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Il problema logico della ratio studiorum

Formidabile, anche per quello che si è detto riguardo alle tempistiche che contano un solo anno di meditazione, l’operazione rivoluzionaria che Vico mette in atto nel De nostri temporis

studiorum ratione consiste nello stabilire che la ratio studiorum debba mantenere come istanza

centrale il punto di vista universale, ma al tempo stesso evitare che il primato logico della verità sui contenuti particolari equivalga a una sottrazione delle passioni e inclinazioni che sono parte della natura umana. In questa prospettiva, Vico impianta il quadro complessivo della dissertazione su versanti diversi, che vanno però interpretati come le due facce del medesimo problema. Da un lato, l’istanza dell’ordo e la prerogativa logica che è alla base della sua pedagogia filosofica; dall’altro, la considerazione della prudentia e il punto di vista della molteplicità delle vicende umane, di cui è necessario tener conto nella discussione sul metodo.

Per seguire in dettaglio l’esposizione e l’intreccio concettuale di questi due elementi, giova richiamare l’attenzione sui nessi testuali tra il Capitolo III e VII del De ratione, dove è possibile anche notare la stratificazione concettuale che è alla base del problema logico della

ratio studiorum197.

Dopo aver chiarito, in sede preliminare, qual è l’oggetto della dissertazione e quali caratteristiche contraddistinguono la scienza dei moderni da quella degli antichi198, nel Capitolo III Vico entra nel merito della questione e fornisce una più specifica definizione del nesso tra ordine del sapere e molteplicità delle vicende umane, parlando di Critica, Topica e del loro rapporto.

Dapprima, egli inizia con lo spiegare il ruolo della Critica e la sua importanza pedagogica: «Et principio, quod ad scientiarum attinet instrumenta, a critica hodie studia inauguramur: quae, quo suum primum verum ab omni, non solum falso, sed falsi quoque suspicione expurget, vera secunda et verisimilia omnia aeque ac falsa mente exigi iubet»199. Al centro di questa definizione sta l’idea che l’esclusione degli elementi falsi o verosimili, è necessaria per il riconoscimento dell’istanza che anima l’indagine sul primum verum200. Qualora, infatti, rimanesse una confusione tra il principio di metodo e i contenuti che esso si propone di organizzare, sarebbe compromessa la possibilità di regolare gli strumenti di scienza, ovvero di mantenere quella relazione dell’ordo con i contenuti particolari, che è alla base dell’istanza

197 Su questo punto di raccordo testuale tra il Capitolo III e VII del De ratione si veda: E. Grassi, Filosofia critica o filosofia

topica?, Id. Vico e l’umanesimo, a cura di A, Verri, Guerini e Associati, Milano 1992, p. 32.

198 G.B. Vico, De nostri, op. cit., pp. 92-103. Mi riferisco ai Capitoli I e II, nei quali Vico si impegna in un’accurata

descrizione dell’oggetto dell’opera, sia da un punto di vista programmatico, sia da un punto di vista analitico, descrivendo lo statuto specifico delle scienze moderne. In linea generale, Vico si impegna a mettere in pratica quanto stabilito dall’impostazione dell’orazione: ivi, p. 94: «Utra studiorum ratio rectior meliorque, nostrane, an antiquorum? In quo edissertando commoda incommodaque utriusque ad exemplum conferemus: et qua nostra incommoda vitari et qua ratione possint: quae autem non possint, cum quibus antiquorum incommodis compensentur». La descrizione della Critica, dell’analisi e di tutte le discipline che sono connesse a questo metodo, rispondono all’idea di stabilire quali vantaggi (commoda) o svantaggi (incommoda) contraddistinguono il metodo moderno. Su tali, specifiche, informazione riguardo allo stato delle discipline di studio tornerò in seguito, una volta che rivolgerò la mia attenzione al modo in cui Vico procede alla destituzione dell’analisi dalla geometria e dalla fisica moderna. Per adesso, interessa esplicitare l’istanza logica generale che è alla base del problema della ratio studiorum.

199 Ivi, p. 104.

200 Un altro luogo testuale mi sembra possa aiutare a comprendere in che senso, per Vico, la Critica si caratterizzi per la

‘necessità’ di escludere gli elementi verosimili. Nell’incipit del Capitolo IV, si può notare infatti come tale ‘necessità’ venga descritta dal considerare come, nella Critica, l’insieme delle proposizioni sono concepite in forma deduttiva: ivi, p. 114: «Methodus autem geometrica in physicam a nostris videndum, ne illud incommodum secum importet, quod cum ex ea nihil negare possis, nisi caput ipsum aggrediaris, horum alterum fieri necesse sit: aut physicam huiusmodi dediscere, ut mentem ad universi contemplationem adiungas». Introducendo la trattazione dedicata al rapporto tra geometria e fisica, Vico descrive l’istanza deduttiva del metodo critico. In questo caso, la ‘necessità’ della critica sta nell’idea che non è possibile negare niente del ragionamento (ex ea nihil negate possis), se non a patto di corromperne la base stessa (nisi caput ipsum

aggrediaris). Pertanto, s’intende, è necessaria l’esclusione del verosimile: perché, altrimenti, rimanendo all’interno dell’ordine

una confusione tra la ricerca del “primo vero” e gli elementi verosimili, l’istanza dell’ordo sarebbe incapace di regolare e indirizzare i singoli contenuti del sapere. L’assunzione alla base del suo ragionamento verrebbe inficiata nelle fondamenta.

95 programmatica del metodo di studi201. Pertanto, il fatto che, subito dopo questo passo, Vico lamenti l’abitudine di iniziare l’educazione dei giovani dalla Critica202, non deve far perdere di vista la consapevolezza che tale primato si presenti anzitutto con una prerogativa logica – legata cioè alle condizioni stesse di definizione dell’indagine sul “primo vero” – che ha delle conseguenze sul modo in cui viene considerata la molteplicità delle inclinazioni umane. È all’altezza di questa premessa che va letta l’introduzione della Topica:

Deinde sola hodie critica celebratur; topica nedum non praemissa, sed omnino posthabita. Incommode iterum: nam ut argomentorum inventio prior natura est, quam de eorum veritate diudicatio, ita topica prior critica debet esse doctrina. At enim aem nostri facessunt, et nullius usus putant: nam sat est, inquiunt, homines modo critici sint, rem doceri, ut quid in ea veri inest inveniant; et quae circumstant verisimilia, eadem ipsa regula veri, nullam topicam docti vident. Sed qui certi esse possunt vidisse omnia?203.

In completa opposizione rispetto a quanto detto poco sopra, Vico rivendica il primato della Topica sulla Critica. L’invenzione degli argomenti (inventio argomentorum) precede, infatti, per natura il giudizio sulla verità (veritate diudicatio). La prerogativa, il prius, che la Topica rivendica rispetto al metodo critico dipende da una motivazione strutturale. Gli uomini, che vengono educati alla conoscenza delle cose con il solo ausilio della Critica, vengono sì abituati a produrre giudizi per quella via che è comprensiva del vero (in ea veri inest) e delle cose verosimili (verisimilia), ma in questo modo di operare rimane, comunque, un difetto di fondo. Chi può infatti – annota Vico in punta di penna – essere certo di aver visto ogni cosa (qui

201 Vico espone a chiare lettere il nesso tra instrumenta e ordo nel Capitolo II del De ratione, in luogo d’esposizione di tutti gli

elementi che compongono il metodo di studi dei moderni: ivi, p. 94: «Studiorum enim ratio tribus omnino rebus omnes contineri videtur: instrumentis, adiumentis et fine. Instrumenta enim ordinem complectuntur: nam qui instructus ad aliquam artem scientiamque addiscendam accedit, rite et ordine accedit» [il corsivo è di chi scrive]. Accanto alla presentazione di “strumenti”, “sussidi” e “fine”, si legge che “gli strumenti che completano l’ordine” (Instrumenta enim ordinem complectuntur). Si osservi, quindi, come già in questo passo per Vico sia l’ordo a stabilire il corretto indirizzo dei contenuti di scienza. Questa idea viene rafforzata dal riferimento al modo di apprendimento delle arti e delle scienze. L’antecedenza dell’ordine che in questa pratica si riscontra è la stessa di quella che caratterizza il metodo scientifico moderno: come nell’apprendimento sono le regole e l’ordine a consentire l’accesso alle materie (rite et ordine accedit), così, nella Critica, è l’ordine a precede e a indirizzare gli strumenti di scienza.

202 Cfr. ivi, p. 104: «Incommode quidem: nam adolescentibus quam primum sensus communis est conformandus, ne in vita

agenda aetate firmati in mira erumpant et insolentia». Nell’iniziare dalla Critica si incontra lo svantaggio di invertire il processo formativo naturale per gli adolescenti che, invece, iniziano dal “senso comune”, così come dalle inclinazioni verosimili che danno forma alle immagini e agli elementi del corpo. Sulla base di questa violenza che la Critica esercita sui giovani, Vico non ha dubbi nello scrivere che essa “soffoca” il compito pedagogico: ibidem: «Itaque, cum maxime adolescentibus sensus communi seduci deberet, verendum ne iis nostra critica praefocetur».

certi esse possunt vidisse omnia)?

Che cosa dà, cioè, certezza alla ‘visione’ offerta dalla Critica? Nessun dubbio sul fatto che il metodo critico stabilisca l’idea che i dotti non fanno uso di nessuna topica (nulla topicam docti

vident). La domanda, dunque, sorge in merito all’effettiva operatività della Critica, laddove,

cioè, si osserva che il suo metodo tratta i verisimilia con la stessa regola del vero (eadem ipsa

regula veri) e la capacità di inventare giudizi con la lente della verità (in ea veri inest inveniant). É

in questo passaggio, dove l’istanza logica della Critica incontra lo statuto di verità, che si può osservare lo svantaggio del metodo dei moderni. Affinché, infatti, l’indagine sul primum verum venga posta alla base dell’educazione dei giovani, è necessario anche che essa includa al proprio interno la molteplicità delle inclinazioni umane, sottoponendo la Topica e i suoi contenuti al giudizio di verità. Il dubbio nei riguardi della certezza colpisce esattamente in questo punto le prerogative della Critica. Per rappresentare lo statuto di verità essa deve anche essere in grado di concepirsi in unità con il certo204. Mancando, però, tale condizione ecco che si genera il problema inerente alla discussione sul metodo.

Si è visto, infatti, come l’esclusione dei verisimilia sia un momento necessario per la costituzione dell’ordine che è alla base del metodo critico. Quando, però, viene sollevato il dubbio circa la certezza che tale metodo riesce a dare, Vico non mette solo in questione il primato ‘logico’ della Critica, ma anche la sua istanza di verità. La Critica, scrive Vico, non riesce a “vedere tutto”, nel senso che non è in grado di includere la molteplicità delle vicende umane205. Per via della sua stessa costituzione, dunque, essa non può che tradire l’ambito di

204 Come noto questa terminologia sarà da Vico utilizzata nel De uno universi iuris principio et fine uno, il primo libro del Diritto

universale: G.B. Vico, Opere giuridiche, introduzione di N. Badaloni e a cura di P. Cristofolini, Sansoni, Firenze 1974, p. 100.

Nel Capitolo LXXXII si trova infatti l’affermazione che il “certo è parte del vero” (certum est pars veri) perché, come scrive Vico, esiste sempre un motivo di verità che impone tale inclusione («subest aliquod verum ratione dictatum»). Lo statuto di verità riguarda un’idea di unità che coinvolge anche il sapere divino. Vico espone questo punto di vista sin dall’inizio dell’opera: ivi, pp. 41-43: «Duo autem omnium genera rerum: aut mens aut corpus. Idea ordinis aeterni idea corporis non est: igitur idea mentis est. Mentis finitae non est, quia omnes homines atque adeo omnes intelligentias sunt: igitur idea ordinis aeterni est idea mentis infinitae. Mens infinita Deus est: igitur ordinis aeterni haec tria nobis una opera demonstrat: et Deum esse, et mentem unam infinitam esse, et auctores nobis aeternorum verorum esse. […] igitur earum scientiarum principia sunt a Deo». Non potendo essere del corpo l’idea dell’ordine eterno, essa appartiene a Dio, il quale è autore delle verità eterne della mente umana (auctores nobis aeternorum verorum esse). Di tale prospettiva, incentrata sulla verità come unità dell’ordine umano e divino, si possono osservare già nel De ratione importanti elementi. Per esempio, proprio nel caso del Capitolo VII che mi appresto in queste pagine a commentare, si legge un ragionamento vichiano incentrato sul nesso tra verità e l’eternità irriducibile alla dimensione ‘corporale’ dell’uomo: G.B. Vico, De nostri, op. cit., p. 132: «At ex genere vera aeterna sunt, particularia autem quoque temporis momento in falsa mutantur; aeterna supra naturam extant; in natura enim nihil, nisi mobile, nisi mutabile continetur».

205 Ed è esattamente questo sospetto che induce Vico a chiedersi, nell’incipit del Capitolo IV (vedi nota 48 per il passo, ivi,

p. 114), se non sia proprio l’istanza deduttiva della Critica a rappresentare un inconveniente (incommodum) per il sapere. Con questo spirito egli inizia un’ulteriore riflessione, che ha come intento principale la destituzione del primato dell’analisi nel

97 competenza della Topica, la quale, invece, viene da Vico presentata sempre attraverso l’insieme dei suoi elementi206.

Se si dà uno sguardo al modo in cui il nucleo centrale del problema viene approfondito nel Capitolo VII, si può osservare come, sempre tenendo presente il rapporto tra l’ordine del sapere e la molteplicità delle vicende umana, Vico ponga le basi per un’ulteriore stratificazione del problema e una più ampia comprensione del compito che spetta alla sua dissertazione:

Sed heac ration studiorum adolescentibus illa parit incommoda, ut porro nec satis vitam civilem prudenter agant, nec orationem moribus tingere et affectibus inflammare sati sciant. Et, quod ad prudentiam civilis vitae attinet, cum rerum humanarum dominae sint occasio et electio, quae incertissimae sunt, easque, ut plurimum, simulatio et dissimulatio, res fallacissimae ducant, qui unum verum curant, difficile

media, difficilius fines earum assequuntur; et suis consiliis frustrati, alienis decepti, quam saepissime

abeunt207.

Qui Vico si sofferma a descrivere gli svantaggi (incommoda) provocati dal metodo degli studi nei riguardi della vita civile, nella morale e nella dottrina oratoria. La prospettiva critica si mantiene sempre intatta, ma si osservi come, invece, cambi la visuale che introduce il problema della ratio studiorum. Rispetto a quanto detto nel Capitolo III, Vico qui avanza una prospettiva diversa. L’allargamento tematico degli aspetti umani che vengono colpiti dall’azione occludente del metodo consente di notare che il problema della ratio non è solo motivato dal difetto che la Critica manifesta nella sua costituzione. La difficoltà di compiere

rapporto tra geometria e fisica. A quale approdo conduce questo processo di espropriazione? Che cosa sono la geometria e la fisica al di fuori del primato dell’analisi? All’argomento e a queste domande è opportuno dedicare una trattazione a parte, che mi propongo di esporre nella Terza Parte di questo lavoro.

206 Cfr. G.B. Vico, De nostri, op. cit., pp. 104-106. È credo degno di nota il fatto che Vico non dia mai una definizione della

Topica simile a quella che contraddistingue la Critica. In questi passaggi del Capitolo III si può osservare, infatti, come, in realtà, la Topica venga sempre pensata a partire dai suoi elementi interni: siano questi rappresentati dalla inventio argomentorum o i verosimilia, di cui Vico parla nel passo che abbiamo sopra commentato; oppure dalle corporum imagines, dalla phantasia e dalla memoria. L’utilizzo di tutti questi termini nei passaggi testuali del Capitolo III indica l’intento generale, da parte di Vico, di restituire con la Topica l’idea di un sapere totalmente rivolto alla molteplicità dell’espressione umana. In questa direzione, forse l’unica eccezione può essere rappresenta da una definizione particolare: ovvero quella della Topica come ciò che concerne i vera secunda. Le cosiddette “verità secondarie” rappresentano, da questo punto di vista, un modo assai significativo per rivendicare una costruzione della ratio studiorum priva dei difetti ‘necessari’ della Critica. I vera secunda si basano, infatti, sulla considerazione di elementi secondari, ai quali ci si rivolge senza rinunciare allo statuto di verità del metodo. Nel prossimo capitolo, mi propongo di ritornare su tale specifica tendenza vichiana, la quale – cercherò di dire una volta mostrata la connessione della Topica con l’oratoria e la scrittura – non si intende se non all’interno di un ragionamento rigoroso che Vico conduce a partire proprio dall’intreccio tra Logica e Verità. In questo contesto introduttivo, sia sufficiente aver menzionato questa doppia stratificazione.

l’istanza pedagogica dipende anche dal carattere di incertezza che domina l’ambito della prudenza civile.

La rivendicazione di tale punto di vista pone l’attenzione sulla difficoltà di conciliare la molteplicità delle faccende umane con l’unità dell’indagine sulla verità. Vico specifica, infatti, che la ricerca di coloro che si occupano del vero (qui unum verum curant) difficilmente può essere conseguita con i mezzi e i fini che appartengono invece alla pluralità delle faccende civili e morali dell’uomo (difficile media, difficilius fines earum assequuntur).

La percezione che i fatti della vita umana non possano essere misurati sulla base delle rigide regole della mente rivela che, alla base della discussione critica sulla ratio studiorum, c’è una esigenza preliminare. Bisogna, cioè, pensare dapprima un discrimine tra le circostanze delle cose e le regole della mente, per sollevare il dubbio circa il carattere astraente del metodo cartesiano208. E questa operazione preliminare trova una sua precisa giustificazione: se così non fosse infatti, non sarebbe possibile all’indagine scoprire quel punto di vista, attraverso il quale risulta possibile indicare il punto i danni provocati dall’azione del metodo nei riguardi della prudenza umana.

Vico avverte l’esigenza di indicare l’incompatibilità delle faccende umane con le pretese veritative della scienza, ma la denuncia nei riguardi della astratta veritas studiorum nasce dal tentativo di ricostituire una funzione pratica del sapere. Bisogna saper vedere l’ambizione che anima le dichiarazioni vichiane su questo tema: «Quia unus hodie studiorum finis veritas, vestigamus naturam rerum, quia certa videtur: hominum naturam non vestigamus, quia est ab arbitrio incertissima»209. La tendenza da parte della scienza moderna a ignorare l’incertezza della natura umana, suscita in Vico l’idea di rianimare un obiettivo che le indagini sulla natura

rerum hanno ormai abbandonato: il tentativo cioè di considerare l’indagine sulla verità,

mostrando come nella scienza operino anche tutti quegli aspetti della natura umana che il metodo analitico non è in grado di prendere in considerazione.

Pertanto, l’affermazione di un distacco tra le faccende umane e le regole della mente è alla base dell’intento di ripensare la relazione logica tra questi due aspetti. Ed è interessante osservare come, a tal riguardo, nelle dinamiche interne del Capitolo VII, la necessità di

208 In due luoghi testuali è possibile osservare come Vico metta in pratica questa esigenza: Ibidem: «Quod igitur vitae agenda

ex rerum momentis et appendicibus, quae circumstantiae dicuntur, aestimantur: et earum multae fortasse alienae ac ineptae, nonnullae

saepe perversae, et quandoque etiam adversae suo fini sunt; non ex ista recta mentis regula, quae rigida est, hominum facta aestimari possunt» [il corsivo è di chi scrive], dove si osserva la distinzione tra le “circostanze” incerte della vita umana e la “retta” via rappresentata dalle regole della mente. È un pensiero su cui Vico insiste anche qualche pagina dopo, parlando della confusione di coloro che usano la scientia in luogo della prudentia: ivi, p. 132: «Non recte igitur, per haec, quae diximus, ii faciunt, qui iudicandi rationem, qua utitur scientia, in prudentiae usum transferunt: nam ii res recta ratione aestimant, et homines, cum bona ex parte stulti sunt, non consilio sed libidine vel fortuna reguntur».

99 conciliare l’istanza dell’ordine con la molteplicità delle vicende umana emerga sempre dall’esposizione prospettica di termini soltanto in apparenza antitetici e separati.

Così, la considerazione iniziale tra la vita ex rerum momentis e quella ex mentis regula si ripresenta nella distanza tra genera e particularia, fino a investire anche l’ambito delle distinzioni sociali tra le figure dello stultus e del sapiens210. Sembra di incontrare elementi che al lettore delle Orazioni

inaugurali dovrebbero risultare familiari211, ma qui il problema è completamente diverso. L’apparente convergenza lessicale passa in secondo piano una volta che si guarda attentamente al modo in cui Vico imposta il ragionamento. Se, infatti, lo stolto non indaga le cose vere né per il ricorso ai generi, né per quello alle specie («Proin stultus, qui nec ex genere, nec in specie vera norit»212), il sapiente, invece, riesce nell’impresa della verità, ma la sua capacità coincide esattamente con la condizione richiesta per la risoluzione del problema della ratio. È, cioè, ancora una volta, a essere centrale per Vico è la necessità di costituire una