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I PROBLEMI DELL’IMPLEMENTAZIONE DEL CONTROLLO DI GESTIONE NELLE AZIENDE AD ALTA INTENSITA’ DI CONOSCENZA

Nelle aziende attuali c’è un tema emergente che ha acquisito un’importanza strategica indiscutibile, ovvero la condivisione delle conoscenze (il cosiddetto knowledge sharing). Tale condivisione infatti permette di promuovere il valore dell’impresa, e chiaramente in un’economia della conoscenza, caratterizzata dalla presenza di aziende knowledge- intensive che competono sempre di più sulle loro conoscenze e sulle loro risorse intellettuali, diventa di vitale importanza per migliorare le prestazioni aziendali.

Per condivisione della conoscenza si intende tutto quell’insieme di attività di acquisizione, generazione e diffusione delle conoscenze all’interno di un’impresa (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014).

L’implementazione di un management control system deve essere fatta in maniera molto attenta e contestualizzata per il tipo di azienda, in quanto esso rappresenta uno strumento che permette di trasferire le conoscenze all’interno di tutto il comparto aziendale. Negli ultimi quindici anni alcuni studi hanno cominciato ad esaminare le circostanze in cui il controllo di gestione, se utilizzato scorrettamente, riveste un ruolo negativo poiché non favorisce il trasferimento conoscitivo all’interno delle aziende ad alta intensità di conoscenza (Ditillo, 2004, 2012). Un uso improprio di questo prezioso strumento all’interno di un contesto caratterizzato da un alto livello di conoscenza lo trasforma da meccanismo veicolare delle conoscenze ad uno strumento inibitorio di tale diffusione. Per questo motivo orientamenti più recenti suggeriscono un ruolo informativo per questi strumenti (Davila, 2000), piuttosto che quello di mezzo per ridurre le divergenze tra gli obiettivi ed i risultati.

La questione assume una rilevanza assai maggiore all’interno delle aziende ad alta intensità di conoscenza, in cui la generazione e la condivisione di conoscenze è il mezzo che esse utilizzano per fornire ai loro clienti un output di qualità, da intendersi come l’erogazione di un servizio che risponde alle esigenze del cliente in termini di conformità rispetto alle richieste, ed in termini di strumentalità nello svolgere parti di un processo produttivo (se non un processo intero). Nelle aziende ad alta intensità di conoscenza si osserva quindi la generazione di una serie di ostacoli organizzativi (o barriere) in seguito all’uso improprio degli strumenti di controllo di gestione (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy,

Lo studio di questi ostacoli viene analizzato all’interno di un’azienda knowledge- intensive (in cui abbiamo detto che il problema viene ovviamente amplificato per via della natura dell’azienda che si va a considerare) che viene chiamata anonimamente “Engineering Ltd”, una società di consulenza di ingegneria globale con oltre 10000 dipendenti (tale caso aziendale verrà trattato nel quarto capitolo, più precisamente al paragrafo 4.3) (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014); questi ostacoli organizzativi possono essere definiti come degli impedimenti organizzativi di natura non fisica che causano un impedimento nel trasferimento della conoscenza all’interno dell’azienda, conseguentemente questo porta ad un cattivo andamento delle performance aziendali (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014; Giuliani, 2013; De Long & Fahey, 2000; Lilleoere & Hansen, 2011; Riege, 2007).

La conoscenza organizzativa rappresenta una componente che deve essere gestita, perché la capacità di saper creare conoscenze ed applicarle ai vari processi aziendali potrebbe generare un vantaggio competitivo per un’impresa (Grant, 1996; Nonaka, 1994; Spender, 1996). Per cui bisogna prestare particolare attenzione ai processi di gestione della conoscenza che ne permettono l’accumulo, processi che quindi rivestono un’importanza vitale nel contesto delle aziende knowledge-intensive.

In questo particolare ambito la conoscenza è la chiave perché un’azienda ad alta intensità di conoscenza fornisca ai propri clienti dei prodotti e dei servizi unici (Alvesson, 1993), inoltre permette di sviluppare delle competenze specifiche nell’erogazione di un servizio o durante le fasi produttive (Alvesson, 1993), ed infine permette la risoluzione di un’ampia casistica di problematiche (Starbuck, 1992).

Per queste aziende le attività primarie di conoscenza sono proprio quelle di sfruttare le conoscenze esistenti rendendole esplicite e favorendone la diffusione in tutta l’organizzazione. Un modo sicuramente utile per sfruttare tali conoscenze è quello di usare metodi di riproduzione, quindi di routine per capirsi, legati sostanzialmente al riutilizzo di determinate conoscenze (Winter & Szulanski, 2002). Le società che però competono in un ambito molto particolare come quello della conoscenza tuttavia, dovranno competere non solo sulle conoscenze già note, o meglio che sono state esplicitate, ma anche su quelle tacite, infatti il loro obiettivo è quindi quello di permettere la condivisione di tali conoscenze. Dalla condivisone delle conoscenze tacite si pongono le basi per la creazione di nuove conoscenze, è un procedimento ciclico in un certo senso. In questo processo circolare si favorisce quindi l’apprendimento individuale di quei soggetti che intervengono, favorendo quindi positivamente le prestazioni organizzative,

ed integrando le conoscenze esplicite con quelle tacite (Lilleore & Hansen, 2011). Tuttavia molto spesso quest’ultime due risultano di difficile conciliazione, ecco perché le aziende spesso sfruttano al massimo le potenzialità delle conoscenze già note diffondendole al massimo in tutta l’organizzazione, e contemporaneamente portano avanti in separata sede l’esplorazione di quelle nuove (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014).

Le barriere che vengono individuate come principali ostacoli verso la condivisione conoscitiva sono la mancanza di una capacità di assorbimento all’interno delle organizzazioni, l’ambiguità causale della conoscenza che è oggetto di condivisione (e su questo tema torneremo più avanti con maggiore dettaglio grazie al contributo di Ditillo) ed il rapporto difficoltoso tra mittente e destinatario del processo di condivisione (Szulanski, 1996). La nascita di queste barriere viene favorita da comportamenti individuali (quindi apprensione, paura, eccetera), ostacoli organizzativi (mancato rispetto di autorità, assenza di leadership) e da ostacoli tecnologici (come l’incompatibilità fra sistemi operativi). In tutto ciò dovrebbe quindi essere il management control system, ovvero il controllo di gestione, che dovrebbe evitare l’instaurarsi di tali barriere, e questo dipende da un suo possibilmente corretto utilizzo.

Il management control system deve permettere tutto ciò abbandonando quella che è la sua concezione più classicistica, che guarda al controllo di gestione come ad una routine formale, ad un insieme di procedure standard che è consigliabile seguire. Si deve superare quella che è la classica dimensione economica-finanziaria, abbracciando quindi una logica maggiormente soggettiva, che va ad analizzare non più soltanto aspetti espliciti, ma anche quelli impliciti riguardanti l’individualità dei soggetti che intervengono nei processi produttivi, focalizzandosi sulle loro abilità e sulle loro competenze; ecco perché è importante la gestione della conoscenza nelle aziende ad alta intensità di conoscenza, deve essere valorizzato il capitale umano poiché esso rappresenta il fulcro delle knowledge-intensive firms, in particolare bisogna valorizzare la conoscenza che esso è in grado di apportare all’azienda, va gestita e possibilmente tale capitale va trattenuto. Nel passare a questa nuova logica non si vuole assolutamente sminuire il contributo della classica ma fondamentale logica economica-finanziaria, essa però deve essere integrata con nuovi strumenti che permettano una misurazione degli aspetti soggettivi (ad esempio la Balanced Scorecard, utile sia nella aziende ad alta intensità di conoscenza che non). Questo punto è assolutamente importante, perché mentre ci si aspetta che un management

fortemente guidato dalle conoscenze se viene utilizzato in modo improprio può avere drastici effetti controproducenti (Ditillo, 2004, 2012).

I formali controlli contabili sono irrilevanti o addirittura fungono da vincolo, in quanto i meri indicatori finanziari hanno un ruolo decisamente minore nel campo conoscitivo, caratterizzato da un elevato livello di incertezza e di variabilità (Hayes, 1977); l’utilizzo di classici indicatori economico-finanziari (come possono essere il ROI, ROS, ROE, eccetera) ha una rilevanza limitata all’interno di una knowledge-intensive firm, poiché la loro capacità di supportare previsioni sui futuri andamenti aziendali sulla base dei risultati pregressi viene quasi totalmente azzerata dall’imprevedibilità e dall’elevata dinamicità del settore in cui queste aziende operano. I meri controlli contabili risultano essere più centrati per contesti in cui il grado di incertezza è molto più basso.

L’integrazione del controllo comportamentale è necessaria nel contesto conoscitivo, soggetto ad un numero di variabili decisamente maggiore (Abernethy & Brownell, 1997). In termini più generici si può affermare che basare la programmazione, ed anche i sistemi di management control system, sulla base del rigido rispetto di regole e vincoli basati solo ed esclusivamente su indicatori poco significativi (per lo meno in questo contesto) non permette il raggiungimento degli obiettivi programmati, ma viceversa un’impostazione di questo tipo risulta essere controproducente in un contesto in cui la conoscenza va creata, studiata e condivisa.

Per adattare l’implementazione del controllo di gestione al nuovo contesto è necessario ripensare il suo utilizzo come abbiamo precedentemente affermato, abbracciando quindi nuove logiche, in particolare modo dovrebbe essere utilizzato come strumento di informazione (Hartmann, 2000) oppure come integratore e coordinatore delle conoscenze (Ditillo, 2004, 2012).

Le aziende knowledge-intensive si trovano dunque in un contesto molto specifico, in cui è richiesta l’applicazione di un insieme variegato conoscenze differenti. Una programmazione basata ad esempio su un management control system che non tiene di conto dell’aspetto soggettivo (e quindi dell’apporto conoscitivo del singolo individuo) non è adatta ad un’azienda ad alta intensità di conoscenza; nell’analisi della soggettività di un individuo sono riscontrabili elementi intangibili e caratterizzati da una natura più complessa e sfaccettata, in generale c’è un aumento delle casistiche da analizzare e quindi del grado di complessità rispetto all’analisi di un semplice contesto economico- finanziario, sicuramente molto più facile da standardizzare; per quest’ordine di motivi è

necessaria l’implementazione di un controllo di gestione più personalizzato ed efficace da questo punto di vista.

L’erronea applicazione del management control system implica inoltre l’inibizione del trasferimento conoscitivo, ecco perché vanno integrati con sistemi che ne favoriscano il ruolo di veicolo della conoscenza. Segue l’analisi delle tre tipologie principali di barriere (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014) che sono state individuate come inibitori del trasferimento conoscitivo nelle aziende ad alta intensità di conoscenza:

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Barriere personali; con barriere personali si intendono sostanzialmente gli impedimenti che sorgono in seguito a comportamenti o percezioni individuali riconducibili a singoli soggetti operanti in azienda o ad interi gruppi in certi casi, le quali possono danneggiare il trasferimento conoscitivo all’interno dell’azienda (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014).

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Barriere organizzative; in questo caso la condivisione conoscitiva viene in qualche modo impedita dalla mancanza di una precisa struttura organizzativa che lo permetta (carenza di strumenti adatti), non c’è una formalizzazione precisa riguardo al come deve essere gestito il processo di trasferimento, sostanzialmente il controllo di gestione è carente nel permettere ciò (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014).

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Barriere della conoscenza tecnologica; si fa riferimento ad un uso improprio della tecnologia derivante da una non totale comprensione di come essa debba essere utilizzata, questo può impedire il processo di trasferimento delle conoscenze (Massaro, Pitts, Zanin, Bardy, 2014).

Abbiamo visto come l’introduzione di sistemi di controllo di gestione mirati quasi esclusivamente a definire confini organizzativi ed a monitorare le eccezioni e le deviazioni dagli obiettivi prestabiliti abbia un ruolo decisamente controproducente nella condivisione delle conoscenze, questo aspetto di per sé negativo viene amplificato nel contesto delle aziende knowledge-intensive, causando la generazione di cattive prestazioni.

Una qualsiasi azienda knowledge-intensive dovrebbe trovare quindi un equilibrio tra il mantenimento di una certa soglia di controllo (ottenuto tramite il management control system), facendo proprie nuove logiche maggiormente soggettive, favorendo quindi una maggiore interazione fra individui e di conseguenza permettendo la condivisione delle conoscenze. In questo modo si possono ricercare nuove opportunità e nuove soluzioni per

tali barriere vengono riscontrate in una knowledge-intensive firm a seguito di un errato uso del controllo di gestione.

3. ANALISI DI ALCUNE PROPOSTE DI PROGETTAZIONE DEL