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CAPITOLO 6 Il recupero e la riqualificazione ambientale dei siti di cava

6.1 Presupposti metodologici e la Landscape Ecology

In letteratura, il termine di riqualificazione ambientale come recupero di aree degradate, comprese quelle estrattive, individua una varietà d’ambiti progettuali nei quali si realizzano interventi di gestione finalizzati al ripristino delle caratteristiche strutturali e funzionali tipiche dell’organizzazione di un habitat o di una comunità vegetale che si trovano in uno stato di degrado e disfunzionalità per influenza diretta od indiretta dell’uomo. Le molteplici situazioni di degrado ambientale attualmente presenti e quindi la forte riduzione di “spazi\ecosistemi sani” rendono pressante la necessità di operare sull’ambiente per invertire questo processo e ridare il suo naturale equilibrio. In questa prospettiva “il recupero ambientale” sembra costituire la soluzione ai danni già esistenti.

In definitiva, seguendo quest’accezione possono essere riferiti alla riqualificazione ambientale tutti i progetti (indicati alternativamente con i termini di ripristino ambientale, rinaturalizzazione) accomunati da uno stato ex ante di degrado degli habitat o delle comunità naturali presenti nel sito di intervento, o comunque da condizioni ambientali nelle quali la rivegetazione

naturale dei luoghi difficilmente, o lentamente, avverrebbe per processi spontanei (vedi siti estrattivi). Gli interventi di riqualificazione ambientale consistono fondamentalmente nel ripristino vegetazionale del sito, attraverso la semina e messa a dimora di specie vegetali, generalmente preceduto da un ripristino geomorfologico ed idrogeologico, dal quale spesso dipende in modo sostanziale la possibilità di recupero vegetazionale dell’area interessata. L’obiettivo ultimo della riqualificazione ambientale non è semplicemente la ricostruzione di una copertura vegetale, quanto la realizzazione degli interventi necessari ad attivare lo sviluppo spontaneo di quelle caratteristiche strutturali e funzionali dei sistemi naturali alla base della loro capacità autorganizzativa. Il riferimento teorico-scientifico sul quale si basa la riqualificazione ambientale è rappresentato dalla disciplina della restoration ecology, nella quale il concetto di “recupero” consiste da un lato, nella riduzione dell’inquinamento e dell’impatto antropico, dall’altro nel ripristino di equilibri strutturali e funzionali dell’ecosistema, sia esso un corso d’acqua, una foresta, un’area verde.

In un’interpretazione più ampia, sotto l’etichetta della riqualificazione ambientale possono essere compresi la progettazione e la realizzazione d’interventi orientati alla valorizzazione per scopi fruitivi, turistici e didattici degli ambienti naturali (percorsi naturalistici, didattici, attrezzati, ecc.; vedi casi studio). In realtà, attraverso una progettazione che prevede il riequilibrio ambientale si vuole anche sopperire alle carenze della realtà urbana, individuando nuove destinazioni d’uso di aree periferiche, in modo da avere un duplice effetto: il risanamento rurale e la riduzione delle carenze urbane. Gli interventi di recupero ambientale, però, non possono procedere per tentavi ma necessitano di un’adeguata analisi del territorio interessato secondo criteri ecologici consolidati e selezionando con attenzione le tecnologie da adottare. Senza una conoscenza adeguata di presupposti ecologici e di strumenti adeguati, il recupero ambientale appare difficilmente realizzabile. Innanzitutto risulta opportuno specificare alcuni criteri basilari riguardanti il rapporto uomo – paesaggio. Come prima cosa bisogna definire l’oggetto su cui si interviene, cioè l’ambiente, non più incontaminato, ma ormai il risultato “delle relazioni che si stabiliscono tra modello spaziale e gruppo (o gruppi) socio-culturali”, o

più semplicemente uno spazio fisico su cui l’uomo ha apportato delle modifiche. Dopo aver definito il campo d’azione, il passo successivo è quello di individuare l’oggetto modificato: il paesaggio, considerato un bene culturale nella sua accezione di paesaggio culturale, appunto. Quest’ultimo concetto viene chiarito più dettagliatamente nella definizione di H. De Blij: “il paesaggio culturale include tutti i cambiamenti identificabili, prodotti dall’uomo nel paesaggio naturale, inclusi sia l’aspetto morfologico che la biosfera”. Dunque, teoricamente si viene a creare una suddivisione tra paesaggio naturale e paesaggio culturale, che però non apporta giovamento all’ambiente, inteso come spazio modificato dall’azione dell’uomo.

Le discussioni a riguardo non sono certo molto recenti: già nell’ottocento Von Humboldt aveva dedicato parte dei suoi studi a definire questo concetto, cercando un’entità concreta ove applicarlo, e affermava che il paesaggio parlasse attraverso le sue manifestazioni e l’uomo apprendeva quel linguaggio attraverso la conoscenza della natura. In questa comunicazione si ritrovano i legami esistenti uomo-ambiente. Dunque il paesaggio comunica con l’uomo, solo che quest’ultimo ha smesso di ascoltare, creando persino una distinzione tra paesaggio culturale e paesaggio naturale, i quali necessariamente devono coincidere per poter dare delle soluzioni che non siano parziali e settarie, e che non alimentino unicamente i discorsi teorici ma siano applicabili realmente al territorio.

L’idea nasce da questo rapporto uomo-paesaggio, cultura-natura, che porta a delle situazioni ambientali non più in equilibrio. Di fronte alle esigenze funzionali del binomio uomo-cultura, il paesaggio-natura non ha fatto altro che subire azioni catastrofiche e quasi irreversibili. L’obiettivo primario dalla riqualificazione ambientale è quindi quello di riutilizzare tutte quelle zone sfruttate e poi abbandonate poiché non dispongono più di alcuna risorsa utilizzabile dall’uomo, per cercare di modificare la cultura urbana.

Nei recenti studi ambientali, la metodologia impiegata per l’analisi e la valutazione delle problematiche ambientali si è basata sui principi e concetti propri dell’Ecologia del Paesaggio (Landascape ecology). Quest’ultima rappresenta una teoria innovatrice dell’ecologia generale che considera il paesaggio qualcosa di più complesso della semplice “immagine” di una

porzione di territorio da studiare con un approccio sistemico. Il paesaggio, infatti, viene descritto come sistema gerarchizzato di ecosistemi interagenti sia naturali che antropici e trattato non come un allargamento della scala di intervento, ma come uno specifico livello di organizzazione della vita. Questa metodologia di lettura del territorio, finalizzata alla conoscenza della struttura, delle funzioni e delle trasformazioni del mosaico ambientale, consente di poter controllare il funzionamento dei sistemi ecologici, orienta la fase progettuale e permette futuri controlli e verifiche.

A differenza degli studi tradizionali sul paesaggio, rivolti essenzialmente a evidenziare gli aspetti culturali ed estetici del paesaggio, conferendo a questo un valore prettamente antropico, la nuova teoria si occupa dello studio delle caratteristiche di distribuzione e forma degli ecosistemi naturali e antropici presenti, al fine di comprenderne strutture, processi e significati. Conoscere struttura e funzioni di un paesaggio, inteso come sistema di ecosistemi, può avere un grande peso valutativo, in quanto le trasformazioni previste, non sono considerate a priori distruttive, ma sono inserite in un quadro diagnostico per verificare la loro possibilità di assorbimento nel paesaggio considerato senza alterarne l’equilibrio ecologico complessivo. La comprensione di strutture e processi è infatti alla base di ogni valutazione ambientale, attraverso la quale è possibile capire quali attività antropiche e quali attività naturali siano di reciproco interesse, quali compatibili e quali incompatibili con l’esistenza degli habitat presenti, per poi individuare trasformazioni in sintonia con le possibilità evolutive del sistema considerato.

Tale metodologia è applicabile allorché venga accettata l’ipotesi che l’uomo non sia un’entità esterna ed estranea al mondo naturale, ma ne faccia parte come tutte le popolazioni che interagiscono con l’ambiente in cui vivono. La capacità della landscape ecology di studiare in un solo momento il paesaggio antropico e quello naturale, come parti di un unico sistema diversificato, permette un approccio ai problemi territoriali in grado di superare la tradizionale conflittualità che vede le istanze antropiche in opposizione alle esigenze dei sistemi naturali; ciò offre l’opportunità di soluzioni integrate, a volte innovative.

Considerando, infatti, il paesaggio come sistema di ecosistemi naturali ed antropici interagenti, la landscape ecology tiene conto dei molteplici processi che vi avvengono, delle loro interazioni e delle esigenze gestionali, basandosi sul principio che “gli elementi naturali mantengono in equilibrio gli ecosistemi antropici e alcune attività umane contribuiscono alla stabilità e alla sopravvivenza di popolazioni e di ecosistemi naturali”. Funzioni antropiche e naturali non vanno quindi contrapposte, ma bilanciate ed insieme devono tendere all’equilibrio possibile.

L’Ecologia del paesaggio fornisce inoltre principi di riferimento, criteri e metodologie di analisi, valutazione, diagnosi, controlli, idonei strumenti scientifici e tecnici quali indicatori e modelli e si pone come un’importante disciplina di riferimento per molti settori applicativi quali la pianificazione territoriale alle diverse scale spaziali, le analisi ambientali, la valutazione d’impatto e gli studi di compatibilità ambientale, i progetti di conservazione della natura e di recupero ambientale.

Per ognuno dei campi di intervento è prevista una particolare metodologia che prevede l’impiego di indicatori ecologici atti a evidenziare e misurare le caratteristiche strutturali e funzionali del paesaggio a diverse scale spazio- temporali. Ciò consente di:

- effettuare sintesi diagnostiche significative;

- individuare e quantificare le trasformazioni territoriali necessarie e compatibili con le capacità portanti e le soglie critiche di trasformabilità del paesaggio;

- fornire linee guida per la progettazione degli interventi, basati su principi e criteri scientifici;

- simulazione di scenari evolutivi diversificati per comparare diverse alternative;

6.2 Schema generale di analisi ambientale per il recupero di siti