CAPITOLO 6 Il recupero e la riqualificazione ambientale dei siti di cava
6.3 La riqualificazione ambientale delle cave e i Piani Urbanistici
Da un’attenta analisi degli aspetti normativi sia regionali che locali risulta che, dei processi riguardanti la produzione mineraria, l’attività di cava non registri particolari interventi volti alla riconversione dei siti. Questa particolare tendenza è certamente da imputare alla già citata mancanza di una disciplina che regolamenti il settore, ma anche ad un limitato controllo del territorio assoggettato all’attività di cava, che ha lasciato pressoché liberi di qualsiasi iniziativa gli stessi cavatori.
L’argomento della riqualificazione ambientale dei siti di cava risulta abbastanza complesso e nello stesso tempo controverso anche per le tante implicazioni che la stessa attività estrattiva comporta. Innanzitutto coinvolge svariate discipline, come quelle relative alle tecniche estrattive, alla gestione ambientale, alla pianificazione urbanistica, che fra l’altro comporta spesso conflitti di competenze, difficoltà interpretative ed operative. Ciò che maggiormente si riscontra, in generale, nell’ambito del settore estrattivo è la costante conflittualità in merito alle attribuzioni dei soggetti pubblici delegati alla gestione della materia.
Il primo problema da affrontare è pertanto quello relativo alle attribuzioni di competenze amministrative nel settore dell’attività estrattiva, in quanto fattore primario per una concreta politica di riqualificazione ambientale.
A tal proposito, il Decreto Legislativo 267/2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali) prevede le deleghe ai Comuni anche in materia di pianificazione e gestione ambientale, senza tuttavia specificare il settore estrattivo. Nonostante la legge conferisca agli Enti Locali la delega in materia di ambiente, si riscontra l’anomala carenza di delega specifica nel settore estrattivo, con conseguente incompleta visione del quadro generale pianificatorio. Al contrario, un’ attribuzione di tali competenze consentirebbe ai Comuni, in un ampio discorso di pianificazione urbanistica, in coordinamento con la Provincia, di essere partecipi o addirittura protagonisti nella pianificazione dell’attività estrattiva in merito alle previsioni di coltivazione, riqualificazione, recupero delle aree di escavazione dismesse e riciclaggio dei materiali recuperabili assimilabili.
Per tentare di ovviare, almeno in parte, alle conseguenze sull’ambiente, le Regioni, fra cui l’Umbria con la Legge Regionale n. 2/2000 (artt. 6 e 12), hanno compreso nelle norme per la disciplina dell’attività di cava la ricomposizione ambientale, ossia l’insieme delle azioni da esercitare durante e a conclusione dei lavori di coltivazione delle cave. Attualmente, alcune Regioni hanno anche previsto nella Convenzione o nell’Autorizzazione di rilascio della cava l’obbligo del versamento a carico dell’esercente di un contributo annuale a titolo di concorso alle spese necessarie per interventi ulteriori rispetto ai normali obblighi di risistemazione ambientale e recupero socio-economico dell’area, da versare alle Amministrazioni Comunali.
Emerge pertanto l’esigenza di porre in relazione gli elementi finalizzati al ripristino con lo strumento urbanistico, secondo logiche imprenditoriali in grado di favorire nuove forme di occupazione e possibilmente il riuso dei siti dismessi.
Le esperienze in materia sono molteplici in diversi Paesi Europei, come evidenziato dagli stessi Casi di Studio.
Al di là della destinazione finale del sito, l’aspetto più interessante e maggiormente riscontrato nelle esperienze di recupero riscontrate è dato dal binomio pubblico-privato, sia per le fasi del processo di recupero e sia per la gestione del sito rigenerato.
Il più delle volte si tende a preferire la scelta del parco naturale, del parco tematico e del parco sportivo-ricreativo, mentre risultano pochi gli esempi di riutilizzo diverso dai precedenti e talora più funzionali per le comunità locali. A conferma di ciò, si rileva la ricorrente esperienza di interventi nei siti dimessi consistenti in procedimenti ed usi successivi al recupero con intenti perlopiù di tutela, con una visione sovrapposta fra la fase pre-estrattiva e quella post-estrattiva.
D’altro canto, una volta concesso lo svolgimento all’attività estrattiva, non può essere trascurato l’impatto ambientale che da questa deriva: risulta quindi inopportuno imporre le varie forme di vincolo una volta che i danni sul paesaggio sono ormai realizzati.
Emerge inoltre, con sempre maggiore frequenza, che certe scelte di politica ambientale non siano condivise dalla collettività, la quale non ha altrettanto spesso sufficiente forza per ricalibrare le scelte di pianificazione, subendo pertanto gli effetti negativi derivanti dall’attività estrattiva. Poiché, nella maggior parte dei casi, gli aspetti negativi prevalgono su quelli positivi, la cittadinanza auspica forme di tutela ambientale estremamente rigide. Forme che, se realizzate, potrebbero limitarsi alla salvaguardia del sito dimesso, anziché del suo riuso.
PIANO URBANISTICO
CAVA BONIFICA
Appare pertanto evidente che gli elementi che concorrono alla scelta e alla condivisione di un possibile ripristino o riuso di cava siano legati soprattutto ai soggetti della comunità territoriale in cui questa insiste. Sarebbe quindi auspicabile individuare i legami che possono intercorrere tra bonifica e Piano Urbanistico.
Un forte contributo può offrirlo l’esperienza americana di pianificazione, che demanda al privato la possibilità di intervenire sul territorio, laddove il pubblico non disponga di mezzi necessari per pianificare o per gestire progetti urbanistico-ambientali. Inoltre, gli strumenti di pianificazione d’oltre oceano prospettano i cosiddetti bonus a favore del privato, che rappresentano una forma attiva di incentivazione per le azioni di pianificazione.
In altri termini, il bonus si configura come un premio di incentivazione che si esprime in diverse forme a seconda del tipo di intervento, come quella di concessione volumetrica in cambio di cessioni d’aree destinate al pubblico o servizi rivolti alla collettività.
Più diffuse in ambito europeo fra le azioni di ripristino ambientale pianificate, risultano invece le garanzie fidejussorie da parte dei cavatori a tutela della corretta esecuzione delle opere di recupero ambientale progettate al termine dell’attività estrattiva. Queste, peraltro, non possono rappresentare una soluzione ottimale, sia per gli aspetti ambientali sia per quelli imprenditoriali, in quanto ci si chiede come possa essere definibile e quantizzabile il ripristino di cava, prima ancora di intraprendere effettivamente l’attività estrattiva poiché considerato certo il volume da cavare, non risulta altrettanto definita la forma dello scavo e le conseguenti discariche prodotte.
Infine non è assolutamente da trascurare il fatto che un’eventuale cessazione dell’attività di cava, molto spesso comporta la mancanza di una delle più significative attività economiche, sulla quale si basa il sostentamento di gran parte della popolazione del territorio su cui insiste. In relazione a quest’ultimo punto, il bonus dovrebbe essere non solo volumetrico, ma anche riferito alla destinazione d’uso, in relazione alla creazione di nuove fonti di occupazione. Uno degli aspetti fondamentali nella questione della riqualificazione ambientale dei siti di cava riguarda infatti l’individuazione di una possibile forma di pianificazione delle cave ad attività cessata.
L’argomento in parola, anche se al centro di numerosi dibattiti, non trova la dovuta attenzione, non tanto nell’affermare l’esistenza del problema, quanto nelle concrete scelte di riqualificazione ambientale ispirate alle azioni come sopra intese.
Quanto detto conferma la necessità di individuare all’interno di un processo di riqualificazione ambientale dei siti di cava le relazioni che possono intercorrere tra il territorio, la dimensione sociale, la consistenza economica attuale e futura, nonché il livello di servizi rivolti alla collettività.