 c it , per cui la dichiarazione di fallimento è pronunciata soltanto ad istanza dell’ esattore delle imposte, in seguito a disposizione dell’ intendente di finanza (*). Salvo vedere al n. 4 sub (a )

(i) V Spinelli, Le speciali sanzioni a carico dei contribuenti morosi p er imvoste dirette, in D ir. pratica trib., 1930, 168; Honeschi, Il fallimento per de-b T d i imposta, in Dir 'fall., 1930, 580 s. ; Valor,, L a g u a iti« * T ’ d llT e to

ed il fallito per debito di imposta, in D ir. e pratica tr,b., 1934, 333, v. del resto

Murano ov. cit., p. 16; Arena, op. e loc. alt. ctt.

H Non mi pare del resto che la circolare in questione possa derogare alle norme, contenute nella legge istitutiva e nel testo unico de 31, non tanto perche il disposto dell'art. 25 cit. è successivo alle circolari del 30 giugno e 30 di­ cembre 1929 cit. (infatti la normale 36, 1932 ribadisce 1 interpretazione com­ battuta) ma in quanto sembra da escludere che dette circolar, abbiano potuto,, co n^ 'il ni laterale interpretazione, modificare la ratio dell'istituto S, noti infatti che le circolari cit. dettano direttive alla p. a., in quanto stabiliscono il mo in cut deve essere esercitato il potere discrezionale, conferito all .ntendente di finanza nell’ autorizzare la richiesta dell’ esattore (v. “ e? e “ ro* ®

4100 ove si riproducono le sole direttive per 1 esercizio del potete del interi dente) Ma più in là la circolare ovviamente non può andare, nè pertanto è le* cito che essa affacci un'interpretazione di tutto un istituto, anche quindi per

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il significato di codesta istanza, è tuttavia da osservare che siffatta di­ sposizione, che non resu lta va d a ll’ art. 6 cit. (cui si riferiva la Relazione cit.), rende identico il disposto dell’ art. 25 cit. a quello dell’ art. 1 dlgt. 1918 cit. onde, rispetto al requisito della morosità, non v ’ è ragione per assumere una soluzione differente nell’ un e nell’ altro caso. Mi par certo, quindi, che l’ art. 25 cit. presuppone che un determinato requisito per la dichiarazione di fallimento sia fatto valere dal fisco, ed in questo caso il fallimento stesso è dichiarato solo dietro istanza dell’ esattore, derogandosi cosi ad un principio fondamentale del fallimento comune ('). Deroga che, del resto, ha un significato, in quanto il mero fatto della morosità di sei rate di imposta sia considerato dalla legge quale requisito suflficiente per la pronuncia del fallimento, cosi come per l ’ art. 1 cit. era sufficiente la morosità dell’ imposta di guerra. Seguendo l ’ opposto avviso l ’ eventuale sanzione perde ogni suo significato perchè (a ) l ’ esattore verrebbe in so­ stanza a disporre di una minaccia del tutto inefficace, in quanto il giudice sarebbe tenuto a pronunciare il fallimento nei casi stessi, in cui questo può esserlo d’ ufficio, anzi per dir meglio, (b) mentre il giudice, secondo i principi generali, potrebbe dichiararlo dietro constatazioue dell’ inadem­ pienza di u n a sola rata di imposta, intendendo il relativo debito come